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PSICOPATOLOGIA E CRIMINALITA'.
L'ITINERARIO ITALIANO

Lcuiano Bonuzzi

 

INTRODUZIONE

UNA BREVE PREMESSA

LONTANE RADICI

DALL'ETÀ DI MEZZO AI TEMPI MODERNI

VERSO L'ILLUMINISMO

FERMENTI DOTTRINALI ALLE ORIGINI DELL'ETÀ CONTEMPORANEA

CRIMINALITÀ E ORGANIZZAZIONE ANATOMICA

APPROCCI STORICISTI

L'ANTROPOLOGIA CRIMINALE

ACCANTO A LOMBROSO

CONTRIBUTI CLINICI ALLA CRIMINOLOGIA

NUOVI ORIZZONTI

UN TENTATIVO DI SINTESI

BIBLIOGRAFIA

 

Approcci storicisti

La cultura medica italiana entra in contatto con lo storicismo grazie all'opera di Sprengel che influenza ampiamente il pensiero di Francesco Puccinotti, storico neuropsichiatra e criminologo, al quale si deve il trattato di medicina legale forse più diffuso del secondo quarto del secolo scorso, come rivelano le ripetute edizioni.

Puccinotti avverte fortemente il mutare dei tempi. La navigazione a vapore e l'illuminazione gassosa hanno infatti accelerato la trasformazione della società tradizionale mostrando improvvisamente i tratti dolenti della fase paleotecnica della rivoluzione industriale: dallo sfruttamento infantile di giovani asserviti alle macchine al degrado del lavoro operaio, mentre "gli operai devono sapere, che in unione con gli agricoltori sono gli strumenti della forza e della fortuna dello Stato" (82).

In questo drammatico scenario storico, accanto alla tradizionale valorizzazione della medicina clinica, s'impone a gran voce l'esigenza di una radicale rifondazione della medicina civile, che deve essere particolarmente attenta all'igiene, all'economia politica e naturalmente al rapporto con il diritto senza trascurare quanto interessa i problemi peculiari alla sanità nazionale.

Si tratta, insomma, di organizzare il sapere in forme diverse da quelle del passato ricorrendo anche a nuovi strumenti conoscitivi come la statistica. Per Puccinotti, del resto, i continui rivolgimenti della medicina ne scandiscono ed orientano la stessa tensione scientifica; la vera filosofia della scienza viene, infatti, identificata con la filosofia della storia (83). Puccinotti, che ha recepito la lezione idealistica, guarda con simpatia a Vico, il teorico moderno della filosofia della storia, e nel contempo prende le distanze dal sensismo, soprattutto da quello di Condillac.

Affiora così un progetto antropologico senza dubbio diverso da quello proposto dalla medicina illuministica. Puccinotti infatti lamenta: "Finora i fisiologhi non hanno contemplato che da un lato la sensazione: e questa hanno considerata passiva dietro i precetti di Condillac; e come tale considerandola, non potevano certo vedere in essa un processo spontaneo idiopatico nel suo stato morboso". E più oltre: "come l'organo pensante ha una subiettività cioè una attitudine ad operare da sé sull'oggetto della sensazione, così nello stato patologico l'alterato processo nerveo di sensazione è per noi una alterazione idiopatica, ossia clinico-organica nella subiettività tanto dell'organo pensante nelle alienazioni mentali, quanto degli altri principali centri del sistema nervoso..." (84). In breve, Puccinotti propone un'antropologia neurocentrica sostanziata dalla soggettività del pensiero.

Con Puccinotti alla psicologia compete un nuovo decoro mentre alla psicologia forense, in particolare, viene attribuito il compito di analizzare "le giuridiche conseguenze" delle malattie mentali che "in senso legale" sono intese come l'espressione di "una impotenza dell'intelletto, o di far conoscere quanto basta la propria volontà, o di calcolare le conseguenze delle proprie azioni. Tali malattie considerate però psicologicamente debbono essere analizzate a seconda del fonte intellettivo donde hanno origine, a seconda del principale vizioso legame fra facoltà e facoltà che presentano, ed a seconda della forma psicologica manifesta che assumono". "Le più notevoli alienazioni mentali, cominciando dalla imbecillità sino alla mania furibonda, alcuni stati passeggeri dell'anima, come l'ubriachezza, il delirio febbrile, lo stato intermedio tra il sonno e la veglia, certe tendenze irresistibili, il sonnambulismo, e lo stato della mente dei sordi-muti sono i principali oggetti" di cui, secondo Puccinotti, deve occuparsi la psicologia forense. Non si tratta di capitoli nuovi per la medicina legale; nuovo, piuttosto, è il rigore psicopatologico al fine di valutare correttamente "la misura della influenza che un disordine passeggero e permanente dello spirito può aver avuto in una azione delittuosa" (85).

E' il mondo della mania che, ad avviso di Puccinotti, è più facilmente compromesso con il delitto quando "col tumultuario disordine di pensieri e di affetti in che è travolto il maniaco, sono incompatibili le nozioni del giusto e dell'ingiusto. Niuna idea di relazione, di pudore, di probità saprebbe distornarlo dalle sue involontarie e furiose impulsioni. Egli perde o in tutto o in parte la coscienza esatta di sé stesso: egli è il macigno staccato dalla rupe, che abbandonato alla sua forza di gravità deve precipitare con fragore orribile nella sottoposta valle: è posto in uno stato involontario di disattenzione e d'irriflessione, che lo rende affatto incapace di farsi l'idea necessaria della criminalità d'un'azione, e di ritrarsene. Cessa dunque per lui dianzi alla legge ogni maniera di colpa".

Il quadro psicopatologico della mania può essere complicato dalla stupidità ed in questo caso "uno ai segni caratteristici è l'inverecondia che manifesta il malato per soddisfare i suoi appetiti sessuali, e lo sbalordimento, e la gioia bestiale in che resta dopo gli accessi". Paradossalmente tragica, è poi la situazione che si configura quando "per esaltamento cerebrale" il disturbo "può dar luogo a connessioni di idee accidentalmente rivolte ad oggetti di lodevole immaginazione" ed accompagnarsi ad "uno sviluppo notevole d'intelligenza", ma pure in questi casi "uno ai segni caratteristici è l'animalesca esultanza che si sviluppa dopo l'accesso di furore. E dopo commessa una azione criminosa, il negare, lo scusarsi, o il sostenerla come giustissima a seconda dell'idea predominante nel delirio, che accompagnò il parossismo".

In margine alla complessità psicopatologica del rapporto fra mania e crimine, Puccinotti non elude il classico tema della simulazione quando il disturbo deve "servir di maschera al delitto, onde ottenere la commutazione d'una pena infamante in una temporanea reclusione entro una casa di folli". Si tratta però di un inganno facile da scoprire perché ad un osservatore esperto basta ben poco per cogliere la frode che "non potrebbe emulare giammai tutti que' peculiari cangiamenti che hanno luogo nella sensibilità fisica e morale, nel carattere, nelle abitudini d'un vero alienato" (86). Un vissuto complesso quello della mania, ma sostanzialmente inimitabile nonostante la grossolana esplosività del quadro clinico.

Fra i vari motivi che compromettono la psicopatologia con la criminalità, Puccinotti riserva un'attenzione privilegiata, oltre che al capitolo della mania, anche alla questione, allora attualissima, delle tendenze irresistibili, quando è presente "il sentimento interno di una forza insolita che spinge ad una determinata azione, contro la qual forza l'uomo sentesi del pari incapace di resistere" (87). In questi casi il conflitto fra pulsione e ragione è accompagnato da profonda inquietudine e nell'insieme si configura una situazione psicologica che, in caso di passaggio all'atto, esclude l'imputabilità.

Puccinotti, in sintesi, è uno storicista che, pur attento ai problemi di una società in rapida evoluzione, insiste sulla centralità del pensiero soggettivo valorizzando l'approccio psicopatologico per cogliere le motivazioni vissute che sottendono il crimine. Studioso dalla forte sensibilità filosofica, si rivela più sensibile al fondamento teoretico della psicopatologia criminale piuttosto che al confronto empirico fra medicina mentale e pagina del codice. In Puccinotti, tutto sommato, all'interesse per le scienze della natura è subentrato l'interesse per le scienze dello spirito.

Al fascino dell'illuminismo è, infatti, progressivamente subentrata l'influenza della filosofia idealistica che coinvolge non pochi clinici sia pure fra adesioni entusiaste e cauti ripensamenti come si verifica in Salvatore Tommasi.

Tommasi, un clinico con marcati interessi psichiatrici e criminologici, passa infatti da esplicite posizioni idealistiche ad una dichiarata professione di naturalismo anche se, come avverte Gentile (88), dall'idealismo, nonostante l'abiura, non si è mai del tutto staccato, attivando vivaci polemiche con medici e filosofi, da De Crecchio (89) a Bertrando Spaventa (90). Certo imbevuto di idealismo è il giovane clinico quando scrive che il fisiologo per accostarsi correttamente all'organismo deve appropriarsi del concetto di "totalità" che comprende "la pluralità e l'unità" in quanto "l'organismo è appunto la coincidenza di molti particolari in una sola individualità. Egli è pertanto l'accordo di due termini opposti: .....è la vera concretezza, perché esprime la dialettica degli opposti" (91).

Altrettanto evidente, nonostante le dichiarazioni materialistiche, è la dipendenza dall'idealismo, pur sofferta, in tema di psicologia e psichiatria. Gli è che per Tommasi "l'educazione morale e scientifica si materializza nel nostro cervello" in modo che "le impressioni fisiche e morali" avvertite fin dall'infanzia e penetrante nel cervello "prendono posto e stabiliscono le loro relazioni": la coscienza e il sentimento della personalità non sarebbero, in altre parole, che l'espressione della ricchezza e della perfezione dell'organismo psichico che si costruisce attraverso l'educazione. In questa prospettiva non si può pertanto ritenere - argomenta Tommasi - che le cause morali capaci di indurre le psicopatie debbano inevitabilmente provocare qualche alterazione clinica o anatomica dell'encefalo. Del resto se le psicopatie fossero semplici malattie somatiche risponderebbero direttamente ai trattamenti farmacologici, là dove si devono invece prendere in considerazione "la qualità dell'ambiente morale e gli espedienti educativi". La pazzia, tragico retaggio della conflittuale civiltà moderna, appare, del resto, destinata ad un inesorabile incremento statistico "ove una solida istruzione e una savia educazione non ci mettano riparo". Si tratta, insomma, di "una gran questione sociale". In altre parole, secondo Tommasi, "il processo delle psicopatie" va colto "nel disturbo profondo che può verificarsi nell'organismo dello spirito" tanto che "la patologia delle malattie mentali l'è una patologia che non ha a far nulla con quella delle malattie corporee" (92).

Questa lettura spiritualista, pedagogica e sociologica degli abnormi psichici orienta anche l'approccio alla criminologia dove Tommasi affronta la cruciale questione dell'impulso irresistibile: "uno stato passionato dell'animo, nel quale la volontà, la riflessione e la ragione vengono meno, in quanto esso si rende a loro superiore, e spinge fatalmente al delitto la persona che n'è invasa... E' uno stato di convulsione ideale, è l'epilessia della mente". L'impulso irresistibile è ben diagnosticabile in quanto non vi è scopo, il gentilizio è tarato, all'atto segue il rimorso. Tommasi tuttavia, pur riconoscendo che il vissuto psicopatologico può influenzare il comportamento, intende prendere le distanze da quanti considerano i delitti "una fatale necessità" e, in nome della "sicurezza della società", si scaglia contro "la mitezza delle pene e l'abolizione di fatto della pena di morte". Tommasi vorrebbe "far tacere gli avvocati che oggi invocano la forza irresistibile, e domani invocheranno la mancanza di libero arbitrio" (93). In effetti, la questione del libero arbitrio nella criminologia ottocentesca non è un orpello teoretico ma rivela quanto possa essere complesso il dialogo fra medicina e codice come avverte lo stesso Tommasi quando auspica una formazione specialistica per i medici che, in veste di periti, dovranno misurarsi con la legge (94).

Moleschott, in una sorta di dibattito epistolare pubblicato sul "Morgagni", si sforza di rassicurare Tommasi e di mediarne il radicalismo (95). Moleschott ricorda che "l'uomo è il prodotto della natura e della cultura" e, pur riconoscendo che "la società sta al di sopra dell'individuo", guarda al lavoro come strumento di riscatto per "armonizzare la difesa sociale col riguardo che merita il delinquente, il quale è spinto al male per i difetti della propria organizzazione non solo, ma pure per colpe inerenti alle condizioni della società medesima" (96).

Lungo l'itinerario ideologico della criminologia italiana, che nel primo ë800 è scandito dai contributi di Puccinotti e di Tommasi, l'idealismo si impone, al di là di ogni apparente riserva, con evidenza sempre più esplicita mentre viene accantonata l'ipotesi, naturalistica, delle alterazioni somatiche postulate dall'illuminismo. Con l'idealismo, del resto, la natura diventa, non di rado, una sorta di pittoresca metafora come in Puccinotti quando assimila la forza del delitto consumato nell'accesso maniacale a quella di un macigno che si stacca da una rupe per precipitare ineluttabilmente. Con Tommasi la stessa metafora naturalistica appare ulteriormente sbiadita per lasciare il posto alla colpa, all'influenza della società o alla carenza pedagogica che orientano l' "organismo dello spirito". Ma proprio con la cortese polemica, più vicina allo scambio epistolare che al vero dibattito, fra Tommasi e Moleschott compaiono all'orizzonte nuovi e differenti punti di vista.



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