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PSICOPATOLOGIA E CRIMINALITA'.
L'ITINERARIO ITALIANO

Luciano Bonuzzi

 

INTRODUZIONE

UNA BREVE PREMESSA

LONTANE RADICI

DALL'ETÀ DI MEZZO AI TEMPI MODERNI

VERSO L'ILLUMINISMO

FERMENTI DOTTRINALI ALLE ORIGINI DELL'ETÀ CONTEMPORANEA

CRIMINALITÀ E ORGANIZZAZIONE ANATOMICA

APPROCCI STORICISTI

L'ANTROPOLOGIA CRIMINALE

ACCANTO A LOMBROSO

CONTRIBUTI CLINICI ALLA CRIMINOLOGIA

NUOVI ORIZZONTI

UN TENTATIVO DI SINTESI

BIBLIOGRAFIA

 

Accanto a Lombroso

Cno le teorie di Lombroso, all'insegna del consenso o del dissenso, si confrontano un po' tutti gli studiosi che si occupano di criminologia ma per alcuni di questi il rapporto con Lombroso è particolarmente forte tanto che si usa parlare di scuola positiva. Enrico Ferri e Raffaele Garofalo, un giurista e un magistrato, sono fra le figure più rappresentative del gruppo; Garofalo, è più attento al momento psicologico che sottende la criminalità, Ferri guarda invece alla dimensione sociale del delitto.

Garofalo è certamente allineato su posizioni lombrosiane; il suo più noto saggio ha però per titolo Criminologia ed elude pertanto quel rimando esplicito e dichiarato all'antropologia che costituisce uno dei motivi più contestati al capo scuola soprattutto da parte della cultura francofona. Anche per Garofalo, ad ogni modo, il delitto non è una mera convenzione definita dal codice legale, come vuole la scuola classica, ma è piuttosto un fatto naturale il cui concetto è ben presente nella saggezza popolare. Scrive Garofalo: "Il delitto sociale o naturale è una lesione di quella parte del senso morale che consiste nei sentimenti altruistici fondamentali (pietà e probità) secondo la misura media in cui trovansi nelle razze umane superiori, la quale misura è necessaria per l'adattamento dell'individuo nella società". L'allusione alle razze superiori viene ritenuta indispensabile per non creare confusione con quanto si verifica nei selvaggi dove mancano quegli "istinti altruistici" che sono invece considerati fondamentali nelle società più evolute.

In Garofalo, mentre natura e società si sovrappongono e convergono, il concetto di istinto assume coloriture etiche, di evidente matrice frenologica, che vanno ben oltre la generica spinta biologica che lo caratterizza; la statistica non è poi un semplice strumento conoscitivo, ma si identifica piuttosto con la forma stessa del conoscere.

Per l'autore di Criminologia i delinquenti si possono distinguere in due categorie, "l'una priva affatto di senso morale, l'altra con istinti morali deboli o latenti", ma pur prendendo atto della mancanza dell'istinto pietoso e di probità, della sostanziale perversità, nulla si può concludere quando manca il delitto. Ed ancora, avverte Garofalo, "che la natura dell'anomalia sia o non sia morbosa, ciò è indifferente in quanto alle esigenze sociali. Ciò che importa sapere è se l'anomalia sia permanente e l'infermità incurabile o duratura nella sua forma pericolosa alla società, ovvero se vi sia speranza di miglioramento e di cessazione degli impulsi criminosi. Nel primo caso non vi è alcuna ragione per non trattare il pazzo come il delinquente istintivo, cioè a dire eliminarlo assolutamente; nel secondo caso si avranno, da una parte, delinquenti affetti da psico-nevrosi, curabili nei manicomi, e dall'altra parte, delinquenti per occasione e per abitudine che possono modificarsi con un nuovo genere di vita a cui siano costretti". Affiora ormai con drastica chiarezza il tema della pericolosità sociale che sostanzierà la legge del 1904 sui manicomi e sugli alienati.

Il pessimismo radicale di Garofalo deriva dalla convinzione che "tutti i delinquenti sono... uomini psichicamente anormali; molti anche antropologicamente"; e del resto se, in condizioni analoghe, fra tanti uomini uno solo delinque si deve coerentemente dedurre che "il fattore primo del delitto è sempre individuale, e che senza di esso le spinte occasionali rimangono inefficaci" (137).

Il delitto, in breve, è fatalmente indotto da un'anomalia individuale; si capisce pertanto come le influenze familiari e sociali siano ritenute di scarso momento. Anche alla portata del disagio economico viene attribuita modesta incisività tanto che il malessere che vi è connesso appare banalmente attribuito alla sproporzione fra desideri e mezzi per soddisfarli; una prospettiva francamente bizzarra, soprattutto se si tiene conto del particolare momento storico caratterizzato dal forte disagio del proletariato industriale.

A Garofalo, prigioniero del sostanzialismo evoluzionista, sembra sfuggire la complessità, familiare sociale ed economica, della vita. Il suo contributo più originale è piuttosto da ricercare nella descrizione di quelle personalità delinquenziali, estranee ad ogni vibrazione affettiva, che, già individuate nella letteratura cinquecentesca, ricorrono insistentemente nelle più recenti nosografie, ottocentesche e novecentesche, dove si parla, ancor oggi, di personalità psicopatiche, di disturbi di personalità, di sociopatie; una questione abombrata anche da Lombroso nel capitolo dedicato ai mattoidi.

Se Garofalo è, per così dire, lo studioso della psicologia criminale, Enrico Ferri è invece ritenuto il sociologo della scuola positiva. Per Ferri, nota Scioloja (138), il più ampio numero di delinquenti è, infatti, costituito da quelli occasionali particolarmente suggestionati da motivazioni sociali tanto che Ferri elabora una sorta di "piano regolatore" per prevenire e reprimere la criminalità considerando in modo articolato i problemi dei minorenni, dei malati di mente, dei tossicomani etc. Chiarisce peraltro Grispigni (139) che la sociologia di Ferri non va intesa come una disciplina che voglia deresponsabilizzare l'individuo per trasferire le sue responsabilità nella società, ma piuttosto come espressione dell'esigenza dello stato di tutelare la propria integrità. In ogni modo, per un esauriente e corretto approccio alla criminalità, lo studio della psicologia collettiva dovrebbe, secondo Ferri, costituire l'anello di congiunzione fra la psicologia individuale e la sociologia che analizza la società nel suo insieme (140). Per Ferri, in effetti, il delitto è sempre un fenomeno biopsicologico, legato sia all'individuo che all'ambiente (141); scrive al proposito che gli autori di atti anti-sociali presentano un particolare temperamento criminale caratterizzato da una singolare "personalità biopsichica che non potendo subire le condizioni di esistenza sociale del presente cede all'impulsività di un sistema nervoso degenerato..., oppure squilibrato dal fanatismo..." (142).

Assai noto come deputato del gruppo socialista, Ferri raccolse ampi consensi come giurista, come criminologo e come polemista; alcuni versi di Giovanni Pascoli e un bozzetto di Nicola Pende ne tratteggiano gli aspetti più caratteristici. Pascoli, senza volontaria ironia, immagina un tribuno impegnato in un mondo acceso, assai lontano dal proprio; scrive, infatti: "Con voce acuta di bufera / Tu gridi al gran popolo: avanti! / Io tra la mischia a me straniera / Sollevo i miei placidi canti" (143). Nicola Pende, uno dei rappresentanti più significativi del costituzionalismo italiano, valorizza invece il criminologo; scrive, appunto: "In Enrico Ferri saluto il grande biologo e clinico dell'uomo delinquente, interprete per mezzo secolo delle leggi dell'io incosciente, determinanti, sotto la spinta provocatrice dell'ambiente, quella acutissima malattia della nostra personalità che chiamiamo delitto" (144). Il pensiero di Pende insiste qui su quei rimandi fra fisiologia e società cari alla tradizione positivista e, in particolare, alle riflessioni di Comte (145).

La fortuna e l'incisività storica di Garofalo e di Ferri, fra i tanti maestri della scuola positiva, sono dovute all'ambito giuridico in cui operano entrambi con il conseguente allargamento di orizzonte rispetto all'originario contesto lombrosiano, sostanzialmente limitato al mondo e ai metodi della medicina. Intorno alla scuola positiva, in realtà, maturano ed evolvono approcci assai diversi che ora si rivelano saldamente ancorati alla biologia, ora sconfinano verso la sociologia politica, ora invece rinnovano ed aggiornano l'indirizzo "ufficiale" della scuola.

Per Virgilio (146), su rigorose posizioni lombrosiane, pazzi e criminali, in quanto entrambi degenerati, sono accomunati da un'organizzazione parimenti fragile del sistema nervoso e del cervello, in particolare. Se il delitto ha origine morbosa deve pertanto essere oggetto della medicina a cui spetta, di conseguenza, anche il compito, eminentemente preventivo, di moralizzare la comunità civile. Una prospettiva che attribuisce alla medicina nuove competenze che, tradizionalmente, erano gestite dai giuristi ma anche dalla Chiesa.

Colajanni e Pistolese, d'altra parte, nell'analisi del rapporto fra alcoolismo e delinquenza, per quanto siano entrambi socialisti e positivisti come Lombroso, affrontano la questione in termini esplicitamente polemici rispetto alle teorie lombrosiane nella loro classica formulazione. Per Colajanni alcoolismo e criminalità hanno infatti una causa comune molto semplice: la miseria con la carenza di educazione che la sostanzia. Per guarire da questi mali è poi indispensabile, secondo Pistolese, la caduta del capitalismo: "E' il capitalismo che ha fatto l'alcool accessibile a tutti, perché a poco prezzo; è esso che lo offre sovente in mille guise falsificato per l'ingordigia di maggiori guadagni da parte degli speculatori..." (147).

Commentatori e continuatori, sostanzialmente ortodossi, della tradizione lombrosiana sono infine la figlia Gina, il genero Ferrero, Niceforo, Di Tullio, etc. ed anche lo stesso Pende, nonostante la differente posizione ideologica. La figlia Gina negli anni '20 cura opere giovanili o poco accessibili del padre rielaborando, in particolare, La donna delinquente etc. dove ricorre il noto assioma della corrispondenza fra prostituzione e criminalità. Si legge, infatti: "L'identità, psicologica come l'anatomica, tra il criminale e la prostituta-nata, non potrebbe essere più compiuta: ambedue identici al pazzo morale, sono per assioma matematico eguali fra loro" (148). Gina comunque non si limita a riproporre i testi del celebre padre ma risulta assai attenta alle difficoltà della condizione femminile ed impegnata nel promuovere l'elevazione culturale e l'emancipazione sociale della donna (149).

A Di Tullio si deve un noto trattato di antropologia criminale aggiornato con capitoli dedicati agli argomenti più recenti come l'endocrinologia. Il magistero lombrosiano è ancora evidente nel pensiero di Di Tullio anche se non si parla più di "tipo" delinquenziale, ma di personalità. Di Tullio ad ogni modo, pur consapevole che l'antropologia criminale solleva vasti problemi come quello del bene e del male e quelli della libertà e della responsabilità umana, intende porre fra parentesi ogni questione filosofica per occuparsi del solo delitto: un atto umano che va considerato e valutato in relazione al contesto sociale dove viene consumato. Fondamentale è poi ritenuto il rapporto con la psicopatologia, tanto più che "ogni delitto è sempre l'espressione di un turbamento psichico" (150).

Di Niceforo (151) si ricorda invece una monumentale sintesi in merito ai contenuti e ai dibattiti maturati attraverso il lungo itinerario della scuola positiva. L'opera di Niceforo, edita da Bocca in 6 volumi fra il '49 e il '54, si configura come una sorta di riassunto critico e di commiato ad un tempo: viene affrontato ogni argomento di interesse criminologico, da quelli biologici a quelli sociali e motivazionali.

Il magistero di Lombroso, in ogni modo, va ben oltre il gruppo dei propri allievi. Pende, tomista in metafisica e costituzionalista in medicina, non è certo libero da suggestioni biologiche di vaga matrice lombrosiana. Quando è ormai dimostrato che la stimolazione di alcune aree encefaliche può indurre improvvisi accessi di aggressività caldeggia infatti mirati interventi di psicochirurgia per modificare le turbe dell'umore che intonano il comportamento di alcuni criminali; al proposito riferisce il caso di un poveretto "che aveva da molti anni fatto il giro di tutte le carceri" e che dopo adeguato intervento neurochirurgico poté "essere trasformato in un pacifico ed onesto lavoratore" (152).

E', insomma, fuor di dubbio che Lombroso ha fatto scuola esercitando ampie suggestioni nella cultura, orientando la pratica giudiziaria e psichiatrica, influenzando la ricerca, sia ancorandola a quanto è oggettivamente visibile che promuovendo la statistica, in sintonia con la metodologia del tempo. Si consideri, d'altra parte, che la passione visibilista, eminentemente lombrosiana, per l'oggettività fotografica se favorisce la documentazione realistica, sia in psichiatria (153) che in criminologia (154), incoraggia nel contempo il bozzettismo di genere, la tipizzazione letteraria dell'alienato e del criminale. La statistica poi, se ha favorito le conoscenze astratte della sociologia, ha promosso nel contempo la scomparsa del soggetto con il suo irrepetibile dolore e con l'unicità umana della propria storia; in verità in Lombroso non mancano le biografie ma, nella proposta scontata della tipicità del caso descritto, la persona appare non di rado naufragata. Lo spirito lombrosiano, in sintesi, tende a far convergere entro le griglie ferme ed ordinate del sapere museale le brulicanti ed imprevedibili forme trasgressive del mondo della vita (155).



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