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Attenzione: questo Ë un vecchio file, che conteneva la terza parte dell'articolo di Cremerius che era diviso in quattro parti, successivamente accorpate alla prima. Torna quindi all'indirizzo: http://www.pol-it.org//ital/riviste/psicouman/cremeriuspsi.htm

Psicoterapia e Scienze Umane, 1999, XXXIII, 4: 5-43

IL FUTURO DELLA PSICOANALISI 
(3/4)

Johannes Cremerius

 

La psicoanalisi istituzionalizzata si stacca dalle acquisizioni fondamentali

La psicoanalisi istituzionalizzata distrugge ciò che voleva custodire.  “Ho visto il nemico: siamo noi” (Golding).

La istituzione psicoanalitica si è sbarazzata in un processo veramente unico di purificazione della propria funzione specifica e si è lasciata ampiamente indietro la pretesa di Freud di essere una scienza illuministica al servizio dell'emancipazione: “La psicoanalisi può conservare una propria autorità nel mondo”, scrisse Freud ne “Le prospettive future della terapia psicoanalitica”, solo se “ci manteniamo in una funzione critica verso la società” (Freud, 1910, vol. 6, p. 203) e aggiunge nel 1921 che la psicoanalisi deve mantenersi in opposizione contro tutte le strettoie della convenzionalità, i vincoli ed in generale contro tutti i riconoscimenti formali (Freud, 1921), e che dovrebbe disturbare la pace del mondo (Freud, 1916/1917, vol. 8, p. 446). Invece, essa si divide, con un procedimento di sistemazione (Parin, 1976), proprio da ciò che costituisce il suo nucleo oppositivo: la conflittualità del sessuale, la teoria pulsionale la “vocazione emancipatoria della psicoanalisi” (Parin, 1978, p. 655). La teoria culturale e la critica sociale di Freud vengono appena trattate nel curriculum dell'Istituto della Dpv (Associazione psicoanalitica tedesca).

I concetti di cultura e di critica culturale non appaiono nei dizionari e nelle monografie psicoanalitiche. Si divide dai fattori sociali condizionanti e facilitanti la nevrosi: al loro posto subentrano fattori, come le qualità innate (Melanie Klein) o le casualità delle costellazioni infantili precoci dei primi mesi di vita: la madre come destino (Kohut). Ora la società è discolpata. Se il destino dell'uomo è determinato nei primi due mesi di vita, allora lo sviluppo sessuale fino all'adolescenza perde d'importanza. Ancora, si divide dalla teoria freudiana della relazione d'oggetto: la sua “inquietante” constatazione che l'istinto non cerca un particolare oggetto d'amore, un “Tu”, una “meta sessuale” di qualunque sorta, se solo risolve la tensione sessuale. Infine, si divide dell'analisi laica, per Freud un'essenziale componente del suo concetto di associazione psicoanalitica. E questo per un buon motivo. Egli desiderava che la società psicoanalitica permanesse nell'alveo della storia spirituale dell'Europa, che nei suoi istituti di formazione - egli parla di “Università della psicoanalisi” - si insegnassero filosofia, psicologia delle religioni, etnologia, scienze letterarie, ecc. “Senza un buon orientamento in questi terreni, l'analista deve fronteggiare la propria impossibilità di comprendere gran parte del proprio materiale” (Freud, 1926, p. 411). I “profani” vengono ammessi alla formazione, essi arricchiscono il corso degli studi con le loro conoscenze in queste materie (i medici come docenti producono raramente teoria della cultura). Freud si aspettava dalla loro presenza un contrappeso al medicocentrismo. Forse si aspettava dalla interdisciplinarietà così nascente un contrappeso contro l'isolamento dell'istituto (qui vediamo Freud impigliato nella sua contraddizione)(10).

L'autodistruzione della psicoanalisi attraverso la fissazione a una posizione anacronistica

Autodistruttivo è l'intenzionale confinamento della terapia ai membri di un ceto culturale in grado di pagare, così come l'esclusione d'influenze esogene sullo sviluppo delle nevrosi; un aspetto al quale Freud attribuì grande importanza. Con tale restrizione la terapia si esclude dalla realtà sociale, diviene anacronistica. Con ciò non può né percepire i cambiamenti sociali né problematizzarsi tanto in rapporto alla propria teoria, quanto alla propria prassi terapeutica. L'esclusione dei fattori esogeni la fissa su un modello eziopatologico monocausale, che non sarà conforme alla verità dell'umana causalità delle passioni. A questo punto si inserisce anche il fatto che la psicoanalisi istituzionalizzata non può prendere in considerazione i mutati rapporti reciproci degli uomini e la loro mutata posizione in un mondo dalle pluralistiche forme di vita. Non vede ancora il mondo con gli occhi del secolo trascorso. L'analisi specifica delle classi impedisce che gli analisti facciano esperienze con pazienti di un altro ceto sociale o culturale, che non potrebbero pagare personalmente la loro terapia o per i quali dovrebbe pagare un terzo (compagnie assicurative, casse mutue)(11). A questo proposito afferma Eissler: “Sarà favorita la dimestichezza dell'analista coi gruppi sociali che esistono nella sua comunità, e questo lo proteggerà dalla sua limitata visione delle strutture sociali e possibile dalle ripercussioni di ciò sui singoli. Oltre a ciò gli sarà reso fare buone esperienze con analisi nelle quali l'onorario non gioca un ruolo come fattore motivante (né per l'analista né per i pazienti); ciò potrebbe non solo contribuire ad un rafforzamento della tecnica psicoanalitica, ma anche mantenere e consolidare la libertà e l'indipendenza dell'analista dai vincoli, che i fattori finanziari potrebbero a poco a poco esercitare su di lui ... ” (Eissler, 1974, p. 85). Io aggiungo a ciò che la limitazione ai pazienti in grado di pagare può danneggiare la psicoanalisi istituzionalizzata anche per il fatto che con ciò esclude se stessa dalla partecipazione ad un'ampia assistenza psicoterapeutica e psicoanalitica della popolazione. In tal modo, si difende un sistema di suddivisione in due classi, una posizione anacronistica. Freud aveva espresso nel 1919 questo desiderio per il futuro della psicoanalisi, “una psicoterapia psicoanaliticamente fondata per il popolo” (Freud, 1919). Io credo che la limitazione ai pazienti privati e ad un'analisi prolungata ad alta frequenza non possa garantire alcun futuro promettente all'istituzione psicoanalitica, che considera questa specie di terapia come il massimo possibile.

L'esclusione dei fattori esogeni, la noncuranza per i fattori sociali (di povertà sociale, di mancanza di lavoro, della disperazione di giovani senza futuro, di deficit di personalità nella società dei media, ecc.) e l'effetto di essi sulla salute psichica, riduce la psicoanalisi ad un concetto mono-eziologico. Questo riduzionismo è il prodotto della rigida sopravvalutazione dei fattori psichici, dell'inconscio privato, attraverso la istituzionalizzazione della psicoanalisi. Nel 1963 il presidente dell'IPA chiese al congresso di Stoccolma che gli analisti dovessero resistere alla tentazione di collocarsi sul terreno del sociale. Così facendo non si sarebbe certamente potuto appellare a Freud, per il quale il fattore sociale era un fattore essenziale nella patogenesi della neurosi. Quel concetto mono-eziologico impedisce la comprensione dei pazienti socialmente svantaggiati, provenienti prevalentemente da uno stato sociale inferiore. Questi pazienti vengono inviati ad altri procedimenti terapeutici. Ciò contribuisce ad aumentare una posizione elitaria della psicoanalisi, la rende marginale in un mondo nel quale la psicoterapia diviene sempre più parte integrante di un servizio sanitario sempre più esteso. Dacché gli analisti, fissati su analisi di lunga durata e ad alta frequenza, non trovano più abbastanza pazienti per questa tecnica, sono costretti a cercare aiuto nei servizi sanitari. Ciò conduce immediatamente ad una dissoluzione della tecnica di trattamento fino ad ora condotta, come all'inflazione dei loro concetti base terapeutici(12).

L'alternativa che si comincia ad intravedere per la psicoanalisi istituzionalizzata significa: o preservarsi su di una posizione elitaria o aderire all'integrazione in una generale psicoterapia analitica nel sistema sanitario. Nessuna delle due è uno sbocco ricco di prospettive per la psicoanalisi. Particolarmente severo appare il rifiuto - l'ansia di Freud per la fugacità (Cremerius, 1990a) - contro i risultati della ricerca in terapia per la psicoanalisi e la psicoterapia. L'insoluto rapporto transferale verso Freud non le consente di staccarsi dalla fissazione alla cosiddetta tecnica classica e dalle sue regole del gioco: “I suoi tratti caratteristici - scrive Greenson nel suo manuale sulla tecnica standard psicoanalitica per la formazione in psicoanalisi - che Freud ha fissato tra il 1910 ed il 1915, servono ancora come base della prassi psicoanalitica. Nella tecnica psicoanalitica generalmente praticata non si è fatto strada nessun cambiamento o sviluppo riconosciuto” (Greenson, 1967, p. 17). Così pensa anche Anna Freud, se dieci anni più tardi constata che la “psicologia dell'Io degli anni venti non ha portato con sé nessun maggior cambiamento della tecnica”. Rinchiusa nella convinzione di essere in possesso di un metodo di trattamento valido per sempre (Freud: “siamo in possesso della verità”), non si ritiene necessario mettere alla prova la propria efficienza. Perciò i tentativi di famosi ricercatori di mettere in movimento una ricerca di efficienza, una ricerca comparata in psicoterapia, si scontrano con lo scetticismo e spesso con la riprovazione. Con questo atteggiamento la psicoanalisi istituzionalizzata cade in una trappola: con la propria richiesta di assunzione dei costi del trattamento psicanalitico da parte delle mutue e delle compagnie di assicurazione, incontra un rifiuto, perché queste richiedono prima una dimostrazione di efficacia e di efficienza. Il richiamo ai casi nei quali l'analisi sia stata utile non viene, in linea di principio, preso in considerazione come dimostrazione di efficacia. Al finanziatore interessa l'obiettivazione, la riduzione del fattore soggettivo e la chiarificazione della domanda se lo stesso risultato non avrebbe potuto essere raggiunto con procedimenti più brevi e meno costosi. Autodistruttiva è in terzo luogo l'assenza di uno sforzo di occuparsi della mutata posizione dell'uomo in un mondo pluralistico di forme di vita e di affrontare questo tema dal punto di vista teorico. (Qui si mostra nuovamente il già lamentato rifiuto di recepire le conoscenze di altre scienze umane, il rifiuto di un dialogo interdisciplinare). La società, come la vide Freud, era ordinata secondo modalità gerarchico-autoritarie. Vi erano istanze (imperatore, Chiesa, la rappresentazione dei valori borghesi), sulle quali l'uomo si poteva orientare. Oggi siamo in presenza di un mutamento dei modi di vivere socialmente accettati e delle relative rappresentazioni sociali di valore e di normalità.

Questo mutamento è legato al declino di modelli vincolanti e universalmente validi e dei relativi valori e norme morali e religiose. Questo declino corrisponde ad una scomparsa delle istanze di guida e di comando (Fuerstenau, 1994, p. 40). Facciamo qui alcuni esempi di cambiamento, che la psicoanalisi istituzionalizzata non ha elaborato: la mutata posizione del padre nella società: al posto di una società ordinata in senso gerarchicoautoritario, è subentrata una “società senza padre”; al posto di una società nella quale le responsabilità unicamente personali dovevano limitare il rischio di vita (malattie, vecchiaia ecc.) attraverso cure volontarie, è subentrata nei Laender con un ampio servizio sociale, un generale atteggiamento assistenziale, una, come dice Mitscherlich, “maternità collettiva”, che provoca comportamenti di attesa infantili e passivi(13); si è profondamente modificata la posizione delle donne nella società: esse sono alla ricerca di nuove forme di realizzazione di sé e si difendono dall'essere “fallicamente patologiche”, se richiedendo attivamente le posizioni che loro spettano, combattono nella società; le donne non si lasciano più classificare come “creature manchevoli”, affette da “invidia del pene”, esse capovolgono il modello di valori originario di Freud: ciò che Freud indicava essere la loro natura, loro la indicano come conseguenza di repressione sociale; si è anche profondamente modificato il rapporto genitori-figli, come anche la posizione del bambino nella società, l'autorità genitoriale indebolita non ha ancora trovato la strada per nuove forme di rapporto; forme di convivenza a due (matrimonio), lodate come realizzazioni dell'Io e segno di attitudine alla costanza d'oggetto, non sono più rappresentazioni di valore socialmente premiate. Al loro posto sono sperimentate unioni finalizzate ad uno scopo specifico, come comunione per periodi di vita. La costanza d'oggetto non è più caratteristica di una organizzazione dell'Io matura, viene molto più spesso interpretata come debolezza dell'Io, come incapacità a separarsi; la sessualità ai tempi di Freud era affare privato, pudicamente celata, oggi è pubblica; al posto del primato della genitalità, che doveva sovrapporsi all'organizzazione sessuale pregenitale, è subentrato il primato della pregenitalità (il cinema vive prioritariamente dello scabroso); la psicoanalisi vive ancora della massima: “dove era l'Es, là deve essere l'Io”, la società grida, rovesciando il tutto: “dove è l'Io, là dovrà essere l'Es”.

Se la psicoanalisi vuole poi adempiere alla propria pretesa di essere una scienza dell'uomo deve far sì che nel proprio assetto teorico si rifletta la realtà sociale entro cui vive oggi l'uomo e mettere in movimento l'assetto teorico stesso. Il futuro della terapia analitica dipende da questo, da quanto estesamente cioè può riuscire questo processo di revisione. Se non ci riuscirà, il proprio essere fuori dal tempo diverrà la sua fine.

Il diniego della crisi

L'ortodossia deve modificare i propri principi invece di ignorare la realtà.

Nel momento dell'inquietudine, in considerazione delle “pericolose trasformazioni”, che “riguardano la nostra scienza e la nostra professione”, non si sviluppa nella psicoanalisi istituzionalizzata alcun movimento nella direzione di una riforma radicale. Invece di fare ciò essa delega i problemi che via via affiorano a una serie di commissioni: sulle questioni della tecnica psicoanalitica, sulla differenza tra psicoanalisi e psicoterapia, sul chiarimento del problema del perché manchino più recenti conoscenze scientifiche e sul problema dell'insufficienza dell'analisi didattica ecc. Queste commissioni lavorano per decenni, finché un giorno si insabbiano senza alcun risultato(14). Poi vengono alla discussione nuovi problemi, si debbono formare nuove commissioni e sempre così via. Queste attività ricordano la marcia in folle delle macchine di Tinguely o la frase di Lampedusa: “Se vogliamo che tutto resti com'è, è necessario che tutto cambi”. “Le illusioni sono auspicabili per questo: che ci risparmiano sensazioni spiacevoli e al loro posto ci fanno gustare soddisfacimenti sostitutivi” (Freud, 1915, vol. 8, p. 128). Incapace di reagire adeguatamente alla crisi, la psicoanalisi istituzionalizzata cerca la via d'uscita nel diniego: essa rifiuta di vedere la situazione e di accettarla. Invece di confrontarsi con la psicoanalisi realmente esistente, prende la decisione di tenersi ferma ai principi coi quali fino ad ora ha amministrato l'associazione. Il risultato è che si forma un abisso tra ciò che è in realtà e ciò che essa desidera che sia. Con questo ripiegamento nella illusione vive da anni e si risparmia così dispiaceri. L'IPA evita il dispiacere attraverso la negazione del cattivo presagio di essere con le spalle al muro, dei segnali di decadenza. Il numero dei membri cala negli Usa stabilmente: la Società psicoanalitica americana (APA) aveva negli anni '50 una quota del 60% nell'IPA, oggi è solo al 33%. Il numero degli aspiranti ad una formazione psicoanalitica, come il numero dei candidati in formazione, cala egualmente in misura costante. Negli ultimi dieci anni si contava negli istituti dell'APA il 30% in meno dei candidati. A San Francisco, un antico e rinomato istituto di formazione dell'APA, si trovano nelle ultime singole annate solo quattro candidati (annuario dell'istituto psicoanalitico di San Francisco, nel 1993); tra il 1980 ed il 1990 sono stati registrati presso i 36 istituti dell'APA solo 68 candidati in formazione (Cooper, 1990). Qui occorre anche parlare della situazione in Germania, dove, tramite il nuovo ordinamento specialistico, la formazione psicoanalitica si sposterà dagli istituti, anche della Dpv, nei reparti specialistici universitari(15); anche in Olanda e in Inghilterra gli istituti di formazione psicoanalitica si prosciugano da anni sempre di più (van der Leeuw, 1978; Groen-Prakken, 1981 e 1984; Holder, 1984). Particolarmente drastico è il calo dei medici, perché loro possono praticare in quasi tutti i paesi la psicoterapia e la psicoanalisi anche senza una formazione dell'lpa. Negli Usa il calo è del 50% (Cooper, 1984).

Il numero dei candidati che lasciano l'istituto alla fine della formazione, senza voler diventare membri dell'Ipa, cresce soprattutto in America: all'istituto psicoanalitico di New York è di circa il 30% dei candidati. Questa è anche la caduta in Germania, dove gli Ordini dei Medici concedono il titolo supplementare “psicoanalitico” a quelli che lo richiedono, anche senza il diploma di un istituto dell'IPA; il numero di quelli che passano da un istituto dell'IPA ad istituti, nei quali le condizioni per l'ammissione divengono più maneggevoli e libere e le richieste di analisi didattica sono minori, cresce stabilmente. In Germania le cattedre di psicoterapia, psicoanalisi e medicina psicosomatica, che fino a pochi anni fa erano ampiamente occupate da membri della DPV, ora sono occupate da rappresentanti di altri orientamenti. La stessa cosa afferma Wallerstein per gli Usa: gli psicoanalisti hanno ben poche chances di poter esser chiamati ad occupare una cattedra di psichiatria (Wallerstein, 1991a). Molte cattedre psichiatriche universitarie erano una volta interessate ad introdurre aspetti psicoanalitici nella formazione specialistica. Oggi entra al loro posto la terapia del comportamento. Particolarmente drastica appare la perdita di prestigio della psicoanalisi nella formazione degli specialisti psichiatri negli Usa. Intorno al 1970 questa era costituita per un 50-60% dalla teoria e dalla pratica della psicoterapia analitica, la cui quota oggi è del 2,5% (Wallerstein, 1991a). Ciò ha anche a che fare con questo, che i laureati non potranno far conto sul fatto di potersi guadagnare un sostentamento con la psicoanalisi. Il 50% stesso dei membri dell'APA non lavorano più solo nella pratica psicoanalitica (Sandler, 1990), essi guadagnano il loro denaro come impiegati delle istituzioni. Dei 1500 psichiatri che ogni anno terminano la loro formazione negli Usa, solo 109 si presentano ad un istituto dell'APA per la formazione psicoanalitica (Cooper, 1990). La disposizione antianalitica negli Usa si mostra anche in questo, che i redattori responsabili non hanno accolto nella classificazione del DSM le neurosi sintomatiche ed ogni terminologia che abbia a che fare con la psicoanalisi. L'Ipa evita dispiaceri anche con ciò: non riflette sulle conseguenze di una anacronistica formazione d'istituto. Molti licenziati dalla stessa cercano, una volta collocati in una situazione pratica, che richieda conoscenze ed esperienze metodologiche che non hanno appreso (e ciò che hanno appreso, e cioè una lunga analisi ad alta frequenza, è il raro caso particolare) di entrare in possesso di conoscenze in una seconda formazione al di fuori dell'IPA. Ciò porta, per esempio, nella Repubblica Federale, come mostrano le relazioni dei membri della DPV alle richieste di perizia dei pazienti, ad una mescolanza di eterogenee teorie e metodiche, che porta all'introduzione, nel lavoro terapeutico, di una grande confusione. La conseguenza di queste negazioni è l'impotenza. Mostrerò con due esempi l'ampiezza delle illusioni che sono necessarie per risparmiarsi il dispiacere.

Il primo esempio. “Analista è colui” dice Sandler “che è stato formato nelle nostre istituzioni formative” (Sandler 1989). Questa frase ha senso solo dopo che sono state date due premesse: in primo luogo quella che gli istituti dell'IPA formino ancora secondo i principi dell'IPA; in secondo luogo quella che l'identità dell'analista possa essere ancora definita in conformità col paradigma di Freud. Dimostrerò che la prima premessa non vale più per tutte le associazioni della Ipa e che la seconda non può essere vista come qualcosa di non più dato, già da molto tempo. Ciò significa che la frase di Sandler nega profondi mutamenti ed in questo modo risparmia dispiaceri. In molti paesi gli istituti di formazione dell'Ipa debbono offrire curricula che solo parzialmente, come negli Usa (Cooper, 1990) o appena appena, come in Germania, corrispondono ai criteri di formazione dell'IPA. Prendiamo il caso della Germania, dove disposizioni semi - statali sulla formazione stabiliscono i curricula degli istituti di formazione, anche quelli degli istituti dell'IPA. Negli istituti della DPV debbono essere presenti i seguenti contenuti pedagogici denominati dall'IPA come “estranei all'analisi”. Nell'ambito delle teorie: psicologia dell'apprendimento, psicodinamica dei gruppi, della famiglia, teoria e metodo della terapia breve, della teoria della comunicazione, della terapia comportamentale, della psicoterapia gruppale e del gruppo Balint; psicologia a distanza con test. Nell'ambito della prassi: formazione alla pratica dei gruppi Balint, in ipnosi e nel training autogeno. Debbono essere portati a termine sei trattamenti psicoterapeutici, secondo le linee guida delle casse-mutue, cioè a bassa frequenza, di complessive 1000 ore, di queste una con psicoterapia secondo la psicologia del profondo ed una psicoterapia breve. Debbono essere ulteriormente certificate 60 ore doppie e continuative di psicoterapia di gruppo con 40 ore di controllo. Ciò significa che soprattutto nell'ambito della prassi l'addestramento alla tecnica psicoanalitica, come l'IPA lo concepisce, è severamente ostacolato non solo in termini di tempo, ma anche col pericolo della fusione e della confusione. Alla maggior parte dei candidati riesce solo con molta fatica di trattare due casi “analiticamente” e anche soltanto a 300-400 ore (Brenner, 1992). Chi afferma che i candidati di un simile istituto siano analisti nel senso di Sandler finge di non vedere - prima di tutto dacché il principio che i casi sotto controllo siano trattati ad alta frequenza è stato vittima di un divieto - che essi si distinguono a malapena dai candidati di istituti di formazione analitica al di fuori dell'IPA. Già prima che questo processo fosse introdotto negli istituti, l'allora presidente dell'IPA Edward Joseph, affermò nel corso della conferenza di Haslemere del 1976, che la identità dello psicoanalista non poteva più essere definita in accordo con i paradigmi di Freud Goseph, 1979). In definitiva ciò significa: l'identità dell'analista è qui da definire chiaramente, sia avendo come obiettivo la ricerca che il trattamento; l'acquisizione di una definita tecnica di trattamento è ugualmente insufficiente per la costruzione di un'identità psicoanalitica: la definizione della funzione sociale e del ruolo dell'analista conduce a talmente tante contraddizioni, che non basta alla definizione dell'identità analitica; l'asserzione di Freud che ogni lavoro che riconosca la realtà della traslazione e della resistenza, può essere chiamato psicoanalisi, può oggi essere rivendicata anche dai non-analisti (Meerwein, 1978, p. 42 e segg.). Vediamo che la conferenza è giunta ad una definizione dell'identità dell'analista, che assomiglia a quella che ho tratto dai curricula degli istituti di formazione. Al tema dell'identità dell'analista appartiene anche la constatazione di Wallerstein, che il divario tra analisti di scuole dissidenti (Silverberg, Radò, Sullivan, Horney) e quelli di un orientamento psicoanalitico ortodosso è più piccolo di quello esistente tra analisti come Kohut, Schafer, George S. Klein, Peterfreund, che ancora appartengono al “massiccio centrale” dell'Ipa e perciò alla ortodossia (Wallerstein, 1988)(16). Esempio di ciò è Winnicott: poiché infrange il tabù che un analista non deve toccare i propri pazienti (Ferenczi fu disconosciuto dall'Ipa per la rottura di questo tabù), “quando occorre, l'atto vietato deve essere agito anche fisicamente” (Winnicott, 1974, p. 317), egli si è allontanato dal “massiccio centrale” ben più che i rappresentanti di scuole analitiche esterne all'Ipa, che pur tuttavia rispettano questo tabù.

Secondo esempio: la psicoanalisi istituzionalizzata resta fedele alla norma secondo cui dovrebbe essere chiamata pratica psicoanalitica solo quella che viene condotta con una frequenza di 4-5 sedute la settimana, senza limite di tempo e non sostenuta d'aiuti esterni (ad esempio di casse mutue). “L'ovvietà per la Dpv” si afferma nel 1990 “è l'analisi ad alta frequenza, nella pratica e nella formazione”. Per la formazione ciò significa: l'analisi didattica come i casi di controllo debbono essere condotti con non meno di quattro sedute la settimana. Nel 1986 il presidente della Dpv afferma: “chi abbandona il significato centrale del metodo psicoanalitico, cioè chi lo riduce nella frequenza e nella durata, cessa di essere psicoanalista in senso stretto” (Appy, 1986). Nello stesso senso il presidente dell'IPA Sandler nel 1991 afferma che l'integrità del movimento psicoanalitico è minacciata, “perché un numero sempre crescente di membri dell'Ipa fanno analisi a bassa frequenza” (Sandler, 1991, p. 1). Una conseguenza di questa confusione e di questa contraddittorietà è, scrive Pulver come riassunto della sua inchiesta, che “gli psicoanalisti che già oggi (1976/1977) negli Usa praticano prevalentemente psicoterapia, avrebbero sempre più faticosamente da dimostrare 'l'oro" della relazione transferale e controtransferale” (Pulver, 1978, p. 194). Questa constatazione vale già da alcuni anni per la maggior parte dei paesi europei, in particolare per la Germania. Per la sopravvivenza della tecnica “classica”, come la intende l'Ipa, significa che appena per poco ancora ci sono docenti e didatti in grado di trasmetterla. Il “sempre più” di Sandler cerca di nascondere il fatto che gli analisti di tutto il mondo in misura sempre più frequente e prevalente hanno condotto terapie a bassa frequenza(17).

Di fronte alla psicoterapia finanziata dalle casse mutue nella Germania nel 1967, gli analisti che non erano didatti o collocati in posizione preminente, sostennero il loro tenore di vita con analisi a bassa frequenza, che raramente superavano le 300-500 ore. Persino negli anni in cui la psicoanalisi era una moda negli Usa e godeva di una posizione di monopolio, l'aliquota di pazienti negli studi degli analisti dell'IPV che furono trattati tra il 1952 ed il 1958 con analisi ad alta frequenza si aggirava là solo intorno al 49% (Hamburg, 1967). Già dieci anni più tardi l'indagine di Pulver diede come risultato che tra il 1967 ed il 1978 il 70% dei pazienti in trattamento psicoanalitico erano trattati con psicoterapia a bassa frequenza, spesso con carattere d'appoggio ed in talune situazioni combinata con sostegno farmacologico (Pulver, 1978). Nella stessa ricerca il 25% dei membri dell'Apa esplicita di non essere più identificato con la psicoanalisi (ci si riferisce alla tecnica ad alta frequenza). Shapiro, nel commento alla ricerca, nota che solo il 20% dei membri attivi dell'APA pratica una attività psicoanalitica pura (ibid., p. 618). In Francia Smirnoff dichiara che si è sempre lavorato, anche prima del 1939, con meno di quattro sedute la settimana (Smirnoff, citato da Rotmann 1988, p. 157). Nel 1987 un rilevamento statistico confermò che la situazione non si era modificata: l'81% degli analisti che avevano risposto all'indagine indicava di condurre analisi di sole tre sedute (Bergeret et al., 1987). I sostenitori di un'analisi condotta con un numero definito rigidamente di sedute non possono richiamarsi a Freud. Ricordo la tecnica di Freud nell'analisi dell'“Uomo dei topi” (1907) e in quella condotta a metà degli anni venti con Marie Bonaparte(18) (Bertin 1982; citato da Cremerius, 1990 p. 19). Nei paesi nei quali la burocrazia sanitaria dello stato offre gratuitamente psicoterapia e psicoanalisi (Inghilterra e Olanda), si trovano a fatica pazienti che finanzino privatamente una analisi ad alta frequenza. La conseguenza è che non ci sono più persone che aspirino ad una formazione psicoanalitica (Holder, 1984; vari der Leeuw, 1978; Groen-Prakken, 1981 e 1984).

Le casse mutue hanno inciso moltissimo sulla pratica professionale in Germania e sulla formazione della DPV. Dal 1990 hanno cancellato dal catalogo delle loro prestazioni le analisi a lunga frequenza.

Ciò significa che i soci della Dpv, che partecipano quasi tutti alla disciplina delle casse mutue, praticano una professione non-analitica nel senso dell'Ipa. Non-analitica non solo per la terapia a bassa frequenza e per una durata determinata circa in 240 ore al massimo, ma anche per le direttive che le casse mutue chiedono siano seguite, direttive che rendono impossibili terapie analitiche come tali, secondo la concezione dell'IPA (Cremerius, 1992a e 1992b). Freud si abbandonava alle illusioni molto meno che gli analisti di oggi. Lo sviluppo qui descritto, che l'Ipa cela, fu da lui previsto: “Verrà un tempo in cui ci saranno molti analisti, ma poche vere analisi” (citato da Morgenthaler, 1965).

Come sia all'opera in misura potente, ce lo mostra il fatto che la psicoanalisi istituzionalizzata non prende atto del “Progetto-Psicoterapia-Menninger” condotto da famosi membri dell'Ipa. Questo progetto non fu in grado di sostenere la regola dell'alta frequenza. Al contrario fu rimarcato come risultato che non può essere sostenuta la tesi che solo la tecnica psicoanalitica classica della alta frequenza porta alle più approfondite comprensioni delle modificazioni strutturali. Entrambe, comprensione e modificazioni strutturali, sono da dimostrare anche nel gruppo di confronto, con pazienti trattati con terapie a bassa frequenza (Wallerstein, 1986a). Non aveva forse già affermato Freud che la psicoanalisi non è “che una terapia tra le tante” (Freud, 1933, vol. 11 p. 262 e seg., 1926 e, vol. 10, p. 413 e seg.)? Non meraviglia che venga nascosta anche un'altra osservazione, che ha mostrato la dannosità di un'analisi intensiva: “Essa induce la dipendenza del paziente e con questa un'analisi senza fine” (Gibeault, 1980).

In quale astrusa contraddizione l'IPA si sia cacciata, lo mostra quanto segue: un famoso analista, allora presidente dell'IPA, notò - come già citato -che in un faticoso lavoro durato dieci anni non si era riusciti a differenziare la psicoanalisi dalla psicoterapia (Wallerstein, citato da Kluewer, 1980 p. 21 e seg.). Un altro egualmente famoso analista, ad una domanda fattagli, dice - come egualmente già citato - di avere il sospetto che queste “riflessioni siano determinate più sotto la spinta di punti di vista tattici e politici, che non scientifici” (Sandler, 1989, p. 5). Due anni più tardi lo stesso Sandler, ora presidente dell'IPA(19), diceva: “Se il movimento psicoanalitico deve continuare ad esistere, dobbiamo intraprendere ogni sforzo, per mantenere alto il confine fra trattamento analitico e non analitico” (Sandler, 1991, p. 1). Ciò che è astruso in questa dichiarazione è il fatto che nella maggior parte dei paesi si considera analisi una analisi a quattro sedute la settimana. Nella Società psicoanalitica britannica, a cui Sandler appartiene, vale come analisi classica l'analisi a cinque sedute la settimana. Un trattamento a quattro sedute è considerato psicoterapia. Sandler, che nel 1991 difese questa impostazione numerica, affermò nel 1980, in contrasto con questo, che è psicoanalisi ciò che un analista pratica, anche se vede un paziente solo una o due volte la settimana (Kluewer, 1980, p. 20). A fronte di questa situazione negli Usa e in Europa, Parin pose nel 1990 la questione se la psicoanalisi, così lesa come è, sia ancora adatta al mondo d'oggi o se essa sia diventata troppo vecchia, un romantico relitto, come la carrozza postale, un'obsoleta, messianica utopia (Parin, 1990, p. 4).

Prospettive: la psicoanalisi diviene una scienza normale

La psicoanalisi non deve essere pensata come qualcosa di compiuto, deve essere dedita alla realtà.

La psicoanalisi come scienza ha un futuro solo se si mette a seguire in modo conseguente il cammino di una normale scienza, cammino che già da alcuni anni persegue, certamente in modo lento e faticoso, perché da molte parti impedita. L'altra condizione per un futuro favorevole è quella di trovare un luogo dove poter compiere indisturbata l'enorme lavoro che è legato alla costruzione di una normale scienza. Solo come “analisi liberata dalle catene” può essere in grado di fare ciò. Questo luogo deve essere un luogo pubblico, un luogo dove sia disponibile una “ragionevole apertura” (Kant) al discorso critico. Questo luogo è, per quanto ci possano essere considerazioni contrarie, l'Università. Ciò significa: la psicoanalisi deve diventare una “scienza normale”? Significa che essa dalla sua fase precoce, della formazione di paradigmi, dell'audace patrimonio di idee, della “promessa di successo”, come dice Kuhn, è entrata nella fase della “realizzazione delle promesse “(Kuhn, 1972, p. 75), nel suo “secolo postdogmatico” (Thomäe, 1991). Cosa significa questo per la psicoanalisi? A quali compiti deve adempiere per realizzare le promesse dei paradigmi psicoanalitico originari? Innanzitutto significa portare a compimento i lavori di sgombero!

Nel fermento della fase iniziale, della fase delle scoperte e delle invenzioni, della costruzione d'ipotesi e della prima definizione dei concetti, è rimasto molto d'incompiuto, di non chiarito, rimasto li come primo abbozzo. Scienza normale significa che una generazione si addossa il lavoro di portare a compimento tutto questo lavoro che è rimasto incompiuto. Deve compiere questo faticoso lavoro. La psicoanalisi rappresenta due territori: quello della teoria e quello della psicoanalisi applicata. In entrambi i terreni occorre portare a compimento i sunnominati adempimenti di una scienza normale. Inizio dal territorio sul quale la psicoanalisi già da anni progredisce come scienza normale: le applicazioni della psicoanalisi nell'ambito della medicina. Dalla fondazione delle cattedre di psicoterapia, medicina psicosomatica e psicoanalisi all'inizio degli anni sessanta in Germania la terapia psicoanalitica è diventata oggetto di ricerca empirico-critica. Il punto critico della ricerca risiede al momento nella ricerca sulla prognosi, l'efficacia e l'efficienza. Altri punti critici sono: ricerca di metodi comparativi che includano terapia comportamentale e tecniche cognitive, sistemiche ed orientate alla soluzione del problema; il chiarimento del concetto di diagnosi, la sperimentazione di variazioni della tecnica psicoanalitica, come ad esempio le tecniche orientate sul paziente e sulla situazione, ciò significa anche ripresa degli esperimenti tecnici di Freud, qualcosa della “intervalltechnik”, ed il recupero della libertà di indicazione, che Freud per motivi di ricerca aveva lasciato indietro come disturbanti. Importante sarebbe l'esigenza di una ricerca della terapia comparata, completamente trascurata. Cosa producono le terapie cognitive, sistemiche, orientate alla soluzione del problema, più di quello che può dare la terapia psicoanalitica? Cosa possono fare queste in combinazione con la terapia psicoanalitica? E inoltre: cosa produce la tecnica psicoanalitica in combinazione coi trattamenti gruppali, corporei, del comportamento, suggestivi? Qui è necessario anche considerare l'antico tabù: l'analista è quello che non tocca il suo paziente.

Qui, sul terreno aperto dell'Università, sarà possibile la discussione che già da lungo tempo affiora sulle storie cliniche di Freud. Su queste, la mia generazione ha dovuto imparare la classica “maniera psicoanalitica di trattare”, sebbene queste non avessero come oggetto le nevrosi classiche (nel caso dell'Uomo dei Topi siamo addirittura di fronte al contrario di una tecnica classica). Per poter fondare una ricerca in una terapia scientificamente fondata, occorre che i contenuti formativi siano estesi ben al di là di quelli degli istituti dell'IPA: sulle conclusioni delle ricerche della neurofisiologia, della neuroanatomia, della ricerca sui centri del tronco encefalico e del mesoencefalo, sulle conoscenze riguardo le fasi precoci dello sviluppo cerebrale, della maturazione del midollo e sulla ricerca sui gemelli, ecc. Debbono anche essere fornite conoscenze sulle modalità d'azione di certi farmaci, perché la loro combinazione con la psicoterapia possa rappresentare un nuovo terreno di ricerca.

Anche la psicoanalisi come teoria, come una specifica scienza umana, deve mettersi in sintonia con la scienza normale. Questo è però ancora largamente un puro sogno. Al paragone, il buon posto che la ricerca psicoterapeutica ha trovato nella medicina, deve ancora tutto conquistarselo. Tale era l'interesse per la psicoanalisi in certe discipline delle scienze dello spirito, e ancora lo è, tanto difficile appare allestire veri e propri centri di studio e di ricerca su questi temi.

Continuo il mio sogno. Allora mi immagino questo centro come un luogo della comunicazione, come un luogo nel quale possono incontrarsi tutti quelli che sono interessati alla psicoanalisi come scienza. Per poter adempiere a questo compito il centro dovrebbe riunire in sé funzioni di insegnamento e di ricerca. Come istituto di insegnamento adempirebbe al desiderio che Freud espresse nel 1926 di una “Università psicoanalitica”. Dovrebbe essere però superiore ad essa in questo, nel fatto di esistere nello spazio libero ed aperto dell'Università, gestito da rappresentanti competenti delle discipline che, secondo il desiderio di Freud, dovrebbero essere là insegnate: storia della cultura, mitologia, psicologia della religione e scienza della letteratura. Sarebbe superiore anche in questo, che sarebbe usufruibile a tempo pieno. Vi si studierebbero naturalmente materie come sociologia, etnologia, teoria della comunicazione, psicologia della percezione, sarebbero promosse ricerche sul campo trascurato dell'adolescenza e delle varie fasi della vita; potrebbero infine essere affrontati assieme a ricercatori empirici temi come la natura del sogno, del sonno, della coscienza e dell'inconscio, della formazione della coscienza e degli stati alterati di coscienza. Il centro psicoanalitico, come luogo di formazione psicoanalitica, dovrebbe essere aperto ad uomini di ogni disciplina, che si interessino alla teoria psicoanalitica. Liberi dall'obbligo di dover rilasciare un diploma per la pratica professionale, ci si potrebbe dedicare alla cosa in sé, alla psicoanalisi. Non ci si dovrebbe nemmeno interessare di analisi didattica e di supervisione di casi trattati. Ci si potrebbe offrire in toto come “sistema aperto” (Popper). Ciò significa che si potrebbero offrire contenuti, dai quali ognuno potrebbe scegliere ciò di cui abbisogna per i propri scopi, ciò che gli sembri servirgli per la specialità nella quale lavora o nella quale potrebbe lavorare. Non sarebbe promossa alcuna procedura d'ammissione, non ci si assumerebbe alcuna responsabilità per l'iter formativo. Il grande vantaggio di una tale formazione sarebbe quello che tutti coloro che vi partecipano conoscerebbero la psicoanalisi come una scienza dell'uomo, come una verità tra le altre, così come la concepiva Eugen Bleuler. Alla Sorbona sembra che si sia già realizzato un tale centro. Da circa cinque anni si può là ottenere un “Dottorato in psicoanalisi”.

Come centro di ricerca occorrerebbe concedergli molti compiti, se si vuole aiutare la psicoanalisi a diventare una scienza normale. Le sue possibilità di ricorrere ad essa con buoni risultati sarebbero grandi, perché scienziati di diversa provenienza si metterebbero a disposizione, per così dire, dietro la “porta accanto”. Prima dell'inizio di ogni specifico lavoro si dovrebbe innanzi tutto intraprendere un lavoro di pulizia nell'ambito della concettualizzazione e della rappresentazione concettuale. Nonostante il grandioso lavoro del “Dizionario della psicoanalisi” ci muoviamo sempre pur tuttavia nella fascia detritica di concetti presi a caso e dai molti significati, o tali da essere solo vocaboli criptici per iniziati. Per questo lavoro di pulizia occorrerebbe l'obiettività di ricercatori normalmente scientifici, che non abbiano il timore della “vacca sacra”. L'ulteriore vantaggio che la ricerca secondo una normale scientificità apporterebbe è quello che essa può restringere il proprio terreno di ricerca in un ambito più circoscritto di quello che era possibile nella psicoanalisi istituzionalizzata. Le idee generalizzanti, generali rappresentazioni dell'uomo e del mondo, filosofie private sul senso della vita e della morte, della cura, della maturazione e del vero Sé, “idee nello stile della economia domestica” (Cooper, 1984, p. 255), portavano ai soci un'esistenza spesso poco conosciuta. L'esempio più convincente dell'esistenza di tali vaghe rappresentazioni è la presenza di concetti metateorici mai chiariti, per lo più trasmessi in modo non pensato, al centro della fondazione teorica della psicoanalisi. La “metapsicologia ammaliatrice” di Freud non è stata in pratica smitizzata. Holt parla della metapsicologia come di un insieme di relitti, che dovrebbero essere rimossi, al posto dei quali dovrebbe esserci una disciplina epistemologicamente chiara (Holt, 1990). La scienza normale non può accordarsi con la definizione di Wallerstein: i concetti metapsicologici siano metafore, simboli-metafore, coi quali vivere, i nostri dogmi di fede. Dovranno servire a dare un nesso al nostro non-sapere interiore (Wallerstein, 1988). È necessario e urgente giungere all'eliminazione di una singolare forma di confusione babilonese delle lingue: si sono sviluppate dalla corrente principale nuove scuole divergenti che però poi hanno continuato ad utilizzare la terminologia della scuola di provenienza. In virtù del fatto che esse attribuiscono loro un nuovo significato, gli stessi vocaboli servono a due lingue diverse. In fondo occorre, ed è questa una consegna che presuppone un atteggiamento transferalmente libero da Freud, che la scienza normale riprenda in mano i paradigmi di Freud. Qui si pongono problemi come: un paradigma assolve ancora alla pretesa di essere soddisfacente per la soluzione di un determinato problema come i modelli concorrenti con questo? Esiste un maggior avvicinamento di questo alla verità ricercata? Ci sono paradigmi che sono da precisare, da allargare o a cui rinunciare come non attendibili.

A questo punto si colloca anche l'esame dei paradigmi tenendo conto del loro condizionamento storico. Ciò significa che ci sarebbe da chiedersi come questi spesso rispecchino il rapporto (su cui non si è sufficientemente riflettuto) tra il loro creatore ed i pregiudizi e le rappresentazioni di valore del suo tempo. lo penso a qualcosa intorno alle rappresentazioni di Freud riguardo la struttura della società, sul ruolo del padre e della famiglia in essa, della donna come essere manchevole (invidia del pene), delle condizioni economiche e della vita di quello strato sociale che allora non appariva nella pratica analitica, ma che oggi la frequenta, ecc. Per questo rinnovamento è essenziale la collaborazione col sociologo. Ciò significa: con gli scienziati che riescono ad analizzare la realtà sociale nella quale oggi vivono gli uomini, che possono mostrare all'analista le strutture che dalle prime formulazioni di Freud dei suoi paradigmi sono mutate. Infine desidero che in questi centri siano intensivamente ripresi, in collegamento coi rappresentanti delle scienze sociali, la teoria della cultura e la critica sociale, da decenni trascurate dalla comunità psicoanalitica. Sono convinto che qui siano a disposizione idee che potrebbero contribuire a comprendere meglio l'aggressività irrazionale e la distruttività nella società, come nelle relazioni dei popoli l'uno con l'altro.

Con lo sguardo rivolto al secolo che verrà, spero che la generazione che poi determinerà il destino della psicoanalisi non la tramandi in modo missionario, apostolico, come il sacrosanto insegnamento dei padri fondatori, ma come una scienza che non deve essere monopolizzata, che “appartiene” a tutti gli uomini; ed io spero che essa (generazione) concepisca la psicoanalisi come qualcosa che deve entrare nel processo mai concluso della scienza, che pone sempre in discussione il sapere acquisito e produce sempre e continuamente un nuovo sapere. lo penso che anche Freud abbia inteso così la psicoanalisi nel suo ultimo anno di vita, il 1939, quando egli ancora una volta prese in considerazione il futuro della psicoanalisi ora liberata dagli errori del movimento psicoanalitico” basati sul concetto: “siamo in possesso della verità”: “La validità delle scoperte psicoanalitiche e delle sue tesi non è solidamente comprovata, in verità la psicoanalisi è ancora agli inizi ed occorre ancora molto sviluppo, ripetute prove e conferme delle sue ipotesi” (intervista con Peck; Peck, 1940, p, 206).


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