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![]() Attenzione: questo Ë un vecchio file, che conteneva la terza parte dell'articolo di Benedetti che era diviso in quattro parti, successivamente accorpate alla prima. Torna quindi all'indirizzo: http://www.pol-it.org//ital/riviste/psicouman/benedetti.htm
Gaetano Benedetti
III - IL PENSIERO IMMAGINARIO COME RICEZIONE DI IMMAGINI Abbiamo detto precedentemente che noi da bambini cominciamo a pensare per immagini. Il nostro primo pensiero è immaginario perché legato allíesperienza sensoriale, e da esso emerge, come dimostrato dagli studi di Piaget, il pensiero razionale nel corso di diversi anni di vita. La dialettica del pensiero immaginario sta però nel fatto che esso è non solo ricezione, ma anche proiezione di immagini sul mondo; il che diviene tanto più evidente, quanto più noi passiamo dal bambino allíadulto, al poeta, allíartista, che parlano di sé e del mondo anzitutto per immagini. Rifletteremo in un ultimo capitolo del nostro saggio sulla differenza fra immagine e simbolo. Nella realtà della mente le due esperienze si sovrappongono largamente. Per comprendere il presente dobbiamo avere un modello del passato. Nella nostra ipotesi, che ricostruisce la filogenesi sulla base dellíontogenesi, il pensiero immaginario è nato nella mente umana primitiva con il tradursi di immagini sensoriali provenienti dal mondo esterno in un mondo interno simbolico caratterizzato non più dallíattività del cosmo, ma dallíattività dellíIo. Questíultima si manifestava, sin dai primordi della storia, come proiezione delle immagini interne sullíambiente: così ad es. nella creazione dei miti, così anche nelle prime opere díarte 40.000 anni fa, nelle pitture e incisioni rupestri che raffigurano non solo le forme, ma anche e talora in modo perfino schematico, protosimbolico, i movimenti degli animali. Il surrealismo di talune immagini, la incipiente astrazione delle forme (per cui ad es. come ci dice Denis Vialou (1992) la figura dellíanimale veniva scissa e astratta dal suo fondo naturale) era connesso al pensiero arcaico (magico) di poter agire sulle cose, sugli aspetti della realtà che sovrastavano líuomo, tecnicamente e scientificamente ancora debole, mediante la manipolazione mentale delle immagini. Nel rito (Mircea Eliade) líacqua ad es. veniva sparsa sui campi nella speranza di provocare così la pioggia, il fuoco veniva acceso anche per così ripetere e conservare il movimento del sole. Nel nostro modello, la trasformazione obbiettiva del mondo attraverso la strumentalità umana era simultaneamente costellata dalla trasformazione obiettiva del mondo nella creazione dellíimmagine di esso, in quanto questíultima non è solo percezione, è creazione dellíIo e della sua enorme forza potenziale contenuta nellíideazione. Abbiamo già scoperto questo pensiero nello studio del sogno, che sembra infatti ricapitolare in sé lo sviluppo dellíesistenza umana. La creatività dellíimmagine non è ritrovabile solo nel mondo antico. Proprio in quello contemporaneo noi osserviamo forme di espressione pittorica e scultorea che si distinguono profondamente da quelle dei secoli precedenti perché si servono di immagini staccate dalla percezione di quelle reali, costruite interiormente, espressioni dellíattività dellíIo che (come ebbe a dire lo psicoanalista critico dellíarte Kris) distrugge il mondo per proiettare su di esso un altro mondo proprio. A differenza del pensiero razionale, che nasce nel continuo paragone fra la percezione e la riflessione, líIo e il Non-Io, líipotesi e líesperimento, il pensiero immaginario attinge agli strati profondi dellíaffettività e dellíInconscio; tantíè che conosciamo artisti i quali, come i nostri pazienti, ci dicono di non progettare le loro opere díarte, di non conoscere a priori verso dove líopera iniziata andrà a sfociare. È possibile razionalizzare tutto ciò che noi esprimiamo come pensiero immaginario? In altri termini, il pensiero razionale è la più alta vetta della mente? E, viceversa, quello immaginario è sempre una regressione, una cifra da decifrare, uníattività mentale vicina al sogno e allíinfanzia, cioè agli stati arcaici della mente? Non sembra. Una gran parte del pensiero umano, dallíantichità ad oggi, dai mistici agli psicologi, ad es. da S. Gregorio Magno fino a Jung è di diversa opinione. Jung ci dice che il "simbolo esprime qualcosa in più di quel che la sua traduzione razionale potrebbe dirci [Ö] Se líanimo indaga il simbolo, viene condotto verso rappresentazioni che stanno al di là della comprensione della ragione" (1964). S. Gregorio Magno, a sua volta, parlando dellíelevazione mistica dellíanima, afferma: "ut anima, gratia spiritus afflata, per figuras quam Deum vidaet". "Per "figuras", attraverso le immagini dunque, líanima arriva a Dio. Possiamo allora, viceversa, ritenere che líimmaginario rappresenti la vetta più alta dellíattività mentale? Neanche. Tutto lo sforzo storico del pensiero umano è stato quello dellíastrazione, dalle tracce dei documenti dei popoli primitivi fino alla odierna conquista razionale del cosmo. Dallí"Homo faber" allí"Homo sapiens". Dobbiamo allora concludere: non questo o quel tipo di pensiero, ma la profondità dellíesperire umano in esso è ciò che decide dellíaltezza mentale. Il pensiero razionale in cerca della verità può condurre allí"Imago", e questa reciprocamente ricondurre allíastratto, come nel celebre sogno del chimico Kekulè, che dopo aver invano indagato durante la veglia la struttura molecolare del carbonio, la scopri in sogno, vedendo i 6 atomi che la compongono danzare dandosi le mani in un esagono. Un laureando, che deve scrivere una dissertazione su un testo di Hegel, non riusciva a comprenderne un passaggio. Dopo avere invano riflettuto tutto il giorno sul significato ascoso, egli sogna la notte successiva di incontrare Hegel in persona e di chiedergli cosa egli avesse voluto dire in quella pagina del libro. Del sogno, che è la traduzione della ricerca mentale in una forma di pensiero figurativo, non rimane alcuna traccia nella memoria. Tuttavia, líindomani, rileggendo quel testo, il nostro paziente ricorda improvvisamente il sogno dimenticato; ossia, egli non ricorda la risposta datagli da Hegel, ma invece comprende subito il significato delle righe prima per lui incomprensibili. Noi potremmo qui domandarci come mai il pensiero onirico, che è così povero di logica in confronto a quello ben articolato della veglia, fornisce tuttavia al nostro dormiente quella acutezza concettuale che gli si rivela il giorno dopo rileggendo quel testo di Hegel? Se stiamo attenti al caso, il sogno non ha fornito alcuna struttura logica al pensiero logico della veglia; Hegel non ha spiegato nel sogno il significato ascoso. È invece occorsa la cosa seguente: allo sforzo mentale si è aggiunta la forza del pensiero figurativo, líimmagine, potente dellíincontro con Hegel stesso, e ciò non come una debole fantasia da sveglio, ma come realtà figurativa. Ecco come la "regressione" allíimmagine è sfociata in una "progressione" al concetto. Uníimmagine è simbolica non per il semplice fatto di significare qualcosa. Uníimmagine mnemonica rappresenta ad esempio un passato, ma non ne è ancora il simbolo; essa lo diviene quando in quel dettaglio del passato è sottinteso tutto un arco di tempo che si svolge intorno ad esso. Più genericamente: líimmagine diviene simbolica quando la figura esprime anche dati non esplicitamente contenuti in essa, ma da essa evocati per un rapporto di simmetria parziale. Questíultima significa che due immagini diverse hanno un segmento semantico comune, che permette allíuna (il significante, il simbolo) di essere usata al posto dellíaltra. Uníimmagine può essere, anziché il simbolo, solo il segno di uníaltra. Quando noi diciamo ad es. che le viole sono un segno della primavera che viene, noi esprimiamo un rapporto di temporalità fra lo sbocciare di quel fiore e líinclinazione dellíorbita solare. Il segno è indipendente dalla convenzione culturale. Se noi invece diciamo che la rosa rossa è un simbolo dellíamore, noi usiamo nella nostra cultura un aspetto di essa (la bellezza e il colore fiammante) per significare un movimento dellíanimo caratterizzato anchíesso dalla bellezza e dallíintensità. È interessante notare a questo proposito che studi matematici (Benedetti,1988) hanno potuto appurare una diversa struttura matematica di simbolo e segno. Il simbolo che mette una serie di immagini in rapporto di significati líuna con líaltra, che coglie elementi comuni ad immagini diverse organizzandole in relazioni semantiche, sviluppando così líimmagine dellíimmagine, aumenta enormemente lo spazio mentale dellíesperienza possibile, aggiunge alla percezione e alla rappresentazione líelemento creativo della metafora, dellíallegoria, dellíanalogia. Posso accennare a tre dimensioni fondamentali del simbolo nella evoluzione della mente umana: la dimensione fantasmatica, che corrisponde alla creazione di un secondo universo esistente soltanto nella nostra mente; la dimensione cognitiva, per cui líemergere del simbolo nella preistoria, nella mente ancora mancante di una conoscenza approfondita delle concatenazioni causali degli eventi equivaleva al loro legarsi mentale in certe corrispondenze figurative e forniva così la prima chiave per una comprensione olistica dellíuniverso; e la dimensione affettiva, che permetteva attraverso i grandi simboli dellíesistenza (ad es. metafisici) líelaborazione del dolore della vita, il quale nellí"Homo sapiens" aumentava in proporzione con la complessità crescente della psiche e delle funzioni sociali.Noi dobbiamo renderci conto del fatto che anche il pensiero astratto è nato agli albori della cultura (e in particolare della scrittura) come pensiero figurativo. Le parole scritte erano ancora immagini visive delle cose da esse denominate, ideogrammi che col passare dei secoli, per ovvii motivi di praticità, venivano sempre più abbreviati, schematizzati, fino a divenire non più rappresentazioni di oggetti, ma denominazioni di essi. Facciamo líesempio dellíacqua. Originariamente líindicazione era, nellíantichissimo linguaggio sumerico, la rappresentazione dinamica dellíacqua: un insieme di due linee curve, che ben raffigurano il movimento ondoso. Poi si aveva uníinclinazione della figura di 90 gradi e infine, nel corso dei secoli, nello sviluppo della scrittura "cuneiforme", líindicazione si trasformava in un segnale grafico corrispondente alla nostra A; sigla che non ha nulla a che vedere con il termine latino di aqua, ma che lascia intravedere, a chi la conosce, la figura originaria. Questi segnali grafici e verbali sono "simboli"? Così li chiamano i neurofisiologi, i quali danno importanza alla corteccia prefrontale (che nellíuomo ha subìto uno sviluppo enorme rispetto agli animali più evoluti) per la loro formazione. Essi hanno tuttavia perduto, a differenza dei simboli analogici, qualsiasi relazione immaginaria, solo originariamente presente, con gli oggetti da loro denominati. Possiamo chiamarli simboli denominativi. In psicologia è più opportuno restringere líarea del simbolo a quello analogico; se è anche vero che líintera nomenclatura è, nel senso più vasto della parola, simbolica, è altrettanto vero allora che il simbolico si estende allíintero pensiero razionale, venendosi così a perdere líutilità del termine di simbolo, ossia la sua acutezza nel delimitare la parte dal tutto. La nostra mente non è in grado di rendersi conto della enorme complessità della vita psichica. Questa rimane largamente incosciente, e sono in particolare le immagini incoscienti, come osservato da Jung, a concorrere nella formazione dei simboli, integrandosi ai contenuti mentali. Da ciò risulta non solo líimpossibilità di una completa riduzione razionale del simbolo; ma anche il fatto che i grandi simboli umani (ad es. quelli espressi dallíarte) pronunziano non solo líinconscio degli autori, ma partecipano anche delle proiezioni degli ascoltatori, degli spettatori, per cui líopera díarte acquista un significato esistenziale che può anche essere diverso da quello implicito allíatto della creazione. Ecco perché le grandi opere díarte non sono mai interpretate definitivamente e ogni nuova generazione legge se stessa in essa, ne scopre un volto ascoso, che è spesso il proprio volto 3. Ciò ha importanza particolare nella psichiatria e nella psicoterapia: il modo di comprendere un delirio, uníallucinazione, una figurazione simbolica della coscienza è spesso frutto della "dualità terapeutica" che si stabilisce nel colloquio con il sofferente ed è obbiettiva solo nel senso che la soggettività del terapeuta partecipi sufficientemente alla creazione di "soggetti transizionali" che promuovono, sotto forma di una "psicopatologia progressiva" lo sviluppo dellíoggetto della terapia. Patologia psicotica del simbolo La psicopatologia della simbolizzazione è di grande interesse per la psichiatria, perché una caratteristica di una grave malattia mentale, la schizofrenia, è quella di non sapere distinguere bene fra il simbolo e la rappresentazione della cosa. Per chiarire questo concetto ricorriamo ad un esempio, ed osserviamo anzitutto il fatto normale, prima di quello patologico. Nel nostro esempio líacqua nel sacramento del battesimo è un simbolo, perché líacqua versata sulla fronte del bimbo che diviene cristiano non è lo Spirito Santo, ma ha in comune con esso una qualità, líazione purificatrice. Lo Spirito divino lava la colpa originale come líacqua lava lo sporco; líimmagine concreta dellíacqua rimanda a quella astratta dello spirito; per cui leggiamo nel Vangelo: "nisi qui renatus fuerit et aqua et Spiritu Sancto non potest introire in Regnum Dei " (Giov. III, 5). Nel momento in cui la mente ritiene invece che il significante (Lacan) è identico al significato (e non semplicemente lo raffigura, evocandone così la presenza) e che esso significante aderisce semanticamente al significato senza líappercezione delle differenze fra le due immagini, delle parti che nella simmetria solo parziale non sono comuni, allora si ha, con líidentificazione completa dei due termini di paragone, líalterazione psicotica del simbolo; ossia un tentativo di avvicinamento estremo, che non conosce più la stupenda vicinanza cognitiva del simbolo vero e cancella questo proprio attraverso la sua stessa ipertrofia: come nel caso della paziente schizofrenica, che rifiuta di bere acqua, fino quasi a morire di sete, perché "líacqua è la madre", è cioè identica alla propria madre venefica e soffocante. Líacqua come prima sorgente della vita nel grembo degli oceani o in quello della madre (il liquido amniotico) potrebbe essere benissimo il simbolo della madre; ma non già il segno di essa.Abbiamo visto sopra come il segno è indice di causalità e non di sola analogia. Possiamo allora dire che la nostra paziente usa il simbolo come se esso fosse un segno. Nellíinterpretazione segnaletica del simbolo la mente malata pretende stabilire talora un rapporto fisico con la cosa indicata. Così, un malato altamente insicuro si sente meglio solo quando siede su una panca di legno, che converge su di lui un fluido magnetico, "perché la sua donna si chiama signora Legnano". Un piccolissimo frammento in comune fra líimmagine della donna e quella della panca, e ciò è la parola "legno", basta perché uníimmagine si sovrapponga allíaltra; e precisamente in modo tale, che líuna immagine, la panca, non è solo simbolo dellíaltra, ma segno causale della presenza dellíaltra, in quanto il paziente sedendo sul legno si sente virilizzato come sedendo sulla sua donna. Alla base di tale psicopatologia cíè un deterioramento dellíimmagine del proprio Sé e della sua simbolizzazione, per cui il Sé sofferente perde la sua autonomia di fronte al mondo e si confonde con esso. Líimmagine del Sé, che si forma normalmente già nelle prime settimane di vita (Stern,1985) si costituisce soprattutto nellíinterazione con la madre (Mahler) si costituisce quindi come "schema corporeo (Schilder, Jacobson) e costituisce, in uno stadio della vita ancora incosciente, un "protosimbolo" (Benedetti). Da esso nasce, nel secondo anno di vita, il simbolo di Sé, ossia líIo, e così il nome con cui siamo stati chiamati, in cui ciascuna si riconosce. Il nome è anzitutto líimmagine del bimbo ha la madre, líesistenza del bimbo nel pensiero della madre, pensandolo lo simboleggia e dà uníanima ad esso "il paziente psicotico vede ciò che non è stato simboleggiato come un oggetto concreto" (Tommasina). Tuttavia, noi non sappiamo, mai abbastanza in quali casi le cose stanno così e cosa avviene nellíarcano della vita post -natale fra madre e bimbo. Forse, non lo sapremo mai sufficientemente, ma è il modello psicostorico che nellíambito della dualità psicoterapeutica stimola i grandi movimenti della psiche. Certa è la psicopatologia: la perdita patologica della immagine del proprio Sé nella malattia (osservabile nel vissuto psicotico della spersonalizzazione (Bleuler,1911) induce il paziente adulto ad una continua ricerca di simboli di Sé nel mondo circostante, che pertanto diviene, nel delirio di riferimento, un continuo specchio aberrante del Sé. Dato inoltre che a percezione degli aspetti positivi del proprio Sé soffrono anzitutto, allora i surrogati speculari della realtà esterna sono tutti, più o meno, negativi. Il vissuto di un "Sé invariabile" (Peciccia), che ciascuno di noi realizza inconsciamente e che ci protegge delle influenze esterne, manca al paziente psicotico, il quale si sente violentato da quella stessa realtà che egli disperatamente ricerca, e che, per la trasformazione dei simboli in segni, agisce su di lui determinandolo interiormente con una magica causalità. Il disturbo della simbolizzazione nella schizofrenia, che oggi è allo studio della psichiatria, e a cui io e il collega Peciccia ci siamo dedicati nel corso degli ultimi anni, va riconosciuto come oggetto storico della ricerca psicologica anche in contesti di pensiero, che non fanno riferimento diretto al simbolo.Il primo, ad affrontare il problema, pur con un vocabolario del tutto diverso, è stato Freud. Pur senza parlare affatto di simbolo, ma occupandosi invece della Libido, Freud ha lumeggiato il processo psicopatologico per cui líinfermo confonde il suo Sé con il non Sé, confonde il pensiero con la materia, il proprio Io con aspetti concreti del corpo, ossia col non-io. Così, Freud descriveva ad es. la paziente psicotica, che volendo dire come il suo fidanzato infedele le avesse stravolto la testa, affermava che i propri occhi non stavano più al loro posto nel capo: "er hatte ihr die Augen verdeht", le aveva girato gli occhi. Freud concettualizzava il fenomeno della confusione fra Sé interno e Sé esterno, fra líimmagine psichica della vista e la rappresentazione corporea degli occhi (ossia, diremo noi, la perdita del simbolo della visione spirituale) con il suo assunto, che la Libido in questa malattia viene dissociata dallíoggetto e rifluisce alla rappresentazione verbale di esso, la quale aumenta così di spessore; la parola diviene la cosa, non è più, diremmo noi, un simbolo della cosa. Seguendo un modello concettuale diverso, non più riferito alla Libido, ma già alla struttura dellíIo, un allievo di Freud, Federn, ipotizzava che la confusione fra Io e non-Io fosse causata da una erosione e dissociazione, da una perdita dei "confini dellíIo"-confini esterni, nel qual caso il soggetto si confonde con líoggetto, e confini interni, che delimitano líIo dallíEs, per cui emergono alla coscienza stati psichici arcaici ("stati arcaici dellíIo"). Ancora una volta, dunque, era il rapporto fra Sé e non Sé che stava al centro dellíindagine del fenomeno denominato da Bleuler "spersonalizzazione", il terzo sintomo della triade fondamentale. Mentre Federn riteneva che le rappresentazioni oggettuali attraversassero i confini dellíIo per una perdita di questi, Melanie Klein ipotizzava uníespulsione attiva di essi in seguito ad un meccanismo difensivo, la proiezione paranoide. Ad questa seguiva líidentificazione del soggetto con quelle parti del mondo divenute sedi degli oggetti interni, la "identificazione proiettiva" di Rosenfeld, un allievo della Klein. Noi abbiamo qui osservato che i fenomeni proiettivi psicotici non sono solo provocati dal bisogno di espellere gli oggetti cattivi, o di proteggere quelli buoni minacciati di distruzione interna ed affidati perciò al mondo esterno; ma che essi sono anche ed essenzialmente funzione della relazione simbiotica con il mondo; relazione simbiotica per la prima volta scoperta dalla Mahler, che ebbe a descrivere molte psicosi infantili o come conseguenza di una simbiosi protratta o di una regressione dellíIo alla fase di simbiosi con la madre. I fenomeni simbiotici non sono però necessariamente psicotici. Essi sono stati studiati ad esempio nelle neurosi narcisistiche da Kohut, il quale ebbe a forgiare il concetto di oggetto-Sé per denominare rappresentazioni che intendono contemporaneamente sé e líoggetto. A che cosa è dovuta, allora, la qualità psicotica della simbiosi? Noi abbiamo osservato, che mentre la simbiosi neurotica corrisponde ad eccessivi bisogni simbiotici della coppia, ove ciascun partner ritrova la sua identità solo nel rapporto identificatorio con líaltro, la simbiosi psicotica è fondamentalmente negativa per il paziente, che si esperisce come dissolto nellíaltro, e che esperisce líaltro, anche completamente al di fuori di una partnership, anche completamente anonimo, come una minaccia alla integrità e continuità del suo Sé, che egli non riesce appunto a separare dallíaltro. Da cui líipotesi, maturata nella ricerca comune di Peciccia e mia, che al paziente, manca il simbolo del Sé, manca, secondo la metafora proposta da Peciccia, quella rappresentazione anche inconscia del proprio Sé, che analogamente alla membrana cellulare protegge la struttura interna nello scambio, altrimenti nocivo, con líambiente e permette al soggetto umano la percezione di un "Sé invariante" nella interazione affettiva con chi altrimenti influenza eccessivamente il soggetto stesso (delirio di influenzamento e, infine, di persecuzione). Quanti pazienti si sentono influenzati, determinati, spiati, osservati, contaminati dagli altri, fino al punto di non sapere più chi essi siano! Da qui il ritiro autistico, da qui il delirio, che ci appare come un tentativo di sistematizzare entro un mondo interiore quellíinsieme di relazioni col mondo esteriore, che altrimenti diviene caotico. La ricostruzione delirante rimane spesso minacciosa, ma per lo meno non è più caotica, è al contrario di una limpidezza pseudologica ove il paziente diviene, da vittima inerme, il "deus ex machina" sia della sua vita personale come anche del destino del mondo. Anche il nostro è solo un modello, come quello di Freud, o quello di Federn, o della Klein, o della Mahler. Modelli psicodinamici sono legittimi solo nella misura in cui essi riescono a fornirci per così dire delle carte topografiche, su cui noi impostiamo le nostre strategie psichiatriche e psicoterapeutiche. V- IL LINGUAGGIO FIGURATIVO E PITTOGRAFICO IN PSICOTERAPIA Il linguaggio figurativo, che inizia già nellíambito del sogno e che dello spazio intersoggettivo può estendersi a quello interpersonale della veglia, è stato particolarmente studiato da me e dai miei collaboratori (Peciccia) nella psicoterapia di quelle gravi sofferenze psichiche che sono le malattie mentali o stanno ai loro margini - ove i canali di una sufficiente comunicazione verbale sono spesso impervi. Alcuni vantaggi di tale linguaggio vanno sottolineati: un primo è che la transazione di ordine immaginario permette líaccesso a malati che per motivi di profonda insicurezza si difendono dal rapporto verbale o da questo si sentono influenzati nel loro pensiero. Líimmagine non solo esprime, ma anche vela poeticamente, laddove il concetto mette a nudo e viene talora percepito come un "bisturi psicologico". Inoltre il terapeuta, che nella comunicazione "regredisce" anche lui allíimmaginario e al simbolico, viene percepito dal paziente come una figura vicariante del proprio Sé e non come un osservatore estraneo. Il secondo vantaggio è che il soggetto attraverso il linguaggio pittografico è messo talora in grado di percepire parti di Sé che sul piano verbale sono rimosse dalla coscienza. Il "canale" dallíinconscio allíautoconsapevolezza è talora aperto quando quello del pensiero verbale è ostruito. Il terzo vantaggio è che il linguaggio pittografico, in cui due partner si esprimono successivamente e contemporaneamente, stimola maggiormente líinconscio dei due interlocutori e permette espressioni figurative di stati díanimo solo simbolizzabili e non formulabili in astratto. Il terapeuta fa uníesperienza simmetrica a quella del suo paziente, anche lui si accorge di percezioni del proprio Sé e di quello altrui rimastegli fin allora nascoste. Vi sono infine dei casi in psicoterapia, ove il pensiero figurativo si svolge nella mente del paziente indipendentemente dal suo pensiero razionale. Ad esempio egli descrive la sua situazione diversamente a parole e per immagini. Confrontato con tale dissociazione, il paziente ci dice di aver avuto la sensazione, come se una mano estranea avesse tracciato la figura. Sono questi a casi, ove il pensiero verbale è ancora inibito o limitato da certe resistenze, che vengono superate dal pensiero figurativo, poiché le figure da esso risultanti non implicano una riorganizzazione della sua identità sociale richiesta dal discorso. Talora una confrontazione troppo rapida può allora indurre il paziente a chiudersi nelle sue resistenze, rifiutando líespressione figurativa. Ma la meditazione comune della figura apre sempre più i canali fra figurazione e riflessione, fino a quando il paziente non scopre da se stesso i nessi impliciti alla sua sofferenza. Vai al sito ufficiale della rivista Psicoterapia e Scienze Umane
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