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I Disturbi del comportamento alimentare e la clinica delle dipendenze: l'esperienza di un servizio per le tossicodipendenze nel trattamento dei disturbi dell'alimentazione.

Il gruppo

Il setting gruppale prevedeva sedute settimanali (il lunedì alle ore18), della durata di un'ora e un quarto ciascuna, condotto in coterapia dai due psicologi presenti in Servizio, afferenti ad équipe diverse, nella stanza comune di questi due operatori. L'ipotesi di aprire uno spazio terapeutico gruppale da parte nostra, nasceva anche dalla condivisione del tipo di formazione professionale e dal nostro inserimento abbastanza recente all'interno della struttura, caratterizzata, peraltro, da profonde scissioni storicamente determinatesi (anche per antichi conflitti personali) tra équipe diverse, tra professionalità diverse e tra formazioni diverse all'interno della stessa professionalità. Con il consenso del Responsabile, che condivideva l'idea dell'utilità di questo progetto, si prendevano contatti con un esperto in psicoterapia di gruppo nelle istituzioni (Dr. F. Fasolo), divenuto in seguito il nostro Supervisore. Dalla consapevolezza di non essere inseriti in un Servizio orientato in senso gruppale, nascevano alcune preoccupazioni, legate per noi al passaggio da un setting duale, noto e sperimentato, ad un setting gruppale, e al timore del rigetto da parte dei colleghi di fronte ad una proposta che turbava l'omeostasi del Servizio. Gli strumenti che ci siamo dati, con l'obiettivo di integrare il gruppo all'interno del SER.T., sono stati essenzialmente due: la condivisione iniziale con gli altri colleghi della tipologia dei pazienti che sarebbe stato opportuno ed utile inserire all'interno del gruppo, e la predisposizione di uno spazio mensile all'interno delle riunioni d'équipe dove parlare dell'andamento del gruppo stesso. Dopo i colloqui di valutazione, da noi operati, finalizzati anche all'individuazione di obiettivi individuali che motivassero l'ingresso nel gruppo di terapia, nel febbraio di quest'anno sono iniziate le sedute con la partecipazione di otto pazienti. L'avvio del gruppo di terapia, la sua attendibilità, e la conseguente ridefinizione di uno spazio psicologico all'interno del SER.T, ha prodotto alcune conseguenze sia nelle relazioni tra gli operatori delle due équipe, sia nei familiari dei pazienti. Proprio di ridefinizione di uno spazio psicologico si tratta: infatti nel gruppo del lunedì vi è un intervento specifico e delimitato, dove la richiesta degli altri operatori del Servizio o la proposta che viene da loro suggerita ai pazienti, ha per unico obiettivo un trattamento di tipo psicologico. Ciò si differenzia dalle altre richieste, meno specifiche, fatte allo psicologo di intervenire, di solito in situazioni di co-gestione con altri operatori, su pazienti particolarmente complessi o con problematiche di tossicodipendenza correlate con aspetti legali (segnalazioni, programmi alternativi al carcere). Si parlava di conseguenze per quanto riguarda i familiari dei pazienti: c'è sembrato che l'inserimento del figlio/a nel gruppo di terapia, li abbia talvolta allarmati e spaventati. Si è ricavato tale impressione dalle verbalizzazioni dirette (agli operatori che avevano la presa in carico dei genitori) o indirette (cioè riportate all'interno delle sedute di gruppo) espresse dal membro familiare più simbioticamente legato al paziente, che esprimevano sia preoccupazione per l'inserimento, sia la richiesta di tornare ad utilizzare un setting individuale, sia una svalutazione nei confronti del gruppo, sia, infine, un'impossibilità alla cura che, in un caso, una pesante ricaduta (avvenuta al figlio proprio il giorno prima del suo inserimento in gruppo) stava a dimostrare. In questa situazione ci è parso che il timore che un lavoro psicologico potesse consentire un processo di differenziazione del figlio, abbia determinato, un agito di quel paziente. Ci pare di poter dire che tutte le comunicazioni allarmate dei familiari , che in qualche modo riguardano l'inserimento in gruppo, hanno in quella paura la loro origine. Ci si è chiesti se non vi sia la necessità di recuperare uno spazio/ponte tra il Servizio e il gruppo dei genitori, a garanzia dello spazio terapeutico dei figli/pazienti; se tale spazio, inoltre, non possa essere rappresentato da un gruppo di supporto ai genitori (o ai familiari) dei pazienti inseriti in gruppo (tenuto da operatori diversi da noi), o da un collega dove, caso per caso, facciano riferimento i genitori stessi per verbalizzare ed elaborare ansie e paure. Fino ad ora abbiamo scelto la seconda modalità, per il timore di istituzionalizzare il gruppo dei pazienti come un gruppo di bambini. Tuttavia, come abbiamo menzionato in precedenza, non sempre la modalità scelta è riuscita ad impedire fughe dal gruppo di terapia, forse perché tale modalità è sempre stata attivata al bisogno, quando, in qualche modo, le difficoltà si manifestavano, e non preventivamente concordata con il paziente al momento stesso del suo inserimento in gruppo. Così come i genitori degli adolescenti temono che il gruppo dei pari possa diventare un traino negativo per il loro figlio, così ci è parso che questa paura risuonasse con il nostro timore iniziale di contagio psichico, cioè che il gruppo potesse diventare un luogo ove i pazienti si scambiavano reciprocamente droga o dove i pazienti più gravi avrebbero potuto trascinare pazienti più strutturati o drug — free in pericolose ricadute.

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