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I Disturbi del comportamento alimentare e la clinica delle dipendenze: l'esperienza di un servizio per le tossicodipendenze nel trattamento dei disturbi dell'alimentazione.

Alcuni effetti istituzionali

Per quanto riguarda, invece, gli operatori del SER.T, abbiamo già affermato che il Servizio è organizzato in due equipes di lavoro multiprofessionali. Queste due equipes si sono sempre caratterizzate per la loro impermeabilità di fatto, sia per quanto riguardava le modalità d'intervento sul paziente, sia per il passaggio di comunicazioni su quel paziente che si trovava a dover spostarsi da un'area all'altra (ad es. per un cambiamento di residenza). Tale arroccamento difensivo si palesava, ad es., nella raccolta dei dati sull'attività del Servizio, organizzata in maniera differente dai due gruppi di lavoro e quindi leggibile solo all'interno dell'équipe d'appartenenza: come se anche su questo piano fosse difficile integrare i linguaggi. L'appartenere ad aree di lavoro diverse è stato inizialmente sentito anche da noi come una complicazione e non come una risorsa, poiché ci si chiedeva come sarebbe stato possibile mettere insieme pazienti di équipe diverse e parlare di tutto il gruppo nelle proprie riunioni settimanali di équipe. In questa situazione, sembrava che lo psicologo diventasse il doganiere che consentiva il passaggio d'informazioni da un'équipe all'altra: ma forse si stava creando un ponte. I movimenti , promossi dall'avvio del gruppo di terapia, hanno consentito alle due unità di lavoro di poter parlarsi progressivamente in modo sempre più libero, permettendo una maggiore apertura rispetto alle dinamiche interne di ciascuna équipe, uno scambio più fluido tra operatori con la possibilità di creare legami per affinità anche tra colleghi appartenenti ad équipe diverse. In tal senso, ora alcuni operatori possono addirittura permettersi di pensare di costituire un'unica équipe di lavoro per utilizzare al meglio le risorse di personale esistenti, come si è già affermato al di sotto della pianta organica prevista. In questo momento la richiesta di utilizzare un gruppo di terapia per i nuovi pazienti che afferiscono al SER.T, è pensata e formulata con più naturalezza da parte d'alcuni operatori del Servizio, al punto di immaginare l'avvio, in futuro, di un secondo gruppo. Ci è sembrato che anche i pazienti possano aver giovato della maggiore coesione nel gruppo degli operatori, dato che la maggiore fluidità ha permesso un'elaborazione più comune e meno scissa, oltre ad una maggiore integrazione dei vissuti dei pazienti stessi. Sembra essersi avviato un processo trasformativo che riguarda il concetto di malattia della tossicodipendenza all'interno dell'istituzione, nel senso di poter riconoscere un aspetto relazionale nelle dinamiche che i pazienti portano, dando la possibilità di trovare un senso nella relazione che questi ultimi instaurano con l'operatore, spostando così l'asse della presa in carico. Non possiamo pensare, tuttavia, che tale processo di cambiamento non comporti anche delle resistenze. Ci sembra che la resistenza si esprima nella passività d'alcuni operatori del SER.T, che a fatica ricordano quali sono i pazienti inseriti nel gruppo, come se una parte del Servizio operasse un diniego rispetto all'esistenza del gruppo di terapia. Ci si è chiesti se la scelta dell'orario in cui il gruppo avviene (nel tardo pomeriggio, quando ufficialmente l'orario del Servizio è terminato) pur rispondendo ad una necessità dell'utenza, non favorisca tali meccanismi. In tal senso ci si è chiesti se il gruppo di terapia non sia vissuto da alcuni come un'attività più di supporto al narcisismo degli psicologi che utile ai pazienti. Forse a questo è legata la difficoltà nostra di esplicitare all'interno delle rispettive équipe i momenti di crisi del gruppo. Come se nei momenti di difficoltà l'atteggiamento di passività di una parte degli operatori si trasformasse in una sorta di minaccia muta all'esistenza stessa di questo spazio terapeutico; come se l'appoggio del nostro Responsabile non fosse sufficiente a legittimare questo intervento psicologico all'interno del SER.T. Insomma, come se riportare alle équipe risultati positivi significasse favorire la vita e la crescita del gruppo, ma portare elementi problematici mettesse a repentaglio il riconoscimento della bontà dell'esperienza.Questo ci fa preferire di cercare occasioni individuali di contatto con i colleghi. Non solo: la necessità di mantenere un rapporto con l'operatore inviante in caso di ricaduta di quel paziente, ha operato in modo di farci cercare un collegamento anche con quei colleghi con i quali, in precedenza, il rapporto era piuttosto limitato. Questo anche nel tentativo di collocare la ricaduta all'interno del suo significato gruppale di attacco al legame trasformativo. Di fatto, noi ci siamo messi in una relazione diversa con i colleghi sulla spinta della necessità di tutelare la nascita prima e la sopravvivenza, poi, del gruppo, in una situazione dove sembravano dominare le scissioni e dove la passività di alcuni operatori celava sentimenti ambivalenti (di rispetto e di invidia della competenza) nei confronti di ciò che di psicologico veniva a definirsi. Forse anche noi siamo in una zona — ponte, a metà tra l'individuale e il gruppale. Anche noi sosteniamo il gruppo cercando l'appoggio nelle relazioni individuali, che, migliorandosi, hanno sviluppato una rete intorno e a protezione del gruppo stesso all'interno del Servizio. Forse vi è un movimento isomorfo tra ciò che accade dentro di noi, nel gruppo degli operatori e nel gruppo dei pazienti (dove si alternano momenti d'elaborazione individuale a momenti d'elaborazione gruppale): la metafora del ponte, dunque, riguarda tutte le parti in gioco.

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