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Nota della redazione

La recente pubblicazione su POL.IT dell'ultima versione del PdL Burani è stato accolta con grande interesse da tantissimi lettori e da ormai dieci giorni è il documemto più letto e ricercato su POL.IT insieme al commento di Benevelli che abbiamo pubblicato contestualmente.

Di parere opposto al commento di Benevelli è invece il seguente un contributo alla discussione che ci è giunto da Albertina Seta per Nuova Psichiatria.

Volentieri pubblicheremo su richiesta ogni altro contributo alla discussione sul tema della riforma della 180, che fin dall'inizio stiamo cercando di documentare nel modo più attento e completo possibile.

Buona lettura

Considerazioni sull’ultima versione della pdl Burani Procaccini e il relativo commento di PL Benevelli.
A cura di Albertina Seta per Nuova Psichiatria

“Per una "psichiatria correzionale. Ovvero il testo dell'on. Burani Procaccini: norme per la prevenzione e la cura delle malattie mentali".
Titolo quantomai promettente quello di Benevelli, promettente di un’analisi puntuale della proposta di legge in questione e di una compiuta valutazione della filosofia che la sosterrebbe. Bisogna vedere però se le considerazioni in esso contenute mantengano la promessa, ovvero risultino sufficientemente fondate da giustificare la terribile accusa che intende lanciare.

Benevelli inizia con il proporre un’affermazione ovvia, ma poi ne trae, in modo non pienamente giustificato, conclusioni discutibili. L’abolizione dei tre articoli della 833 (34,35,64) equivarrebbe:

“ ad una revisione radicale delle finalità dei DSM, nonchè delle procedure e dei percorsi posti a garanzia dei diritti dei cittadini portatori di disturbi mentali.”

e su questo punto siamo d’accordo. A chiunque, favorevole o contrario, abbia letto la pdl Burani, anche nelle sue precedenti versioni, pensiamo sia stato chiaro che tale abolizione significa che l’On.Burani ha intenzione di proporre una radicale riformulazione dell’attuale legislazione in materia psichiatrica, l’abolizione degli articoli in questione può dunque rappresentare perfino un pregio del testo, se non altro in termini di chiarezza.
Perché invece Benevelli sembra partire da un sottinteso assioma per cui toccare quegli stessi articoli significa minare un efficace sistema di garanzie per i cittadini malati di mente? Fino ad arrivare all’affermazione che la pdl intende aprire le porte a: “ una vera e propria "legge speciale" per la psichiatria”.

A noi sembra che nel nostro paese esiste oggi un’ampia insoddisfazione riguardo a tale sistema di garanzie, molti dei diritti del malato, prima di tutto il diritto alla cura, sembrano insufficientemente rispettati, se non addirittura impediti dalle attuali norme che, a distanza di più di venti anni dalla loro promulgazione, continuano a imporre divieti non giustificati: ecco perché un parlamentare (in realtà sono più di uno) ha ritenuto di proporre strumenti più efficienti in tal senso. Poi la discussione è aperta: la pdl Burani può essere uno strumento migliore, più adatto ai compiti di cura e di assistenza delle malattie mentali, oppure no?

Per Benevelli è sufficiente dimostrazione delle intenzioni liberticide della nuova proposta l’affermazione che egli stesso fa:
“in quanto (la pdl ndr) prevede per le persone affette da disturbi mentali, condizioni ed opportunità di esercizio dei diritti di cittadinanza diverse rispetto alla generalità dei cittadini, anche per il tempo dell’intera vita.”

Ora, il punto è che questo è tutto da dimostrare, non solo, ma il seguito, che sostanzialmente, assimila l’impianto della proposta Burani alla legge manicomiale del 1904, andrebbe ampiamente argomentato.

Qualcuno potrebbe controbattere che in realtà è l’attuale legislazione a corrispondere a una sorta di “legge speciale” per la psichiatria, tanto per dirne una, per il divieto di istituire divisioni ospedaliere di psichiatria o per l’obbligo di strutture residenziali di non più di 15/20 posti. Come si giustificano tali divieti? Secondo quale teoria clinica? Che cosa dovrebbero garantire, considerati anche gli altissimi costi di microstrutture, che, peraltro, attualmente non devono rendere conto a nessuno del reale valore terapeutico delle attività che si svolgono al loro interno?

Ma continuiamo a seguire le argomentazioni di Benevelli. Punta di diamante è naturalmente il concetto di “pericolosità sociale”, tratto distintivo di ogni impostazione custodialista, che a suo dire si può derivare dalla formulazione del comma 3 dell’art 8:

“Eloquente il comma 3 dell'articolo 8 dedicato al "reinserimento sociale": "La persona affetta da disturbi mentali ha diritto al rispetto della propria personalità. L'eventuale condizione di abbandono non costituisce motivo di inserimento coatto in una struttura protetta, a meno che il proseguimento della sua esistenza abituale non comporti un serio pericolo per la sua salute o per le sue capacità intellettive o a meno che i comportamenti della medesima persona affetta da disturbi mentali non costituiscano rischio per sé o per gli altri”

Con tutta la nostra buona volontà non riusciamo a ravvisare in questa formulazione alcun concetto di pericolosità sociale, ci sembra, invece, che il rischio per la propria o altrui incolumità vada evitato proprio in un’ottica di diritto alla salute per tutti i cittadini e che il comma citato faccia piuttosto riferimento allo “stato di necessità”, del resto già previsto dall’art.33 dell’attuale legge 833.

Proseguendo, non ci sembra che rendere obbligatoria un’attività di prevenzione nelle scuole significhi automaticamente che, come Benevelli afferma:

“Ai bambini riconosciuti "difficili" si aprono le porte di una "carriera psichiatrica" gestita prima dalle UONPI e poi dai DSM. “

Certo, si tratta di avviare una discussione sulla prevenzione (primaria, secondaria). Entrando poi nel merito dei servizi specifici per l’età evolutiva, si potrebbe obiettare che la pdl non tiene conto che la fascia dell’adolescenza rappresenta ormai un terreno di lavoro a sé, al quale andrebbe rivolta una particolare attenzione in un’ottica di cambiamento dei servizi.

In maniera ancora più critica andrebbe poi affrontata la non felice formulazione delle responsabilità del CSM, contenuta nella pdl Burani:

“ I Centri di salute mentale (CSM) hanno la responsabilità del malato in tutti i suoi aspetti medici, psicologici, sociali e legali “

A nostro avviso, infatti, tale proposta, in realtà, tradisce in alcuni punti, e quest’ultimo è uno di quelli in cui la cosa è più evidente, l’ansia di dare risposte alla pressione di un’utenza e di una larga parte della società civile che dimostra di non essere soddisfatta dell’attuale gestione della psichiatria. Essa finisce così, come in questo caso, con l’abozzare delle “iperrisposte”, continuando peraltro una tradizione di confusione tra competenze “sanitarie” e “sociali” che, a nostro avviso, risale proprio alla 180. Paradossalmente, come abbiamo in più occasioni fatto notare alla stessa On.Burani, la proposta pur contenendo, specie in questa ultima versione, aspetti molto interessanti e di positivo e sostanziale rinnovamento, sembra avere qualche esitazione nel liberarsi proprio dell’eredità basagliana in uno dei suoi aspetti più deteriori che per l’appunto è quello della confusione tra malato mentale ed emarginato sociale.

E’ chiaro che queste nostre considerazioni sulla necessità di distinguere con certezza e assolvere senza confusioni a compiti sanitari e/o di assistenza sociale all’interno dei servizi psichiatrici comporterebbe un enorme sforzo di riflessione per definire termini apparentemente semplici, ma che in realtà sono di difficilissima trattazione in psichiatria, come “cura” e “assistenza”. Non solo, ma anche quelli di “malattia”, “salute”, “clinica” andrebbero puntualizzati per gettare le basi di una discussione possibile. Non è questa la sede, per il momento ci preme sottolineare come nel commento di Benevelli vengano dati per scontati assunti che riecheggiano il Focault di trent’anni fa e che ascrivono senz’altro l’uso della “clinica” al “bisogno di controllo” del Potere. Citiamo, sempre dal suo commento:

“Come si può notare, il termine controllo connota il senso di tutte le attività di assistenza psichiatrica. La proposta Burani Procaccini riconosce una funzione assolutamente centrale alla clinica assunta nel suo significato etimologico; le strutture e gli spazi di lavoro per gli operatori sono ristrutturati secondo gli stadi clinici, della singola patologia e addirittura per età e sesso…”

Mentre possiamo concordare che una parcellizzazione e compartimentazione astratta delle problematiche psichiatriche non ha senso, non possiamo non andare al di là di questi particolari per sottolineare l’importanza e la giustezza di alcuni articolati della pdl che a nostro avviso potrebbero andare nella direzione di ristabilire un primato della clinica, diciamo nella sua accezione più semplice di presidio indispensabile alla terapia.
Ci riferiamo in particolare a tre fatti fondamentali che a nostro avviso valgono ad affrancare la pdl da tutta un’altra serie di possibili critiche:
1) che finalmente si accetta l’idea di divisioni ospedaliere di psichiatria, alla stregua delle divisioni di tutte le altre specialità mediche
2) che si accetta l’idea di moduli di 20 posti per le strutture residenziali, il che può consentire di diminuire le spese e di aumentare le possibilità di organizzare attività terapeutiche all’interno di queste strutture, mantenendo un rapporto numerico accettabile operatori/utenti
3) che sia possibile una durata del TSO (fino a due mesi) credibile se rapportata con i tempi “clinici” di un episodio psichiatrico acuto

A nostro avviso questi tre punti bastano a qualificare positivamente la proposta Burani e ad aprire una discussione seria sulle possibilità di fare terapia in psichiatria.

Naturalmente nella proposta, come già accennato, ci sono elementi che destano le nostre perplessità, se non un vero e proprio disaccordo, ma non per la lettura che ne dà Benevelli.

Così è per l’inserimento del malato di mente nelle liste di collocamento per i portatori di handicap.L’attuale dizione del comma 2 dell’art.8 lascia intendere che tale inserimento debba riguardare “tutti” i malati e su questo punto siamo decisamente contrari.

Inoltre non condividiamo l’enfasi e l’eccessiva prolissità a proposito di inserimento lavorativo. Come abbiamo già detto, la nostra analisi è che questa impostazione risente soprattutto di una concezione “assistenzialista”, tuttora molto presente nella nostra cultura, di privilegiare il reinserimento sociale rispetto alla cura, anzi di vedere come praticabile solo la prima possibilità e sottintendere che la seconda sia assolutamente aleatoria se non impossibile. E’ interessante che forse, a distanza di più di venti anni, potremmo diventare più consapevoli dell’impostazione pedagogica se non di religiosa carità cristiana proprie di tale impostazione culturale. Ma, come abbiamo detto, si tratta di aspetti importanti per una discussione, ma secondari nel dare una valutazione complessiva della pdl della quale va detto che, soprattutto in questa ultima versione, introduce sostanziali elementi di rinnovamento.

Un altro discorso delicato è quello della proposta di sostituzione del Sindaco, tradizionale anche se decisamente anacronistica autorità sanitaria, con una commissione rappresentativa di diverse istanze sociali presso il giudice tutelare. Nonché della sostituzione, negli interventi relativi a TSO, TSOU e ASO, della polizia municipale con altri corpi di polizia.
Anche qui, come poi nel dilungarsi sulla istituzione di commissioni di controllo nelle varie sedi istituzionali, cogliamo, a differenza di Benevelli, una sorta di ipergarantismo dei diritti degli utenti e delle loro famiglie, quasi un tentativo di risarcirli di anni di impotenza a intervenire su una gestione insoddisfacente dei loro problemi da parte dei servizi psichiatrici. A questo proposito pensiamo che si debba fare molta attenzione a trovare soluzioni istituzionali che rispondano a principi coerenti e che in ogni modo non consentano intrusioni improprie nel rapporto medico-paziente, che per noi andrebbe rispettato e riconosciuto come la principale garanzia del diritto alla cura, ovviamente con la possibilità di sanzioni, peraltro già previste dai codici civile e penale, in caso di inadempienze.

Concludendo, con un po’ di generosità, possiamo riconoscere a Benevelli di sollevare una domanda importante, ovvero come fare che la normativa per la psichiatria, pur tenendo conto delle specificità delle malattie mentali, per dirne una la negazione di malattia, non dia luogo a una “legislazione speciale”, ovvero in contraddizione con altri aspetti della legislazione valida per tutti i cittadini.

La pdl Burani, però, ripetiamo, non ci sembra incorerre nelle caratteristiche di una legge speciale, almeno nella sua sostanza, malgrado presenti aspetti ancora non del tutto chiariti e migliorabili.

Pensiamo comunque che discuterne liberamente e senza pregiudizi in ambito professionale possa rappresentare uno stimolo perché sia fatto, in sede parlamentare, uno sforzo ulteriore nella direzione di una maggiore omogeneità e coerenza della normativa psichiatrica con le norme che regolano l’attività sanitaria in generale, sottoponendo gli aspetti specifici della questione a un vaglio attento. Riteniamo altresì che le garanzie per i cittadini vadano ricercate in una chiarezza di metodo e di principi ispiratori delle leggi piuttosto che in una eccessiva e pletorica formulazione di regolamenti. Ci auguriamo quindi che sull’argomento si apra una discussione seria tra i colleghi che dia spazio a ulteriori elaborazioni della più recente versione della pdl Burani.


Rubrica realizzata in collaborazione con

Associazione Laura Saiani Consolati - BRESCIA
http://www.psichiatriabrescia.it

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