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ERMENEUTICA VERSUS CONCEZIONE SCIENTIFICA DELLA PSICOANALISI: UNO SFORZO INUTILE DI STABILIRE UNA VIA MEDIA PER LE SCIENZE UMANE

Adolf Grünbaum

University of Pittsburgh

(Presented as an invited paper at the International Conference to Mark the 25th Anniversary of the Vrije Universiteit Brussel, "Einstein Meets Magritte, an Interdisciplinary Reflection on Science, Nature, Human Action and Society," Brussels, Belgium, May 31, 1995. Published in D. Aerts, J. Broekaert, and E. Mathijs (eds.), Einstein Meets Magritte, an Interdisciplinary Reflection: The White Book of Einstein Meets Magritte. Dordrecht, The Netherlands: Kluwer Academic Publishers, 1999, pp. 219-239. Forthcoming in B.E. Babich (ed.), Hermeneutics and the Philosophy of Science, Van Gogh's Eyes, and God: The Array of Values, Visual Spaces, and Quantum Physics. Dordrecht, The Netherlands: Kluwer Academic Publishers.)

TRADUZIONE DI ALBERTINA SETA

SOMMARIO

La costruzione di ponti tra scienze naturali e scienze sociali è un proposito degno di lode. Ma non bisognerebbe costruire ponti che non reggono. Questo lavoro propone che la cosiddetta ricostruzione "ermeneutica" della teoria e terapia psicoanalitica, proposta da Karl Jaspers, Paul Ricoeur, e Jurgen Habermas, fallisce in molti punti come ponte e presunto prototipo dello studio della natura umana. Una chiave di questo fallimento è la errata costruzione di cosiddette "connessioni di significato" tra stati mentali e della loro relazione con connessioni causali.

I. Introduzione

Secondo la ricostruzione cosiddetta "ermeneutica" della teoria psicoanalitica classica, la concezione dell'impresa freudiana che ci è stata tramandata diede molto poco peso esplicativo alle cosiddette connessioni "di significato", tra motivazioni inconsce da una parte, e sintomi manifesti dall'altra. Pertanto, in un lavoro sulla schizofrenia, il filosofo e psichiatra tedesco Karl Jaspers (1974, p.91) scriveva: "Nell'opera di Freud abbiamo di fatto a che fare con una psicologia del significato, non con una spiegazione causale come Freud stesso pensava." Il padre della psicoanalisi, ci viene detto, cadde in una "confusione tra connessioni di significato e connessioni causali."

La parola "ermeneutica", che deriva etimologicamente da Hermes, il messaggero degli dei, fu utilmente introdotta nel XVII secolo per indicare l'Esegesi Biblica, e fu più tardi ampliata alla interpretazione testuale in generale. Ahimè, ancora, per iniziativa di quei filosofi del continente europeo che volevano riabilitare la dicotomia del XIX secolo tra scienze naturali e umane, il termine fu ulteriormente esteso a etichettare l'interpretazione parimenti di fenomeni psicologici e mentali, escludendo quelli non mentali. E, in questa prospettiva, il filosofo Paul Ricoeur ci dice quanto segue (1970, p.359): "la psicologia è una scienza osservativa, che si occupa dei fatti del comportamento; la psicoanalisi è una scienza esegetica (interpretativa), che si occupa delle relazioni di significato tra oggetti sostitutivi (cioè, i sintomi) e i primitivi (e perduti) oggetti istintuali (cioè, i desideri istintuali repressi)." Tuttavia, ovviamente, noi interpretiamo il comportamento umano manifesto, non meno dei pensieri e dei sentimenti, ma interpretiamo anche alcuni fenomeni fisici come le radiografie, i segnali di un contatore Geiger, le tracce della cometa di Wilson, le cavità e gli strati geologici. Nella vita di tutti i giorni, si parla di interpretazione o di ipotesi per dire che il sale da cucina che assaporo a pranzo è cloruro di sodio, proprio come è un'ipotesi interpretativa l'inferenza psicologica che un certo movimento oculare rappresenti un ammiccamento seduttivo, sessuale. Inoltre, finchè si tratta di un tipo come un altro di interpretazione, sarebbe grossolano e poco illuminante sottolineare una similitudine tra l'interpretazione semantica di un testo scritto e l'interpretazione motivazionale della comunicazione verbale e gestuale del paziente nello studio del medico, che avrebbe un "significato" inconscio. In breve, etimologicamente, il termine "ermeneutica" è giusto un sinonimo della parola "interpretativo." Ma è anche un termine usato ideologicamente e in verità in questo senso risulta ambiguo.

Un'ulteriore grave confusione è stata indotta dai diversi usi filosofici del termine "ermeneutica", secondo quanto segue: mentre alcuni filosofi lo adoperano, come si è visto, per affermare un'opposizione all'unità di scienze naturali e umane, altri lo fanno per sostenere questa unità, come segue (Connolly e Keutner (ed.), 1988): Tutte queste scienze, apprendiamo, sono simili all'ermeneutica, nel senso che impiegano paradigmi Kuhniani di comprensione validi per tutte nel loro fornire spiegazioni. Pertanto, Paul Feyerabend, Mary Hesse, e Richard Rorty, per esempio, hanno ben accolto la cosiddetta unità ermeneutica della scienza proposta da Kuhn. Tuttavia altri, come Karl Popper, hanno ritenuto che questa sorta di unità ermeneutica della scienza rappresentasse una caduta nell'irrazionalismo e nella barbarie intellettuale (Sullivan, 1993). L'uso deplorevole del termine "ermeneutica" per presentare posizioni filosofiche incompatibili aggiunge le proprie responsabilità a quelle dell'uso ambiguo e confondente del termine "significato."

Dopo Jaspers, Paul Ricoeur, e Jurgen Habermas hanno prodotto l'asserzione compiacente che Freud in sostanza fosse caduto in un equivoco circa la sua stessa teoria e terapia. Secondo questi filosofi europei, la psicoanalisi può svincolarsi dalla morsa dei fallimenti scientifici della teoria di Freud rigettando le sue aspirazioni scientiste come sostanzialmente mal poste. Affermando che Freud avrebbe interpretato erroneamente, "in maniera scientista", le sue stesse acquisizioni teoriche, essi forniscono una ricostruzione erronea di tutto ciò, presentandolo come una realizzazione semantica, ottenuta facendo leva sulla parola chiave "significato."

Posso fornire immediatamente una ragione per rifiutare l'uso del termine "significato", ambiguo sotto molti punti di vista, come caratterizzante l'impresa psicoanalitica. In un articolo del 1991, intitolato "L'ermeneutica in psicoanalisi," James Phillips affermava, alla Jaspers, che Freud fece una grande scoperta "ermeneutica," che era di scoprire un "significato" nascosto dove prima non si pensava che esistesse alcun "significato." Ma, chiaramente, ciò che Freud rivendicò come scoperta era che il comportamento, così come quei lapsus (o "Fehlleistungen") che prima si era pensato che non fossero motivati psicologicamente, fosse in realtà la conseguenza di motivi inconsci. Nell'opinione di Freud, i motivi, chiaramente, erano una specie di cause.

Secondo quanto egli afferma, un sintomo manifesto rivela una o più cause inconsce latenti e dà evidenza di questa causa, cosicché il "senso o significato" del sintomo consiste nella sua causa motivazionale latente.

Ma questa nozione di "significato" è diversa da quella propria del contesto della comunicazione, in cui simboli linguistici acquisiscono significato semantico essendo usati intenzionalmente per designare i loro referenti. Chiaramente, la relazione di esserne una manifestazione, che collega il sintomo alla sua causa, è differente dal rapporto di designazione, che collega un simbolo linguistico al suo oggetto. Questo fatto è sfacciatamente trascurato in molta letteratura psicoanalitica recente. Così, in una Lettera-al-Direttore del Journal of the American Psychoanalytic Association (vol.42, n° 4, p.1311) Philip Rubovitz Seitz si doleva del fatto che "Freud presenti le sue interpretazioni come le necessarie inferenze causali di una scienza naturale, piuttosto che come la costruzione di significati impiegata nelle scienze umane."

La ricostruzione "ermeneutica" della psicoanalisi slitta impropriamente dall'uno all'altro dei due sensi in cui il termine "significato" è comunemente usato. Quando un pediatra dice al genitore che l'esantema cutaneo del suo bambino "significa rosolia," il "significato" del sintomo corrisponde a una delle sue cause molto di più di quanto non avvenga nel caso di Freud. Ma quando un autista di autobus ci dice che tre suoni di campanello "significano" che l'autobus è pieno, questi suoni - a differenza dei sintomi della rosolia e di quelli nevrotici - intendono comunicare un certo stato di cose.

Così, lo psicoanalista inglese Antony Storr riesce a mettere insieme la comprensione profonda del "senso", o del "significato", etiologico di un sintomo con l'attività di fornire il senso semantico di un testo, dichiarando in modo alquanto assurdo: "Freud era un uomo di genio specializzato nella semantica." E Ricoeur erroneamente dà credito alla teoria della repressione di Freud che avrebbe fornito, malgrado lui, una verosimile "semantica" del desiderio.

Tuttavia, la ricostruzione dell'impresa psicoanalitica proposta dall'ermeneutica è stata abbracciata con zelo da un numero considerevole di psicoanalisti, nonché da molti docenti di dipartimenti universitari di materie umanistiche. Gli psicoanalisti che vi aderiscono la vedono come ciò che può assolvere la loro teoria e terapia dai criteri di validazione obbligatori per le ipotesi causali nelle scienze empiriche, quantunque la psicoanalisi sia piena di ipotesi del genere. Questo modo di sfuggire a una validazione non promette niente di buono per il futuro della psiconalisi, poiché i metodi degli ermeneuti non hanno prodotto neanche una ipotesi nuova di rilievo! La loro ricostruzione, invece, è un grido di battaglia ideologico e negativista, che nega le aspirazioni scientifiche di Freud e presagisce l'esaurimento della sua eredità per semplice sterilità, almeno per coloro che chiedono la validazione delle teorie per mezzo di evidenze cogenti.

La mia accusa è condivisa dal noto psicoanalista e accademico Marshall Edelson (1988, cap.11, "Meaning," pp.246-249) che scrive lucidamente:

Per la psicoanalisi, il significato di un fenomeno mentale è un insieme di stati psicologici inconsci o intenzionali (specifici desideri o impulsi, specifiche paure insorte a partire da questi desideri, e pensieri o immagini che potrebbero richiamare alla mente del soggetto tali desideri e paure). Il fenomeno mentale sostituisce questo insieme di stati. Cioè, questi stati avrebbero dovuto essere presenti alla coscienza al posto del fenomeno mentale che richiede un'interpretazione, se fin dall'epoca dell'origine del fenomeno mentale, e da allora in avanti, non avessero incontrato ostacoli al loro accesso alla coscienza. Se il fenomeno mentale si è comportato come una struttura relativamente stabile, e questi ostacoli alla coscienza vengono rimossi, il fenomeno mentale scompare appena gli stati mentali precedenti ottengono accesso alla coscienza.

Cosicchè il fenomeno mentale che sostituisce questi stati è la manifestazione di una sequenza causale (pp. 247-248).

Tuttavia, Ricoeur si appoggia a una locuzione ambigua come quella di "significato" per rappresentare erroneamente la teoria della repressione di Freud come qualcosa che fornisce una cosiddetta "semantica del desiderio." Egli compone questa erronea rappresentazione introducendo uno pseudo-contrasto quando sostiene che gli scienziati della natura e gli psicologi accademici osservano fenomeni, mentre lo psicoanalista interpreta le produzioni dei pazienti. Così, nel suo libro Freud e la Filosofia (1970, p.359), Ricoeur ci dice, contrariamente a Freud, che la teoria psicoanalitica - che egli riduce arbitrariamente alle interpretazioni date ai pazienti in analisi - è uno sforzo ermeneutico opposto alle scienze naturali. Riducendo la teoria psicoanalitica, che è lungimirante e composita, alla terapia freudiana, Ricoeur accantona la maggior parte di quelli che Freud considerava i suoi più importanti e duraturi contributi, secondo quanto Freud stesso (1929, p. 673) aveva proposto: "Il futuro probabilmente attribuirà una importanza di gran lunga superiore alla psicoanalisi come scienza dell'inconscio piuttosto che come procedura terapeutica."

E' vero, ma filosoficamente irrilevante rispetto alla ricostruzione ermeneutica della psicoanalisi, che la sfida o il puzzle da risolvere è presentato da ciascuno dei seguenti tre differenti tipi di attività interpretative:

(i) la comprensione profonda di fattori causali inconsci, ipotizzati dagli psicoanalisti come sottostanti a un sintomo, a un sogno, o a un lapsus, attraverso l'interpretazione psicoanalitica,

(ii) la spiegazione del significato semantico di un testo,

(iii) il lavoro che fa un detective per risolvere un caso di omicidio.

In fin dei conti, la sfida comune a ciascuna di queste attività cognitive, rappresentata dalla risoluzione di un problema, difficilmente autorizza l'assimilazione della ricerca dei cosiddetti significati psicoanalitici alla ricerca del significato semantico di un testo. Tuttavia, alcuni ermeneuti si sono riferiti a una frase di Freud (SE. 1913, 13:176-178)2 in cui egli ammetteva di "forzare" l'uso linguistico comune, quando generalizzava il termine "linguaggio" per indicare non solo l'espressione verbale di un pensiero, ma anche i gesti "e ogni altro metodo(...) attraverso il quale l'attività mentale può essere espressa" (p.176). Lì Freud dichiarava che "l'interpretazione dei sogni (come attività cognitiva) è totalmente analoga al decifrare un antico scritto pittografico come un geroglifico egiziano" (p.177). Ma certamente questa comune sfida di problem-solving non autorizza l'assimilazione del significato psicoanalitico del contenuto manifesto di un sogno al significato semantico del linguaggio parlato o scritto (Grunbaum 1993, p.115).

Gli ermeneuti (o i sostenitori dell'ermeneutica) hanno cercato di utilizzare il fatto che il titolo dell'opera magna di Freud è "L'interpretazione dei Sogni", ovvero in tedesco: "Die Traumdeutung. " La parola tedesca per significato è "Bedeutung." Ma, in tedesco, persino nel linguaggio comune, questo termine, come la sua forma verbale "bedeuten," sono usati in entrambi i sensi, quello motivazionale freudiano e quello semantico, come il seguente esempio dimostra: (i) C'é una canzone tedesca che inizia con queste parole "Ich weiss nicht was soil es bedeuten, dass ich so traurig bin" - traduzione: "Non so cosa significhi il fatto che sono così triste." (E continua: "Ein Marchen aus alten Zeiten, das kommt mir nicht aus dem Sinn" - traduzione: " Sono ossessionato da un'antica fiaba.") Chiaramente la canzone non esprime interrogativi circa il significato semantico del termine "così triste" che è conosciuto fin troppo bene. La canzone, invece, esprime curiosità circa la causa psicologica, motivazionale della tristezza. (ii) Si tratta di senso semantico quando qualcuno chiede: "Cosa significa la parola 'automobile'?" Una risposta etimologica potrebbe essere: "in questo caso significa 'qualcosa che si muove da sé". Nessuna meraviglia che C.K.Ogden e I.A.Richards abbiano scritto un intero volume intitolato "Il significato di 'Significato'."

Ma, sfortunatamente i filosofi "ermeneuti" come Ricoeur e Habermas hanno utilizzato fallacemente le due seguenti serie di fatti: (i) L'interpretazione di un testo è, almeno in prima istanza, la costruzione di un'ipotesi semantica quanto a ciò che esso asserisce. (ii) D'altra parte, quando lo psicoanalista fonda l'attribuzione di motivazioni inconsce al discorso cosciente del paziente, o piuttosto la dichiara, sulla base di indicatori del comportamento come il pianto o i gesti, è in gioco un tipo assai differente di "interpretazione". In questa situazione interpretativa dal punto di vista psicoanalitico, il contenuto semantico di quel discorso è soltanto una strada per le inferenze etiologiche dell'analista circa motivazioni di carattere esplicativo causale; per esempio, il discorso del paziente può essere l'illusoria copertura di una resistenza a svelare motivazioni nascoste.

Pertanto, Ricoeur in maniera fuorviante e fallace, rappresenta erroneamente la teoria della repressione di Freud come un'acquisizione semantica, mal assimilando tra loro le due differenti serie di relazioni. (i) la via attraverso la quale l'effetto di una causa inconscia può manifestarla e fornire per essa un'evidenza, e (ii) la via attraverso la quale un simbolo linguistico rappresenta il suo referente semanticamente o designa gli attributi del referente. E' precisamente questa assimilazione errata, insieme agli abbondanti equivoci delle scienze naturali, che è servita a Ricoeur e Habermas per impostare uno pseudo-contrasto metodologico. Questo pseudo-contrasto è, tra l'epistemologia delle ipotesi causali nelle scienze naturali da una parte, e la ricerca dello psicoanalista dei cosiddetti significati inconsci dei sintomi e del comportamento del paziente dall'altra. In questo modo, essi hanno aggiunto degli orpelli psicoanalitici alla falsa dicotomia del XIX secolo tra scienze naturali e scienze umane. In modo simile, in una critica alle mie concezioni, lo psicoanalista freudiano ed ermeneuta americano Matthew Erderlyi offre la seguente banale irrilevanza per screditare il contenuto causale delle interpretazioni psicoanalitiche: "Quando si stabilisce il significato di una parola sconosciuta a partire dal suo contesto, non si stabilisce che il contesto ha causato la parola sconosciuta." In ogni modo, questo puerile truismo autorizza Erderlyi a trascurare che lo psicoanalista di solito conosce molto bene i significati contestuali, da dizionario, delle parole del paziente; invece, l'analista ha il difficile obiettivo di usare le parole del paziente semplicemente come una strada per ipotizzare le cause inconsce delle disposizioni della personalità del paziente e della storia della sua vita! Ed è patetico usare il termine "significato" per suggerire la banalità che la psicoanalisi si preoccupa della mentalizzazione e delle sue manifestazioni comportamentali.

Un simile trucco è ottenuto giocando sull'ambiguità del termine "significare", come avviene nell'esempio seguente:

Supponiamo che la vista di un gattino evochi associativamente il pensiero inconscio di una grande tigre minacciosa. Chiaramente, nell'opinione di Freud, questa evocazione è un processo causale i cui correlati sono mentali, qualunque sia il sottostante processo cerebrale. Questo processo di evocazione mentale è stato erroneamente assimilato a un riferimento linguistico, usando il termine semantico "significazione" come segue: si dice che la vista del gattino inconsciamente significa la tigre, come se quella vista funzionasse come una parola o un suono, che si riferisce semanticamente alla tigre. Ma è chiaro che, perfino se la persona che vede il gattino lega quella vista alla parola "gatto", un tale nesso è difficilmente ascrivibile come riferimento inconscio semantico alla vista della tigre. Tuttavia i lacaniani ci dicono che l'inconscio è strutturato come un linguaggio. In questo modo, essi possono favorire l'erronea attribuzione semantica con una frase infelice come questa: "Per la persona che vede il gattino, questo inconsciamente significa una grossa tigre minacciosa." Per Freud, la vista del gattino ha messo in atto un processo causale di evocare il pensiero inconscio di una grossa tigre. E la questione esplicativa è perchè questo è successo in questo caso.

In un libro già pubblicato(Grunbaum, 1990; 1993, cap. 4), Achim Stephan (1989, pp.144-149) prende spunto da alcune mie vedute. (3) Egli non accetta la "semantica del desiderio" di Ricoeur (p. 123). Ma obietta (p. 146, punto (3)) alla mia asserzione che "nella teoria di Freud, un sintomo manifesto rimanda a una o più cause inconsce sottostanti e dà evidenza per essa, in maniera tale che il 'senso' o il 'significato' del sintomo è costituito dalla sua causa motivazionale latente.

Stephan approva (p.148) la mia enfasi sulla distinzione tra la relazione di manifestazione, per la quale il sintomo porta alla sua causa, e la relazione semantica di designazione, per la quale un simbolo linguistico porta al suo oggetto. Tuttavia, la sua principale obiezione alla mia opinione sul "senso" psicoanalitico dei sintomi come manifestazioni causali dell'ideazione inconscia è che io assegno loro un "significato esclusivamente non semantico" negando che essi hanno anche un significato "semiotico" come i simboli linguistici (pp.148-149). Egli assicura che Freud non costruisce il senso o il significato dei sintomi come un riferimento semantico alle loro cause. Tuttavia, secondo la stessa ricostruzione di Stephan della concezione di Freud, "egli presumeva che i fenomeni manifesti (sintomi) stanno semanticamente per la stessa cosa che le idee (represse) che essi sostituiscono, cioè, "essi stanno semanticamente per ciò che stanno (o piuttosto starebbero, se fossero espresse verbalmente) le idee (verbali) represse" (p.149).

Secondo Franz Brentano (1995), la caratteristica essenziale del mentale è di essere a proposito di qualcosa, di essere rappresentazionale, di essere diretto verso qualcos'altro, di essere referenziale. Brentano usava l'aggettivo "intenzionale" per descrivere ciò che egli aveva scelto come comune e peculiare a tutte le istanze del mentale, quantunque quel termine abbia anche il significato di "deliberato." Nella concezione di Brentano, il fenomeno dell'intenzionalità, così costruito, costituisce il criterio di demarcazione tra il mondo mentale e quello fisico.

Husserl obiettava che stati di dolore, e qualità sensoriali come il rosso, per quanto mentali, non sono "intenzionali" o diretti verso qualcosa nel senso di Brentano. Tuttavia, Carrier e Mittelstrass (1991, p.68) mettono in rilievo che Brentano (1995, pp.89-91) aveva anticipato l'obiezione di Husserl aggiungendo che "in fin dei conti, è qualcosa che provoca dolore, e qualcosa che è percepito come rosso."

Ma come Searle (1990, cap.1) ha giustamente suggerito, l'ansia "non diretta" (cioè diffusa) non è rappresentazionale e tuttavia è mentale. Per come egli pone la questione: "vi sono forme di elazione, depressione, e ansia in cui si è semplicemente eccitati, depressi o ansiosi su ogni cosa" (p.2). Così l'intenzionalità alla maniera di Brentano non è una condizione necessaria per il mentale. In ogni caso, Aviva Cohen ha notato (comunicazione privata) che Brentano successivamente abbandonò la sua "intenzionalità" come essenza del mentale.

Searle (1990, pp.161-167) ha fatto notare in modo illuminante (p.175) che, a differenza di molti stati mentali, il linguaggio non è intrinsecamente "intenzionale" nel senso diretto di Brentano; invece, l'intenzionalità (il concernere qualcosa) del linguaggio è estrinsecamente imposta a esso dal fatto di "decretarlo" alla funzione referenziale. Searle (pp.5, 160, e 177) mette in rilievo che gli stati mentali "pre linguistici" di alcuni animali e dei bambini hanno una intrinseca intenzionalità ma nessuna referenzialità linguistica.

Ritengo che il fondamentale errore ermeneutico di Stephan è di slittare illecitamente dall'intenzionalità intrinseca, non semantica, degli (molti, ma non tutti) stati mentali, alla sorte semantica imposta propria del linguaggio. Inoltre, alcuni dei sintomi nevrotici di cui si occupa lo psicoanalista, come la depressione diffusa, la mania, l'eccitazione non diretta, perdono l'intenzionalità di Brentano.;

Infine, il concernere qualcosa (nei contenuti) degli stati repressi conativi di Freud è per sua stessa ammissione differente dall'intenzionalità (nei contenuti) delle loro manifestazioni in sintomi. Ma Stephan erroneamente insiste che sono la stessa cosa.

Come io stesso ho anticipato, lo scopo comune degli ermeneuti è di costruire un capitale filosofico dalla loro erronea enfatizzazione semantica, acquisendo, per le ipotesi motivazionali psicoanalitiche, un'assoluzione dai criteri di validazione che sono applicati alle ipotesi causali nelle scienze empiriche. In breve, essi vogliono sfuggire a un resoconto critico. Per colmo dell'ironia, descrivono, disinvoltamente e in modo autoincensatorio, la loro filosofia come una "teoria critica". Tuttavia, dal momento che le interpretazioni di Freud dei cosiddetti sigificati inconsci di sintomi, sogni, e lapsus sono ovviamente offerte come ipotesi esplicative causali, anch'esse richiedono una disamina. Quindi dobbiamo proporre il seguente argomento cardine di discussione: che genere di validazione è richiesta per le ipotesi causali? E quali generi di ipotesi causali sono in discussione?

La cosa più importante da realizzare è che lo stesso contenuto di ipotesi causali prescrive quale genere di evidenza è richiesta per validarle Ed è facile dimostrare che il modo di validazione richiesto deve essere lo stesso nelle scienze umane e in quelle fisiche nonostante la chiara differenza nelle loro materie di studio.

Un'ipotesi causale del tipo incontrato in psicoanalisi asserisce che un certo fattore X è causalmente rilevante rispetto a un'occorrenza Y. Ciò significa che X fa un dato tipo di differenza rispetto all'occorrenza di Y in una data classe di riferimento C. Ma permettetemi di sottolineare che rivendicazioni di una mera rilevanza causale non presuppongono necessariamente leggi causali.

Per validare una pretesa di rilevanza causale, dobbiamo innanzitutto dividere la classe di referenza C in due sottoclassi, quella di X e quella di non X. E poi dobbiamo dimostrare che l'incidenza di Y sulla classe X è differente da quella su non X. Ma è di importanza cardinale notare che questo requisito è interamente neutrale quanto al campo di conoscenza o all'argomento di studio. Esso si applica in medicina, psicologia, fisica, sociologia e altrove. La credenza degli ermeneuti che la causalità è "posseduta" dai fisici, come se lo fosse veramente, nasce da un particolare partito ideologico.

Ahimé, questo errore è stato favorito dal pernicioso linguaggio ordinario della filosofia che si è dissolto negli anni '60. E' illustrato, ahimè, dagli scritti di Stephen Toulmin sulla psicoanalisi degli anni '50. Ma una volta che noi teniamo in giusto conto, come Freud fece (S.E. 1895, 3:135-139), la stabilita neutralità ontologica della relazione di rilevanza causale tra il mentale e il fisico, è chiaro che i motivi coscienti o inconsci di una persona non sono meno rilevanti, dal punto di vista causale, per la sua azione o comportamento di quanto non lo siano una overdose di droga per la morte di una persona e il colpo di un martello per la rottura del vetro di una finestra. Come ricordiamo, nell'opinione di Freud, le motivazioni sono una specie di causa (S.E. 1909, 10:199; 1900, 5:541-542, 560-561, e 4:81-82). Così, parlare delle nostre motivazioni come "motivi" non invalida il loro status di specie di cause.

Ma Stephen Toulmin (1954, pp.138-139) ci ha detto, contraddicendo Freud, che le spiegazioni motivazionali in psicoanalisi non si qualificano come una specie di spiegazione causale. Ed egli lo ha fatto mettendo scorrettamente in contrapposizione motivi ("reason") delle azioni e cause delle azioni attraverso un collegamento con la consuetudine del linguaggio comune (1954, p.134), che è scientificamente inadeguata. Attraverso un così discutibile collegamento con il linguaggio quotidiano, egli crede di aver stabilito che "Il (supposto) successo della psicoanalisi...avrebbe rienfatizzato l'importanza delle 'motivazioni delle azioni' opponendole alle cause delle azioni" (p.139). E, in tal modo, ritiene di avere soddisfatto la sua iniziale ipotesi che "il pensare troppo alla psicoanalisi in analogia con le scienze naturali sia fonte di problemi" (p.134). Ma, come ho già dimostrato, tutto ciò non è che un resoconto male impostato nonchè ipotetico delle concettualizzazioni di Freud.

Nel suo libro su Freud, Ricoeur (1970, pp. 359-360) avalla l'affermazione di Toulmin che le spiegazioni psicoanalitiche non sono causali, proprio in virtù del fatto che sono motivazionali. Per come Ricoeur la vedeva allora, in psicoanalisi "...una motivazione e una causa sono completamente differenti, " anzichè (considerare ndt ) che le prime sarebbero giusto una specie delle seconde. Qui bisognerebbe amettere che (fu ndt ) sotto l'influenza dell'ultimo psicoanalista di Boston Michael Sherwood (1969), (che ndt ) Ricoeur sviluppò altre idee in un suo lavoro successivo (1981, pp.262-263) e, in modo abbastanza criticabile, ripudiò l'approccio alle spiegazioni freudiane secondo la "dicotomia tra motivazioni e cause", basata sul linguaggio comune.

Come ho già sottolineato, l'assoluzione della psicoanalisi dai rigori della validazione, (che sarebbero ndt ) appropriati alle sue ipotesi causali, potrebbe servire ad autorizzare la sua non attendibilità epistemologica e a favorire scappatoie. Di conseguenza non è sorprendente che, in un incontro presso la Società di Filosofia e Psicologia di Pittsburgh, Toulmin con atteggiamento protettivo disse all'eminente psicoanalista americano Benjamin B.Rubinstein di non preoccuparsi, allorchè Rubinstein espresse pubblicamente la sua sfiducia epistemologica nei confronti della psicoanalisi. La costruzione secondo il linguaggio comune era per Rubinstein una sorta di anatema. E fu salutare che egli enfaticamente ricordasse le preoccupazioni circa le evidenze già espresse nel suo contributo a un Festschrift del 1983 indirizzato a me. Lì Rubinstein (1983, p.183) aveva scritto:

"E' la parte clinica della psicoanalisi che è veramente disturbante. E' sovraccarica di teoria ma ha solo una base ristretta di evidenza." Ho usato la teoria dell'isteria per illustrare l'arbitrarietà di una gran quantità di interpretazioni cliniche, dovuta alla mancanza di una conferma adeguata. (Ma ndt ) questa asserzione va oltre l'isteria.

Ricoeur (1970, p.358) celebrò il fallimento della teoria freudiana nel risultare accettabile come scienza naturale come una virtù, e sollecitò perfino un "contrattacco" contro i filosofi come Ernest Nagel che deploravano questo fallimento.

Cosicché vi è una divergenza di base tra gli ermeneuti e me stesso, sia sulle fonti, sia sul modo di riportare le insufficienze teoriche di Freud. In verità, io contesto che il trionfo della concezione ermeneutica dell'impresa psicoanalitica sarebbe una vittoria di Pirro e rappresenterebbe il bacio della morte per la psicoanalisi. Fortunatamente, psicoanalisti noti come Charles Brenner (1982, p.4) e Benjamin Rubinstein (1975, pp.104-105), nonché Marshall Edelson (1988, pp. 246-251), hanno completamente respinto la sterile ricostruzione ermeneutica della teoria e terapia freudiana. Gli argomenti di discussione emersi in questo dibattito vanno ben più in là della psicoanalisi. A mio avviso, la risoluzione appropriata del rapporto, tra connessioni tematiche che si riferiscono a stati mentali da una parte, e connessioni causali tra questi stati dall'altra, non solo implica una morale generale per le scienze umane, inclusa la storia, ma ha anche istruttive controparti nella biologia e perfino nella fisica. Lasciamo ora per un momento la polemica ermeneutica, per esaminare l'uso dello stesso Freud delle connessioni di significato nell'inferenza di connessioni causali. Questo esame produrrà un verdetto non favorevole circa l'accusa portata a Freud dagli ermeneuti, ma anche una critica a Freud opposta alla loro.

Dopo aver spiegato il concetto di "connessione di significato", una delle lezioni chiave che io proporrò sarà essenzialmente la seguente: le connessioni di significato tra gli stati mentali di una data persona di per sé non attestano mai un loro legame causale, perfino se queste connessioni tematiche sono molto forti.

Tipicamente, proporrò, è necessario un altro buon motivo per attestare una connessione causale. Questa percezione emergerà, credo, proprio dalla mia analisi di come Freud fallì nel suo rendiconto di relazioni, tra affinità di significato da una parte, e legami causali dall'altra. Un corollario importante di questo insuccesso sarà la mia affermazione che Freud diede molto, troppo peso esplicativo alle affinità di significato, piuttosto che troppo poco, secondo le accuse di Jaspers e di altri critici ermeneuti.

Ma quali sono le cosiddette "connessioni di significato" in questo contesto? E quali sono i loro rapporti con connessioni causali? Considererò, innanzitutto, alcune illustrazioni paradigmatiche di queste connessioni tratte dalla psicoanalisi. Tuttavia, come ho già spiegato, deploro e rinnego l'uso del termine " di significato" per caratterizzare queste connessioni, perchè è ambiguo e porta di per sé ad un uso errato. Io stesso lo uso qui solo perchè i filosofi che cito lo hanno adoperato.


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