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da La Nazione ed Il Resto del Carlino di giovedì 3 gennaio 2002

«Malati di mente ancora in gabbia»



«La salute mentale non è solo Legge 180 e dintorni: mai come oggi disegna un arco che parte dal nascituro ed arriva all'anziano. Questa è l'emergenza dei nostri giorni, anche se può far comodo continuare ad ignorarla».
Antonio Guidi, psichiatra infantile e vice ministro della Salute, anticipa le linee di intervento di una battaglia «che sarà dura e dovrà colpire in profondità».

Vuole dire che finora si è fatto poco?

«Peggio: spesso quel poco è stato fatto pure male, col risultato che non solo si segrega ancora il malato come e più di prima, ma sono state segregate anche le famiglie».

Alla luce del fallimento della riforma psichiatrica, la 180 è ancora un punto fermo?

«Certamente: non si torna indietro. Non dovranno più esistere manicomi, ma nemmeno i 'microcomi' che poi, di fatto, li hanno sostituiti attraverso interventi che si sono concentrati più sulle strutture residenziali che sui servizi territoriali. Gli ospedali psichiatrici non si contrastano con nuovi khomeinismi, ma introducendo tecniche di livello alto, scientificamente accettate, e soprattutto diffuse sul territorio. Tecniche che vedono nel ricovero l'opzione estrema, se possibile a termine e comunque di alta qualità. Salvo rare eccezioni, oggi siamo ben lontani da questo obiettivo».

Qual è stato l'errore?

«La strumentalizzazione politica: basterebbero alcuni dati per comprendere esattamente dove ci ha portato quella demagogia che a suo tempo riuscì ad agglomerare una certa cultura. Era facile e affascinante sparare contro un muro: perchè le stesse persone non si mobilitano oggi di fronte alle nuove, invisibili, gabbie che sono state create? La realtà dice che il 72% dei pazienti dimessi dalle strutture vi ritorna nel giro di un anno, alimentando il business e comunque senza riuscire a spezzare il circolo vizioso di un sistema sbagliato. Addirittura il 22% dei responsabili operativi, cioè di chi decide, non ha competenze specifiche: solo il 58% è psichiatra e l'11% psicologo. E stiamo parlando dell'emerso legale, perchè sul sommerso, sul 'privato-privato' che non riceve contributi dallo Stato e che per la maggior parte è illegale, abbiamo solo pochi dati, peraltro mai utilizzati. Spero di avere presto un quadro più completo dai Nas, che ho già attivato».

Gli elementi finora in suo possesso che realtà fotografano?

«Vergognosa: l'emergenza è sotto agli occhi di tutti, ma si fa finta di niente. Lo scandalo è che i dati disaggregati che ho raccolto, erano disponibili anche prima. Ma i ministri in carica nella XIII legislatura, evidentemente, hanno preferito non vederli. Nelle strutture residenziali che dovrebbero essere protette, il tasso di suicidi è 50 volte superiore alla media nazionale che già considera questo fenomeno una malattia sociale: lo 0,4% contro lo 0,008%. Il progetto obiettivo del precedente Osservatorio fissava al massimo 2 posti letto per 10 mila abitanti: oggi siamo già a 3, il che significa che si va nella direzione opposta della 180, cioè si spendono più soldi per le strutture che per i servizi. Poi c'è il dato dei mezzi di contenzione che tutti vogliono superare: nelle strutture dovrebbero essere solo lo 0,7%, ma nell'ultimo mese della ricerca dell'Osservatorio, il 4% dei pazienti ha subito contenzione».

Quali sono le priorità?

«Innanzitutto intervenire sulla famiglia, garantendo un aiuto economico e assistenza individualizzata laddove vi sono problemi di grave disturbo mentale. Se non è possibile, vanno create piccole case-famiglia non decontestualizzate: queste comunità, che non dovranno ospitare più di dieci persone, devono sorgere in un contesto urbano, per favorire l'inserimento e non, come oggi, l'emarginazione».

Lei ha predisposto un monitoraggio dell'esistente: con quale obiettivo?

«Questo screening non riguarda solo le strutture ma anche i bisogni. Si parte dagli elementi che già si conoscono: ho riattivato l'Osservatorio sulla salute Mentale e una apposita commissione con decreto. Ogni sei mesi, insieme alla conferenza Stato-Regioni, dovranno fornire risposte concrete. Nell'Osservatorio, in particolare, per la prima volta sono stati inseriti pediatri, psichiatri infantili e geriatri, perchè oggi dobbiamo essere all'altezza di fronteggiare le nuove patologie: dalle depressioni e più in generale al male di vivere, alla bulimia, l'anoressia, l'Alzheimer. Poi non si fa nulla per la prevenzione: se 30 anni fa si stigmatizzava il bimbo che giocava con una pistola a tappi, oggi non ci si chiede che adulti saranno quegli adolescenti che, con un videogioco tridimensionale, imparano a mettere in scena un omicidio. Ogni anno raddoppia l'uso degli psicofarmaci: vengono somministrati anche ai bambini per frenarne l'irrequietezza. Non so dove andremo a finire. So solo che, sullo sfondo della disgregazione della famiglia, stiamo vivendo l'emergenza più grave di sempre».

L'Italia è il Paese che invecchia di più al mondo: cosa è stato fatto per la salute mentale degli anziani?

«Io ho attivato un tavolo di esperti, a sei mesi, sull'Alzheimer e proposto la figura del geriatra di base, elemento fra l'altro compreso tra i dieci obiettivi del ministro Sirchia. Se l'attenzione verso l'infanzia esiste da tempo, l'emergenza anziani ci ha colto quasi all'improvviso. Di conseguenza abbiamo sempre meno bambini e pediatri riconosciuti e sempe più anziani. Ed è francamente inaccettabile che il geriatra, nel sistema sanitario, continui ad essere considerato la ruota di scorta».

Il 5% del bilancio regionale per la salute mentale è traguardo raggiungibile?

«I fondi ci sono e non possono costituire un problema. Caso mai, si spende troppo e male. Nel dibattito con la conferenza Stato-Regioni stiamo affrontando proprio questo aspetto: gli interventi non possono essere indifferenziati, ma qualificati. Io vorrei che quel 5% diventasse un 6, interessando anche infanzia e anziani».

Nel 2000 la vendita di psicofarmaci ha superato i 1000 miliardi...

«Si parla sempre e giustamente dell'emergenza droghe, ma si tace sull'emergenza psicofarmaci che, quantomeno, è altrettanto devastante. Questa è una società che globalizza tutto tranne il dolore. Ma la logica delle nuove sbarre, del rendere indifferenziato quello che è diverso da caso a caso, della diagnosi ad ogni costo e delle patologie orizzontali, impone soprattutto a noi, operatori, un profondo esame di coscienza».


di Lorenzo Sani

Rubrica realizzata in collaborazione con

Associazione Laura Saiani Consolati - BRESCIA
http://www.psichiatriabrescia.it

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