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La scuola della memoria.

L'utilizzo delle tecniche di ricognizione biografica nella rialfabetizzazione di adulti, sofferenti psichici, istituzionalizzati.

di

Linda Alfano Docente del Corso

Francesca Romana Scaletti Docente del Corso

Rossella Valdré Direttore Tecnico Comunità "Skipper"

Scuro

Nero

Il mare

Che si muove anche di notte

Ha cullato il mio cuore

Per la vita

(P.B., 54 anni, ospite dello "Skipper)

Con la collaborazione di Maria Cerminara, Educatrice dello "Skipper"

 

L'esperienza dello "Skipper".

Presupposti teorici

Metodologia d'intervento

Dal diario di scuola

Obiettivi e riflessioni

 

 

Questo lavoro intende presentare una peculiare esperienza riabilitativa: un corso di scuola elementare all'interno di una struttura comunitaria per pazienti ex OO.PP.

E' infatti ufficialmente operativa dal Novembre '98, nella Comunità "Skipper" di Masone (Genova), una sezione di scuola elementare – sede distaccata del Circolo Didattico di Genova-Voltri – allo scopo di promuovere la rialfabetizzazione di base di alcuni dei pazienti ospiti della Comunità.

Il corso si articola in tre giornate settimanali ed è condotto da due insegnati che operano in presenza simultanea su un'utenza di circa dieci iscritti (questi dati si riferiscono allo scorso anno scolastico).

La peculiarità dell'esperienza e, se vogliamo, la sua originalità, non consiste tanto nella "novità" dell'esperienza in sé (sappiamo che attività del genere non erano assenti dagli ospedali psichiatrici negli ultimi anni, e che corsi di rialfabetizzazione per adulti sono previsti nell'ambito dei distretti didattici); ci pare che la peculiarità risieda nel contesto particolare in cui l'esperienza si è svolta e sta proseguendo.

Prima di entrare nello specifico circa le modalità tecniche con cui il Corso è stato condotto, occorre collocarlo nell'intero processo del superamento dei manicomi che la legge ha decretato e che, per quanto riguarda la Provincia di Genova, ha visto un importante ruolo delle strutture intermedie, strutture, come è noto, tradizionalmente destinate ad altre utenze psichiatriche (pazienti giovani, spesso con patologia borderline, ritenuti a buona o discreta prognosi per quanto attiene il recupero sociale, eccetera).

Lo "Skipper" è una di queste strutture, aperta nel Marzo '98, destinata ad accogliere 40 pazienti definiti gravi o gravissimi (provenienti dai competenti ospedali liguri di Quarto e Cogoleto), con patologia mista psichiatrica e disabile, di età generalmente avanzata (l'età media è di 54 anni), vissuti per gran parte della loro vita, e in alcuni casi tutta la vita, in manicomio (la permanenza media in O.P. è di 32 anni), e repentinamente ‘dismesssi' nei primi mesi del '98.

Il cosiddetto "residuo" manicomiale. Caratteristica piu' saliente del "residuo", dal punto di vista clinico, ma potremmo dire anche esistenziale, e comune sia agli psichici che ai disabili, è l'estrema compromissione di tutte le competenze di cui l'essere umano dispone.

La residualità va pertanto qui intesa in senso lato: se è vero che la maggior parte delle diagnosi si designano come ‘schizofrenie residue', il concetto non si può restringere nel qualificare un tipo di sindrome schizofrenica piuttosto che un'altra, e neppure nell'indicare l'esito deteriorato e relativamente aspecifico di tutte le forme di schizofrenia, ma implica nel nostro caso un concetto più vasto, che va dalla progressiva perdita e atrofia delle funzioni più elementari della vita biologica (come il mangiare, il controllo sfinterico) fino a quelle più complesse della vita di relazione (come il linguaggio, l'espressione emozionale, la capacità di apprendere, la capacità di responsabilizzarsi su un compito). Tra queste ultime, anche la capacità di leggere e scrivere.

Lo "Skipper" si è trovato dunque di fronte ad un compito difficile: doversi occupare di pazienti non solo e non tanto così gravi, ma così gravosi sul piano assistenziale, e restare, anzi diventare una Comunità Terapeutica, com'era nel nostro spirito, nella nostra formazione e nelle nostre premesse. Armonizzare, far lavorare insieme queste due esigenze (da un lato l'accudimento di base a persone così regredite, dall'altro quell'attenzione relazionale e riabilitativa che scaturiscono dal lavoro gruppale ) si è rivelato, a mio parere, il compito che definisce e qualifica, più di ogni altro, una Comunità terapeutica adattata a pazienti ex OO.PP. ( e forse a pazienti cronici in generale).

E' dalla tensione dinamica tra questi due poli solo apparentemente antitetici – accudimento e riabilitazione - dal prevalere ora dell'uno ora dell'altro a seconda del caso e del momento, che viene tessuta la trama di un lavoro comunitario orientato alla cronicità residuale.

Se ora torniamo alla premessa iniziale, comprendiamo che ogni attività riabilitativa, compresa la scolarizzazione, va inserita in questo contesto teorico di riferimento, per potersi definire come un'esperienza utile e mirata. La scuola, fra tutte, è stata scelta come oggetto di questo contributo perché in qualche modo esemplifica l'insieme dei nostri sforzi: si tratta di un lavoro complesso e articolato, condotto in un setting specifico da personale esterno alla Comunità ma collegato al resto del gruppo di lavoro attraverso la costante funzione di mediazione, filtro e connettivo garantita dalla presenza di operatori interni, in questo caso un educatore, che si pongano come ponte ed interfaccia.

Occorre evitare il pericolo, non raro in questi casi, che l'attività, soprattutto quando affidata ad esterni, venga sì condotta correttamente dal punto di vista tecnico, ma resti un'isola scollegata e solitaria rispetto alla vita complessiva della Comunità, che finisce per non conoscere e quindi non appropriarsi, paradossalmente, proprio di quegli strumenti che essa stessa si è data.

Si tratta quindi di un lavoro "adattato", come detto prima, alla tipologia particolare d'utenza, reso usufruibile attraverso modifiche tecniche, come vedremo, a pazienti usualmente poco raggiungibili. In ultimo, da un punto di vista istituzionale, si è potuto realizzare l'incontro di due istituzioni – la scuola, rappresentata nel Provveditorato agli Studi e la Comunità Terapeutica – e quindi di due culture, tradizionalmente non abituate a conoscersi e a confrontarsi. Accade a volte negli ambiti terapeutici che strumenti di lavoro diversi, ma applicati coerentemente allo stesso oggetto, producano risorse creative del tutto insperate.

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