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GiovanniM. Ruggiero*, Nicolò Ferrari*, Wolfgang Hannöver°, MarioMantero*, Raffaele Papa*  
Ildibattito transculturale nel campo dei disturbi del comportamento alimentare** 

* ClinicaPsichiatrica II,  Unita' Disturbi Alimentari,  OspedaleMaggiore IRCCS, Università di Milano 
°Center for Psychoterapy Research, Stuttgard  

**(Questo lavoro è stato promosso dal Centrodi Ricerca sulla Psicoterapia di Stoccarda e dal Maudsley PsychiatricInstitute di Londra e nasce sotto il patrocinio della ComunitàEuropea, essendo stato riconosciuto nel 1994 come Azione B6 "The PsychotherapeuticTreatment of Eating Disorder" della commissione europea COST - Cooperationeuropéenne Scientique et Tecnique). 
 
 

 

Al contrariodi quel che si potrebbe credere, l'analisi da un punto di vista transculturaledella psicopatologia dei disturbi alimentari è iniziata molto tempodopo la loro scoperta da parte della psichiatria. L'opera che inizia questofilone di studi è quella di Gordon, il cui testo è statopubblicato in italiano da Raffaello Cortina nel 1991. 
Con Gordoninizia l'identificazione fortunata tra disturbi del comportamento alimentaree società occidentale, o società consumistica o industrializzatache dir si voglia.  
Gordon applica,per la prima volta, il concetto di disturboetnico a una patologia diffusa soprattutto nel mondo occidentale, eteorizza un legame sostanziale tra questi disturbi e la struttura dellasocietà occidentale.  
Egli utilizzala definizione di 'disturbo etnico' di Devereux (Gordon, op. cit., pp.7-8). Un disturbo si definisce  'etnico' quando: 

  • il disturbo siverifica di frequente nella cultura in questione, rispetto ad altri tipidi patologia psichiatrica; 
  • esiste una continuitàtra i sintomi del disturbo e gli elementi 'normali' della cultura; 
  • il disturbo èl'espressione, intensa e patologica, di forme precliniche;
  • i sintomi nonsono solo la caricatura di atteggiamenti normali e ricorrenti di una certacultura, ma includono spesso comportamenti che, in diversi contesti, sonogiudicati altamente positivi;
  • il disturbo èfortemente strutturato in un profilo di devianza che dà la possibilità,al soggetto disturbato, di comportarsi in maniera deviante e al tempo stessodi rimanere all'interno dei confini del 'socialmente accettato';
  • il disturbo,essendo al tempo stesso devianza e caricatura di comportamenti accettatied incoraggiati, genera risposte ambivalenti.
Come si vede,questi punti sono perfettamente applicabili all'anoressia. Per la primavolta un disturbo etnico non è più la psichiatria deglialtri, dei non-occidentali.  
Gli esotici,quelli che hanno un disturbo strano e soltanto loro, stavolta, siamo noi. 
In seguitoaltre opere hanno approfondito il dibattito.  

Mervat Nasser(1997) introduce il tema del vissuto corporeo nelle società non-occidentali,e contesta l'opposizione troppo semplicistica tra occidentale/non-occidentale.Riporta una serie di dati sull'immagine corporea nei paesi non-occidentali(vedi paragrafo sull'immagine corporea), ma alla fine anche la sua operatermina con una forte identificazione tra disturbi alimentari ed economiadi mercato, concettualizata come un vero e proprio fattore di rischio (op.cit., p. 98). 
Sono i duearticoli di DiNicola (1990), che cominciano a impostare il problema conuna metodologia corretta. DiNicola comincia con il prendere atto che anchein società non industrializzate sono presenti fenomeni di 'food-refusal'di livello patologico. E' questa la cosiddetta anoressia multiforme, dadistinguersi però da quella clinica vera e propria. Come distinguerla,però, a leggere lo scritto di DiNicola non è molto chiaro.A volte sembra che l'approccio clinico dipenda dal 'contesto culturale',per cui non mangiare a New York nel corrente secolo è patologico;non farlo invece nell'umbria medievale, o in Cina, ha invece un diversosignificato (nel caso dell'Umbria, un significato 'sacro'). Il ragionamentoè affascinante, ma non ha conseguenze sul piano della clinica enon è operazionalizzabile per la ricerca. Il problema, infatti,più che santa Caterina da Siena, riguarda le anoressiche cinesi:sono pazienti psichiatriche o no? 

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CULTURAE PSICOPATOLOGIA ALIMENTARE: LA PAURA DI INGRASSARE 

Il problemasi risolve analizzando i sintomi cognitivi dell'anoressia, che sono lapaura di ingrassare -fear of fatness- (criterio B dell'anoressia nervosanel DSM-IV) e l'insoddisfazione verso il proprio corpo - body dissatisfaction-, o disturbo dell'immagine corporea - body image disturbance -(criteri C dell'anoressia e D della bulimia nervose nel DSM-IV).  Due posizioni teorico-cliniche sono possibili. La prima, affermata da Habermas(1996), sostiene che sono questi tratti cognitivi, tipici delle pazientioccidentali, che caratterizzano la patologia. In particolare Habermas riconoscela paura di ingrassare come organisative core dell'anoressia. Laseconda posizione considera invece il rifiuto del cibo - food refusal- il vero cuore del disturbo, mentre la paura della grassezza èsolamente la spiegazione consapevole e razionale che affiora alla superficiedella coscienza della anoressica occidentale. Il rifiuto del cibo costituirebbeun mezzo universale per esprimere  "una profonda sofferenza, (....)e disagio per le ostilità interfamiliari e  mezzo per salvare il potere interpersonale in differenti contesti come: lo sviluppodell'identità,  le eccessive pressioni delle prove della vita, i conflitti tra i genitori..." (Lee, 1993, p. 298). 
Hsu &Lee (1993) e Katzmann & Lee (1997) hanno appoggiato questa ultima ipotesi,sulla base di due argomenti. Prima di tutto il timore di ingrassare nonè un elemento psicopatologico ritrovabile nella letteratura precedentegli anni '60 che si è occupata della fenomenologia dei disturbialimentari. Inoltre la paura di ingrassare non è un carattere costantementepresente tra i casi di disturbi alimentari in paesi non occidentali.  
L'articoloda leggere è, a questo proposito, quello di Lee, Ho & Hsu (1993).In uno studio su 70 anoressiche diagnosticate e curate ad Hong Kong, itre studiosi ebbero grosse difficoltà nell'applicare il set diagnostico'occidentale' del DSM-IV. Infatti solo la metà (anzi un po' meno)delle pazienti anoressiche giustificava il proprio rifiuto del cibo conla paura di ingrassare. Le rimanenti, invece, riportavano, come ragionedel rifiuto del cibo, problemi quali gonfiore di stomaco, perdita dell'appetito,assenza di fame, disgusto per il cibo, nodo alla gola o semplicemente dicendo"non lo so". Per queste ragioni Lee (1993, p. 300) ha proposto un set diagnosticotransculturale, nel quale il paziente possa giustificare l'insufficientealimentazione non solo esprimendo il timore di ingrassare, ma anche esprimendole lamentele di cui sopra. 

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ILDISTURBO DELL'IMMAGINE CORPOREA 

Il disturbodell'immagine corporea è un concetto più confuso rispettoalla paura di ingrassare. Heinberg (1996) ha pubblicato una esaustiva rassegnadelle teorie dell'immagine corporea nell'ambito dei disturbi alimentari.Negli anni '70 e '80 si ipotizzava che la sovrastima dell'immagine corporeaderivasse da un disturbo percettivo. Nel 1991 Hsu & Sobkiewicz, inuna rassegna di 18 studi sperimentali, hanno criticato questa teoria, sostenendoche il supposto disturbo percettivo non potesse essere considerato elementopatognomonico dei disturbi alimentari, e, quando presente, è influenzatoda molti altri fattori indipendenti dai disturbi alimentari. Attualmenteil disturbo dell'immagine corporea nei disturbi alimentari viene ricondottoad una svalutazione o insoddisfazione verso il proprio corpo. L'insoddisfazionecorporea è un concetto clinico maggiormente affidabile, essendocomune tra i pazienti con disturbi alimentari. Tuttavia è statodimostrato che l'insoddisfazione corporea è presente anche nellamaggioranza delle ragazze non-cliniche (Altabe & Thompson, 1994; Cash,Winstead & Janda, 1986; Cattarin & Thompson, 1994; Hsu & Sobkiewicz,1991; Rodin, Silberstein & Striegel-Moore, 1985; Touyz & Beumont,1987). 

CULTURA,NATURA E SODDISFAZIONE VERSO L'ASPETTO CORPOREO 

Vediamo orail rapporto tra il disturbo dell'immagine corporea, ridotta ad insoddisfazioneverso il corpo, e lo sfuggente concetto di cultura. Già CharlesDarwin (1874) aveva osservato che gli uomini vengono attratti dalle donnesecondo criteri diversi nelle differenti culture, senza, cioè, ununiversale e rigido standard di bellezza. Più di recente April Fallon(1990) ha rilevato che natura e cultura vengono spesso considerati fattorideterminanti nel giudizio della bellezza. La natura, cioè il fattorebiologico, potrebbe indurre l'uomo a preferire un tipo di bellezza femminileche faccia apparire la donna più adatta a compiti quali alla riproduzione,alla raccolta del cibo e all'allevamento della prole. Questa teoria proponequindi l'esistenza di un valore universale di bellezza basato su qualitàquali giovinezza e salute. Al contrario l'ipotesi culturale sostiene cheanche l'organizzazione, il grado di sviluppo e i particolari obiettividi una data società e in un determinato momento storico possanogiocare un ruolo fondamentale nella costruzione di un modello di bellezzaideale. Così nelle società povere al limite della sopravvivenzale donne robuste hanno il massimo sex-appeal (Ford & Beach, 1951) ecostituiscono uno status symbol (Rudofsky, 1972). Invece nelle societàche godono di uno sviluppo economico, sebbene l'obesità sia dominantetra le classi agiate (Sobal & Stunkard, 1987), accade che l'affermarsi,il consolidarsi e il diffondersi del benessere alla lunga induca un atteggiamentodi ambivalenza nei confronti del sovrappeso (Fallon, 1990, pp. 95). Infinenel mondo massmediologico occidentale l'ideale di bellezza diventa unafigura tubolare di donna (Garner, Garfinkel, Schwartz & Thompson, 1980;Wiseman, Gray, Mosimann & Ahren, 1992). Le osservazioni di Rudofskysulle società all'inizio dello sviluppo economico vengono quindiribaltate e la donna magra diviene lo status symbol in questo genere disocietà. 
  
INSODDISFAZIONECORPOREA IN PAESI OCCIDENTALI E NON OCCIDENTALI 

Nella letteraturascientifica non è facile reperire articoli che si siano occupatidelle differenze tra l'insoddisfazione corporea nei paesi occidentali enei paesi non-occidentali. Furnham & Alibhai (1983), utilizzando untest visivo con figure stilizzate di donne, osservarono le diverse sceltedi figura ideale e di figura 'da evitare' in un campione di ragazze kenianeinglesi, in un campione di ragazze keniane asiatiche e in un campione diragazze inglesi autoctone. Le ragazze inglesi giudicavano le figure obesepiù negativamente rispetto alle keniane inglesi e queste ultimeavevano un giudizio più negativo delle figure obese rispetto alleasiatiche. Ma queste disparità scomparivano quando veniva presain considerazione la figura ideale: tutte valutavano più attraentile figure magre. Dieci anni dopo Furnham & Baguma (1994) ripeteronoquesto tipo di studio confrontando studenti inglesi ed ugandesi di entrambii sessi. Questa volta gli inglesi valutavano le figure più magrepiù attraenti e le grasse meno attraenti rispetto al campione diugandesi. Fallon, Rozin, Gogineni & Deasi (1990, citato in Fallon,1990, pp. 96) fecero un raffronto tra donne indiane e americane basatosulla discrepanza tra figura attuale e figura ideale; si rilevòche nelle indiane vi era una sostanziale sovrapposizione tra la figuravalutata come simile alla loro figura reale e la figura ritenuta ideale,mentre nelle americane vi era una discrepanza significativa tra 'ideale'e 'reale'. 
Ma altristudi, in particolare quelli che confrontano sottopopolazioni di diverseorigini etniche, giungono a conclusioni che sembrano in contraddizionecon i risultati dei lavori fin qui esposti, avanzando l'ipotesi che l'idealetubolare di bellezza femminile possa permeare anche altre culture oltrequella occidentale. Ciò si evince dall'osservazione che le nereamericane sembrerebbero essere insoddisfatte del loro corpo tanto quantole bianche americane (Strauss e colleghi, 1994), e che le ragazze australianeemigrate dall'Est Europa rifiutano il sovrappeso tanto quanto le ragazzeanglo-australiane (Worsley, 1981). 
Un altrostudio transculturale interessante fu quello di Goldblatt e i suoi colleghi(1965), i quali osservarono che le donne italo-americane risultavano piùobese delle anglo-americane, e allo stesso modo le cecoslovacco-americaneerano più obese rispetto alle polacco-americane. Gli autori ipotizzaronoche le polacche fossero più 'americanizzate' delle ceche; ma sipuò anche supporre che le culture non siano solo classificabiliin base alla loro maggiore o minore vicinanza al modello occidentale chetende alla bellezza tubolare. Come abbiamo già riportato, la magrezzapotrebbe essere desiderata anche da altre culture, sebbene non venga necessariamenteassociata alla bellezza. E' il caso dei santi digiunanti medioevali delMedioevo. 

CONCLUSIONI:IPOTESI DI RICERCA FUTURA 

La ricercafutura dovrebbe investigare se i criteri transculturali di Lee (1993, p.300) sono presenti o meno nei pazienti occidentali con disturbi alimentarinei quali la fobia del peso è già stata accertata. Lee infattinon ha mai negato la presenza della fobia del peso nelle anoressiche occidentali.La ricerca futura dovrebbe accertare se le pazienti occidentali affetteda disturbi alimentari apportano come giustificazione del loro rifiutodel cibo non solo la paura di ingrassare, ma anche  altre lametelecome gonfiore alla pancia, perdita dell'appetito, assenza di fame, digustoverso il cibo o semplicemente "non lo so", cioè i criteri transculturalidi Lee. Naturalmente solo un risultato negativo confermerebbe definitivamentel'ipotesi di Habermas, che solo la presenza della paura di ingrassare fal'anoressia. 
Tutto questopone in campo il problema centrale della relazione reciproca tra foodrefusal e fear of fatness. E' ragionevole pensare che l'ipotesidi Lee, considerando il rifiuto del cibo come il reale cuore clinico deldisturbo, ha come corollario che la fobia del peso, se presente, èuna razionalizzazione della paziente (occidentale). Sarebbe molto difficiledimostrare sperimentalmente una tale ipotesi. Comunque potrebbe esserepossibile ponendo due premesse teoriche. La prima premessa afferma che,come descritto da Lee, il rifiuto del cibo è un'espressione comportamentaledi un certa condizione psichica, la quale è 'non-verbale' e 'transmodale'(quindi al tempo stesso sensoria, somatica e motoria e percepita dallaconoscenza come una 'emozione'. Non quindi fobia del peso bensìinvece il prodotto cosciente di un pensiero verbale e definitorio, organizzatosecondo principi logico-gerarchici, con in più una modalitàrigida e resistente alla critica tipica della condizione psicopatologica.E' questa la cornice teoretica della teoria del doppio codice diPaivio (1971, 1986) e Bucci (1985). Così i pazienti che privilegianoil codice verbale e logico-gerarchico avrebbero la necessità dispiegare il loro disturbo alimentare in termini di paura di ingrassare.I pazienti che privilegiano il codice transmodale ed emozionale vivrebberoin presa diretta le loro emozioni, nella loro natura viscerale di abdominalbloating, che è una pura emozione di disagio ed ansia profonda,legata ai cosiddetti fattori predisponenti dell'anoressia, come ad esempioil ben noto 'stile confrontazionale' della famiglia anoressica. Questosecondo tipo di pazienti non sente la necessità di esprimere verbalmentee di spiegare la propria emozione-sensazione viscerale, ma ne vive drammaticamentel'inesplicabilità. 
Questa ipotesipotrebbe essere infine descritta in termini transculturali, permettendocifinalmente di approdare ad una definzione meno sfuggente e più operazionaledi cultura come fattore di rischio dell'anoressia. Come teorizzato da PeterDenny (1991) una teoria trans-culturale della cognizione può esserecostruita esplorando gli effetti dell'alfabetizzazione sullo stile cognitivo.Essi sono, secondo Peter Denny, decontestualizzazione e differenziazione."Decontestualizzare è maneggiare l'informazione disconnettendoladal suo sfondo. Per esempio, quando insegnamo ai bambini le figure astratte,il cerchio, il triangolo, noi presentiamo loo disegni in cui la forma astrattanon connessa con alcun oggetto o altra qualità dello sfondo. (...)Differenziare significa fare distinzioni all'interno di una unitàdi pensiero, mentre contestualizzare significa fare connessioni tra unitàdi pensiero" (Peter Denny, 1991, p. 66). Il testo prosegue spiegando comela decontestualizzazione sia una operazione cognitiva tipica delle societàindustrializzate occidentali, che le separa dalle strutture cognitive dellesocietà degli agricoltori e dei raccoglitori-cacciatori. 
Non ècerto eccessivamente audace pensare che il timore di ingrassare èuna tipica operazione di pensiero decontestualizzante, laddove il semplicerifiuto del cibo è un comportamento contestualizzato in quella condizionedi dolore, ostilità e conflitto di cui parlano Hsu, Lee e Katzmana più riprese. Questa ipotesi è, a nostro modo di vedere,ricca di conseguenze sia cliniche che sperimentali. 

Concludiamocon un'agenda di ricerca cognitivo-culturale. 
Stabiliredefinitivamente se i disturbi alimentari sono possibili senza il timoredi ingrassare. 
Indagarese le giustificazioni somatico-emozionali del rifiuto del cibo ritrovateda Lee nelle anoressiche cinesi sono riscontrabili anche nelle anoressicheoccidentali. 
Esplorareed approfondire le analogie tra le coppie rifiuto del cibo-paura di ingrassare,codice verbale-emozionale, stile cognitivo-culturale contestualizzante-decontestualizzante. 
 

BIBLIOGRAFIA 

testi disponibiliin italiano: 
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Altri testi: 
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