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Sunset Boulevard (Billy Wilder 1950)

di Marcella Senini, Giacomo Bergamino

Billy Wilder mette in scena, sullo sfondo di una Holliwood degli anni ’50, la storia di un declino inarrestabile.

La protagonista, Norma Desmond, è stata una stella del film muto, una donna ormai non più giovane, con una struttura di personalità istrionica, dipendente e narcisistica, che da vent’anni vive insieme al maggiordomo, in una sorta di folie a déux, la speranza disattesa di tornare alla vecchia gloria.

Vive chiusa in una vecchia villa di lusso lasciata da anni al completo degrado, all’interno il tempo sembra essersi fermato, foto e oggetti appartenenti ad un fasto ormai trascorso sono immersi in un’atmosfera di immobilità mortifera e conservati come nell’attesa di essere riattualizzati.

Per un attimo tutto sembra riprendere vita quando compare Joe Gills un giovane sceneggiatore sull’orlo della banca rotta, che accetta di stare accanto a Norma esclusivamente per motivi economici.

Tra i due si crea un rapporto morboso, soffocante e di estrema dipendenza, un vampirismo reciproco dominato da regole narcisistiche che impediscono di fatto la realizzazione del singolo, portando inesorabilmente ad un epilogo mortifero

Il film ruota intorno ai temi centrali della nostalgia e dell’illusione di un’eterna giovinezza e di recuperare il passato quando in realtà mancano gli strumenti e vie percorribili .

Il nostalgico desiderio di Norma di ricalcare le scene ricorda la necessità del bambino di essere ammirato dalla madre, di rispecchiarsi nei suoi occhi.

Bisogno che se disatteso crea una frustrazione talvolta intollerabile, inducendo ad una continua e inappagabile, in quanto anacronistica, ricerca di soddisfazione

Fino alla psicosi nella quale si esplicita l’impossibilità di accettare una realtà che limita la realizzazione di desideri inconsci di fusione con l’oggetto investito in modo ambivalente.

L’atmosfera del film è dominata in ogni particolare e ogni rapporto umano da questo disperato tentativo di annullare l’ineluttabilità del tempo che passa, dalla patologica incapacità ad accettare il cambiamento che tenta di essere scongiurato attraverso meccanismi di diniego e scissione.

Un desiderio irrealizzabile ma al contempo irriunciabile; unica difesa da una realtà inaccettabile è una psicotica presa di distanza dalla stessa.

Si tratta di un film denso di contenuti tragici che mette in scena la caducità della vita. L’amara constatazione dell’impossibilità di arrestare il tempo, restando ancorati ad un passato non più raggiungibile quando l’unica via percorribile resta quella del "tramonto".

La pellicola termina con la rappresentazione di un’aspra lite, una ferita narcisistica insanabile che porta all’omicidio e alla successiva crisi dissociativa che culmina con la psicosi franca e nell’ultima tragica recita.

Il cadavere nell’acqua della piscina, che compare all’inizio e alla fine del film, pare quasi simbolizzare la drammaticità illusoria di poter ripercorrere il tempo a ritroso, di un ritorno al ventre materno e ad una fusione che risultano in ogni caso incompatibili con la vita.

COLLABORAZIONI

Il tema del rapporto tra Cinema e psiche è molto intrigante sia sul versante specifico della rappresentazione sia sul versante della interpretazione dell'arte cinematografica. Come redazione anche alla luce della sempre maggiore concentrazione dei media saremmo lieti che questa sezione si sviluppasse in maniera significativa e in questa logica contiamo sulla collaborazione dei lettori da cui ci aspettiamo suggerimenti ma soprattutto collaborazione.

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