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Jean Starobinski, Azione e reazione. Storia di una coppia, Seuil, Paris 2000; tr. it. Einaudi, Torino 2001

 

L’impresa dell’ultimo libro di Jean Starobinski si svolge tutta nel segno dell’espressione di Balzac con cui si inaugura: "Quale bel libro non si potrebbe scrivere raccontando la vita e le avventure di una parola? E ciò è vero di ogni parola", prosegue Balzac. "Ciascuna è impregnata di un vivo potere che le deriva dall’animo, e che restituisce, a sua volta, nel mistero di una meravigliosa azione e reazione tra parola e pensiero".

Naturalmente, il bel libro in questione è quello che Starobinski offre ai suoi lettori con un gesto a sua volta, e doppiamente, balzachiano. Primo, perché l’oggetto di questo magistrale cammino di storia della lingua e, insieme, di genealogia delle idee è esattamente quello della coppia terminologica "azione/reazione". Secondo, perché il metodo di questo stupefacente tour de force di erudizione è, di nuovo, quello dell’azione e della reazione: del paziente studio del reciproco influsso tra quelle parole/concetto e la vasta, sfrangiata famiglia dei sistemi di pensiero, delle pratiche letterarie, scientifiche, tecniche, e degli usi sociali che a quella coppia si sono intrecciati volta per volta, ora qui ora là, secolo dopo secolo.

Quali rapporti di simpatia legano le une alle altre le parti del cosmo? Quali legami avvicinano ed oppongono, in chimica, elemento a elemento? Quali nessi rivivono tra il colpo della stecca e il tragitto della palla da biliardo? Tra l’intenzione e il gesto? Tra l’evento biografico e l’esperienza di una vita, di una nevrosi, di una psicosi? Dalla fisica degli stoici a quella degli aristotelici di Cambridge, dalla metafisica di Kant alla fisiologia di Bichat, dalla psicopatologia di Freud o di Jaspers alla morale di Constant o di Nietzsche, e ancora dalle suggestioni spinoziane di Goethe alle speculazioni cosmologiche di Poe e di Valéry, il labirinto s’infittisce, si dirada, si dirama…

Come un malinconico minotauro, Starobinski regna sul dedalo di parole e di idee, di parole e di cose, di ipotesi e di strumenti, di azioni e reazioni che ha suscitato, pagina dopo pagina, implacabilmente. Che cosa contempla, ora, in questo libro a cui ha lavorato per più di dieci anni? Per un verso l’illustrazione apodittica, definitiva, di un’idea che il secolo appena trascorso ha svolto con l’esattezza e la metodicità dell’ossessione: la vita della lingua è la vita del pensiero, la vita del pensiero è la vita delle pratiche e dei mondi che noi abitiamo, frequentiamo, trasformiamo (e che ci abitano, ci frequentano, ci trasformano). Per altro verso la sofferta testimonianza del fatto che la vita della lingua e del pensiero, la vita delle pratiche e del mondo, è anche e sempre divisa in se stessa, inquieta, spezzata. Le parole — anche le parole "azione" e "reazione" — sono le articolazioni in cui una lingua o un pensiero o una pratica lasciano trasparire, nella loro indissociabile coincidenza, un’altrettanto essenziale dissociazione.

C’è, dunque, una discrasia che ogni lingua e ogni pensiero vive in se stessa e rispetto a se stessa. C’è una dissidenza latente, forse silenziosa, certo inesauribile e decisiva. Le stratificazioni che Starobinski riporta alla luce rivelano, così, segmenti di una storia e di una geografia della cultura che non si distendono pacificamente sul liscio planisfero o sul grigio nastro di un’astratta successione, di una felice progressione. Quelle stratificazioni coesistono e si sovrappongono. Scompaiono e ricompaiono, s’intrecciano e si sfaldano secondo piani d’attualità, livelli di presenza, linee di forza screziate, irregolari, iridescenti. È in quel gioco vivo e amaro che si decide di noi e delle nostre parole, di noi e del nostro mondo, di noi e di ciò che facciamo di noi, di noi e di ciò che in noi "si fa" di noi. Oggi siamo forse un passo più vicini, o un passo meno lontani, rispetto a quella meta infinitamente remota e urgente, in un tempo di crisi, che consiste nel chiedersi come si diviene, o come si è divenuti, ciò che si è.

Federico Leoni

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