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titolo ELZEVIRO

Lo psichiatra e la legge
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La società contemporanea è totalmente sotto il dominio delle leggi. Quando ci si alza al mattino e si dà un'occhiata ai quotidiani si trovano una quantità di notizie su liti, processi, sentenze e nuove leggi. Gran parte della vita della nazione si svolge nella aule di giustizia e i giudici hanno assunto un ruolo importante nella vita pubblica. Le cause sono considerate un'arma per ottenere ciò che non è stato ottenuto in Parlamento o nella legislatura. Un esempio celebre è la guerra del tabacco negli Stati Uniti d'America, che viene condotta da otto Pubblici Ministeri contro le compagnie di manifattura tabacchi.

Stefano Rodotà denominò questo andamento come "legalizzazione" della società. Il diritto ha sostituito la sicurezza morale e solo il diritto può distinguere il bene dal male. Parlerò qui delle leggi, non del diritto. Nelle società democratiche il sistema delle leggi nasca da un compromesso tra gli interessi della maggioranza e della minoranza. Da questo punto di vista il diritto non può essere fatto eguale alla forza. L'essenza della democrazia è il pluralismo e la maggioranza non può utilizzare il diritto come un mezzo per abusare la minoranza. L'arte della democrazia consiste in un compromesso tra gli interessi della maggioranza e quelli della minoranza. Un'arte che è sottile e perspicace e che quando non è applicata conduce alla "tirannia della maggioranza", un brutto segno che la democrazia sta marcendo. Alexis de Tocqueville scrisse delle pagine splendide sulla "tirannia della maggioranza". Ma ciò accadde centotrenta anni fa e non è facilmente applicabile ai tempi attuali. Il compromesso - sottolinea Rodotà - non deve essere inteso come pasticcio o consociativismo. Il compromesso è un principio bilanciato ed autoregolato di maturità e giustizia sociale. I diritti civili sono attualmente il punto più importante del dibattito politico. Non a caso Norberto Nobbio intitolò uno dei suoi ultimi libri "L'età dei diritti" (Torino, 1990). Ciò che avviene attualmente nelle aule dei tribunali è una lotta sociale ed una trasformazione della società. Nel bel mezzo di questa lotta di classe lo psichiatra è sempre più esposto alle trappole dell'aula giudiziaria. Vi sono già abbastanza insidie e tranelli in psichiatria, dove le idee e le opinioni possono variare. In aggiunta a queste difficoltà, comuni e correlate al lavoro, è cresciuto, negli ultimi anni il numero dei procedimenti in cui sono coinvolti degli psichiatri. Lo psichiatra è chiamato frequentemente nei Tribunali : come testimone, come perito, come accusato. Non è facile per lo psichiatra capire e percepire a fondo l'andamento tortuoso della legge. La diagnosi psichiatrica viene effettuata con una accurata valutazione di ogni dato che può richiedere parecchie settimane. Per capire l'iter diagnostico , le sue difficoltà e le sue manchevolezze è necessario padroneggiare la materia. In maniera analoga durante un processo è estremamente difficile per un non addetto ai lavori ( e lo psichiatra è anch'egli un profano) rendersi conto degli scopi dei giudici e degli avvocati ed essere all'altezza di sostenere le molte e diverse domande. Ciò discende anche dall'intrinseca difficoltà di spiegare in termini facili a giudici, avvocati e giurati una materia così complicata come la psichiatria.

Lo psichiatra spesso non è all'altezza, nelle aule giudiziarie, di elucidare la sua posizione. Può accadere che lo psichiatra sia il capro espiatorio di contraddizioni sociali, di cui la più grave è l'inefficienza del sistema Sanitario Nazionale. Thomas Gutheil ha scritto, recentemente un manuale di sopravvivenza ("Lo psichiatra in tribunale). Non ho ancora letto questo libro dal titolo interessante, ma è importante che, nel corso dello scorso anno, siano stati pubblicati in Italia un certo numero di libri che trattano delle relazioni tra legge e psichiatria. Essi sono " "Il processo invisibile", edito da Antonio Forza (1998) , "Raccontare delitti", edito da Adolfo Francia (1999) e l'interessante , ancorché con orientamento non dialettico, serie a cura di Vittorino Andreoli ("Psichiatria e crimine").

In ognuno di questi libri vi è una particolare attenzione all'interpretazione dei vari linguaggi, il linguaggio delle legge e quello della psichiatria. Ognuno di questi linguaggi ha delle regole particolari e lo scopo degli autori è stato quello di chiarire le regole scritte e non scritte per poter stabilire una comunicazione transculturale. Le leggi necessitano di interpretazione. Vi sono più di 7.500 leggi in Italia, gran parte delle quali derivano da retroterra culturali e sociali diversi e si sono sedimentate lentamente nel corso di diversi assetti culturali. Si tratta di un labirinto anche per i giudici e gli avvocati. Perché non dovrebbe essere un labirinto anche per lo psichiatra ? Lo psichiatra, se è stato capace di districarsi dalla giungla delle diverse teorie e tendenze in psichiatria - ognuna delle quali ha una sua meta - nella aule dei Tribunali è obbligato a far fronte ad un nuovo labirinto. I risultati non sono molto apprezzabili. Sia come testimone che come perito od accusato lo psichiatra cade facilmente in contraddizione, poiché il campo delle logica giuridica non ha molti lati in comune con quello del comportamento umano. Come testimone in tribunale egli è spesso portato a riferire la sua interpretazione di ciò che è accaduto, facendo così delle testimonianze modeste e poco comprensibili. Come perito egli spesso ritiene che le teorie fondamentali della psichiatria siano conosciute, almeno, dai giudici e dagli avvocati, se non proprio dai giurati. Questa è un'idea errata in quanto giudici ed avvocati hanno spesso più pregiudizi verso la psichiatria che una informazione equilibrata e approfondita. Per cercare di spiegare le sue conclusioni sulla colpevolezza o non colpevolezza lo psichiatra dovrebbe utilizzare un linguaggio semplice, da volgarizzazione, un dono, invero, di pochi. Come accusato egli dovrebbe sapere, anzitutto, che una società vulnerabile come la nostra tende a ritenere responsabili i singoli, anziché mettere in discussione il proprio assetto. In altre parole egli dovrebbe sapere anzitutto che, nella ricerca di un capro espiatorio sarà facile che questo sia lo psichiatra, anziché la società. Nello scegliere lo psichiatra come capro espiatorio sono attive non solo delle ragioni sociali, ma anche delle motivazioni inconsce, che addossano la colpa proprio all'uomo che pretende di giudicare il valore di altri uomini.

E, in ogni caso, durante l'andamento del processo lo psichiatra incontra un'altra difficoltà : la differenza tra la parola detta e la parola scritta. Le cartelle cliniche dovrebbero contenere tutte le notizie importanti per il paziente, ma ciò accade raramente. Gran parte dell'informazione è o verbale o, comunque, non viene scritta a tutela della privacy del paziente. Spesso ciò che si trova nelle cartelle cliniche è una sorta di rapido sunto e giudizio delle condizioni psichiche del paziente, carente di qualsiasi discussione clinica differenziale che potrebbe essere d'ausilio nel puntualizzare il suo stato mentale. I giudici e gli avvocati sono abituati a lavorare sulla parola e scritta e sulle carte. Gli psichiatri sono abituati a lavorare sul materiale verbale. La differenza non è poca. La stereotipia della realtà è sottolineata dalla parola scritta, che è più facilmente traducibile in termine di codice. L'adattabilità della psichiatria al codice è un grosso problema giuridico. Il Codice italiano, sebbene sia stato ampiamente corretto, rimane ancora il Codice Rocco del 1930, mentre gran parte dei Codici Penali d'Europa sono stati riscritti negli ultimi trent'anni (Spagna, 1963; Germania, 1968; Francia, 1981; Grecia, 1985). La legge inglese che si basa sulla "common law" non è paragonabile alla nostra e si dimostra più agile rispetto ai casi psichiatrici. Lo psichiatra inglese od americano, tuttavia, è frequente che incappi negli stessi trabocchetti in cui cadono gli psichiatri di altre lingue e culture. Capire, spiegare e guarire sono in buona sostanza antinomici alla punizione e lo psichiatra, nel sistema legale, viene percepito come un corpo estraneo. Da questo punto di vista lo psichiatra nell'ambito della legge può rappresentare "Il perturbante", un attributo che, fino ad ora, è stato riservato o allo psicanalista od al paziente. Non vi è da sorprendersi che nell'ex Unione Sovietica la "perturbanza" degli psichiatri sia stata rapidamente riconosciuta e che gli psichiatri venissero considerati impiegati di Stato, in analogia a quanto accadde agli psichiatri che erano attivi sotto i regimi nazista o fascista. E, pertanto, non ci si deve sorprendere che le loro diagnosi fossero adeguate a direttive politiche. Qualcosa del genere accade anche in Italia dove lo psichiatra riconosce o non riconosce la psicopatologia del paziente a seconda delle direttive politiche . Sembra attualmente che la psicopatologia debba assoggettarsi alla statistica, ai budget ed agli obiettivi politici. Da questo punto di vista la salute specifica e l'interesse del singolo è secondaria in rapporto agli interessi dello Stato. Lo psichiatra è un impiegato dello Stato, questo è evidente se guardiamo alla recente (1999) legge Bindi, e, pertanto, dovrebbe farsi carico più dello Stato che delle sue responsabilità verso il paziente. Il problema nasce se vogliamo considerare ciò che è lo Stato e se lo Stato, sia, come dovrebbe essere, la rappresentazione democratica di tutti i cittadini, maggioranze e minoranze. Lo psichiatra tratta nella maggior parte dei casi con persone che divengono in questo modo, veri e propri sudditi. Nel corpo e nello spirito.

RICORDIAMO AI LETTORI CHE I PRECEDENTI ELZEVIRI SONO RECUPERABILI NEGLI ARCHIVI DI POL.it
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