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Recenti contributi alla comprensione
dlela fase iniziale della schizofrenia

di Paolo Francesco Peloso

Riassunto

Vengono presi in esame contributi relativi all'argomento apparsi sulla letteratura internazionali negli anni 1990-1993. Rispetto all'esordio schizofrenico vengono particolarmente sottolineati i dati relativi all'età media e alla sua differenza nei due sessi, al suo rapporto coi sintomi e il decorso, alle modalità, ai sintomi prodromici, al ruolo dei "life events". Rispetto alla ricerca sui primi casi, vengono analizzati dati relativi alla prevalenza sessuale della schizofrenia, ai reperti neurobiologici, al decorso e alla prognosi.

Summary

Issues on the topics have been analized in the literature of the years 1990-1993. About the schizophrenia onset, datas related to the average age of onset, its sex difference and its relationship with symptoms and datas referred to characteristics of the onset, prodromal signs, premorbid adjustement and life events are particullarly stressed.About the first episode research, datas related to the sex prevalence, the neurobiological findings, the course and the prognosis are analized.

 

Introduzione

L'esordio della schizofrenia, rappresentato idealmente dal punto in cui viene operato il salto dalla salute alla condizione di malattia, rappresenta un tema che ha impegnato tutti gli studiosi, da Kräpelin (1893) a Bleuler (1911), a Bumke (1924), a molti altri, in parte ricordati da Giberti e Gregoretti (1958) e Bini e Bazzi (1967) e in parte successivi, che hanno sempre sottolineato la molteplicità ed aspecificità dei suoi caratteri e le difficoltà di inquadramento teorico (Giberti e Rosadini 1969). Tra gli approcci più originali, merita di esser ricordata, per motivi ormai esclusivamente storici, la associazione ipotizzata da Kretschmer tra il tipo costituzionale leptosomico e la più alta frequenza e il decorso più maligno della schizofrenia, per i vivaci dibattiti che ha suscitato (Bini e Bazzi 1967).

Il presente contributo bibliografico è stato realizzato attraverso l'analisi di una settantina di interventi apparsi negli anni 1990-1993 su riviste psichiatriche di diffusione internazionale e su monografie o trattati apparsi nel triennio.

L'esordio e il primo episodio di schizofrenia rappresentano concetti tutt'altro che univoci e chiari, e, in accordo ad alcune definizioni, come vedremo, in parte sovrapponibili.

Il primo può essere inteso:

— come il momento della comparsa dei primi segni aspecifici di disturbo (prodromi, o sintomi premonitori), evidentemente difficili da discriminare rispetto al "rumore di fondo" rappresentato dalla patologia nevrotiforme e caratteriale tipica dell'età adolescenziale, che possono essere intesi come parte integrante della malattia (Bleuler 1911) o, invece, come prodromi da essa indipendenti;

— come il momento di comparsa dei primi segni sintomatici di schizofrenia, in ritardo anche di anni rispetto ai precedenti;

— come la prima richiesta di aiuto specialistico, databile con maggior esattezza, ma evidentemente ancora più tardiva.

Il problema della definizione dell'esordio riguarda la patologia psichiatrica in genere, anche se il periodo trascorso tra prodromi e sintomi specifici è maggiore nella schizofrenia rispetto alle psicosi affettive (Beiser et al.1993); nell'ambito della schizofrenia, poi, l'esordio con sintomi negativi (70% dei casi) precede il primo contatto in media di 2-6 aa, quello con sintomi positivi di 2 aa (Häfner et al. 1993).

Il primo episodio, invece, può corrispondere, come si è verificato in occasione del recente Workshop del National Institute for Mental Health degli U.S.A. (Kirch et al. 1992b):

— al momento della prima somministrazione di farmaci (che, però, avrebbe potuto avvenire per motivi diversi dalla schizofrenia);

— a quello della comparsa della necessità di un trattamento psichiatrico (ma questo potrebbe avvenire dopo anni di sintomatologia non trattata, e appare influenzato dalle caratteristiche dell'ambiente familiare e socioculturale);

- ancora, alla comparsa dei sintomi schizofrenici, ma questo lascerebbe aperti i problemi dei prodromi e del riconoscimento.

La definizione standard dell'esordio e del primo episodio schizofrenico appariva, a questo punto, impossibile. Un secondo problema, anch'esso ancora aperto, riguardò in quell'occasione il fatto che, ove la definizione di primo episodio fosse stata posta a valle della prima somministrazione neurolettica, gli studi non avrebbero potuto fornire casistiche totalmente "drug free".

L'esordio

Età — L'età di esordio, intesa nelle tre accezioni, è una delle variabili più studiate e ha lasciato apprezzare dati interessanti, specie riferibili a sesso e familiarità (DeLisi 1992).

L'età di inizio della "dementia praecox" viene posta da Kräpelin tra i 15 e i 23 aa per la varietà ebefrenica. In genere, si concorda per individuarla tra i 18 e i 25 aa per i maschi, e "qualche anno più tardi" per le femmine; la probabilità di esordio si riduce progressivamente fino ai 40 anni, per scomparire intorno a quell'età (Carilli 1992). La difficoltà di definire la reale età di esordio dei sintomi prodromici e psicotici è stata riportata (Kirch et al. 1992b). Haas e Sweeney (1992) hanno riscontrato un'età di esordio dei sintomi psicotici tra i 7 e i 46 aa, con una media di 25,3; è interessante notare che il tempo tra la comparsa dei primi sintomi e la prima ospedalizzazione poteva andare da meno di un mese a 20 anni e che la durata della fase precedente la prima somministrazione neurolettica e la prima ospedalizzazione non era in rapporto con l'età di esordio dei primi sintomi.

Età precoce— Il classico riconoscimento di una relazione tra età di esordio più precoce e decorso maligno (Bini e Bazzi 1967) potrebbe essere in parte interpretato alla luce della minor età di esordio nei maschi, o di quella osservata nella varietà ebefrenica rispetto alle altre. Per quanto riguarda gli aspetti più recentemente studiati, Pulver et al. (1990) hanno analizzato 366 schizofrenici e 1851 parenti di primo grado; i parenti di schizofrenici maschi con età di esordio inferiore ai 17 aa avevano una probabilità di sviluppare la malattia maggiore di quelli degli schizofrenici con esordio successivo, mentre lo stesso dato non era evidenziabile per le femmine.

Fenton e McGlashan (1991a, 1992) negano, sulla base della letteratura, l'esistenza, sostenuta in passato, di una chiara relazione tra età di esordio e prevalenza di sintomatologia positiva o negativa; Häfner (1992) concorda con questa posizione.

Età Adulta — L'esordio oltre i 45 aa è possibile ma raro secondo ilDSMIII R (Jeste 1993) e prevalentemente femminile (Castel e Murray 1993); incerti sono i sui rapporti con parafrenia e paranoia tardiva (Yassa e Suranyi-Cadootte 1993). I reperti anatomici e recettoriali riscontrati con MRI e PETin schizofrenici a esordio tardivo sono analoghi a quelli riscontrati negli altri schizofrenici e differenti da quelli dei coetanei (Pearlson et al.1993).

Familiarità nell'età di esordio — Leboyer et al. (1992) hanno raccolto in letteratura 4 studi che deponevano per una correlazione significativa fra consanguinei per l'età di esordio (intesa come prima ospedalizzazione), e 6 che non raggiungevano la significatività; il loro studio sembra deporre per una concordanza significativa, e quindi a favore della loro ipotesi di una trasmissione genetica dell'età di esordio.

Sesso ed età di esordio — La minore età di esordio nei maschi rispetto alle femmine è stata notata per primo da Kräpelin e confermata da Bumke (1924) e da oltre 50 studi (Häfner 1992), tra cui alcuni più recenti (Loebel et al. 1992; Nicole 1992; Iacono e Beiser 1992b). Una solo lieve differenza è stata evidenziata invece da Folnegovic-Smalz et al. (1990) e da Ganguli e Brar (1992); Strongren (1987) e Ni Nullaim et al.(1987) non avevano in precedenza riscontrato differenze, mentre i dati di Beiser et al.(1993) depongono per una relazione opposta.

Il fatto che la maggior parte degli studi fosse stata finora condotta nei paesi industrializzati ha spinto Gureje (1992) e Ohaeri (1992) ad analizzare la situazione nigeriana. Il primo studio ha riscontrato un'età di comparsa dei primi sintomi pari a 23,5 aa per i maschi e 26,4 per le femmine, e una di prima visita a 25,2 e 28,5 rispettivamente. Nessuna differenza è stata riscontrata nel periodo intercorso tra i primi sintomi e la presentazione all'ospedale. Il secondo è stato condotto su pazienti ricoverati con diagnosi di schizofrenia al DSM III R ed almeno una ricaduta senza aspetti affettivi od organici. L'età media di esordio era di 25 aa, 24 e 27 nei due sessi. Il fatto che le differenze di sesso all'esordio siano state confermate in diversi contesti storici e geografici, ha spinto Häfner (1992) ad escludere in primo luogo, attraverso indagini epidemiologiche estremamente accurate, il rischio che la valutazione dell'esordio inteso come primo contatto non rifletta la reale insorgenza dei sintomi (ad es. per comportamento maggiormente disturbante dei maschi, o minor tolleranza sociale verso la schizofrenia maschile), in quanto l'età più precoce nei maschi è emersa anche a studi mirati sulla sola comparsa dei sintomi, e a ricercare con maggior attenzione cause biologiche che socio-culturali. Il più tardivo esordio e la maggior incidenza di schizofrenia tardiva nelle donne hanno portato ad ipotizzare un ruolo protettivo degli estrogeni (Häfner et al. 1991), individuabile in un'influenza molto precoce sulla maturazione del cervello, tale da alzare la soglia di vulnerabilità, e/o in un effetto protettivo dalla pubertà in avanti che si interromperebbe alla menopausa. La somministrazione cronica di estradiolo a ratti neonati attenua l'impatto degli agonisti e antagonisti della dopamina sul comportamento, e lo stesso si verifica, in forma più attenuata, nei ratti adulti. Per gli estrogeni è quindi ipotizzato un effetto più generale sui recettori D2 dopaminergici rispetto a quello dei neurolettici (ritardo dell'esordio tanto per i sintomi positivi che negativi), ma meno intenso. A conferma di questo vengono riportati risultati ottenuti sull'uomo, quali la maggior acuzie registrata in donne in fase perimestruale e la fluttuazione dei sintomi che accompagna quella dei livelli serici di estradiolo.

Sesso e stato civile — Un altro fattore studiato in letteratura è quello della maggior frequenza di matrimonio tra le femmine rispetto ai maschi schizofrenici. Questo ha aperto la duplice ipotesi di un ruolo protettivo del matrimonio per i maschi, o del fatto che la minore età di esordio e la maggiore età di matrimonio, comuni nei maschi, diano luogo a un fenomeno di selezione per i maschi schizofrenici, che arrivano più difficilmente a sposarsi perché già malati. Häfner (1992), sulla base dell'indagine direttamente condotta, sembra propendere per questa seconda ipotesi.

Stototipi di schizofrenia — Fenton e McGlashan (1991b) riportano per la schizofrenia paranoide un esordio più tardivo (già osservato da Kräpelin, 1893; e Bumke, 1924) e in genere acuto, un buon adattamento premorboso, una maggior relazione con "life events" scatenanti, un decorso intermittente nei primi 5 aa, una prognosi discreta; per l'ebefrenica, un esordio più precoce e insidioso, un maggior carico familiare, peggior adattamento premorboso, decorso continuativo e prognosi maligna, fattori in buona parte già ricordati da Bini e Bazzi (1967).

Esordio insidioso o acuto — La proporzione tra esordio subdolo e acuto riportata dal Trattato Italiano di Psichiatria (Carilli 1992) ricalca quella evidenziata da Bleuler (1911), intono al 50%. Nell'ambito dei casi ad esordio lento, metà sarebbe caratterizzata da sintomi aspecifici, e metà da una personalità premorbosa con caratteristiche abbastanza costanti, quali chiusura, aspetti pseudodepressivi, caduta del rendimento scolastico (specie in aritmetica, dato già evidenziato da Bumke, 1924); in genere ubbidienti, ma talvolta esplosivi in modo inaspettato, i soggetti mostrano povertà di rapporti, specie con l'altro sesso, tendenza alla solitudine, interesse per la psicologia, o la magia e l'astrologia. Appare evidente come gran parte di queste caratteristiche coincida con la personalità schizoide e schizotipica del DSM III R, incluse entrambe nel concetto genetico di "spettro schizofrenico" e caratterizzate da un maggior rischio di ammalare di schizofrenia, ma non da una rigida evolutività. Una maggior frequenza dell'esordio acuto è stata osservata nei paesi in via di sviluppo (Jablensky et al. 1993).

Esordio e prognosi — All'esordio insidioso è classicamente, ma non unanimamente, attribuito un significato prognostico negativo (Bini e Bazzi 1967). Straube e Oades (1992, 547-550) riportano l'associazione tra un esordio acuto e la remissione per un quarto dei casi e un esordio povero, lento e la cronicizzazione, in un altro quarto, nel progetto di Losanna (Ciompi e Müller, 1976), in accordo con quanto descritto da M. Bleuler (1972), Huber et al. (1979), da ricerche WHO (Jablensky et al. 1992), e dalla maggior parte degli studi europei e con le ipotesi formulate da McGlashan (1988). Risultati opposti da qualche studio europeo, ma, soprattutto, da quello americano del Vermont (Harding 1988). Ram et al. (1992) hanno riscontrato, nella letteratura analizzata, dati che sembrano confermare il rilievo prognostico favorevole dell'esordio acuto. Fenton e McGlashan (1991b) riportano l'associazione tra esordio insidioso e prevalenza dei sintomi negativi, discussa in letteratura.

Sintomi premonitori — La recente classificazione dei sintomi premonitori ricalca in gran parte quella proposta da Kräpelin (1893), nella IV ed. del trattato, Bleuler (1911) e Bumke (1924). Nella tabella, i sintomi riportati da Carilli (1992), in riferimento a due casistiche statunitensi riguardanti il periodo precedente il ricovero (col. 4), sono riportati in ordine decrescente di frequenza e confrontati con quelli su cui insistono maggiormente Kräpelin (col. 1) a proposito dell'ebefrenia, Bleuler (col. 2), Bumke (col. 3), il DMS III R (col. 5), l'ICD 10 (col. 6), e con quelli individuati da Häfner et al. (col. 7) attraverso la somministrazione dell'IRAOS e dallo studio multicentrico della WHO (col.8). Va però notato che, mentre per il DSM III R la fase prognostica è compresa nei 6 mesi sintomatici richiesti per la diagnosi della schizofrenia, nell'ICD 10 è esclusa dal mese richiesto; alcune formulazioni, non esattamente corrispondenti ma in gran parte equivalenti, sono state uniformate per agevolare il confronto; occorre inoltre tenere presente che, mentre la col. 4 si riferisce al periodo prima del ricovero, le altre si riferiscono al periodo precedente l'esordio conclamato dei sintomi:

Sintomi 1 2 3 4 5 6 7 8

Tensione e nervosismo X X X X X X X

Riduzione dell'appetito X X X X X

Difficoltà di concentrazione X X X X X

Problemi di sonno X X X X X

Anedonia X X X X

Irrequietezza motoria X X X

Problemi di memoria X

Depressione X X X X X X X

Preoccupazioni X X X

Ritiro, isolamento X X X X X X X X

Sentirsi preso in giro X X

Perdita dell'interesse X X X X X

Temi religiosi, magici, ecc. X X X X

Sens. sgradevoli immotivate X X

Sentimento di eccitamento X X

Allucinaz.uditive e visive X X X

Autosvalutazione X X

Discorsi senza senso X X X X

Sentirsi controllato X X X X

Brutti sogni X X

Eccessiva aggressività X

Irritabilità X X X X X X

Indiff. a immagine di sé X X X X

Problemi col partner X X

Pensieri autonocumento X X

Frequenti dolori X X X

Paura di impazzire X X X

Pensieri di far del male X

Abuso di alcool o droga X

Caduta di performances X X X X X X

Perdita interesse lavoro X X X X

Comportamento bizzarro X X X

Esper. percettive inusuali X X

Affett. piatta o inadeg. X X

Astenia X X X X

Cefalea X

Vertigini X X

Crampi X

Svenimenti X

Si può facilmente notare come i sintomi appartenenti all'area propriamente psicotica comincino solo dal sedicesimo (col. 4), e siano i meno rappresentati. Appare interessante sottolineare, per l'attualità del problema, il nodo della "pseudotossicodipendenza" che caratterizzerebbe quadri con forme subdole di schizofrenia e rappresenterebbe, secondo diversi studi, da meno dell'1% al19% dei tossicodipendenti (Maremmani e Castrogiovanni1992).

Un tentativo di affrontare in modo più organico il problema dell'esordio e delle caratteristiche premorbose ha spinto gli autori degli studi transnazionali del WHO all'elaborazione di strumenti volti alla ricostruzione retrospettiva di questi dati, che sono parsi ad Häfner et al. (1992) scarsamente specifici per la descrizione dei primi sintomi schizofrenici. Per arrivare a uno strumento soddisfacente, che evitasse predefinizioni di esordio che potessero escludere altre definizioni e consentisse confronti interni tra diverse modalità di esordio e decorso, gli AA hanno quindi diviso gli indicatori di esordio in quattro gruppi, distinguendo sintomi prodromici schizofrenici, psicotici non-schizofrenici, nevrotici e aspecifici; sintomi di inibizione psicologica e deficit cognitivi e sociali; cambiamenti nella vita sociale, come abbandoni scolastici o separazione dal partner; reazioni ai precedenti cambiamenti, tra cui ricerca di aiuto da un servizio di salute mentale. Per pervenire al risultato, sono stati confrontati 21 strumenti diagnostici, per un totale di 776 items, in gran parte ridondanti. Da questo complesso lavoro di semplificazione, veniva ricavata la "Interview for the Retrospective Assessment of the Onset of Schizophrenia" (IRAOS), somministrata a 267 pazienti, con i risultati riportati in col. 7. Merita, infine, di essere sottolineato per originalità di approccio il curioso esperimento di Walker e Lewine (1990), che hanno sottoposto a spettatori ignari filmini dilettantistici che mostravano soggetti di 5-8 aa, all'epoca sani, destinati a manifestare in età adulta sintomi di schizofrenia, in compagnia di parenti coetanei che sarebbero invece rimasti sani. Gli AA riportano la capacità degli spettatori di distinguere, in base a parametri soggettivi, i bambini, che sarebbero divenuti schizofrenici, dagli altri. Prodromi comportamentali, estremamente intuitivi e aspecifici, sembrerebbero dunque, in accordo a questi dati, essere evidenziabili con notevole anticipo rispetto all'esordio. Un approfondimento di questo studio (Walker et al.1993) ha consentito di apprezzare soggettivamente un maggior numero di espressioni gioiose nelle femmine poi divenute schizofreniche rispetto alle altre e, sia nella femmine che nei maschi preschizofrenici, un maggior numero di espressioni di affetti negativi.

Significato delle determinanti socio-biografiche — Negli studi WHO (Jablensky et al. 1992), è stato ampiamente confermato il decorso più benigno della schizofrenia nei paesi in via di sviluppo, riferito da molti alle diverse condizioni dell'organizzazione sociale e della produzione (Warner 1985). La presenza di quelli che oggi vengono definiti i "life events" nell'anamnesi recente degli schizofrenici in fase iniziale è stata classicamente interpretata come segno di possibile concausa reattiva dell'esordio schizofrenico e ritenuta fattore prognostico favorevole (Bini e Bazzi 1967). Nell‘"European Handbook of Psychiatry and Mental Health", del 1991, impostato sul modello vulnerabilità/stress, viene affrontato con particolare attenzione il ruolo dei fattori sociali nella costituzione della vulnerabilità e nelle caratteristiche di esordio e di decorso, in ordine alle ricadute e alla cronicizzazione. Vengono così riportati una serie di studi che hanno individuato un aumento di "life events" stressanti nell'anno precedente l'esordio clinico, e poste due questioni spinose, quali la difficoltà di individuare il momento di "inizio" della schizofrenia nel caso dell'esordio subdolo, e quindi il periodo a partire dal quale devono essere ricercati i life events; e il rilievo della distinzione tra life events "indipendenti dal soggetto" e "dipendenti dal soggetto", con l'ovvia possibilità di confondere i secondi con i sintomi (Lazarescu 1991).

Il primo episodio

Cnosiderazioni generali — L'importanza degli studi sul primo episodio è sottolineata da molti autori (Lieberman et al. 1992a) e individuata da Haas e Sweeney (1992) e Keshavan e Schooler (1992) in questi elementi, in gran parte comuni:

— la sintomatologia clinica e il comportamento non sono influenzati dai trattamenti medici e dall'istituzionalizzazione, dalle difficoltà sociali secondarie alla cronicizzazione e al progresso del disturbo;

— è possibile la diretta osservazione della fase iniziale, con le sue peculiarità difficilmente ricostruibili a posteriori;

— è possibile l'impostazione di studi longitudinali prospettici che seguano il decorso della malattia dall'inizio alla fine.

Falum et al. (1992) si sono dedicati a delineare i criteri che dovrebbero informare uno studio condotto sui casi a esordio recente e Ganguli e Brar (1992) hanno tentato di fugare i dubbi sul fatto che gli studi sul primo episodio risentano del limite che la diagnosi sia formulata troppo avventatamente, e in un secondo tempo modificata; e che la popolazione al primo episodio non sia rappresentativa della popolazione schizofrenica generale. Ram et al. (1992) ne fanno un osservatorio privilegiato della ricerca sulla storia naturale della schizofrenia, e individuano tre strategie per identificare un campione di casi recenti, scartando la prima (screening sulla popolazione generale) per i costi e l'imprecisione dei risultati; la seconda (screening su popolazione a rischio) per la scarsa rappresentatività numerica; e optando per la terza (reclutamento al primo contatto terapeutico), scelta anche nella nostra regione in occasione dello studio sui primi casi, perché offre maggiori vantaggi pratici, anche se presenta il limite di reclutare pazienti a esordio recente e altri a esordio precedente, non trattato nella sede di reclutamento (Baconcini et al. 1994).

La loro voluminosa "review" degli studi sui primi casi di schizofrenia condotti in Europa e Nord America, ha consentito di distinguere quelli basati:

— sui registri di dimissione da istituzioni pubbliche, condotti in gran parte prima dell'era dei neurolettici; questi studi riportano dati contrastanti sull'effettiva influenza dell'introduzione dei neurolettici sui tassi di dimissione;

— sui "follow-up" di pazienti identificati attraverso la cartella clinica; questi studi, come quelli di M. Bleuler (1972) e Ciompi e Müller (1976), depongono per un'associazione tra miglior adattamento sociale, familiare e lavorativo premorboso, esordio acuto e breve durata della prima ospedalizzazione, da un lato, e miglior prognosi dall'altro;

— su studi prospettici di pazienti identificati sulla base di precisi criteri diagnostici e scale di valutazione, che devono comunque tenere presenti sei limiti basilari: difficoltà di separare pazienti in cui il primo contatto coincide col primo episodio da quelli in cui questo non avviene; problemi diagnostici; comprensione del significato dell'abuso eventuale di sostanze; limitatezza dei campioni, e quindi potere statistico scarso; campioni ottenuti da singole istituzioni; dati scarsi sul trattamento precedente e su quello successivo. Quest'ultimo gruppo di studi, più moderni, sembra deporre per una assenza di ricaduta a 1 aa per 1/3 circa dei primi casi indagati.

Thoen et al. (1992) hanno confrontato, in una casistica di 102 soggetti, primi episodi di psicosi bipolare o depressione maggiore (74%) con primi episodi di altre psicosi, tra cui la schizofrenia (10%), e riscontrato, a 6 mesi, una prognosi peggiore, intesa come maggior permanenza in ospedale e più basso livello prestazionale, nel secondo gruppo. Il dato, pur essendo doveroso considerare la diversità di criteri diagnostici e di situazione, è di comune riscontro in letteratura e conferma, ad esempio, quanto emerso dall'esperienza genovese di Conforto et al. (1969).

Prevalenza sessuale della schizofrenia — Iacono e Beiser (1992b) riportano il dato di una prevalenza assoluta di maschi negli studi sui primi casi, individuando le due possibili ragioni in errori di campionamento o nella reale prevalenza della schizofrenia tra i maschi e propendendo per quest'ultima (Iacono e Beiser, 1992, b). In tal senso sembrano andare anche le conclusioni di Wahl e Hunter (1992) che fanno riferimento a una analoga primitiva osservazione di Kräpelin, in seguito abbandonata, secondo cui la "dementia praecox" sarebbe una malattia caratteristica prevalentemente dei giovani maschi; tale dato era stato confermato da Bumke (1924) in riferimento a una casistica personale di 140 nuovi casi.

Nciole (1992) riporta una equivalenza in letteratura tra studi confermanti il classico rapporto 1:1 tra i due sessi e altri, più moderni in genere, che depongono per una prevalenza nei maschi, unita al più precoce esordio, il peggior decorso, la peggiore prognosi, il minor rischio suicidario in questi ultimi.

La schizofrenia femminile, per Iacono e Beiser (1992b), presenta un esordio più tardivo, un decorso più benigno, un maggior presenza di sintomatologia paranoidea, una prognosi meno infausta, una miglior risposta ai neurolettici. Riportano l'ipotesi, avanzata dalla Saugstad (1989), di un modello di neurosviluppo della schizofrenia che attribuisce la causa delle differenze nei due sessi alla più tardiva maturazione sessuale nei maschi. Una lieve prevalenze di maschi con primo episodio è riportata anche da Folegovic et al. (1990) che riportano anche il dato di una maggior frequenza di diagnosi di schizofrenia al primo contatto per i maschi. Nello studio di Bromet et al. (1992) su circa 160 primi episodi psicotici, i maschi avevano una maggior frequenza di abuso di sostanze (58% vs 29%); erano più giovani, meno frequentemente sposati, avevano un più basso livello d'istruzione, avevano minor probabilità di essere ospedalizzati a un mese dall‘esordio clinico. Häfner (1992) evidenzia un peggior adattamento sociale dei maschi nei primi 5 aa di malattia.

Eaton et al. (1992a) non hanno riscontrato però alcun ruolo del sesso nel predire la riospedalizzazione.

Questo gruppo di studi sembra concordare con l'ipotesi di Murray et al. (1992), secondo i quali criteri diagnostici più restrittivi consentirebbero una chiara distinzione tra una schizofrenia a prevalenza maschile, decorso deteriorativo, prognosi infausta, familiarità di schizofrenia o disturbo schizotipico, corrispondente in modo più preciso alla "dementia praecox" kräpeliniana ed una caratterizzata da elementi opposti e familiarità di disturbo affettivo, a decorso in genere acuto e buona risoluzione, più vicina alla concezione bleuleriana e schneideriana.

Età di insorgenza — Relazioni tra età di esordio e livello di esito sono negate da Mayer et al.(1993) e documentate invece da Krausz e Muller Thomsen (1993) in casi ad esordio adolescenziale; per Eaton et al. (1992a) l'età giovane al primo episodio rappresenta un fattore di rischio di riospedalizzazione.

Per Loebel et al. (1992) l'età minore alla comparsa dei primi sintomi psicotici non è associata con i tempi di remissione, ma lo è col livello (in accorso con: Rabiner et al. 1986; Kolalowska et al. 1985; Johnstone et al. 1989; Jonsson et al. 1989).

Satto civile — Jönsson e Jonsson (1992) riportano il rilievo del solo matrimonio come fattore prognostico favorevole, smentendo il ruolo di sintomi affettivi e atipici; per Eaton e coll. (1992a) lo stato civile non riveste invece alcun ruolo predittivo per la riospedalizzazione. Giova, a tal proposito, osservare come la maggior presenza di matrimonio tra le femmine, già ricordata, possa determinare in parte, assieme ad aspetti selettivi, l'apparente ruolo prognostico favorevole.

Neuroimaging — La revisione degli studi dedicati ai primi casi di schizofrenia ha dato risultati contraddittori tanto in merito alla conferma o meno della presenza, alla PET, di un aumento dei recettori D2 dopaminergici, che di anomalie del metabolismo glucidico, del flusso ematico e dell'aspetto neuromorfologico del cervello. Tali risultati possono avere il significato di errori metodologici o di coesistenza di diverse popolazioni (Keshavan e Schooler 1992). Andreasen et al. (1990) hanno evidenziato un maggior allargamento ventricolare nei primi casi di schizofrenia vs coetanei normali, che non sembra aumentare in misura maggior col tempo; ne hanno ricavato l'ipotesi che l'allargamento dei ventricoli preceda l'esordio clinico.

Il rapporto ventricoli/cervello è stato misurato con la TAC in 21 pazienti con disordine schizofreniforme recente vs 45 pazienti neurologici; i risultati ottenuti non erano statisticamente significativi, ma lo divenivano allorché dal gruppo dei pazienti neurologici vennero esclusi quelli con sincope o vertigine; tra i pazienti con disturbo schizofreniforme un rapporto più alto era associato con sintomatologia positiva e gravità del quadro, ma non coi sintomi negativi (Holsmbeck et al. 1992).

Hoff et al. (1992) hanno evidenziato un generale decadimento cognitivo in schizofrenici vs controlli, proporzionale al tempo di malattia, riscontrando una anomalia dell'asimmetria tra i solchi laterali (ridotta prevalenza del sinistro sul destro) nelle femmine con disturbo schizofreniforme con miglior funzionamento sul piano cognitivo. Lieberman et al. (1992b) hanno evidenziato in 120 primi casi mai trattati seguiti per 5 aa anomalie significative della morfologia cerebrale, della secrezione di GH, della funzione dei movimenti oculari e risposta psicotica ad agonisti della dopamina, associati a risposta al trattamento e prognosi.

Atlri aspetti neuropsicologici e somatici — Sweeney et al. (1992) hanno identificato un aumento di disfunzioni dei movimenti oculari "a pursuit" (si intendono con tale termine movimenti oculari tesi a seguire un oggetto in movimento spostando il punto di fissazione e contrastando la spontanea tendenza al ritorno alla posizione di riposo; la loro disfunzione è indice di ipoprosessia) e dei deficit ai test neuropsicologici relativi al funzionamento della corteccia prefrontale e temporale sx proporzionali alla durata della malattia. Anomalie dell'attività elettrodermica sono state riscontrate in schizofrenici al primo episodio vs controlli normali; una minor reattività è stata ipotizzata come indice di vulnerabilità, mentre una reattività aumentata è ipotizzata come un predittore delle ricadute.

Decorso e deterioramento — Bilder et al. (1992) hanno sottoposto a tests di intelligenza 51 schizofrenici al primo episodio e 50 cronici, riscontrando un peggior risultato nei secondi per i tests significativi di deterioramento, coerentemente con l'ipotesi di un declino successivo al primo episodio e concordemente a quanto riportato in proposito da Hoff et al. (1992). I destrimani al primo episodio hanno avuto risultati migliori degli altri, specie ai tests verbali, e i maschi avevano in genere un più alto livello di deterioramento (Bilder et al. 1992). In direzione in qualche modo opposta va lo studio di Shtasel et al. (1992) che hanno confrontato 37 pz. al primo episodio con 70 altri schizofrenici, riscontrando risultati analoghi alla BPRS, con minori disturbi formali di pensiero, e punteggio più alto agli items per ostilità e deliri; analoghi risultati sono stati riscontrati per i sintomi negativi, ed è stato osservato un declino di funzionamento nell'adolescenza e prima età adulta comune ai due gruppi, ma un miglior funzionamento sociale per i pz. al primo episodio caratterizzati da minor durata di malattia e prevalenti sintomi produttivi allucinatori o schneideriani.

Eaton et al. (1992a) hanno interpretato i loro risultati di una riospedalizzazione del 50-80% in 20 aa, concentrata soprattutto nei primi 2-3 aa dalla prima, e di una diminuzione delle riospedalizzazioni nei 20 aa, come segni di un miglioramento clinico; è stato inoltre notato che ogni riospedalizzazione abbatte il rischio di recidiva di circa il 10% (Eaton et al. 1992b).

Emozioni espresse — Il significato delle emozioni espresse è ampiamente discusso. Barrelet et al. (1990) hanno evidenziato una percentuale di ricadute a 9 mesi in un gruppo di primi casi con alto livello di emozioni espresse in famiglia e in uno con basso livello rispettivamente pari al 33% e allo 0%. I commenti critici sembravano avere, tra le emozioni espresse, il maggior peso prognostico. Nuechterlein et al. (1992a) hanno evidenziato uno stretto rapporto tra età precoce dall'esordio, livello di atteggiamento critico ed emozioni espresse nel nucleo familiare e probabilità di ricaduta; in contrasto con le comuni vedute sulle emozioni espresse, però, hanno tentato di leggere in queste ultime, almeno in parte, un epifenomeno del comportamento disturbante del paziente, che si renderebbe più marcato in presenza di un esordio più precoce e di condizioni cliniche peggiori, in una sorta di meccanismo circolare di causalità. Per la "review" di Ram et al. (1992), invece, gli studi sui primi casi tendono a ridimensionare il rilievo prognostico delle "Espressed Emotions". Ancora Neuchterlein et al. (1992b) hanno identificato "stress events" indipendenti e atteggiamento critico dell'ambiente circostante come predittori di ricaduta in un'indagine condotta su primi casi in terapia antipsicotica I.M. standard.

Sintomi depressivi — La relazione temporale tra sintomi psicotici e sintomi depressivi in schizofrenici ad esordio recente è stata fatta oggetto specifico di studio da Foster Green et al. (1990), che hanno riscontrato una concorrenza tra accentuazione dei sintomi depressivi e psicotici maggiore di quanto atteso, mentre non hanno riscontrato un'accentuazione dei sintomi depressivi nel periodo successivo alla risoluzione dell'episodio psicotico (depressione postpsicotica, esplicitamente prevista nel ICD 10). Ram et al. (1992) hanno riscontrato, nella letteratura analizzata, dati che sembrano negare il rilievo prognostico favorevole dell'esordio acuto, ma non quello della concomitanza con sintomi depressivi, in genere ipotizzato per la schizofrenia. Koreen et al.(1993) hano documentato la stretta relazione dei sintomi depressivi con i sintomi di schizofrenia al primo episodio, e si chiedono se considerarli un aspetto del quadro sintomatologico o una reazione soggettiva al cambiamento.

Aadttamento sociale — Per la sua misurazione sono state proposte la "Phillips Scale of Premorbid Social-Sexual Adjustment", la "University of California at Los Angeles Social Attainment Survey" e la "Cannon-Spoor Premorbid Adjustment Scale" (Haas e Sweeney 1992). Gli stessi autori hanno suddiviso il proprio campione di primi casi in soggetti con buon adattamento premorboso (39,4%), cattivo adattamento dalla nascita (39,4%) e adattamento in declino (21,1%), più frequente l'ultimo tra i maschi. Il primo gruppo, rispetto al secondo, aveva una età più avanzata alla comparsa dei primi sintomi, alla prima somministrazione di neurolettici e alla prima ospedalizzazione mentre il secondo, rispetto al terzo, manifestava con minor frequenza sintomi negativi.

Jhonstone et al. (1990) hanno riscontrato un peggior esito (valutato in termini di occupazione e di giornate di ricovero) in pazienti con ritiro sociale, inattività, inadeguatezza comportamentale e "neurological soft signs".

Straube e Oades (1992, 556-557), attribuiscono alla associazione tra adattamento premorboso scadente e aspetti di personalità schizoide da un lato, e prognosi severa dall'altro, il significato di una indicazione statistica che non può essere colta come assoluta.

Nella ricerca di Loebel et al. (1992) su casi di schizofrenia o disturbo schizoaffettivo al RDC sottoposti a un protocollo terapeutico standard un peggior adattamento premorboso non era associato con i tempi di remissione, ma lo era col livello.

Allucinazioni — Straube e Oades (1992, 550-551) riportano i dati di Ciompi e Müller (1976) e Huber et al. (1979), dell'Iowa (Tsuang 1986) e del Chestnut Lodge (Fenton e McGlashan 1986) Studies, che depongono per l'associazione tra presenza di allucinazioni, specie uditive, all'ingresso nello studio e severità della prognosi. Tale associazione è stata confermata anche da Munk-Jorgensen e Mortensen (1989) in uno studio danese e da Marneros et al. (1989a, b) e Steinmeier et al. (1989) in studi tedeschi, anche per deliri e disturbi formali del pensiero. Straube e Oades (1992, 556-557), appaiono assai formali del pensiero. Straube e Oades (1992, 556-557), appaiono assai convinti della relazione tra allucinazioni uditive all'esordio e prognosi severa, che trova concordi tutti gli studi di "follow-up" a lungo termine e va a cozzare contro il valore della prevalenza di sintomi positivi o negativi (tipo I e II di Crow) come elemento discriminante tra due tipi di malattia e di prognosi.

Disturbo schizofreniforme — In un gruppo di primi episodi di disturbo schizofreniforme, quelli poi risultati schizofrenici avevano già un peggior funzionamento (Nuechterlein et al. 1992b).

Tarttamento — È descritta un'importante relazione tra durata del periodo di malattia precedente il trattamento e probabilità di ricaduta (Lo e Lo 1977; Crow et al. 1986; Inoue et al. 1986; Rabiner et al. 1986). Una miglior risposta e prognosi è riportata per pazienti trattati da subito con neurolettici (May e Tuma 1965; May et al. 1981; Angrist e Schulz 1990; Wyatt 1991a, b; Lieberman et al. 1993). E, a partire da questo, Loebel et al. (1992) hanno studiato per 3 anni 70 pazienti ricoverati con diagnosi di schizofrenia o disturbo schizoaffettivo al RDC e sottoposti a un protocollo terapeutico standard in relazione all'esordio, inteso come comparsa di cambiamenti comportamentali aspecifici o di sintomi psicotici. È stata riscontrata una relazione significativa tra il tempo trascorso dall'esordio inteso nella seconda accezione e la prima risposta terapeutica, e la risposta al trattamento e il livello di remissione, e tra l'esordio inteso nella prima e l'intervento terapeutico, e il livello di remissione; non era invece rilevante il tempo trascorso tra i primi prodromi aspecifici e i primi sintomi. La durata della malattia non era asssociata con età di esordio, tempo dai primi prodromi ai sintomi psicotici, gravità all'ingresso nello studio.

Per Haas e Sweeney (1992) una presa in carico più tardiva è associata a minor punteggi alla "Global Assessment Scale" e ad adattamento in declino.

Per Johnstone et al. (1990), tuttavia, nei pazienti con una più breve fase precedente il trattamento, un miglior adattamento lavorativo era associato coll'assenza di terapia farmacologica. Gli autori sottolineano anche il rischio di recidiva relativamente poco più alto in pazienti non trattati farmacologicamente (60% vs 40%). Aspetti statistici dei dati relativi all'occupazione in questo studio sono stati tuttavia contestati (Mujien 1991).

Cnosiderazioni conclusive

Quelli della datazione del reale esordio della schizofrenia e delle sue relazioni con le caratteristiche premorbose rimangono problemi aperti. In particolare, la possibilità di utilizzare in funzione di prevenzione secondaria predittori estremamente aspecifici, riportati in tabella, sono pressoché simili nelle prime casistiche empiriche (Peloso 1993) e nelle più recenti e sofisticate.

Quanto all'età, l'adolescenza e la prima età adulta, già individuate dai primi studiosi del fenomeno, rimangono quelle a maggior rischio. Un dato, da subito osservato e via via confermato in quasi tutti gli studi, è quello di un'età di esordio, inteso in tutte le accezioni, più bassa di qualche anno nei maschi; mentre la spiegazione del fenomeno basata sulla reazione sociale sta perdendo importanza, si affermano ipotesi di interpretazione biologica, con riferimento al metabolismo estrogenico. La relazione tra età di esordio e sintomi è ancora oggetto di discussione, eccetto per l'età più tardiva di esordio della schizofrenia paranoide. Il rapporto tra modalità di esordio acuto e subdolo è intorno al 50% per ciascuna evenienza; è discusso il significato prognostico delle modalità di esordio, della personalità premorbosa, del funzionamento sociale premorboso e dei "life events".

Anche nella definizione del "primo episodio", la ricerca non è in grado di raggiungere una posizione univoca. L'importanza degli studi sul primo episodio è stata individuata nella possibilità di osservare i pazienti a monte della somministrazione di farmaci, della cronicizzazione e della reazione familiare e sociale, in quella di consentire l'osservazione diretta della fase iniziale e l'impostazione di studi longitudinali per seguire il decorso.

Tra gli aspetti importanti di questi studi, va riconosciiuto quello di aver riproposto con forza l'ipotesi, che sembrava accantonata, di una prevalenza della schizofrenia nei maschi; la ricerca sull'influenza della durata della malattia e della terapia farmacologica negli studi neuromorfologici e neuropsicologici della schizofrenia da un lato, e quella delle "Expressed Emotions", dei sintomi depressivi, del trattamento farmacologico e di altre variabili biografiche e cliniche sul decorso, dall'altro, ha dato risultati in genere non univoci.

Unica variabile legata a un miglior recupero funzionale sembra essere la tempestività della presa in carico, specialmente per quanto riguarda l'inizio precoce della terapia farmacologica.

Particolare sopresa sembra aver suscitato il riscontro di un significato prognostico negativo della presenza, all'inizio, di allucinazioni uditive e deliri che, se confermato, rimetterebbe in discussione approcci forse eccessivamente lineari alla questione della classificazione dei fenomeni schizofrenici.

Se una conclusione può essere tratta, è quindi che il carattere eterogeneo di molti dei dati riportati sembra deporre in favore della possibilità, all'interno del "gruppo" delle schizofrenie (Bleuler 1911), di una pluralità di fattori eziologici, di modalità di ingresso, di decorsi e di destini tra i quali, a fronte di tanti tentativi, non sembrano essere ancora dimostrate associazioni e relazioni causali che possano rivestire un carattere discriminativo nosograficamente fondante.

 

Un ringraziamento è dovuto al Prof. C.Baconini, docente di Psicoterapia I presso la Clinica Psichiatrica dell'Università di Genova e coordinatore della ricerca regionale "I Primi casi di psicosi schizofrenica nei Servizi" svolta negli anni 1989-1993 in collaborazione coi Servizi Psichiatrici della Regione Liguria, per gli indispensabili indirizzi e suggerimenti.

 

 

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