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La ricerca come fondamento della pratica clinica: metodi qualitativi di ricerca in Psicologia Clinica

Silvia Longo – Psicologo Clinico (GB) – silvia.evans@libero.it

La ricerca come fondamento della pratica clinica

Negli ultimi anni è aumentato il bisogno degli psicologi e degli psicoterapeuti di giustificare i propri interventi clinici sulla base dell’evidenza della ricerca scientifica. Tale necessità può essere considerata come il frutto di una crescente consapevolezza della validità di più di un quadro di riferimento teorico nell’ambito della cura psicologica. I piani di studio dei corsi di laurea universitari testimoniano un importante cambiamento in questo senso. Se per esempio si controlla la bibliografia consigliata negli esami dei corsi di laurea in Psicologia dei ‘vecchi’ ordinamenti e la si confronta con quella dei corsi attuali si nota una maggiore attenzione negli ultimi anni a vere e proprie ‘tecniche’ dell’intervento psicologico che fanno capo a scuole di pensiero spesso in netto contrasto con la tradizione psicoanalitica europea. Se in passato si potevano in molti ambienti liquidare le ‘nuove’ tecniche di modificazione del comportamento come superficiali, di corto respiro e basso valore culturale, adesso sono sempre più gli approcci che richiedono un maggior dispendio di tempo e intelletto a dover giustificare, a torto o a ragione, la propria esistenza.

Il secondo importante impulso alla ricerca nasce dagli aspetti istituzionali legati alla pratica della psicologia clinica in ambito sanitario. Nel lavoro in ambito istituzionale sta diventando necessaria una valutazione anche economica degli interventi di cura e il tempo impiegato dallo psicologo, gli esiti della terapia, il livello di rischio presentato dal paziente prima e dopo l’intervento psicologico stanno diventando voci importanti nei bilanci di gestione del servizio sanitario. In tale contesto la scelta operata dallo psicologo clinico su quale modello di intervento utilizzare (per esempio a breve, medio o lungo termine, in setting individuale o di gruppo) dovrà basarsi da una parte su una considerazione delle risorse disponibili e dall’altra su validi dati di ricerca che abbiano dimostrato l’efficacia relativa dei diversi modelli di intervento su specifiche condizioni psicopatologiche.

Nell’ambito della pianificazione dei servizi è chiaro che non si può pensare ad una crescita della Psicologia Clinica in ambito pubblico sanitario senza che l’efficacia dell’intervento psicologico e i vantaggi di una maggiore presenza di psicologi nei servizi accessibili a livello territoriale (presso i medici di base, i consultori, i servizi di igiene mentale, le scuole) possano essere documentati.

I limiti della ricerca come fondamento della pratica clinica

Se si accetta il presupposto che la scelta del tipo di intervento più efficace per un dato paziente dovrebbe essere effettuata in primis sulla base di ciò che la letteratura ha dimostrato essere l’intervento più efficace per il tipo di psicopatologia o disagio psichico che egli/ella presenta, diventano ahimè indispensabili una valutazione e una revisione critica della ricerca stessa, della validità e attendibilità dei dati da essa prodotti, e della loro applicabilità al caso in questione. In molti casi ci si trova di fronte ad un compito di difficile soluzione. Si prenda l’esempio di una bambina di sei anni inviata ad un consultorio familiare per problemi di encopresi diurna. Un’anamnesi familiare rivela i seguenti dati: storia di estrema violenza fra i genitori, divorzio avvenuto quando la bambina aveva due anni, marcati comportamenti antisociali nella bambina a partire dai tre anni, insorgenza di una malattia invalidante nella nonna materna avvenuta all’epoca del divorzio. I temi sui quali si potrebbe centrare una terapia familiare o individuale sono molteplici. Esistono valide revisioni attuali dei dati di ricerca disponibili sull’efficacia di diversi tipi di terapie psicologiche che riassumono ciò che i principali studi indicano essere le percentuali di ‘successo’ di terapie psicodinamiche, sistemiche, cognitivo-comportamentali applicate a diverse configurazioni sintomatologiche (si vedano per esempio A. Carr, 2002 e P. Fonagy, 2002). Anche alla luce di tali ottimi lavori tuttavia nel caso sopra menzionato molti dei dati di ricerca disponibili rimangono di difficile utilizzo nella clinica. Come definire per esempio la ‘condizione’ della bambina? Come un caso di encopresi, di disfunzione nell’ambito delle relazioni familiari o comportamento antisociale? Si pone cioè un problema di confronto tra i casi presentati dalle ricerche sugli esiti della terapia (outcome research) e il caso in esame. Quanto più i dati riguardano un gruppo numeroso di casi di cui si conoscono pochi aspetti (quali potrebbero essere età sesso e la presenza di encopresi) tanto più difficile diventa utilizzare tali dati come guida nel qui ed ora del caso in esame.

Come l’unicità dell’incontro tra due persone che avviene durante la consultazione psicologica è di difficile codifica, così è difficile pensare che le dinamiche interpersonali al proprio interno siano comprensibili o prevedibili attraverso i metodi di ricerca che hanno caratterizzato la psicologia scientifica a partire dai suoi esordi. Sono ormai diversi anni infatti che i limiti dei metodi quantitativi della ricerca sperimentale, mutuati dalle scienze fisiche e biologiche e rientranti nel quadro di un’epistemologia positivista vengono discussi e i tradizionali metodi scientifici sempre più riconosciuti come inadeguati alla comprensione di fattori soggettivi, interpersonali e sociali. Allo stesso tempo è cresciuta l’esigenza di produrre dati di ricerca attendibili che consentano un’analisi olistica dei fattori individuali e relazionali senza dover ricorrere alla scomposizione di complesse realtà psicologiche in costrutti elementari quantificabili ma lontani da quella realtà mutevole e contraddittoria cui essi appartengono (vedi per es. Di Nuovo, 1995). Lo scopo di questo articolo è ribadire la necessità di impegnarsi nella ricerca clinica (nonostante i limiti dell’applicabilità di qualunque dato alla unicità dell’incontro tra due persone) ed evidenziare l’esistenza di un gruppo di metodi definiti ‘qualitativi’, che si stanno affermando negli ultimi anni e che secondo chi scrive rispondono meglio alle esigenze degli psicologi e dei servizi per cui essi lavorano.

 

Le ‘nuove’ metodologie qualitative

Per metodo qualitativo si intende un metodo che utilizza procedure di natura qualitativa sia a livello di raccolta che di analisi dei dati. Le procedure di raccolta dei dati comprendono: Interviste, discussioni di gruppo, osservazioni partecipanti; mentre quelle di analisi consistono in procedure di codifica, categorizzazione e confronto sistematico fra le categorie evidenziate e le loro dimensioni. Tale tipo di ricerca è spesso definita di tipo esplorativo, in contrapposizione alla ricerca scientifica classica mirata alla conferma/disconferma di ipotesi iniziali. Come nota Di Nuovo (1995) la nota distinzione tra approcci idiografici e nomotetici, i primi propri delle scienze ermeneutiche e descrittive che presuppongono l’unicità dell’individuo, i secondi tesi ad individuare delle leggi generali al di là delle differenze individuali, non è di fatto utile a chi voglia confrontarsi con la necessità di intraprendere una ricerca. Di Nuovo propone per esempio di distinguere fra la ricerca che risponde ad esigenze di intervento sulla realtà e che ha quindi bisogno di comprendere "tutto e subito" e la ricerca che ha come scopo la pura conoscenza. È chiaro come nel primo caso gli interessi del clinico e del ricercatore convergano, entrambi essendo interessati a comprendere le dinamiche relative a ‘questo’ soggetto e ‘queste’ condizioni nella realtà quotidiana – della famiglia, della scuola, del servizio di psicologia.

Fra i metodi qualitativi spesso usati nella ricerca psicologica vi sono il Focus Group, l’Analisi del Discorso, l’Analisi Conversazionale, la Grounded Theory e l’Analisi Fenomenologica Interpretativa. Mentre si accennerà qui di seguito agli ultimi due metodi e ad alcuni dei testi che li esemplificano, si possono consultare per i primi tre: Smith et al. 1995a; 1995b; Smith, 2003; Willig, 2001. Per il Focus Group in particolare si veda Barbour, Kitzinger, 1999. Per l’Analisi Conversazionale: Hutchby, I., Wooffitt, R. 1998; Ten Have, 1999. L’Analisi Conversazionale è stata anche presentata in Italia da Lai (1993) e applicata da Festini Cucco (1994) all’analisi linguistica di un lavoro terapeutico di gruppo.

Grounded Theory

Uno dei metodi qualitativi più utilizzati e più riconosciuti in ambito accademico è quello denominato Grounded Theory (di difficile traduzione, ma che si riferisce ad una teoria ‘radicata’ nei dati). Tale metodo nacque nell’ambito della sociologia dalla collaborazione di Glaser e Strauss che lo ‘scoprirono’ nel corso di uno studio sulla consapevolezza della morte (Glaser e Strauss, 1967). Nel loro pregevole lavoro del 1967, questi autori evidenziarono come in passato la ricerca avvenisse principalmente in un ambito artificialmente separato dalla pratica clinica e dalla realtà di tutti i giorni e come tale artificiosità dipendesse fra l’altro dalla separazione tra le fasi di raccolta e analisi dei dati. Glaser e Strauss per primi riuscirono a dimostrare con successo come teorie sociologiche e psicologiche possano fondarsi su dati di natura qualitativa e come tali dati abbiano un valore intrinseco e non debbano venire intesi unicamente come sostegno a dati quantitativi.

Essi proposero l’intervista semi-strutturata come il metodo più efficace di raccolta dei dati, insieme a metodi osservativi e all’utilizzo di resoconti scritti in forma di diario. Uno degli aspetti fondamentali della raccolta dei dati è che questi siano in fase iniziale il più ‘ricchi’ possibili. A tal fine si dovrebbe secondo Charmaz (2003) oltre che trascrive i contenuti delle interviste registrate, descrivere gli atteggiamenti e i comportamenti dei partecipanti, annotare le osservazioni del ricercatore durante il colloquio e offrire delle riformulazioni delle principali domande per consentire ai partecipanti ulteriori possibilità di riflessione.

L’analisi dei dati avviene principalmente attraverso un processo definito da Glaser e Strauss come ‘codifica’ (coding). Esso consiste nell’individuare un significato o categoria concettuale nel complesso dei dati che sia il più vicino possibile alle parole degli intervistati. Confrontando sistematicamente le diverse categorie concettuali si è in grado di astrarre un significato più generale, che renda conto delle categorie evidenziate e possa costituire la base di una spiegazione del fenomeno in esame. Tale processo non deve avvenire tramite un percorso induttivo lineare, ma tramite un percorso circolare. La codifica iniziale dei dati iniziali conduce infatti alla formulazione di nuove ipotesi rispetto a quelle iniziali. Tali ipotesi andranno a costituire la base di nuovi protocolli di intervista e in tal modo le fasi di formulazione delle ipotesi, raccolta e analisi dei dati vengono a coincidere.

È chiaro come in questo processo diventa esplicito l’atto interpretativo del ricercatore, che sebbene in modo rigoroso e sistematico codifica e quindi traduce in categorie ordinali i contenuti dei colloqui effettuati con i partecipanti alla ricerca. Nella presentazione dei dati il ricercatore renderà quindi esplicite la propria posizione professionale, il proprio punto di vista, e le motivazioni che lo hanno spinto ad intraprendere il progetto, per consentire a chi legge la ricerca di comprenderne a pieno il processo.

Analisi interpretativa fenomenologia

Mentre la Grounded Theory pone l’accento sulla possibilità di generare delle teorie psicologiche relative al fenomeno oggetto di studio, l’Analisi Interpretativa Fenomenologica si propone come principale scopo quello di comprendere l’esperienza soggettiva relativamente ad un dato evento. Questo metodo, che ha poco meno di dieci anni, ha prodotto infatti risultati importanti in svariati ambiti di difficile investigazione attraverso i tradizionali metodi quantitativi come per esempio qual’è la relazione fra il delirio e le ambizioni personali in pazienti psicotici (Rhodes e Jakes, 2000); che tipo di intervento psicologico si propongono i consulenti genetici (Michie et al., 1999); a quali modelli di malattia si rifanno gli infermieri psichiatrici (Carradice et al. 2002); che cosa significa essere geneticamente figli di un donatore (Turner e Coyle, 2000).

L’intervista semi-strutturata è il metodo fondamentale di indagine e Smith e Osborn (2003) raccomandano un impiego il più rigoroso possibile di tale strumento. Il grado di strutturazione del protocollo di intervista può variare come anche il tipo di domande, che possono essere aperte o chiuse (che prevedono una risposta sì /no).

Per l’analisi dei contenuti Smith e Osborn (ibid.) raccomandano che il ricercatore legga più volte i protocolli con le trascrizioni delle interviste, annotando somiglianze, differenze, contraddizioni, eco, ed enfasi nelle parole dell’intervistato. Successivamente i temi emergenti da ciascuna intervista andranno annotati a margine e, come per la Grounded Theory, i temi inizialmente individuati dovranno essere il più possibile vicini alle parole dell’intervistato prima di procedere a livelli più alti di astrazione.

Per esempio, in una ricerca sull’esperienza del ricovero psichiatrico l’affermazione: "non so dove mi manderanno [dopo il ricovero], decideranno i dottori e gli infermieri" potrebbe essere interpretata come tema definibile ‘impotenza’ accompagnato da eventuali sentimenti di confusione, paura e rabbia. Tale tema può in seconda analisi venire collegato con i vissuti relativi ai farmaci, ai rapporti con i medici, gli infermieri e gli psicologi, la durata del ricovero, etc. L’analisi di più protocolli consentirà di evidenziare una diversità di temi mentre il confronto fra protocolli ne evidenzierà la ricorrenza.

Non si è accennato fino ad ora a quali siano i criteri per la scelta delle persone a cui proporre l’intervista. In tutti i metodi qualitativi non esistono regole fisse per la scelta del ‘campione’ della ricerca e spesso esso è dettato da necessità pratiche. In genere i numeri sono più bassi rispetto alle ricerche che utilizzano metodi quantitativi, proprio perché i dati per ogni ‘soggetto’ sono infinitamente più ricchi. Non è raro quindi leggere studi che adottano un campione costituito da dieci o quindici soggetti. Esistono anche tecniche specifiche per scegliere i partecipanti, come quella definita ‘maximum variation’ in base alla quale si scelgono individui con caratteristiche il più diverse possibili fra loro.

 

Conclusioni

Si è accennato in questo articolo ad alcuni dei metodi di ricerca che possono rispondere meglio dei metodi quantitativi tradizionali alle esigenze degli psicologi impegnati nella clinica. Essi mirano a coniugare il piano dell’unicità e quello della regolarità e si propongono di studiare in modo rigoroso la soggettività e il cambiamento all’interno di un gruppo, famiglia, o paziente. In questo contesto la soggettività del ricercatore diventa non è più una variabile interveniente ma uno degli strumenti della ricerca stessa.

La presentazione che si è fatta qui non rende certamente giustizia dell’insieme dei metodi definiti ‘qualitativi’ e della loro complessità. Tuttavia credo che sia importante contribuire a diffondere un interesse per la ricerca come base e complemento della pratica clinica anche per poter rispondere all’esigenza di valutare le psicoterapie e in generale il tipo di servizio offerto a quanti ricercano un aiuto psicologico.

 

Riferimenti bibliografici

Barbour, R., Kitzinger, J. (a cura di) (1999) Developing Focus Group research: politics, theory and practice. Londra, Sage.

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Carradice, A., Shankland, M., Beail, N. (2002) A qualitative study of the theoretical models used by UK mental health nurses to guide their assessments with family caregivers of people with dementia. International Journal of Nursing Studies, 39, 17-26.

Charmaz, K. (2003) Grounded Theory. In: J.A. Smith (a cura di) Qualitative Psychology: a practical guide to research methods. Londra, Sage.

Di Nuovo, S. (1995) I metodi della ricerca in psicologia clinica. In: L. D’Odorico(a cura di) Sperimentazione e alternative di ricerca. Milano, Cortina.

Festini Cucco, W. (1994) Metodologia della ricerca in psicologia clinica. Roma, Borla.

Fonagy, P., Target, M., Cottrell, D., Phillips, J., Kurtz, Z. (2002) What works for whom? A critical review of treatments for children and adolescents. New York, Guilford

Glaser, B.G., Strauss, A.L. (1967) The discovery of Grounded Theory. Chicago, Aldine.

Hutchby, I., Wooffitt, R. (1998) Conversation Analysis: principles, practices and applications. Cambridge, Polity.

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Smith, A., Osborn, M. (2003) Interpretative Phenomenological Analysis. In: J.A. Smith (a cura di) Qualitative Psychology: a practical guide to research methods. Londra, Sage.

Ten Have, P. (1999) Doing Conversation Analysis: a practical guide. Londra, Sage.

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Willig, C. (2001) Introducing qualitative research in psychology: adventures in theory and method. Buckingham, Open University Press.

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