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La formazione continua nell’ambito della Salute Mentale

Il ruolo della ricerca-azione e i rapporti Università-territorio.

VII SEMINARIO, Roma 11 Luglio 2007

Relazione Iniziale

Appunti introduttivi

Prof. Girolamo Lo Verso

Titolare della Cattedra di Psicoterapia, Università degli Studi di Palermo.

Gruppoanalista, già Presidente S.P.R., Coirag, div. di psicologia clinica della Sips.

 

 

Formazione; ricerca-azione; università/territorio: nota preliminare

Il problema della formazione si pone, in primo luogo a livello di basi universitarie. Specializzazioni in psichiatria e psicoterapia, lauree specialistiche in psicologia clinica, in servizio sociale (psichiatrico?) e riabilitativo, corsi e master specifici, ad esempio in salute mentale, psicologia delle dipendenze, arte-terapia, ecc. L’elenco è lungo ed ampio, e si riferisce all’università, ma anche a realtà riconosciute di vario tipo. Ogni formazione disciplinare deve essere fortemente specifica e peculiare, ed è rischioso confonderle. Tuttavia, ci interessano qui gli aspetti comuni fra di esse, che possono continuare ad arricchirsi nella successiva formazione. A questo scopo, faccio alcune affermazioni schematiche e, convenzionalmente, assertive.

  • La formazione deve dare una conoscenza reale della psicopatologia e della sofferenza di pazienti, familiari e curanti. Non basata, quindi, solo sul DSM e sulla descrizione sintomatica, poiché ciò ci allontana dai pazienti e non ci avvicina alla comprensione di ciò che essi vivono.

  • Il principale fattore comune della formazione nel nostro campo è l’acquisizione di competenze relazionali che consentono di gestire il rapporto sé-altro in maniera terapeutica. L’acquisizione della competenza relazionale è un processo formativo e non informativo. Deve coinvolgere la persona dell’operatore e consentire un accettazione "curante" del paziente, così come egli è. La competenza relazionale è un fondamentale fattore terapeutico in qualunque tipo di intervento, compresi quelli che fanno ricorso anche ad altri fattori terapeutici ( ad esempio, quelli farmacologic, sociali, interpretativi). Negli interventi a prevalente valenza psicosociale e psicoterapica, la competenza relazionale riguarda ancora più direttamente il mondo interno di pazienti e terapeuti, ed è il principale strumento di lavoro. Competenza relazionale implica, ovviamente, anche le possibilità di lavoro di equipe. La formazione relazionale, come mostrano le esperienze di psicologia clinica di Palermo e di Roma, o quelle fatte in varie cliniche psichiatriche e in molti altri posti, può essere avviata già negli anni universitari, può far parte della formazione preliminare ed iniziale al lavoro nella salute mentale, può proseguire nella formazione permanente. Lo strumento principale di tale formazione sono i gruppi piccoli e mediani. Fondamentale diventa la peculiare competenza in questo campo e cioè, la qualità specifica della formazione dei formatori.
  • La formazione deve preparare al lavoro multidisciplinare, alla collaborazione multipersonale, a creare spazi di condivisione dell’esperienza di cura. Non è possibile, nel campo della psicopatologia grave reggere ed elaborare, in maniera non iatrogena, un rapporto prolungato con in pazienti in una situazione di solitudine. Del nostro lavoro fa parte la conoscenza, reale e non pregiudiziale, del lavoro delle altre figure professionali e di quello di colleghi di orientamenti diversi da quelli a cui siamo formati. Assai interessante è l’esperienza di supervisione nei servizi e nelle comunità, fatta alle equipe e non solo da singole figure professionalizzanti. Mi sembra importante ricordare che formazione "relazionale" alle relazioni e le supervisioni gruppali sono anche i modi principali con cui è possibile ricevere aiuto per i professionisti della salute mentale. Come dicevo è indispensabile condividere l’enorme bagaglio di dolore, confusione, e paura che i pazienti vivono e ci mettono dentro. In un mestiere, poi dove "curare" vuol dire non contrapporre a questo una barriera, un camice, ma accettarlo e condividerlo.
  • La formazione deve dare, a tutti gli operatori, elementi di conoscenza che spesso appartengono ad una sola categoria. Ad esempio, neurobiologica, sul familiare, l’antropologico ed il sociale, sui processi interni ed interpersonali di tipo emotivo, cognitivo ed affettivo. Centrale è sempre più diventata nel nostro campo, la competenza relazionale legata agli aspetti istituzionali ed alle loro dinamiche. È certamente la cosa che più distingue, ad esempio, un lavoro di cura, anche integrato, privato, con psicoterapia e farmaci, dalla complessità del lavoro istituzionale che ha carattere più ampio. Servizi di salute mentale, case famiglia, comunità, servizi per le dipendenze patologiche, ecc., sono tutte realtà che richiedono capacità di auto-analisi e cioè, di elaborare come i processi istituzionali influenzano la relazione con i pazienti ed il lavoro di cura. In sostanza, il contesto deve essere soggetto di pensiero e di intervento.

La ricerca

Tutto il grande lavoro fatto negli scorsi anni con l’S.P.R. e nella ricerca di psicoterapia, ci ha portato a cercare di superare la dicotomia tra ricerca sistematica e metodologicamente fondata e ricerca "applicata" e quindi semplificata. La ricerca sperimentale classica aveva difficoltà ad essere "utile" alla clinica, e viceversa, i servizi sono stati spesso intrappolati in passato da ricerche che non erano tali. Non è certamente valutazione credibile calcolare il numero delle sedute di arte o psico o farmaco terapia, e dire che applicando il tale test l’ansia è diminuita di tot e che le uscite di casa sono aumentate di tot (senza magari rilevare che uno esce da casa per drogarsi). Ricerche siffatte servono solo a colmare le ansie economico-burocratiche delle amministrazioni. In realtà, fanno parte di un’enorme gioco di intrattenimenti. Vogliamo impostare sul serio ricerche sul problema dei costi: quelli veri, psichici, familiari, sociali, lavorativi, interpersonali? Oppure sull’efficacia reale dei trattamenti? Va tenuto conto che la ricerca empirica, a partire dalla psicoterapia, si è oggi molto arricchita. Vi è, ad esempio, l’uso intrecciato di strumenti di rilevazione quantitativi e qualitativi, la rilevazione che i migliori risultati sono quelli dei trattamenti integrati, che il migliore predittore di buon risultati è l’alleanza terapeutica, non solo in psicoterapia, ma anche in farmacoterapia, che i trattamenti brevi, se ben strutturati, possono dare buoni risultati in tempi più stretti e quelli lunghi più stabili nel tempo.

Desidero citare due esempi di risultati legati ai nostri gruppi di ricerca. Il primo è dovuto all’equipe di Corrado Pontalti, dalle cui rilevazioni è emerso che il sentimento di distanza ed esclusione dei pazienti dal gruppo terapeutico, e la collegata depressività, sono dovuti, in primo luogo, alla qualità ed intensità dell’attenzione dell’analista verso il paziente. Il secondo risultato che è emerso in quattro studi effettuati in Sicilia è che i gruppi a tempo limitato (due anni), che abbiamo sistematizzato per la cura dei D.C.A., danno risultati ottimi per le pazienti anoressiche, e risultati, invece non sufficienti e da integrare, con le bulimiche. Ciò sta aprendo l’interrogativo se il costrutto che ci ha portato negli ultimi decenni a considerare questi disturbi come due facce della stessa medaglia, non vada profondamente rivisto.

Il rapporto università territorio

Diciamo che in passato, al di là di singole esperienze legate ad alcuni docenti e professionisti, non si è fatto molto in questa direzione. Tagli troppo diversi, pregiudizi radicati. Il mondo universitario si occupa di elaborazioni tecniche e di ricerche più o meno astratte. I servizi e le realtà territoriali si sono dovuti occupare, in primo luogo, di sopravvivere a proposte che con il compito di curare la sofferenza psichica, e soprattutto di "pensarci su" avevano poco a che fare. Anche si deve dire che oggi, da quando ci occupiamo sistematicamente di valutazione delle psicoterapie, l’interesse di gruppi di colleghi dei servizi è alto ed interessante, pur nella cronica carenza di fondi. L’ipotesi di lavoro e la sperimentazione di ricerche-intervento integrate di cui alcune, nate dal rapporto università-servizi, nel suo insieme, è abbastanza distante da tutto ciò. Il docente universitario, in quanto tale, non ha formazione clinica ed un’abitudine alla ricerca operativa. Nelle cliniche psichiatriche purtroppo, sia pure con interessanti eccezioni, l’interesse formativo principale è sul rapporto tra valutazione tassonomica (D.S.M.) e trattamento farmacologico. L’interesse di ricerca, anche per le forti pressioni, è nella validazione dei farmaci. Approfitto dell’occasione per porre ad un potere politico che valutiamo libero, una questione. È mai possibile che il grosso della formazione e della sperimentazione farmaceutica sia di fatto effettuato dagli stessi produttori di farmaci tramite la realtà che loro stessi finanziano? Quale può essere la credibilità clinica e scientifica di una prassi siffatta? Che senso ha un sommelier che coincide con il produttore del vino?

Nelle lauree in psicologia l’interesse principale non è ovviamente alla salute mentale, salvo, in parte, per le magistrali in psicologia clinica. Va detto che comunque, l’apertura e l’interesse per queste tematiche è tra gli studenti molto alto. Vogliamo anche dire che nella nostra esperienza, una parziale formazione di base per la salute mentale può essere fatta: e ciò sin negli insegnamenti classici di psicologia dinamica dei gruppi, clinica, diagnostica, psicopatologia, psichiatria, psicoterapia, che in tutti i laboratori ad hoc che noi abbiamo, ad esempio, inserito. Certamente, molto si può fare nel contributo alla circolazione internazionale di innovazioni ed elaborazioni: citerò per tutte, negli ultimi anni la ricerca in psicoterapia, la diffusione di epistemologie complesse e costruttivistiche, la consapevolezza dei livelli etnici, il ritorno delle attenzioni al sociale nelle patologie gravi, ecc.

L’ipotesi di lavoro che è possibile realisticamente fare è, quindi, quella di creare un network di realtà universitarie che abbiano già lavorato nel nostro campo, ed evidenziarne competenze formative e /o di ricerca. Lo stesso potrebbe essere fatto nei servizi. E sulla base delle reali risorse, strutturare la formazione e la ricerca nel prossimo progetto-obiettivo. Devo aggiungere, che a mio avviso, se tutto ciò non sarà contenuto (non può essere troppo vasto), coordinato ed elaborato, con difficoltà produrrà cambiamenti reali e strutturali.

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