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Psicoanalisi e Neuroscienze: un dibattito attuale sul sogno

di Mauro Mancia

Riassunto

Le neuroscienze si sono interessate al sogno a partire dagli anni '50, dopo la scoperta del sonno Rem e dopo l'osservazione che i risvegli in fase Rem permettevano al soggetto di ricordare e narrare un sogno. Date le caratteristiche fisiologiche e l'attivazione, ottenuta con la PET, di specifiche strutture in sonno Rem (tegmento pontino, amigdala, ippocampo, giro paraippocampale, corteccia del cingolo e opercolo parietale di destra) sono state avanzate ipotesi sulla partecipazione di queste strutture ai processi della memoria, costruzione spaziale, organizzazione semantica, partecipazione emozionale e narrazione del sogno. Tuttavia, la ricerca psicofisiologica più recente ha dimostrato la presenza di attività onirica in tutte le fasi di sonno e ha fatto l'ipotesi di un comune generatore del sogno indipendente dalle fasi Rem e non-Rem. La psicoanalisi è interessata al significato del sogno e alla possibilità di contestualizzarlo nella relazione analitica, collegandolo alla storia affettiva del sognatore e al transfert. Pertanto il contributo della psicoanalisi al sogno si differenzia da quello portato dalle neuroscienze, interessate a conoscere quali strutture sono coinvolte nella produzione del sogno e come questo evento può organizzarsi ed essere narrato.

 

Summary

Neurosciences have been interested in dream as from the fifties, after the discovery of REM sleep and after observing that waking up in the REM phase allowed the subject to remember and tell a dream. Given the physiological characteristics and the activation, obtained with PET, of specific structures in REM sleep (pons tegmentum, amygdala, hippocampus, parahippocampal gyrus, cingulate cortex and right parietal operculum) hypotheses have been proposed on the participation of these structures to the processes of memory, emotional participation, spatial construction, semantic organization, of dream and its narration. Nevertheless, the most recent psycho-physiological research has demonstrated the presence of oneiric activity in all the phases of sleep and has made the hypothesis of a common dream generator independent from the REM and non-REM phases. Psychoanalysis is interested in dream significance and in the possibility of contextualizing it in the analytical relation, linking it to the affective history of the dreamer and to the transference. Therefore psychoanalysis contribution to dream differs from the one brought by neurosciences, that are interested in knowing which structures are involved in dream production, and in how this event can be organized and told.

 

Inizierò questo mio lavoro con una nota di carattere storico: la psicoanalisi si è occupata di sogno e ha usato il sogno e la sua interpretazione a favore della teoria pulsionale della mente e per dimostrare la forza determinante dell'inconscio, fin dal 1895. Le neuroscienze (in cui includerei la neurofisiologia, la neurochimica, la neuropsicologia e la psicofisiologia) si sono occupate di sogno molto più tardi e solo a partire dagli anni Cinquanta, quando i neurofisiologi hanno scoperto il sonno Rem, cioè una fase di sonno che si differenzia dal sonno con onde EEG sincrone o non-Rem per la presenza di un tracciato elettrico corticale fortemente desincronizzato come la veglia (da cui il termine di sonno paradosso), atonia dei muscoli posturali, movimenti oculari rapidi (da cui la sigla Rem, Rapid Eye Movements), comparsa di onde monofasiche nel sistema visivo (chiamate onde PGO, Ponto-Genicolo-Occipitali) e burrasche neurovegetative caratterizzate da aritmia respiratoria e cardiaca con variazioni della pressione arteriosa sistemica.

In quegli anni '50, il gruppo di Kleitman (Aserinsky & Kleitman, 1953; Dement e Kleitman, 1957; Dement, 1965) a Chicago poteva studiare le attività mentali nel sonno risvegliando i soggetti in coincidenza con episodi di sonno Rem o di sonno non-Rem. Quando il risveglio avveniva alla fine di un episodio Rem, il soggetto narrava un'esperienza che per le caratteristiche allucinatorie, autorappresentative ed emozionali, poteva essere definita come sogno. Quando il risveglio avveniva in fase non-Rem, l'attività mentale appariva caratterizzata da frammenti di realtà e da pensieri non organizzati né narrabili.

Il sogno entrava così nel dominio delle neuroscienze. Subito venivano poste le basi psicofisiologiche per un modello dicotomico Rem/non-Rem come equivalente elettrico di un'attività mentale differenziata. Nell'ambito degli episodi Rem, inoltre, è stata correlata la durata di un singolo episodio con la quantità di materiale onirico raccolto (Wolpert & Trosman, 1958), la quantità di movimenti oculari con i contenuti del sogno (Dement & Wolpert, 1958) e la direzione specifica dei movimenti oculari in rapporto alla organizzazione spaziale degli eventi del sogno (Dement, 1965; Molinari & Foulkes, 1969).

Queste esperienze psicofisiologiche hanno creato la convinzione che il sonno Rem costituisca la base neurofisiologica, o meglio la "cornice neurobiologica", all'interno della quale è possibile al sogno di organizzarsi e di essere narrato. La desincronizzazione EEG che caratterizza il sonno Rem costituisce in questa ipotesi la base per un'attivazione neocorticale indispensabile ad un'attività percettiva e cognitiva e, ad un tempo, al recupero della memoria, eventi questi necessari perché il sogno si realizzi. Gli stessi movimenti oculari sono stati considerati come l'equivalente motorio di un'attività allucinatoria capace di per sé di creare uno spazio onirico e le onde monofasiche PGO che si registrano nel sistema visivo sono state considerate come l'espressione elettrica di un processo di decodificazione e lettura delle informazioni che nascono nel sistema nervoso e che sono vissute dal soggetto come allucinazioni visive (Vedi Mancia, 1996).

Inoltre, esperienze psicofisiologiche fatte in fase Rem hanno dimostrato che l'organizzazione del sogno nei suoi aspetti geometrico-spaziali e nella sua componente emozionale coinvolge di preferenza l'emisfero destro (Antrobus, 1977; Bertini & Violani, 1984), mentre l'emisfero sinistro parteciperebbe essenzialmente agli eventi secondari legati alla narrazione del sogno. Sulla base di questo modello dicotomico Rem/non-Rem, molte ipotesi sono state avanzate tese a dimostrare la natura biologica dell'evento onirico al di là della storia personale e affettiva del sognatore.

Tra queste ipotesi, mi interessa discutere qui, per la sua radicalità, quella avanzata da Hobson & McCarley (1977) e recentemente ripresa da Hobson et al. (1998). Questa ipotesi è stata definita di attivazione-sintesi per cui il cervello in sonno Rem è considerato un vero e proprio generatore dello stato di sogno. L'attivazione delle strutture pontine solleciterebbe il cervello dall'interno producendo informazioni che, proiettate sul prosencefalo e il sistema limbico, verrebbero da questi elaborate per il recupero della memoria, la costruzione della trama del sogno e la partecipazione emozionale al sogno stesso. Da questa teoria deriverebbe che: a) la forza primaria che produce il sogno è fisiologica e non psicologica in quanto prodotta da un generatore interno pontino determinato genotipicamente; b) l'elaborazione delle informazioni e la loro sintesi compiuta dal prosencefalo sarebbe finalizzata alla organizzazione delle percezioni, delle emozioni, della memoria e dell'attività cognitiva tipiche del sogno; c) il cervello in sonno Rem potrebbe essere paragonato ad un sofisticato computer in cerca di parole-chiave con il compito di adeguare dati fenotipici derivati dall'esperienza a stimoli genotipici; d) in sostanza, non è la censura (Freud, 1900) che deforma il contenuto inconscio perché possa farsi strada verso la coscienza, ma è un "processo caotico di autoattivazione" a rendersi responsabile della bizzarria e del lavoro del sogno.

Più recentemente, nel riprendere questa vecchia teoria, Hobson et al. (1998) hanno elaborato dati provenienti da ricerche umane con la tecnica della positron emission tomography (PET). In particolare, Maquet et al. (1996) hanno osservato in sonno REM nell'uomo l'attivazione del tegmento pontino, dell'amigdala bilaterale, del talamo di sinistra, della corteccia del cingolo e dell'opercolo parietale di destra, una regione quest'ultima importante per la costruzione spaziale, mentre l'attivazione limbica potrebbe costituire il substrato fisiologico della partecipazione emozionale al sogno. Braun et al. (1997) hanno contribuito a differenziare a livello strutturale i meccanismi della veglia da quelli del sonno Rem, confermando l'attivazione, in sonno Rem, delle aree limbiche e paralimbiche, inclusa l'insula, la corteccia del cingolo e quella temporale mesiale. Più recentemente, Braun et al. (1998) hanno osservato un aumento di attività, in sonno Rem dell'ippocampo e del giro paraippocampale insieme alla corteccia extrastriata. Per contro, la corteccia striata è deattivata durante il Rem e così la corteccia prefrontale dorsolaterale e orbitale. Quest'ultima osservazione potrebbe costituire il substrato fisiologico per la dimenticanza dei sogni (Hobson et al., 1998).

L'ipotesi di Hobson & McCarley e quella più recente di Hobson et al. (1998) non reggono tuttavia a una critica all'interno della stessa neurobiologia e psicofisiologia. Innanzitutto il sonno Rem non è indotto soltanto dall'attivazione di strutture pontine, altre come l'amigdala (Sanford et al., 1995; Mariotti et al., 1994), l'ipotalamo posteriore (Sallanon et al., 1988) o nuclei talamici (Mancia & Marini, 1990) possono partecipare alla produzione e al controllo del sonno Rem. Inoltre la dimostrazione con la PET che determinate aree cerebrali si attivano nel sonno Rem rispetto alla veglia e al sonno non-Rem permette di collegare la funzione di queste aree con determinati aspetti e fasi del sonno, ma non ci dice quale rapporto di causalità può esserci tra queste funzioni cerebrali e l'esperienza mentale del sogno. Ma la critica più interessante viene dalla psicofisiologia (Bosinelli et al., 1982; Bosinelli e Cicogna, 1991; Foulkes, 1962; 1985). Il gruppo di Bosinelli ha dimostrato la presenza di un'attività mentale del tutto comparabile a quella che si registra in fase Rem anche nelle fasi non-Rem e all'addormentamento. Protocolli raccolti durante o alla fine di queste diverse fasi appaiono del tutto simili e tutti rientrano nella categoria dei sogni. Esiste dunque un'attività mentale di tipo onirico durante tutte le fasi del sonno, dall'addormentamento al risveglio. Esistono tuttavia delle differenze qualitative tra l'attività mentale nelle diverse fasi del sonno. Ad esempio, la strutturazione spaziale del sogno, il livello di partecipazione personale del sognatore al sogno, il maggior numero delle parole usate per raccontare il sogno, alcune caratteristiche del sogno stesso come la bizzarria, sarebbero maggiori nelle fasi Rem che non in quelle non-Rem. Inoltre in sonno Rem sembra esistano le migliori condizioni di attivazione corticale per poter garantire un recupero della memoria in grado di permettere resoconti di una certa lunghezza (Antrobus, 1983). La presenza di un'attività corticale rapida fino a 40 Hz in fase Rem (Llinas e Ribary, 1993) suggerisce una maggiore disponibilità di questa fase di sonno per un'attività cognitiva e anche l'organizzazione linguistica dei protocolli che provengono da fasi Rem appare maggiore rispetto ai protocolli che provengono da fasi non-Rem. Questi dati permettono l'ipotesi che la ridotta attivazione corticale in sonno non-Rem comporti la produzione di sogni con una minore capacità elaborativa dei materiali immagazzinati nella memoria e una minore capacità narrativa. Tuttavia, nei due tipi di sonno (Rem e non-Rem) operano modalità elaborative e mentali del tutto simili che suggeriscono un unico sistema di produzione dell'attività onirica attivo anche se in misura diversa durante tutte le fasi di sonno. Tale sistema è attivo indipendentemente dalle fasi di sonno Rem e non-Rem e può essere considerato una prova indiretta di una separazione tra attivazione di strutture cerebrali (il sonno nelle sue diverse fasi) e organizzazione dell'evento mentale (il sogno).

Si inserisce in questa critica all'ipotesi di Hobson et al. (1998) anche l'osservazione di M.Solms (1995), un neurobiologo e psicoanalista inglese, eseguita su 332 pazienti cerebrolesi. Solms ha potuto dimostrare che i sogni e il sonno Rem si sviluppano da strutture anatomiche diverse e interessano meccanismi psicologici diversi. In particolare, gli organizzatori del sogno non sono regolati dalle sole strutture del ponte poiché i sogni sono presenti in pazienti con lesioni anche estese del tronco encefalico, mentre sono aboliti dopo lesioni del cervello anteriore (forebrain) e delle corrispondenti cortecce associative. Sogni, ma con una perdita della componente allucinatoria, sono presenti in soggetti con lesioni della corteccia associativa temporo-occipitale, mentre individui con una compromissione delle strutture associative limbiche diventano incapaci di distinguere i sogni dalla realtà e possono esperire una situazione pressoché continua di sogno. I dati neuropsicologici più recenti (Solms, 1999) suggeriscono una dissociazione tra il sogno e i vari stati di attivazione cerebrale. Il sogno infatti avviene quando si attivano circuiti dopaminergici del cervello anteriore (ventromesial forebrain). Sono questi circuiti la via finale comune che produce il sogno, a partire dalle varie forme di attivazione cerebrale nel sonno. Presi nel loro insieme, dunque, questi risultati confutano l'ipotesi di attivazione e sintesi e pongono il problema neuropsicologico dell'attivazione delle aree associative (parietali, frontali e limbiche) per le funzioni mnemoniche, semantiche, simboliche ed emozionali necessarie all'organizzazione del pensiero onirico.

Il contributo delle neuroscienze al sonno e al sogno ha facilitato anche la ricerca cognitivista sull'attività onirica. Per autori come Antrobus (1978), Arkin et al., 1978, Foulkes (1985) e Cavallero (1991), il sogno è un processo cognitivo la cui intelligenza rappresentazionale si sviluppa a partire dal secondo anno di vita attraverso la memoria evocativa o simbolica. Il modello cognitivista, tuttavia, è interessato non tanto a che cosa viene sognato o al significato del sogno, quanto piuttosto a come il sogno si forma e si organizza. E per organizzare il sogno, i cognitivisti sottolineano le seguenti condizioni: a) l'attivazione fisiologica del cervello e in particolare della corteccia cerebrale; b) la maturazione delle strutture associative che presiedono alla organizzazione simbolica dell'esperienza; c) la possibilità che ha il cervello di creare nel sogno una esperienza multimediale simile a quella della veglia. Sembra in linea con questo modello cognitivista l'ipotesi proposta recentemente da Llinas & Parè (1991), due neurofisiologi secondo i quali il sonno Rem e il sogno ad esso collegato possono essere interpretati come uno stato di attenzione modificata, diretta non verso l'esterno ma verso l'interno e verso i propri ricordi. Anche per lo psicofisiologo Antrobus (1986), il sogno necessita di un'attivazione corticale e avviene in virtù di una sintesi che consiste in un legame neurocognitivo specifico tra attivazione corticale e organizzazione cognitiva.

Fin qui, le neuroscienze e la ricerca cognitivista. Ma possiamo domandarci: che relazione esiste tra il sogno studiato dai neuroscienziati e dai cognitivisti e il sogno studiato dalla psicoanalisi? Dobbiamo innanzitutto riconoscere che lo stesso Freud si era posto il problema di che relazione poteva esistere tra funzioni neurologiche e funzioni mentali cui il sogno appartiene. Mi riferisco al "Progetto di una psicologia" del 1895, un lavoro che costituisce una base essenziale per capire il pensiero di Freud in tema di sogno. Come è noto, il modello mente/cervello che Freud propone nel 1895 usa un linguaggio apparentemente neurofisiologico ma nella realtà metaforico per entrare come un cavallo di Troia nella cittadella chiusa del mondo universitario viennese per portarvi una concezione della mente diversa rispetto a quella del positivismo imperante in Austria e Germania alla fine del secolo (Mancia, 1983).

Molto sinteticamente, in questo modello, Freud propone dei sistemi neuronali che interagiscono tra loro (i sistemi j , y , w ), il primo (j ) collegato alla percezione, il secondo (y ) depositario della memoria, delle pulsioni e del desiderio rimosso, il terzo (w ) espressione del principio di realtà. L'energia che dal mondo della percezione si porta alla motricità dopo aver attraversato il sistema y , ha un percorso progressivo nella veglia sotto l'influenza del principio di realtà o sistema w . Ma nel sonno, quando il sistema w è eliminato in quanto siamo deafferentati e la motricità è inibita in quanto siamo paralizzati, l'energia accumulata nel sistema y deve trovare un suo percorso regressivo (regressione topica) verso le porte della percezione che, colpite dall'interno, creano una percezione senza oggetti, cioè una allucinazione, attraverso la quale il desiderio rimosso accumulato nel sistema y viene soddisfatto. Da qui la definizione di sogno che Freud non abbandonerà mai nel corso della sua vita di "soddisfazione allucinatoria di un desiderio rimosso nell'infanzia".

Ma le teorie del sogno, a partire dagli anni Trenta, si modificano perché cambia la teoria della mente. Alla Klein (1932) va il merito di avere intuito le profonde analogie esistenti tra il linguaggio del gioco e quello del sogno, in quanto ambedue arcaici e capaci di esprimersi per immagini. Con la teoria degli oggetti interni, inoltre, non sarà solo il rimosso la molla inconscia che fa lavorare in sogno la mente dell'uomo, ma una tensione dinamica tra oggetti interni, rappresentazioni di figure significative dell'infanzia fortemente investite di affetti. Il sogno allora acquista una funzione centrale all'economia della mente: quella di rappresentare le varie fasi cui la mente va incontro nel suo sviluppo. Infatti, con la teoria degli oggetti interni, la mente umana può essere rappresentata come un teatro privato con personaggi in relazione tra loro, con conflitti e difese da cui scaturisce un significato che è proiettato nel mondo esterno e nelle relazioni interpersonali. La metafora del teatro privato ci fa vedere il sogno come una messa in scena o presentazione di rappresentazioni cariche di affetti dove gli oggetti interni del sognatore sono in relazione tra loro (quella che chiamiamo la dimensione intrapsichica del sogno) e in relazione con il Sé e gli oggetti della realtà (quella che chiamiamo la dimensione intersoggettiva del sogno). Questa presentazione primaria assolve il suo compito in quanto messa in scena di eventi affettivi e non è conoscibile se non attraverso una sua narrazione che tuttavia implica, in quanto evento secondario, una sua trasformazione e interpretazione (Mancia, 1996).

La differenza fondamentale, dunque, che la psicoanalisi propone relativamente al sogno rispetto alle neuroscienze è quella di vedere il sogno come espressione di una teologia della mente (Mancia, 1988), nel senso che si riferisce a quelle figure o rappresentazioni che hanno acquisito dentro di noi sognatori una dimensione sacrale in quanto relazionate ai nostri oggetti interni. La differenza, dunque, sta nella storia affettiva del soggetto che la psicoanalisi, diversamente dalle neuroscienze, considera centrale al significato del sogno.

Può essere interessante, a questo riguardo, ricordare con Eco (1981) che dietro ad ogni strategia del mondo simbolico esiste a legittimarla una teologia. Ed è a partire da questa legittimazione che ho cercato una possibile analogia tra sogno e religione, intesa nella accezione di re-ligare cioè unire in una complessa relazione gli elementi più significativi che nel mondo interno dell'individuo hanno acquisito un significato sacrale (Mancia, 1987).

Ma il vero grande privilegio della psicoanalisi rispetto alle neuroscienze è il suo stesso modo intersoggettivo di operare e il suo fondare il lavoro interpretativo del sogno sul transfert, inteso come una situazione relazionale particolare e specifica, trasferita dal passato al presente ma anche come una proiezione nel presente e nella figura dell'analista degli oggetti interni del sognatore nelle loro dinamiche intrapsichiche e intersoggettive (Joseph, 1985). E' in virtù del transfert che il paziente può rappresentare attraverso il sogno lo stato attuale dei propri oggetti interni in rapporto alla storia dei suoi affetti primari e in relazione all'analista. All'analista il sogno permetterà di riconoscere le scissioni, le identificazioni, le difese, le paure, le negazioni, le idealizzazioni, le seduzioni, attivate nel paziente e di usarle per un lavoro sul sogno fatto di tante cose: interpretazioni, decodificazioni e traduzioni dal manifesto al latente, ma anche ipotesi, elaborazioni, mosse e attese da giocatore di scacchi, tutte tese ad acquisire e far acquisire al paziente conoscenza sui suoi oggetti interni e le loro dinamiche, sulle difese indotte dalla sollecitazione transferale e sulle azioni rivolte ad mondo esterno. E' il modello epistemologico del sogno di cui ci hanno parlato Money-Kyrle (1961) e Bion (1962).

Questo aspetto epistemico del sogno pone il problema della necessità che ha l'uomo di sognare perché sognare, attraverso la oggettualizzazione delle proprie dinamiche interne, significa darsi uno strumento di conoscenza di sé e dei propri oggetti interni di cui la mente ha bisogno per mobilitarsi e per crescere. Produrre conoscenza attraverso il mondo delle rappresentazioni può dunque essere considerata una delle funzioni del sogno. L'aveva intuito anche Freud (1900) quando paragonava il sogno a un giornale in un regime dittatoriale: deve uscire ogni notte ma non può dire la verità ed è costretto a dirla tra le righe. Noi oggi pensiamo che il sogno è un giornale che esce ogni notte e dice la verità, anche se in forma distorta, ma il lavoro in analisi permette di ridurre l'operazione retorica del sogno, cioè lo scarto tra contenuto manifesto e contenuto latente e mettere il sogno in condizione di radiografare lo stato relazionale della coppia in analisi con riguardo sia alla mente del paziente e ai suoi oggetti, che alla mente dell'analista con i suoi affetti controtransferali.

In questa linea di pensiero, possiamo definire oggi il sogno come una esperienza reale che, in quanto rappresentazione del mondo interno del sognatore, nel suo immediato presente esprime il transfert in tutta la sua totalità. Ciò non significa che il sogno non sia anche altro o assolva altre funzioni, ad esempio quella di comunicare all'analista qualcosa di non comunicabile altrimenti, oppure l'esaudimento di un antico desiderio rimosso o addirittura una premonizione, come si pensava nell'antichità (Mancia, 1998), o anche un agito in seduta, come nel caso di sogni portato in forma evacuativa in grande quantità solo per riempire lo spazio analitico. Quello che comunque va sottolineato è il ruolo attivo e insostituibile del sogno nel processo di drammatizzazione della relazione, teso a costituire un pensiero condiviso dalla coppia. Un processo cioè di teatralizzazione degli affetti in gioco nella relazione in quel particolare fuggevole momento transferale.

La conoscenza che scaturisce dal sogno deriva anche dal fatto che, contestualizzato nella relazione analitica, il sogno stesso permette un recupero e una presentificazione di antiche esperienze cui è possibile attribuire un nuovo senso, operazione che fa considerare il sogno come il protagonista più accreditato e l'artefice più affidabile di quella che Freud definisce come Nachträglichkeit, intesa come riattribuzione di significato ad una esperienza passata attraverso una ritrascrizione della memoria. La memoria che il sogno recupera non va intesa soltanto come memoria storica, cara ai cognitivisti, ma essenzialmente come memoria affettiva legata alla riattivazione di una processualità (macrotraumatica e microtraumatica) che ha caratterizzato le tappe più significative dello sviluppo della mente infantile e che permette l'integrazione delle esperienze passate con quelle presenti, della realtà affettiva attuale attivata dal transfert con quella dell'infanzia recuperata appunto nella memoria. Sogno quindi che, in virtù della memoria, diventa un pontifex che, collegando e saldando le esperienze attuali con quelle di un tempo, fa da ponte tra inconscio passato e inconscio presente (Sandler & Sandler, 1984) dando così unità alla esperienza inconscia e permettendo una sua storicizzazione. La memoria che opera, quindi, nel sogno diventa parte integrante del transfert e del lavoro costruttivo e ricostruttivo che sul transfert la coppia analitica compie.

Un altro aspetto del sogno in analisi, che lo differenzia nettamente da altri vertici di osservazione, è quello clinico. Il sogno infatti può assolvere numerose funzioni nell'ambito della relazione analitica. Ad esempio, può essere il rivelatore più attendibile di sentimenti che non possono essere espressi altrimenti oppure di situazioni di stallo in cui è incappata la coppia analitica. Il sogno può far capire al paziente la natura del suo rapporto con i suoi oggetti interni e lo responsabilizza per le relazioni che questi oggetti hanno tra loro. Inoltre, il sogno può essere la rappresentazione privilegiata per svelare situazioni masturbatorie criptiche di tipo anale (Meltzer, 1966). Infine, una funzione del sogno in analisi da non dimenticare è la possibilità che ha di prevenire gli acting-out. Esiste infatti una proporzione inversa tra capacità di sognare e di elaborare i sogni da parte del paziente e le sue tendenze all'agire.

In conclusione, questi sono i problemi più rilevanti posti dalla dialettica tra psicoanalisi e neuroscienze: Qual è il contributo che le neuroscienze possono dare allo studio del sogno in campo psicoanalitico? Che relazione può esistere tra le neuroscienze come metodo di studio del cervello e delle sue funzioni (sinapsi, neuroni, vari sistemi operativi responsabili dei vari stati di coscienza) e la psicoanalisi come metodo antropologico che allarga il suo obiettivo sulle funzioni della mente e sulle rappresentazioni affettive che nella narrazione del sogno vanno incontro ad un processo di significazione linguistica?

Da quanto detto, appare chiaro che le neuroscienze si occupano essenzialmente degli eventi fisiologici del sonno nelle sue varie fasi Rem e non-Rem e quindi delle "cornici" biologiche all'interno delle quali il sogno può organizzarsi; le neuroscienze sono quindi un supporto alla ricerca psicofisiologica, interessata alla correlazione tra eventi fisiologici ed eventi mentali durante le diverse fasi del sonno. I cognitivisti ed i neuropsicologi sono impegnati a conoscere come il sogno si organizza e quali strutture cerebrali partecipano alla simbolizzazione, alla memorizzazione, alla codificazione semantica e alla narrazione del sogno. Il setting sperimentale di questi metodi di ricerca presuppone un soggetto che studia l'oggetto, ne valuta le risposte e le elabora sul piano qualitativo e quantitativo. La psicoanalisi invece si interessa al significato del sogno e ad una sua possibile contestualizzazione all'interno di una relazione specifica caratterizzata dal transfert e dal controtransfert. Il setting analitico, diversamente da quello neuroscientifico, si basa sul rapporto tra due soggetti ed è essenzialmente interessata alla qualità degli affetti consci e inconsci che entrano in gioco nella relazione (Vedi Longhi & Mancia, 1998).

E' necessario infine precisare che, anche se il sogno è comunque un prodotto del cervello, esso in quanto funzione rappresentativa trascende il cervello e si pone a un livello epistemologico profondamente diverso rispetto alle funzioni cerebrali. Il sogno e il suo significato restano il referente della psicoanalisi mentre le funzioni cerebrali nel sonno sono i referenti delle neuroscienze che, tuttavia, sull'esperienza onirica profondamente legata alla storia affettiva del soggetto non possono dire nulla di interessante.

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