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UNA DONNA DENTRO UN FILM: considerazioni su "La pianista"

Questo mese, vengo a proporre un film.

Credo di restare in linea con le riflessioni iniziate nei numeri precedenti, se il nostro fil rouge prosegue con un altro personaggio femminile, la tormentata Erika de "La pianista", film uscito piuttosto silente dall'ultimo Festival di Cannes ed interpretato da una algida e dolente Isabelle Huppert.

La scena si svolge in una Vienna elegante e ancora ricca di ambienti colti, dove Erika svolge il suo lodato e ammirato compito di pianista al Conservatorio, dove si distingue per la particolare severita'. Non c'e' allievo che la seduca, non c'e' tenerezza che sembra raggiungerla. Il suo riferimento preferito e' Schumann, diventato folle per essersi - nelle parole di lei - avvicinato al baratro.

Avviluppata e incastrata in un simbiotico rapporto la madre, con alle spalle il fantasma appena accennato di un padre malato, Erika e' l'immagine della donna tutta di un pezzo, padrona di uno stimato ruolo professionale e caratterizzata da una durezza che rasenta il sadismo.

Sara' questa durezza ad affascinare un giovane aspirante allievo, particolarmente dotato sul piano musicale, che ne idealizza gli aspetti di rigore racchiusi in una femminilita' che la sua giovane eta' riesce a cogliere e, facendo di tutto per ammesso al suo corso di studi, entra nella spirale della vita di Erika.

Lasciate le aule di musica, Erika vive uno sdoppiamento assoluto: visita cinema porno, spia le coppiette, si pratica autolesioni ai genitali….. il ricorrente scenario di una donna masochista, o se vogliamo autolesionista, o secondo una terminologia oggi in voga, uno stile ‘borderline' pervade la sua esistenza.

L'immaginario cinematografico aveva gia' utilizzato, in passato, l'immagine della donna scissa, che di giorno pratica una vita irreprensibile e di notte ( o nelle fantasie) e ‘preda di una sessualita' perversa e primitiva (penso allo splendido "Belle de jour" di Bunuel e al meno famoso "In cerca di Mr. Goodbar , con una struggente Diane Keaton agli esordi).

Qui, tuttavia, il cliche' della scissione e' piu' duro, piu' fermo, nulla concede al sentimentalismo e al gusto della narrativa, e nulla concede alla speranza.

L'innamoramento idealizzato del giovane svanisce di fronte alla tragica perversione di lei, che non puo' amarlo se non inserendolo nel povero rituale sadomasochistico, concretizzato da catene e fruste, ed Erika ha ormai scoperto troppo di se' — non tanto agli occhi dell'altro, quanto di se stessa — per rientrare nello stereotipo difensivo precedente.

Sempre antipatico, per me, inserire film di questo genere (che racchiudono poesia e verita' sull'animo umano molto di piu' di certi trattati scientifici) nelle definizioni psichiatriche o psicoanalitiche. Ma se dobbiamo farlo, o se vogliamo farlo, allora questo e' uno splendido film sulla patologia del Super-Io.

E ritroviamo allora, per chi ha avuto la pazienza di leggerli, i contenuti dei precedenti articoli di questa rubrica. Esiste un femminile oggi emblematico, dove la tirannia del Super-Io sembra essersi spostata dalla subordinazione ai padri e ai mariti, alla subordinazione della parte vitale e creativa di se' a questa struttura della mente, che Freud vedeva originariamente come introietto derivato dalle proibizioni dei genitori, ma che contributi successivi hanno arricchito di sfumature e spunti (basti pensare alla Klein).

Erika deve punire e punirsi ("lo desideravo fin da bambina"), e tanto grossolana e' la punizione inflitta ad altri (procura un incidente ad un'allieva che le rendera' impossibile suonare), altrettanto lo e' quella inflitta a se' stessa e alle parti di se', le parti che danno ad una donna il piacere. Quando ha la ventura di incontrare un innamorato, per lei si rivela la disfatta totale, perche' non c'e' posto per i buoni sentimenti.

Senza arrivare agli estremi della pianista (che pure esistono), la pratica clinica e la semplice osservazione della vita presentano non pochi casi di donne che si tiranneggiano. Sovente colte, con buone stabilita' professionali e sociali, rigorose con se stesse e con gli altri, le possiamo ritrovare assoggettate ad uomini violenti, o che violentemente non le amano, o alla merce' di incontri promiscui, o costrette ai morsi dell' anoressia, o vittime sacrificali delle chirurgie estetiche. In molti modi il Super-Io patoligico sceglie le sue pene. Il contraltare sadico, per contro, sembra piu' debole, piu' sporadico, piu' corruttibile nel tempo.

Non e' compito di questa rubrica analizzare e trattare scientificamente quanto viene proposto ai lettori. Avremmo amplio materiale, ma preferiamo qui gettare uno spunto, un'idea, e lasciarla germogliare.

Personalmente, ho trovato in questo film (o ri-trovato) pezzi di conflittualita' che non mi sono nuove, ne' estranee.

Se negli uomini mi pare di osservare piu' frequentemente una tensione tra Io e Ideale dell'Io (se vogliamo usare una terminologia nota a tutti e che indichi aspetti profondi e strutturali della mente, e non solo superficiali), in molte donne vado trovando, con accenti diversi, una tensione invece tra Io e Super-Io, che si pone a monte di molte depressioni, condotte borderline e anoressie femminili. Soprattutto, le molte depressioni femminili croniche e i temperamenti depressivi mi sembrano spesso inquadrabili, ripeto con sfumature diversissime, in forme di sofferenza strutturale del rapporto tra parti della mente che cercano il piacere, e parti che non se lo possono permettere. Si tratta, a mio avviso, di quella stessa brutalita' di un Super-io non piu' contenuto in norme sociali che puo' condurre gli adolescenti alla devianza e all'antisocialita'.

Mi fermo qui, sperando che qualche lettore abbia voglia di scambiare opinioni.

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ROSSELLA VALDRE'

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