INTERRELAZIONI TRA IPOCONDRIA E PARANOIA E' "credibile" una richiesta di aiuto ed un progetto di cura? di Roberto Lizza e Leopoldo Giannini CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Il richiamo alla figura mitologica di Cassandra non è sicuramente un riferimento originale ma ci appare come esemplare nel raffigurare le situazioni cliniche in cui l'ipocondria e la paranoia si mescolano così confusamente. Cassandra (tratto da R. Graves, 1955) è la figlia di Priamo e della sua seconda moglie Ecabe. In tutto Cassandra ha diciotto tra fratelli e sorelle, e tra questi un gemello, Eleno. Durante una festa che si celebrava nel santuario di Apollo, Cassandra con i suoi fratelli, stanca di giocare, si addormentò in un angolo del tempio e i genitori, incauti, le menti annebbiate dal vino, li abbandonarono rientrando a casa senza di loro. Quando la madre Ecabe se ne accorse, tornò al tempio ma vide che Cassandra e Eleno avevano i serpenti che ne stavano leccando le orecchie. I serpenti, all'arrivo di Ecabe, fuggirono via, ma i due bambini ebbero il dono della profezia. Secondo una successiva versione, che non necessariamente contraddice la prima, durante il sonno Cassandra ricevette una proposta da Apollo: il dono della profezia in cambio del consenso a giacere con lui. Ma Cassandra dopo aver accettato il dono, rifiutò di concedersi al dio. Apollo allora le chiese solo un bacio, ma mentre si baciavano, le sputò nella bocca per far sì che nessuno credesse mai a ciò che essa avrebbe profetizzato. A noi pare che Ipocondriaco e Paranoico debbano convincere il medico di qualche cosa. Il medico che può curare (cioè non impotente) è quello che li crede e per entrambi essere creduti è il fatto più importante. Molta della diffidenza di entrambi sta proprio nell'avvertire che difficilmente verranno creduti. Ciò che cercano, in realtà, sembra essere un testimone, cioè non esprimono una richiesta di aiuto, ma di testimonianza. Ci si trova di fronte ad un dilemma: rassicurare l'ipocondriaco negando la malattia vuoi dire privarlo del solo modo che abbia trovato per continuare la su esistenza incarnata. Nel migliore dei casi, lo si spinge a cercare un testimone più comprensivo e, nel peggiore, lo si irrita ed esaspera. Perché si instauri un embrionale rapporto psicoterapico bisogna senza dubbi che l'io oggettivato lasci il posto all'io oggettivante, bisogna giungere ad evocare l'io oggettivante. Delahousse (cit. da Tatossian, 1981) sostiene che una delle condizioni di possibilità di questa psicoterapia è che il medico non desideri guarire l'ipocondriaco e si sottragga al suo ruolo di terapeuta. Secondo A. Robutti (1990) i pazienti ipocondriaci e paranoici fanno come Cassandra, tormentano se stessi, i parenti, gli amici e soprattutto i medici con 1e loro continue lamentele di malattie e di trame persecutorie. Ma i lamenti e 1e persecuzioni sono forse ancora un segno che gli altri esistono e c'è ancora la possibilità di stabilire un contatto. L'ipocondriaco e il paranoico sfidano la medicina e la relazione, si sottraggono ad entrambe, ma senza tregua protestano e non si vogliono rassegnare. Entrambi passano da un parere medico all'altro, di ospedale in ospedale, si "fanno vedere" perché è proprio il vedere la causa, l'origine del male, ciò che conta di più per loro. C'è un tale riferimento al discorso medico che Cottraux (1980) arriva a definire il gioco ipocondriaco quale "una parodia del discorso del sapere medico". Il dolore, la sofferenza attraverso la descrizione che ne dà la letteratura medica infatti ci fornisce una metafora illuminante per le nostre considerazioni. Il dolore a colpo di frusta, a colpo di pugnale, oppressivo, costrittivo, perforante, sembra una aggressione proveniente dall'esterno, da un oggetto malefico e persecutore sadico. Cottraux dice che il "discorso medico, di cui quello ipocondriaco paranoide è una parodia sembra funzionare secondo un meccanismo di scissione e di proiezione per cui gli oggetti cattivi sono espulsi all'esterno" (1980). Il soggetto sofferente si trova faccia a faccia con la sua "mancanza", cerca di sbarazzarsi della parte cattiva di sé, ma senza riuscirci, se non nella proiezione sottesa al discorso medico sul dolore. E' come se il medico fosse un ipocondriaco che ha proiettato sull'altro il guasto da riparare, mentre l'ipocondriaco fallisce continuamente nei suoi tentativi di proiezione e reincorpora continuamente un oggetto che vorrebbe riparato da altri. "In questo modo il medico, dopo una fase di idealizzazione diventerà luogo di proiezioni persecutorie" (Cottraux, 1980). D'altra parte citando Hansen: "La paura più grande del paranoico ipocondriaco è di essere considerato un malato di mente. Questa paura non è soltanto proiettata nel mondo esterno. Si nota anche nel mondo intrapsichico, ma trasformata e mascherata da meccanismi di difesa. In questo senso l'ipocondria come la paranoia hanno una funzione difensiva e consolidante all'interno della personalità psicotica cioè proteggono da un break-down psicotico più profondo". (Hansen, 1968). Queste parole di Hansen secondo noi spiegano la tenacia con la quale questi pazienti si aggrappano ai loro sintomi. Luisa, prima di suicidarsi, si è depressa acutamente? E' finalmente arrivata alla depressione? Cioè, ha capito di essere pazza? Credibilità: a noi sembra che questi pazienti abbiano fondamentalmente bisogno di essere creduti. Creder loro collusivamente non è però possibile, né terapeutico. Se, come Cassandra, dicono la verità (o almeno una verità), l'atteggiamento emotivo empatico deve essere un fiducioso credere in una sofferenza psichica che prima o poi, o in un singolo momento, o in modo quasi puntiforme, potrà trovare una diversa modalità di espressione, forse arrivando anche a quella verbale. Questo consentirebbe di dare un senso a lamentele e denunce e quindi alla coppia terapeutica una "credibilità". C'è da aspettarsi però che la rinuncia alla denuncia del paranoico e la rinuncia alle lamentele dell'ipocondriaco possano sfociare in stati di regressione, confusione, depressione difficilmente affrontabili dal paziente in quanto strade di un percorso dentro di sé che da tempo immemorabile non conosce più; e allo stesso tempo difficilmente contenibili dal terapeuta che, paradossalmente, per le stesse ragioni, può tendere a non aspettarseli. Come ci ha acutamente suggerito la Robutti noi presumiamo una Ferita Primitiva: nell'ipocondriaco è il trauma di non essere creduto (il bambino-Cassandra che dice alla mamma di avere il mal di pancia e questa gli risponde che "non è niente"); nel paranoico è qualcosa di simile. Ci troviamo di fronte a una difesa quasi isterica, nel senso già prospettato da Freud: separare il significante dal significato, la forma dal contenuto. L'ipocondriaco ha rinunciato al mal di pancia, ma si tiene la lamentela. Come facciamo a sapere che non c'è nulla di cui lamentarsi nell'ipocondriaco? . . .e nulla da denunciare nel paranoico? Secondo noi il paranoico ha qualcosa da denunciare, l'ipocondriaco ha qualcosa di cui lamentarsi. Sembra quasi che questi pazienti, nel corso dello sviluppo, si siano in qualche modo impediti un certo tipo di percorso regressivo, confusivo o depressivo; ci sembra cioè che non possano più conoscere la confusione o la depressione come l'individuo normale può fare in certe particolari situazioni. Chiunque, cioè, può "fare" una regressione! (appare sufficiente anche un breve ricovero ospedaliero per motivi banali). Ciò che al contrario ci ha stupito nella clinica è che l'ipocondriaco, paradossalmente, regredisce pochissimo (anzi quasi mai) mentre tutti i malati "somatoformi" alquanto facilmente. Appare intuitivo a questo punto affermare che egli non regredisce perché tutta la sua struttura psichica è fatta per mantenere il controllo attraverso l'auto-osservazione. Regredire, infatti, significherebbe mettere il controllo, così come il "binocolo" dell'osservazione, nelle mani di un altro (il medico). Certo l'esposizione a una regressione, a una confusione o a una depressione è una esperienza angosciante per tutti i pazienti, psichiatrici e non. Nei nostri casi però questo effetto angosciante sembra amplificato perché questa strada appare in qualche modo preclusa, o, meglio, questa strada sembra attivamente impedita. Un grave rischio compare allora per il paziente quando questa via lascia filtrare qualcosa, un barlume di possibilità: l'incubo torna ma è insopportabile. Il terapeuta si è abituato a ripercorrere col paziente "strade note", tanto che le altre sono ritenute impraticabili: difficilmente si aspetterà una reazione del genere, la regressione dell'ipocondriaco è improbabile! La depressione nel paranoico quasi impossibile! Ciò non toglie che effettivamente queste "reazioni" a volte si presentino: e il terapeuta in questi momenti può restare, se ci è concessa una espressione che rende perfettamente lo stato d'animo, "in mutande! ". In altre parole, secondo la nota terminologia kleiniana, paranoico ed ipocondriaco non hanno raggiunto la Posizione Depressiva ed hanno sviluppato un "efficace" meccanismo difensivo contro la depressione. Interrogandoci sia sotto lo stimolo del rapporto coi pazienti, sia sollecitati dalle letture, ci è sembrato di avvertire questo curioso sottinteso: se a proposito della schizofrenia aleggia il fantasma della "inguaribilità", paranoici e ipocondriaci possono evocare quello della "incurabilità" (cioè del prendersi cura del paziente in un modo che abbia una qualche utilità). Da un lato possiamo (e dobbiamo) appellarci al fatto che le loro tenaci difese siano tutto sommato abbastanza adattive e che questi pazienti trovino modalità di esistenza di discreto compenso e/o equilibrio. D 'altra parte ci sembra che, per quanto in modo embrionale, contraddittorio, indiretto, ci sia alle volte più facile percepire (nel senso anche controtransferale) una richiesta di aiuto e di cure in uno schizofrenico (e ancor di più in un paziente "affettivo") che non nei pazienti di cui ci stiamo occupando. Lamentele ipocondriache, richieste di interventi medici, rivendicazioni e denunce paranoiche riempiono sì tutto lo spazio della relazione, ma non le avvertiamo come richieste di aiuto e di cure. Semmai come un ingorgo difficile da sbrogliare, a volte soffocante, alla fin fine senza senso. Ma quando interlocutori di tali lamentele e denunce diventiamo direttamente noi psichiatri (non "i medici", "gli avvocati", "i giudici", etc.) verrebbe da domandarsi: ma perché un paranoico continua così insistentemente a sporgere da noi la sua denuncia, ed un ipocondriaco a esprimere a noi la sua lamentela fisica? La ricerca di un senso condivisibile a questo interrogativo potrebbe aprire la strada al formarsi di una rudimentale alleanza terapeutica. Il paziente viene da noi: questo avrà pure un senso! | COLLABORAZIONI POL.it è organizzata per rubriche e sezioni affidate a Redattori volontari che coordinano le varie parti della Rivista. Anche tu puoi divenare collaboratore fisso o saltuario della testata, scrivi utlizzando il link proposto sottto, dando la tua disponibilità in termini di tempo e di interessi, verrai immediatamente contattato. Come tante realtà sulla rete POL.it si basa sul lavoro cooperativo ed è sempre alla ricerca di nuovi collaboratori, certi come siamo che solo un allargamento della cerchia dei suoi redattori può garantire alla Rivista la sua continua crescita in termini di contenuti e qualità. ti aspettiamo..... Scrivi alla Redazione di POL.it |