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Intervistaa Wolfgang Blankenburg 
in occasionedella presentazione del libro 

La perditadell'evidenza naturale.  
Uncontributo alla psicopatologia delle schizofrenie paucisintomatiche. 

a cura di Albertina Seta 
 


Nellagiornata  di studio del 24 ottobre dedicata a Ladimensione negativa della schizofrenia, organizzata a Firenze,come suo secondo congresso,  dalla Societàper la Psicopatologia  W. Blankenburg è stato cosìgentile da rispondere ad alcune domande  di Albertina Seta della redazionedi Pol.it  sul libro La perdita dell'evidenza naturale. un contributoalla psicopatologia delle schizofreni paucisintomatiche, recentementetradotto in italiano.
 

WolfgangBlankenburg (Brema, 1928) ha studiato filosofia seguendo i corsi di Heidegger,Szilasi, Fink e si è laureato in medicina all'Universitàdi Friburgo. Ha avuto i primi contatti con Ludwig Binswanger durante ilsuo lavoro di tesi in tema di Daseinsanalyse.  
Ad Heidelberg,sotto la guida di Plügge, si è perfezionato in malattie psicosomatiche.  
Nella clinicaUniversitaria di Friburgo si è specializzato e ha ottenuto l'abilitazionein psichiatria. Dal 1969 ha lavorato nella clinica psichiatrica di Heidelberge nel 1972 è diventato direttore sanitario e responsabile del repartodi psichiatria e malattie psicosomatiche. Tra il '75 e il '79 èstato nominato direttore della Clinica psichiatrica di Brema e nel 1979ha ottenuto la cattedra di Psichiatria all'Università di Marburgo. 
  

A.Seta:  Nel leggere il suo libro sono rimasta molto colpita daltrovarvi questioni picopatologiche che sembrano lontane dagli interessidella psichiatria attuale, come ad esempio la diagnosi differenziale traschizofrenia simplex ed ebefrenica. La schizofrenia simplex tra l'altroè stata nel frattempo abolita dalle più recenti edizionidel DSM. Può brevemente spiegarci se e perché lei trova alcunedi tali questioni  importanti ancora oggi?  

W.B:Non sono in realtà molto interessato alle differenziazioni tra lediverse forme di schizofrenia.  
Le criticheal mio lavoro sulla perdita dell'evidenza naturale, che sia in qualchemodo datato intendo, sono giustificate, poiché dall'epoca in cuifu scritto, gli studi di follow-up di schizofrenici hanno portato molticambiamenti nella concezione della malattia. 
Comunque,ritengo che non vi sia una netta separazione tra le differenti forme.  
Il puntoimportante é che io penso che la schizofrenia simplex sia paradigmaticae possa funzionare come una validissima introduzione al problema dellaschizofrenia in generale. 

A.S.:Può spiegarci che ruolo va dato secondo lei alla diagnosi nellametodologia di intervento in psichiatria.  
E piùprecisamente come considera un approccio categoriale alla malattia mentale? 

W.B.:Penso che l'operazione della diagnosi sia fruttuosa per la ricerca transculturale,ma che non sia di grande aiuto nella relazione con il paziente e non siadi nessun aiuto nell'attività psicoterapica. Ritengo che un mododi pensare che si conformi a categorie diagnostiche non aiuti la relazioneterapeutica. 

A.S.:La perdita dell'evidenza naturale che lei descrive è da considerarecome una perdita vera e propria, o piuttosto può rientrare in unconcetto di comparsa di qualcosa di nuovo e differente dall'usuale?  
Essa puòavere a che fare con la creatività? 

W.B.: Direidi si. 

A.S.:Se questo è vero, e vista la sua insistenza sulle analogie ele differenze tra l' epoché del paziente e quella dello psichiatra,dobbiamo pensare che lei intenda che il terapeuta debba sviluppare un'attivitàin un certo senso creativa e non solo di osservazione nei confronti delfenomeno psicopatologico?  

W.B.:Penso, lo dicevo nella discussione di questa mattina, che l'epochéfenomenologica non sia solo uno strumento di comprensione, ma sia utilenella sua funzione di provocazione di  un senso, una sorta di terapiaparadossale,  che essa sia uno strumento per stimolare le stesse possibilitàterapeutiche del paziente,  le sue reazioni spontanee.  
In questosenso credo che sia uno strumento terapeutico. 

 
 


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