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Simposio peripatetico Sopsi: da Santa Costanza alla casa di Pancheri

 

Eccoci al nostro annuale giro per Roma, a margine del Congresso SOPSI. Eh sì! Ogni anno il gruppo (questa speciale tavola rotonda peripatetica) aumenta: non solo genovesi, ma anche altri, addirittura di Roma! Grande onore per me fare da guida di Roma ai romani.

Vediamo allora di fare un giro che non sia da turisti giapponesi, semmai da turisti tedeschi, dato che si comincia con l’età di Costantino (ricordate eh? Il gran libro di Burckhardt). A proposito, un giorno, ad Arezzo, sotto l’affresco di Piero del sogno di Costantino, ho colto al volo una guida tedesca che stava dicendo ad un gruppo di connazionali ….. unsere grosse Kaiser. Ma come! Come unsere! Costantino è nostro, il nostro di noi, non il nostro di voi! Ma poi, a ben pensarci, mi ritrovavo a rimuginare, ma di chi è Costantino il Grande, nostro, vostro anche, di chi? E prima di farneticare sulla sovranazionalità europea, o mondiale, dell’impero, cioè prima di far la figura da stupido, mi sono fermato.

In ogni caso, la tomba (pardon! Il mausoleo) che le sue figlie (dico di Costantino) Costanza ed Elena si fecero costruire, costituisce una atmosfera di sogno, merito dell’architettura, o dell’epoca, o del colore del laterizio, o dei mosaici, o dei nostri sogni, o di questa fantasia espansiva, opulenta, ritmata, solenne di questo basso impero che ci fa sognare, ma che la gente deve averla messa non poco in difficoltà. E merito di Agnese, perché fu per lei, di cui tutti i protocristiani erano perdutamente innamorati, che le due anguste sorelle vollero questa tomba, e la vollero lì, accanto alla basilica che sarebbe diventata immane, e di cui la chiesa di oggi è uno splendido, ma rinsecchito residuo.

E non ci stupiamo di questo grande amore per questa giovane, che tutti noi immaginiamo sottile e bellissima, una adolescente di una raffinatezza senza fine, di cui non sappiamo neppure il nome (Agnese esprime solo il senso di agnello sacrificale), coinvolta in una storia di amore e di morte, in cui i neurobiologi d’oggi vedrebbero in movimento schiere di recettori adrenergici e serotoninergici. Non ci inganna l’agiografia ufficiale: questo funzionario che voleva sposarla e che fu rifiutato, ci convince poco. Noi, da brutti personaggi quali siamo, abbiamo mangiato la foglia. Il funzionario era un perverso (pardon! Parafilico, rispettiamo il DSM IV TR), un sadico insomma che approfittava dell’atmosfera poco garantista (sì, questa è una litote) per fargliene di tutti i colori a questa meravigliosa bimba bionda, tra cui spogliarla, e più i capelli crescevano e lasciavano solo intravedere, più il sadico se la godeva. E se mi fanno fare la perizia al funzionario, io concluderò che era capace di intendere e volere, e merita l’ergastolo. Anche se potrò scrivere un po’ di pagine per dire che quest’uomo lo possiamo comprendere, per la sua infanzia, la sua storia passata, le frustrazioni ricevute dalla madre, il riconoscimento narcisistico ecc…. ecc…..

Santa Costanza (questa sì, invece, una santa raccomandata!): il suo mausoleo è anch’esso, come doveva essere la giovinetta che chiamiamo Agnese, di una bellezza che lascia senza fiato: e come sarebbe piaciuto a Freud questa realtà che si adatta perfettamente a Costruzioni in Analisi! Ricordate i palinsesti, la storia di Flavio Giuseppe?
E qui? Intersecarsi inestricabile, come nel profondo della nostra mente, di eventi, aggiunte, cancellazioni, modelli e stili di templi, mausolei, ninfei, dove si fondono la religione cristiana e quella mitraica (se ne sarà accorto, Costantino, che quella religione che serpeggia per il suo esercito, non era quella di Mitra?), il Pantheon, il mausoleo di Augusto, il tempio di Minerva Medica, a formare una mescolanza di armonia, di quiete, di respiro e di spazio che si svolge immenso: come la mente, come la mente.

Ma anche, eh via! consentitemela questa battuta da psicoanalista, visto che oggi siamo in vacanza, come una matrice, un utero materno. Costanza, madre, amore, morte, come Venezia, mare, madre, morte di Thomas Mann. Questo spazio, fatto di due spazi circolari concentrici, separati da dodici coppie di colonne di granito di spoglio, questi tronchi di architrave che le collegano a due a due realizzando una fuga radiale motrice di movimenti centripeti e centrifughi, dall’ambulacro esterno, in penombra, allo spazio interno, in piena luce, richiamano un pensiero ……. chi me lo fa fare di uscire di qui? Noi psichiatri lo conosciamo bene questo pensiero, ed è pericoloso.

E tutt’intorno, il terribile invito a restare, gentilmente portato dai mosaici che lasciano a bocca aperta, e fanno ricordare Alceo (oh conchiglia marina, nata dalla pietra e dalla schiuma del mare, tu fai meravigliare la mente dei bambini); mosaici in cui il tema è ambiguo, tra il religioso e il naturista, non ha scelto bene la sua funzione questo mausoleo, tra nascere e morire, tra i tralci di vite e gli uccelli leggeri, le scene divendemmia, gli aspetti bacchici, e in mezzo Costanza e Annibaliano, ed i perentori segni del potere religioso che è anche potere imperiale, la consegna delle chiavi e la consegna del rotolo della legge.
Di questa dimensione enfatica, dove l’utero si chiude nell’arcigno spazio rinserrato e pesante, è espressione il grande sarcofago (divoratore di carne umana) di pesantissimo porfido, che racchiude Costanza: per fortuna è solo una copia, quello vero lasciamolo pure ai Musei Vaticani, che non contrasti con la levità bacchica, dionisiaca, dell’edificio, e non la guasti.

La bimba bionda no, ella è in una tomba sotterra, in qualche parte delle catacombe, cimitero, luogo di riunione, cava di tufo, luogo intimo e non sinistro, mi pare, su cui fu costruito il sacello interrato, che è l’attuale S. Agnese fuori le mura. E la bellissima biondina adolescente, di cui tutta Roma era innamorata, è là, effigiata in un mosaico absidale, con tutti i segni della presenza del povero magistrato demonio, perduto nel suo disperato amore sadico, senza poter usare la tenerezza che la bella bimba richiamava, e capace solo di trasformare in crudeltà il suo amore.

Oggi, da persone politically correct, e per di più intellettuali, diremmo: non fu colpa sua , fu colpa di Diocleziano.

Mentre ce ne andiamo ci rimane il tempo per gettare un’occhiata all’affresco che immortala lo sberleffo delle potenze celesti e Papa Pio IX, cui crollò il soffitto da sopra o, non ricordo bene, il pavimento di sotto, e si salvò, eh! non esageriamo, scherzare va bene, ma poi infine lo metteremo in salvo!

E dopo un lungo tragitto per spostarci altrove, una passeggiata: ponte S. Angelo, per stabilire, col Bernini, una continuità con la parafilia sadica, e guardare un po’ piano, con tranquillità, i vecchi ponti, il ponte rotto, il ponte Cestio, il ponte Fabricio, con tanto di nome e cognome e pronome dei curatores viarum che si sono occupati della loro costruzione e manutenzione. E già che siamo tra i gran signori del passato, chi ci priverà di una passeggiata per la via Giulia. Ah, la via Giulia!
Fuori del piccolo mondo degli psichiatri piccolo borghesi (o proletari), pieno di organizzazioni dell’assistenza, di DRG, di DSM o di DSM IV, di guidelines e di budget, chi ci impedirà di delirare, e passare per la via Giulia nelle vesti di gran signori che vanno, nella tarda mattinata, ad ordinare un ritratto a Raffaello (Maestro, le va bene se metto questo berretto di velluto blu?), nella sua bottega al n° 85, oppure a portare 70 zecchini d’oro a Cellini, perché li fonda e ci faccia una saliera d’oro con figure mitologiche, tollerando con magnanimità che quel malfattore d’un orafo se ne intaschi, come cresta sulla spesa, almeno 20? E poi, in fondo, c’è da rimanere smarriti nella grandiosità romana, via, non facciamo i giapponesi, non guardiamo più nulla, chè qui ci sono troppe cose da vedere, ricordiamoci solo dell’arco degli argentari, non tanto per i cambiavalute, di cui ci importa poco (figuriamoci, i banchieri!) ma per l’odio fraterno, la rabbia antica con cui Caracalla fece scalpellare via la faccia di suo fratello Geta.

E ora un dubbio mi assale tra i luoghi insigni, dovrò mostrare a questi giovani la casa di Paolo Pancheri, visto che veniamo dal congresso Sopsi? Lo faccio o no? Ma sì! Ebbene, qui, alla vostra sinistra, signore e signori, potete vedere …..

Basta, è ora di tornare: il tempo per dare un ultimo sguardo a San Giorgio in Velabro:

non per ricordare antiche chiese o nuovi terroristi, ma per chiudere in bellezza, anzi in amore, amore non sadico come quello da cui siamo partiti, ma al contrario colorito da una tenerezza avvolgente:

Ah! S. Giorgio benedetto,

qui l’amore infin fiorì.

Dolci cose le parlai,

piano mi rispose sì.

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ROMOLO ROSSI

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