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Jaspers e Freud, ovvero i limiti della psicoterapia ad orientamento fenomenologico

di Mauro Fornaro

Prima parte


1) Prima parte del contributo di Mauro Fornaro
2) Seconda parte del contributo di Mauro Fornaro
3) Commenti di Andrea Angelozzi e Salvatore Manai
4) Risposte di Mauro Fornaro
5) Repliche di Salvatore Manai e di Andrea Angelozzi

 
Introduzione di Paolo Migone
Anche questo contributo, come i due precedenti (il dibattito sulla IPT e la critica alla definizione di psicoanalisi data da Hautmann), non espone direttamente un approccio psicoterapeutico, ma una discussione critica di esso, in modo tale che possano meglio emergere alcune delle questioni nodali. Si tratta di un contributo su Karl Jaspers, e sulla psicoterapia ad orientamento fenomenologico, di Mauro Fornaro, filosofo e psicologo, docente di Storia della Psicologia presso l'Università Cattolica di Milano. Fornaro si è occupato a fondo della psicoanalisi: ha scritto ad esempio importanti volumi quali Scuole di psicoanalisi. Ricerca storico-epistemologica sul pensiero di Hartmann, Klein e Lacan (Milano: Vita e Pensiero, 1988), Psicoanalisi tra scienza e mistica. L'opera di Wilfred R. Bion (Roma: Studium, 1990), Il soggetto mancato. La psicologia del Sé di Heinz Kohut (Roma: Studium,1996).

La rivisitazione di un momento chiave della storia della psicopatologia riporta a galla una questione di viva attualità: perché la psichiatria e psicoterapia fenomenologica, pur avendo molti punti di contatto con la psicoanalisi, ne prendono anche polemicamente le distanze? E perché la psicoanalisi ha pressoché ignorato l'approccio fenomenologico? Inutile insistere sulle ricadute anche cliniche delle diverse impostazioni riguardo a possibilità e modalità di trattamento delle psicosi. Inoltre mi chiederei, oltre a quanto affronta Fornaro: perché le correnti fenomenologiche si sono fatte ben presto largo nelle istituzioni psichiatriche come alternativa ai modelli organicistici, mentre la psicoanalisi ha stentato a penetrarvi fino a tempi recenti? Infine non dimenticherei che varie tesi della psichiatria fenomenologica, quali quelle esposte da Fornaro riguardo l'opposizione alle classificazioni nosografiche e una certa diffidenza verso le teorizzazioni, sono state in seguito cavalli di battaglia delle correnti di anti-psichiatria (cui dobbiamo non poco, nel bene come nel male). Ben venga dunque anche una rilettura dei fondamenti teorici di questi indirizzi: come argomenta Fornaro nella Seconda parte del suo intervento, la difettosità della psichiatria fenomenologica deriverebbe in ultima analisi da una visione obsoleta del rapporto tra scienze umanistiche e scienze della natura, tra processi mentali e processi somatici.

Questo documento di Mauro Fornaro dunque è la Prima parte di due parti. Nella Seconda parte, nella quale approfondisce meglio le sue argomentazioni contro l'opposizione tra scienza dello spirito e scienza della natura, risponde in parte anche allo stimolante dibattito suscitato in rete, sia all'interno della lista di "Psichiatria" [Psich-ITA] di POL-it coordinata da Francesco Bollorino, che della lista di "Psicoterapia" [PM-PT] di Psychomedia coordinata da Marco Longo, Salvatore Manai e Paolo Migone. Più precisamente, dopo la originaria pubblicazione della Prima parte come terzo documento dell'area di "Psicoterapia" nel numero di Dicembre 1997 (3, 12) di POL-it, vi sono stati gli interventi critici di Andrea Angelozzi e Salvatore Manai che hanno suscitato una risposta di Fornaro stesso al quale hanno fatto seguito altri interventi di Manai e Angelozzi: questo scambio di lettere viene pubblicato come quarto documento dell'area di "Psicoterapia", e quindi tenuto separato da questo contributo di Fornaro che vuole avere un carattere più organico.


Jaspers e Freud,
ovvero i limiti della psicoterapia ad orientamento fenomenologico (prima parte)
di Mauro Fornaro

1. Un incontro tangenziale

E' scontata l'importanza straordinaria dell'opera di Karl Jaspers - con il capolavoro del 1913, Allgemeine Psychopathologie e la sua "resistenza" tra i manuali di psichiatria più adottati (sette edizioni dal 1913al 1959). Considero qui Jaspers come campione dell'orientamento di psicoterapia ad orientamento fenomenologico per il carattere pionieristico della sua impostazione, tanto da diventare, notoriamente, punto di riferimento ineludibile anche per quegli sviluppi della fenomenologia indipendenti da lui o da lui divaricanti.

Non si può ignorare che Jaspers sarà severamente critico verso le psicologie fenomenologico-esistenziali: da un lato sarebbero indebite generalizzazioni di esperienze psicologiche nell'intento di costruire un'ontologia; dall'altro lato "quest'ontologia induce in errore, quando si crede di aver ottenuto con essa una conoscenza fondamentale per intendere l'uomo e tutti i fatti psicologici" (Jaspers, 1959, p. 827); Jaspers dal canto suo non fa scuola e disprezza anzi il fatto che una dottrina possa prevalere in forza del numero e dell'organizzazione dei seguaci, più che non del suo intrinseco valore (cfr. la polemica in merito con la psicoanalisi in Jaspers, 1959, pp. 822ss.).

Ciò che colpisce è che mentre Jaspers elabora nella prima decade del secolo la fortunata nozione di psicologia comprendente o comprensiva (verstehende Psychologie) - originale se non proprio nei concetti che la sottendono, però nell'applicazione alla psicopatologia -, negli stessi anni matura la prima fase del pensiero psicoanalitico. Ebbene, è dato assistere a un'insanabile divaricazione tra due linee di pensiero che pur hanno in comune: a) l'opposizione al riduzionismo biologistico del disturbo mentale, prevalso nel clima positivistico di fine '800; b) il rifiuto di rigide classificazioni nosografiche, quali appaiono in Kraepelin e nella psichiatria costituzionalista; c) infine un approccio alla psichicità e al malato, che in senso lato può dirsi fenomenologico.

Insisterei sull'approccio fenomenologico, per il quale è dato peso di realtà, sia pure realtà psichica, a ciò che il malato soggettivamente vive e dice di sé, in polemica con gli indirizzi psichiatrici che riducono il vissuto, il discorso e poi le fantasie, i deliri, ecc., a epifenomeno di un soggiacente stato morboso. Tanto i due indirizzi lo abbracciano, quanto poi si distanziano nel ruolo ad esso riservato. Jaspers si ferma a ciò che è immediatamente esperito, essendo inteso il fenomeno come termine primo ed ultimo della psicologia comprendente; per Freud invece il fenomeno, cioè il vissuto cosciente (rappresentazioni, affetti),è trampolino per interpretazioni che vanno oltre, hinter das Bewusstsein, dietro la coscienza, scrive già nel 1898 all'amico Fliess. Ed è altresì trampolino per passare a un approccio che, oltre a trovare un senso al sintomo, vuole "spiegare", introducendo una concettualizzazione non direttamente riconducibile al fenomeno qual è vissuto, bensì prossima alle impostazioni invalse in seno alle scienze della natura. In effetti la psicoanalisi si caratterizza, specie a partire dal 1915 coi lavori freudiani dedicati alla metapsicologia, come l'impresa di coniugare "rappresentazione" (fenomeno) e "apparato psichico" (teoresi), clinica e sistema, descrizione e spiegazione, senso e causa.

Come ciò è possibile? E' la psicoanalisi, come pensa Jaspers, una sorta dimostro - se il mostro è l'animale dell'impossibile giustapposizione di organi eterogenei -, dal momento che pretende di coniugare approcci incompatibili (quali appunto descrizione e spiegazione, causa e senso, psicologia e biologia, ecc.). O invece, si potrebbe ribattere, non è forse vero che essa addita orizzonti più ampi di conoscenza, per quanto possano poi comportare non pochi problemi metodologici? In questo dilemma è possibile intravedere le premesse della divaricazione e per lo meno della ricusazione jaspersiana della psicoanalisi. Secondaria e comunque più soggetta ad opzioni metafisiche appare invece l'altro elemento di divaricazione - per altro ricorrente un po' in tutte le correnti di psichiatria fenomenologica -: la critica alla psicoanalisi di avere una concezione naturalistica, quando non materialistica e pansessualistica dell'uomo.

Per poter cogliere appieno la divaricazione, occorre collocarla nel suo contesto. Sono infatti all'opera due diversi paradigmi di psichicità: una netta separazione tra l'approccio biologico e quello psicologico in Jaspers, una più duttile e problematica dialettica in Freud. Inoltre due diversi paradigmi di scienza: una rigida separazione tra Geistes-e Naturwissenschaften (scienze dello spirito e scienze della natura)in Jaspers, includendo la sua psicologia comprendente senz'altro tra le prime e opponendosi ad introdurre in psicologia metodi propri delle seconde; un'intima vocazione alla compenetrazione tra i due modelli di scienza in Freud - nonostante la tardiva affermazione del 1933, doversi includere la psicoanalisi tra le scienze della natura.

2. Il fenomeno: dato primo, e ultimo

Ai fini qui esposti, tra i testi jaspersiani occorre tener presente oltre la Psicopatologia generale gli articoli a carattere metodologico che paiono ad essa preparatori,Die phänomenologische Forschungsrichtung in der Psychiatrie (1912) [La direzione di ricerca fenomenologica in psichiatria] e soprattutto Kausale und "verständliche" Zusammenhänge (1913) [Rapporti di tipo causale e rapporti di tipo "comprensivo"]. Vi si trovano raccolte in stringente sintesi quelle idee metodologiche, che nella successive edizioni della Psicopatologia goderanno di qualche aggiunta solo in funzione della visione filosofica nel frattempo maturata.

Jaspers organizza l'intera Psicopatologia secondo una linea che definirei "metodologistica". "Noi riusciamo a possedere il dato di fatto - afferma Jaspers (1959, trad. it., p. 46) - solo attraverso il metodo (...). Perciò una strutturazione metodologica è anche analisi obiettiva di ciò che è, come è per noi". Di più occorre, con accenti kantiani, "sviluppare e ordinare le conoscenze sul filo dei metodi coi quali si acquisiscono; conoscere il conoscimento e con ciò chiarire le cose" (1957,trad. it., p. 33).

Ebbene, vari punti di vista coesistono in psichiatria, tutti plausibili nell'ambito che ciascuno delimita, ma da tenere ben distinti; il punto di vista biologico è più che legittimo a livello dei processi cerebrali, dove ovvie e necessarie sono le spiegazioni causali; così come all'approccio statistico è necessario l'intervento dello strumento matematico; ecc. Quanto alla psicologia comprendente, essa fa un passo oltre la fenomenologia in senso stretto, la quale si limiterebbe a descrivere gli stati psichici (seelische Zustände) per come si manifestano alla coscienza - a prescindere cioè dalla corrispondenza o meno con la realtà fisica (parte I della Psicopatologia) -: il dato percettivo, quello rappresentativo, quello mnestico, quello allucinato, quello delirante, ecc.(Jaspers, 1913, pp. 160, 166; 1959, trad. it., p. 58s). La psicologia comprendente mira, di più, a descrivere le relazioni, i nessi (Zusammenhänge) che si istituiscono tra quegli stati, specie come derivazione dell'uno(rappresentazione, immagine, affetto, ecc.) dall'altro. Ne risulta una comprensione essenzialmente genetica (genetische Verstehen): le relazioni comprensibili focalizzano come un vissuto proceda dall'altro.

Si direbbe che tali relazioni insistano sulla medesima area su cui i rapporti "dinamici" freudiani tra rappresentazioni. Ma non vi sono per Jaspers rapporti dinamici, perché il collegamento tra un vissuto e l'altro non è del tipo di una relazione causale, come vuole Freud, tanto meno se supportata da forze o energie, bensì del tipo di una affinità tematica, di una inerenza o complicazione di significato dell'un vissuto con l'altro (Zusammenhang dei vissuti, cioè alla lettera "pendenza assieme"). Ad esempio, il rapporto comprensibile tra vissuto depressivo e atmosfera autunnale consiste nel fatto che l'autunno significa un calo, metaforicamente una depressione, dell'attività della natura, una perdita (di luce, di foglie ecc.), e non nel fatto che i fenomeni autunnali citati, o meglio la loro rappresentazione soggettiva, causino lo stato depressivo. C'è una "pendenza assieme" di senso tra autunno e depressione, della quale l'autunno è prototipo.

Il senso è dunque da cercarsi nella connessione di significato (analogie, metafore, metonimie) tra un'immagine, un vissuto e un altro, quali si presentano nel soggetto. La ricerca del senso incontra pertanto, e Jaspers non ha difficoltà ad ammetterlo, dei forti limiti: non va oltre il vissuto dato, immediato, e al più focalizza qualcosa di non ancora notato (Unbemerkte). Inoltre nulla possiamo dire di vissuti estranei alla nostra esperienza: così la psicosi, con i suoi vissuti di allucinazione e di disintegrazione, resta "incomprensibile" (unverständlich) per il medico, che il più delle volte non può averne fatto esperienza. Questi limiti certo costituiscono un handicap in ordine alle possibilità terapeutiche e forse un pregiudizio all'operatività dell'approccio fenomenologico. Lo handicap è confermato dal carattere meramente descrittivo che tale approccio vuol avere: la rinuncia alle cause compromette le possibilità fornite da un approccio eziopatologico a pieno campo, per il quale togliendo la causa si toglie il disturbo. Si mira piuttosto a che il paziente comprenda il "senso" della sua malattia e ristrutturi di conseguenza il senso del suo vivere. Così naturalmente lo psichiatra fenomenologo si approssima al filosofo dell'esistenza e la seduta terapeutica a un colloquio filosofico. Il che si illustra pure con quanto accaduto in seguito: la rinuncia a penetrare più a fondo nelle dinamiche psichiche non immediatamente evidenti della malattia psichica grave, il demandare alla biologia (al cervello) la causa favoriscono che lo psichiatra di orientamento fenomenologico finisca, malgré lui, coll'adottare la terapia farmacologica come trattamento primario, se non elettivo nei disturbi gravi.

La proibizione ad andare oltre al fenomeno, cioè oltre al vissuto immediato, se è un'autolimitazione, comporta altresì la ricusazione dell'idea di uno psichismo inconscio. In effetti l'inconscio contemplato da Jasperssi qualifica da un lato come extraconscio (Ausserbewusste), che consiste nelle componenti biologiche, ambientali; dall'altro come l'inosservato, il non ancora notato (Unbemerkte) appunto. Se l'extraconscio esula dai rapporti di comprensione perché non è psiche, l'inosservato, ma già vissuto, è quanto la psicologia comprendente ha da evidenziare. E poiché questa forma di psichicità non gode certo di autonomia rispetto alla coscienza, essa è solo coscienza oscura, vissuto non messo a tema. Ne consegue che la "comprensione" jaspersiana è fermamente legata alla centralità della coscienza: lo psichico vale in quanto coscienza, altrimenti si è ricondotti al soma o all'ambiente.

3. L'attaccoalla psicoanalisi: un comprendere "come se"

L'inconscio freudiano, è facile intuire, consistendo in una forma di psichicità diversa e autonoma dalla coscienza, è impensabile entro questo schema. Se qualcosa se ne può salvare, dovrebbe stare dalla parte dell'extraconscio, che andrebbe studiato con altro metodo, quello della psicofisiologia. Mala psicologia comprendente è tosto ricambiata dallo psicoanalista con una ricusazione che si direbbe preliminare, per via appunto dell'identificazione dello psichismo col conscio (ritengo che questa sia la ragione per cui Freud non citi pressoché mai Jaspers). Al contrario il fenomeno, si diceva, in quanto vissuto conscio è ciò che va oltrepassato, essendo il senso di un comportamento patologico per lo più inconscio. E mirare a processi inconsci non è un salto indebito dallo psichico al somatico, come insinua lo psichiatra fenomenologico. Certo, l'inconscio nella sincronia è per definizione inconoscibile, ma nella diacronia - cioè attraverso un processo di associazioni più o meno lungo - si dà a conoscere al pari di qualunque vissuto cosciente, nella forma di immagini (rappresentazioni) e affetti presenti alla coscienza. Se vogliamo è "fenomeno" in potenza.

Il motivo del confronto con Freud in sede metodologica, già presente nell'articolo del 1913, ritorna coi medesimi termini nella Psicopatologia, per restare sostanzialmente immutato nelle successive edizioni. L'apprezzamento complessivo del pensiero freudiano, dapprima improntato a cauta apertura, diventa in seguito piuttosto freddo. Jaspers riconosce il valore dell'impresa psicoanalitica, quando essa fornisce conoscenze nel senso dei rapporti di comprensione, benché Freud le ritenesse spiegazioni causali (come si vede, la tesi di Habermas, che Freud sarebbe stato vittima di un autofraintendimento quando reputa la psicoanalisi scienza della natura, è in sostanza già jaspersiana). Ma l'impresa freudiana certo erra, quando pretende di ricavare dalle relazioni comprensibili inferenze circa entità soggiacenti alla realtà immediatamente data. In questo tentativo della psicoanalisi, di utilizzare le relazioni comprensibili come mezzi per pervenire a relazioni causali o peggio per attestare l'esistenza di certi elementi come entità causanti, consisterebbe una forma ibrida di conoscenza: il comprendere "come se" (Verstehen "alsob"). Come se, cioè, gli elementi supposti fossero comprensibili, ovvero dei vissuti (Jaspers, 1913, pp. 166, 170; 1959, trad. it., pp. 332,552s.)

Se questa è in sostanza la critica all'impostazione del "come se", essa a ben vedere riguarda non solo la psicoanalisi, ma pure l'ampia gamma di autori, che sono ricorsi a termini teorici, per dar ragione di connessioni psichiche effettivamente vissute. E' utile ricordarli a ulteriore chiarimento della nozione di comprensione "come se". Il pur grande Eugen Bleuler - secondo Jaspers (1913, p. 170) - farebbe considerazioni azzardate, quando suppone un vissuto di scissione (Abspaltung) nel soggetto, onde render conto dei nessi presenti nella fenomenologia della dementia praecox; in generale susciterebbe perplessità la gran serie di relazioni comprensibili individuate nelle psicosi dalla scuola di Zurigo, Jung in testa. Non meno discutibile appare la tesi di Charcot, quando rintracciava una correlazione tra le paralisi, le anestesie delle isteriche e le loro grossolane rappresentazioni anatomo-fisiologiche d el corpo, come se la correlazione fosse comprensibile, quando in realtà non si sa se quelle rappresentazioni siano punto d'avvio del disturbo.

In altri termini, Freud confonderebbe concetti metodologici di pertinenza di una scienza della natura con concetti pertinenti una scienza dello spirito: lo psichico può scaturire solo dallo psichico, ribadisce Jaspers, e la connessione, sia essa attualmente cosciente o non ancora osservata, può essere solo tra stati che si danno fenomenicamente. Altrimenti si ricade nello schema naturalistico della spiegazione, dove l'un termine è estrinseco all'altro e l'effetto può anche essere psichico, ma la causa è comunque extrapsichica. In particolare le ricostruzioni "archeologi che "freudiane sarebbero inattendibili, perché l'archeologo ha gli strumenti per mostrare che esistette il pezzo mancante, non altrettanto lo psicoanalista nella ricostruzione dei vissuti dell'infanzia, quando si avvale dei rapporti di comprensione.

Infine la psicoanalisi, nella misura in cui vuole raccogliere la psichicità in una teoria unificante - mirando a spiegare alcunché con pochi concetti, al limite con uno solo, quello di sessualità - contravviene al carattere sempre singolare, infinitamente multiforme delle espressioni dello psichico (Jaspers, 1959, trad. it., p. 581). Questa opposizione alle teorie generali per altro è motivo ricorrente tra gli psichiatri fenomenologi ed è sfociata poi, notoriamente, nei movimenti di anti-psichiatria.
In questi ultimi torna inoltre il motivo già jaspersiano della ricusazione della teoria perché lontana dal vissuto. In effetti per Jaspers pare non possa esservi una logica propria del vissuto, un darsi cioè del vissuto stesso in leggi, regolarità, uniformità. Una teoria che tenti di organizzare il vissuto, fornendone un'assiomatica e una definizione in concetti, esula dalla comprensione; piuttosto rinvia ad altro metodo, nel quale inevitabilmente il vissuto è eluso. Donde si inferisce il sogno segreto di ogni metodo imperniato sulla comprensione e l'intima ragione della diffidenza per ogni forma di mediazione teoretica: il sogno di un dire che sia ad un tempo il medesimo vivere di cui si dice e di un vivere che sia il medesimo dire che si vive.


Fine della Prima parte (vai alla Seconda parte)
(Vai al Dibattito stimolato da questa Prima parte)

Bibliografia

Freud S. (1887-1902). Aus den Anfängen der Psychoanalyse. Briefe an Wilhelm Fliess. London: Imago, 1950. (trad. it. Le origini della psicoanalisi. Lettere a Wilhelm Fliess. Torino: Boringhieri, 1961).

Freud S. (1933). Neue Folge der Vorlesungen zur Einführung in die Psychoanalyse, in G.W., vol. X. (trad. it. Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni). In: Opere di Sigmund Freud, 11: 117-274. Torino: Boringhieri,1979).

Jaspers K.(1912). Die phänomenologische Forschungsrichtung in der Psychopathologie.Zeitschrift für die gesamte Neurologie und Psychiatrie, 9: 391-408; anche in: Jaspers, 1963.

Jaspers K. (1913). Kausale und "verständliche" Zusammenhänge zwischen Schicksal und Psychose bei der Dementia praecox (Schizophrenie), Zeitschriftfür die gesamte Neurologie und Psychiatrie, 14: 158-263; anche in: Jaspers, 1963.

Jaspers K. (1932). Max Weber. Politiker, Forscher, Philosoph. München: Piper (trad. it. Max Weber. Politico, scienziato, filosofo. Napoli: Morano, 1969).

Jaspers K. (1957). Philosophische Autobiographie. Stuttgard: Kohlnhammer (trad.it. Autobiografia filosofica. Napoli: Morano, 1969).

Jaspers K. (1959). Allgemeine Psychopathologie. Berlin: Springer (VII ed.;I ed.: 1913) (trad. it. Psicopatologia generale, Roma: Il Pensiero Scientifico, 1964).

Jaspers K. (1963). Gesammelte Schriften zur Psychopathologie. Berlin: Springer.


Corrispondenza con l'autore:
Mauro Fornaro, Via Rattazzi 51, 15100 Alessandria, tel. 0131-444768

1) Prima parte del contributo di Mauro Fornaro

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