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Riccardo Dalle Luche continua la sua regolare collaborazione a questa rubrica. L'autore, psichiatra, da molto tempo impegnato in una ricerca su psicopatologia e cinema, ha prodotto su questo tema, insieme alla collega Alessandra Barontini , un "saggio di psicopatologia dal cinema di Cronenberg "( R. Dalle Luche, A. Barontini, Transfusioni. Baroni Editore, Viareggio-Lucca 1997.) Lo spazio dedicato al cinema di POL.it è aperto a suggerimenti e contributi.


American Beauty: reg. Sam Mendes, Scen. Alan Ball (USA, 2000)

Salvo rari momenti, il film piu' amato in questo inizio di millennio, American Beauty, più che cinema è “teatro filmato”, un teatro che richiama i drammi piccolo borghesi scritti negli anni '50 da Arthur Miller e Tennessee Williams, e dal teatro provengono in effetti regista e sceneggiatore. Come in un marchingegno teatrale, tutto funziona troppo bene nello svolgimento narrativo, coincidenze, sguardi, prospettive e incontri sono troppo ben congegnati, tanto da velare una storia che si presenta come assolutamente realistica con una patina di scarsa verosimiglianza. Siamo quindi di fronte ad un film troppo ben scritto, privo di sbavature, per essere fino in fondo un film che parla della vita vera, come pretenderebbe, e come ha l'aria di essere (nonostante la scelta, ripresa dal Wilder di Sunset Boulevard, della voce narrante del protagonista ormai morto).

Certo la faccia assolutamente comune di Kevin Spacey, e la sua caratterizzazione di quarantenne adolescente fa di lui un assoluto everyman di oggi; la moglie isterizzata, le famiglie in crisi, i figli che fanno da genitori ai propri genitori, la Lolita cresciutina (ed in fondo assai meno scafata dell'origale) di cui si innamora il suddetto Kevin, prototipo d'attualità di irresistibile oggetto del desiderio, consentono facili identificazioni: tutti i personaggi sono del credibili così come l'intreccio dei rapporti e i dialoghi che intercorrono tra di loro, mai banali, psicologicamente perfino profondi e con qualche battuta memorabile, comunque in grado di sollecitare l'aspettativa e la sorpresa e con esse di rendere il film sempre avvincente.

Il finale, un vero capolavoro di commedia degli equivoci, con la dimostrazione dell'ambiguità e della sostanziale assurdità dei rapporti interumani, raggiunge perfino tonalità filosofiche ed esistenziali nelle quali si contrastano l'angoscia trasmessa dalle vicende e l'humor patibolare con l'ottimismo e l'amore per la vita proclamato dalla voce narrante. Una segnalazione va alla garbata (e a tratti originale) colonna sonora ed all'uso misurato ed onirico degli effetti speciali (il giuoco dei petali carnosi della rosa “American Beauty”), i momenti più cinematografici del film. Prima di parlare di un nuovo Autore, attendiamo con fiducia la seconda opera di Sam Mendes.

Riccardo Dalle Luche


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