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Giorgio Bedoni, Bianca Tosatti

Arte e psichiatria. Uno sguardo sottile

Milano, Mazzotta Editore, 208 pp., Lire 50.000

 

Presentazione

In questo testo documentato e originale come impostazione metodologica, gli Autori effettuano una ricerca storica nella dimensione affascinante che lega arte e psichiatria: un rapporto ricco e controverso che attraversa tutta la storia del Novecento. Sviluppando la ricerca non solo in veste critica, ma soprattutto attraverso un corretto taglio storico, rendono il materiale oggetto di ricerca direttamente fruibile da parte del lettore, attraverso una corretta e puntuale ricostruzione storica, raccolta in varie schede storiche raccolte nella sezione Arte e psichiatria. Storie e punti teorici. Lo scopo di questo testo è anche didattico: analizzando nella schede in che modo l'avventura del pensiero visivo coinvolga l'estetica, la psicopatologia ed eventuali ipotesi terapeutiche. Tra le varie collezioni psichiatriche viene messa in rilievo l'opera di Prinzhorn e di Morgenthaler: in particolare la collezione di Heidelberg recentemente presentata a Pavia (Castello Visconteo) e a Genova (Palazzo Ducale) nell'ambito della mostra Figure dell'anima. Arte irregolare in Europa (Mostra e catalogo a cura di Bianca Tosatti).

Il secondo capitolo "Io scrivo le parole sulla fronte e agli angoli della bocca" (il titolo del capitolo riprende una frase di Paul Klee) è dedicato a questioni di estetica, ai rapporti tra arte e psicoanalisi e altre avventure del pensiero visivo.

Di grande interesse sono i contributi di Bianca Tosatti, che in veste di critico d'arte guida il lettore nei problemi legati alla psicologia della percezione (rappresentazione, figurazione, espressione) e lo sviluppo del "pensiero visivo", ingiustamente relegato in secondo piano rispetto alle forme e alle espressioni del cosiddetto pensiero "razionale". Il pensiero visivo è infatti in stretta relazione con la trascendenza e l'ineffabile, è costantemente "attivo sul fronte dell'immaginazione". Le sue schede illustrano poi le biografie e il lavoro di vari artisti: da Vincent Van Gogh a Max Ernst,

Rilevante è lo spazio dato agli Autori al ruolo della psicoanalisi nei confronti dell'arte e dell'attività artistica in generale: data la complessità del tema, una ricca bibliografia accompagna il testo e fornisce preziose indicazioni al lettore che desideri approfondire il tema. Sulla necessità per lo psicoanalista e lo psichiatra, di "farsi interrogare dall'arte e interrogarla" per sottoporre ad una sorta di verifica disciplinare la psicoanalisi stessa è centrale il contributo introduttivo di Fausto Petrella alla sezione "Io scrivo le parole sulla fronte e agli angoli della bocca", dedicata a Paul Klee, in cui analizza con sintesi e precisione l'interesse reciproco che gli artisti del Novecento hanno tratto dalla psicoanalisi, che pur tuttavia oggi non dispone di una vera e propria "concezione psicoanalitica dell'arte".

La mancanza da parte della psicoanalisi di un pronunciamento definitivo e sistematico sul "significato ultimo" dell'arte impedisce la sua riduzione ad schemi elementari della biografia dell'artista e al simbolismo della sua opera. L'opera artistica esige quindi rispetto ed attenzione poiché è l'espressione della creatività umana che permette la sublimazione di debolezze, miserie e traumi in cui chiunque può riconoscersi e trarne godimento e sollievo.

Come sottolinea Bedoni nell'intervista, fondamentale per la sua ricerca è l'opera di Kris, psicoanalista e storico dell'arte viennese, che interpreta le produzioni artistiche degli psicotici secondo gli orientamenti della psicologia dell'Io. Kris - come scrive Bedoni - è convinto che lo studio dell'arte "psicotica" (art des fous) non fornisca valide risposte sulla genesi del processo creativo dell'uomo e diffida dell'approccio comparativo con l'arte infantile e primitiva in voga in quegli anni. Il suo lavoro pionieristico, come noto poi troverà sviluppi fecondi nel pensiero di Donald Melzer e di Donald Winnicott. Dobbiamo in particolare a Winnicott il merito di aver individuato lo spazio inesteso e virtuale definito "transizionale" entro cui collocare l'esperienza dell'arte, a metà strada fra l'appartenenza al corpo proprio e l'oggetto diverso da sé (così come nella vita infantile viene rappresentato attraverso il gioco). Benché virtuale lo "spazio transizionale" rende ragione di un aspetto dello statuto specifico dell'arte, che pur corrispondendo ad una materialità concreta, trae il suo valore da attribuzioni soggettive, rappresentate in modo tale da essere culturalmente condivisibili.

Il terzo capitolo "L'oggetto ritrovato. Appunti sull'arte e la cura", introdotto da Giovanni Foresti è dedicata agli attuali orientamenti clinici, terapeutici e/o riabilitativi: vengono quindi illustrate le teorizzazioni che hanno influito sulla riflessione psicopatologica del passato e quelle che nell'attuale panorama culturale sono parse maggiormente influenti.

Si parte dalla definizione del termine "arte terapia", partendo dal termine "terapia", ovviamente legato alla evoluzione dei modelli di terapia che hanno caratterizzato la storia del pensiero psichiatrico del secolo scorso (organo-genetico; psico-genetico; socio-genetico). L'essenza di questo approccio è legato alla struttura necessariamente 'interdisciplinare' delle arti terapie e la natura sfuggente degli oggetti che le costituiscono espongono gli esperti di questo campo - secondo Foresti - al rischio di essere preda di filosofie "neo-, tardo-, o cripto-romantiche".

Giorgio Bedoni ricostruisce puntualmente le origini della "art terapy" e suoi sviluppi, ne "L'oggetto ritrovato. Appunti sull'arte e la cura": nasce a Londra nel 1945 in quegli artisti che partecipano al nascente movimento delle comunità terapeutiche, che si contrappone alla visione puramente custodialista dell'istituzione manicomiale.

Le nuove strategie della riabilitazione psichiatrica individuano nell'arte figurativa e nella musica un rimedio possibile per quei soggetti che hanno subito traumi di guerra. L'art terapy viene poi influenzata - soprattutto in Inghilterra, negli anni Sessanta e Settanta dalle tesi del movimento antipsichiatrico sia dal contributo psicoanalitico di Marion Milner e Donald Winnicott.

L'esperienza italiana riproduce solo in parte quanto avvenuto in Francia e nei paesi anglosassoni. Ricordiamo che l'insegnante d'arte era una figura presente in alcune istituzioni asilari: ad esempio nell'ospedale psichiatrico di San Lazzaro di Reggio Emilia era attiva una "scuola di disegno" destinata ai malati delle classi più abbienti. Gli psichiatri dell'orientamento fenomenologico e lo stesso Basaglia, si occuperanno attivamente della prospettiva critica della c.d. "psicopatologia dell'espressione" prefigurando una lettura terapeutica in chiave fenomenologica della produzione artistica. Ancora oggi l'arte terapia, rimasta di fatto estranea alla nostra tradizione psichiatrica, nel nostro paese è una disciplina in via di formazione, frequentata da figure professionali eterogenee e prive di quell'assetto legislativo che ne regola l'applicazione nei paesi anglosassoni: di fatto rimane una pratica, nel bene e nel male, priva di una definizione tecnica e teorica.

Gli Autori

Giorgio Bedoni (giorgio.bed@tiscalinet.it) , psichiatra e psicoterapeuta, lavora presso il Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura dell'Azienda Ospedaliera di Melegnano.

Ha pubblicato in volumi e riviste specializzate diversi saggi su arte e psicopatologia, arte terapia, e si occupa di formazione in questo specifico campo disciplinare. Insegna presso il Centro di Formazione nelle Arti Terapie di Lecco; Docente del I° corso post-laurea "Assistenti di arti terapie" all'Accademia di Belle Arti di Brera.

Bianca Tosatti, storica dell'arte, ha sempre ritenuto fondamentale l'esperienza dell'insegnamento per una ridefinizione della disciplina in termini di cultura visiva; per molti anni si è occupata di arte contemporanea e di collezionismo organizzando numerose mostre ed eventi. Per quel che riguarda il rapporto tra arte e psichiatria si ricordano in particolare le mostre " Lanormalità dell'arte" (Milano,1993,catalogo UTET) e "Figure dell'anima. Arte irregolare in Europa" (Pavia e Genova,1998, catalogo Mazzotta).

Oltre ai testi degli autori Giorgio Bedoni e Bianca Tosatti, il volume contiene i contributi di Lucia Corti (psicologa, psicoterapeuta), Teresa Maranzano (storica dell'arte), Martina Mazzotta (studente filosofia), Fabrizio Pavone (psichiatra).

I capitoli sono introdotti da Antonio Guerrini (Psichiatra, psicoanalista, Dip. Salute Mentale Niguarda, Milano), Fausto Petrella (ordinario Psichiatria Univ. Pavia; psicoanalista SPI), Giovanni Foresti (psichiatra, psicoanalista)

Intervista a Giorgio Bedoni su "Arte e psichiatria" di Anna Grazia

 

Anna Grazia: L'introduzione al testo "Arte e psichiatria" è dedicato a Lou Salomé, ripresa in una suggestiva immagine fotografica, sembra invitare il lettore ad usare un punto di vista particolare, per accostarsi al tema del libro: infatti "la vista richiede accortezza e orientamento, e quella particolare riduzione morbida dal cerchio all'ellissi che la trasforma in visione". Il lettore quindi intraprende un viaggio storico di grande interesse, sotto lo sguardo acuto e benevolo della famosa allieva di Freud. Può dirci qualcosa su questa scelta?

 

Giorgio Bedoni. Nel libro si parla di artisti e di psichiatri, dei loro incontri inevitabili sul ciglio franoso di un sapere instabile: un dialogo che attraversa il Novecento, ma soprattutto si delinea nel testo un viaggio segnato dall'irrequietezza, ricco di coincidenze e di contaminazioni tra pensiero visivo, psicopatologia ed ipotesi terapeutica. Con uno sguardo Bianca Tosatti ed io abbiamo scelto Lou Salomé, immaginando fascinazioni e irrequietezza di una straordinaria viaggiatrice. Ci piaceva pensare come quello sguardo sottile vedesse l'invisibile. Lou Salomé appartiene al genere della femme ispiratrice, nonostante numerosi indizi orientino a considerarla una sorta di femme fatale, non ultimi i suoi noti rapporti con Rilke e con Nietzsche.

 

A.G.: La vostra ricerca mi sembra centrata sulle corrispondenze tra arte e psicopatologia, attraverso una vasta carrellata storica, aperta dal saggio di Jaspers del 1922 dedicato a Strinberg e van Gogh, dominata dal tema "genio e follia".
Oggi cosa rimane di questa affinità tra opera artistica e schizofrenia (o dimensione psicotica) indagata da psicoanalisti e fenomenologia, alla luce della crescente spinta della psichiatria biologica (es. cit. di Nancy Andreasen) che interpreta la stretta correlazione tra creatività e disturbi della sfera affettiva come manifestazione di un errore genetico? Crede che lo psichiatra si possa interessare ancor oggi, per gli aspetti clinici all' "art des fous"?

 

G.B.: L'Art des fous ha impegnato nel corso del Novecento la migliore tradizione psichiatrica europea. Una stagione di studi che ha prodotto una florida letteratura, tanto da rendere "dimezzata", per certi versi, una storia della psichiatria che intenda prescindere da essa. Ne sono un esempio le magnifiche pagine di Ludwig Binswanger sul manierismo schizofrenico, gli scritti di Eugene Minkowski, e, in anni più recenti, le riflessioni di Franco Basaglia sulle forme d'arte nella psicosi. E poi tutta quella corrente d'impronta fenomenologica che in Germania, negli anni venti, rovescia il paradigma lombrosiano del "genio e follia". Un costrutto in apparenza lontano dal nostro sentire contemporaneo e tuttavia così vicino a noi quando ritorna in questi anni sotto altre forme in certe interpretazioni fornite dalla psichiatria biologica. Il termine art des fous tuttavia individua un'epoca precisa e un teatro di espressione artistica altrettanto particolare e definito : l'asilo manicomiale. Oggi art des fous è parola poco usata quanto storicizzata: rimanda ad un periodo aureo in questo genere di studi e ad immagini straordinarie che possiedono un'intensità perturbante ed un "suono profondo", come scriveva Kandinsky. Queste stesse immagini hanno oggi sia un valore di testimonianza e di memoria sia la capacità di stimolare la ricerca. Si pensi alle immaginifiche creazioni di Adolf Wölfli nell'isolamento dell'ospedale psichiatrico di Waldau, al suo complesso e labirintico linguaggio che ha ancora molto da dire alla clinica sulla funzione del simbolo nella schizofrenia e sulle potenzialità reintegrative e generative sollecitate dall'esperienza estetica. Oggi la fiducia nelle qualità espressive, anche nelle forme psicotiche più gravi, ha esplicite finalità terapeutiche e riabilitative. Il setting artistico, l'area dell'invenzione, è un campo d'esperienza importante per lo psichiatra: è un campo relazionale che prefigura punti di vista "altri" e scenari aperti ad esperienze con la "materia" libere da condizionamenti direttivi, indirizzate alla scoperta e alla sperimentazione.

 

A.G.: Tra i vari esempi di collezioni psichiatriche e in riferimento anche alla scheda sull' art des fous, quale ritiene di poter segnalare come esemplificazione per i nostri lettori?

 

G. B.: Senza dubbio la Collezione Prinzhorn, custodita presso la Clinica Psichiatrica di Heidelberg: la più ricca di materiali di grande valore storico ed artistico, quella che ha suscitato in tempi recenti il rinnovato interesse degli specialisti. La Collezione venne costituita nell'arco di due anni: grazie all'opera dello psichiatra e storico dell'arte Hans Prinzhorn dal 1919 al 1921 confluirono ad Heidelberg circa 4500 opere, provenienti da istituti asilari tedeschi, europei e latino-americani (anche l'Italia ha contribuito alla Collezione, con opere provenienti da l'Aquila, Ceccano e da Roma). Prinzhorn è stato il vero artefice della Collezione, che aveva, sin dalle origini, finalità comparative con l'arte primitiva e infantile. La Collezione divenne subito nota tra gli artisti delle avanguardie: Paul Klee la conosceva direttamente, così come Kubin, Max Ernst e tanti altri. Quella di Prinzhorn è una figura complessa: un uomo immerso nel clima convulso dell'epoca, sensibile alla causa dei movimenti d'avanguardia, che condivide le aspirazioni di una generazione di artisti, la sua generazione. Per certi versi è figura speculare a quella di Andrè Breton, dapprima medico con interessi psichiatrici e poi fondatore del movimento surrealista. Prinzhorn ha il merito storico di aver sottratto il campo agli stereotipi letterari dell' "arte patologica" : la sua formazione culturale gli ha concesso una via di fuga rispetto a facili letture delle opere dei malati. Il suo famoso saggio, "Bildnerei der Geisteskranken", pubblicato nel 1922 e dedicato alle opere della Collezione, è un'opera aperta, innovativa nel linguaggio e nelle premesse teoriche, che non cedono alle lusinghe di facili ipotesi esplicative sui materiali. Con la sua opera Prinzhorn ha ricercato un riconoscimento senza pregiudizio alcuno per le produzioni artistiche dei malati, riconoscimento reso possibile misurando l'insufficienza tanto degli approcci patografici quanto di studi orientati in senso strettamente psicopatologico.

 

A.G.: Fausto Petrella sottolinea nel suo intervento sul tema "Arte e Psicoanalisi", come lo psicoanalista sembra oggi rimanere, rispetto alla dimensione della sofferenza psichica, l'interprete più attento di mondi variegati e complessi legati anche alle produzioni artistiche. Al riguardo è senz'altro importante ricordare anche il lavoro di Benedetti svolge da molto tempo. Ricordo un caso clinico che Benedetti illustrò diversi anni fa in un seminario clinico: si trattava del trattamento psicoterapeutico di una sua paziente, caratterizzato da un'intensa attività pittorica piuttosto strutturata (che servì ad illustrare efficacemente i vari sviluppi della terapia), ma decisamente drammatica nei contenuti. Con il progressivo miglioramento clinico l'attività pittorica divenne meno intensa e drammatica, fino ad una spontanea cessazione in fase di guarigione. Rimasi colpita allora dall'interpretazione di Benedetti che valutava l'attività pittorica della sua paziente niente affatto come 'creativa', bensì come una modalità espressiva della dimensione psicotica della paziente (quindi in fondo la sua produzione artistica come un equivalente del sintomo): questa ipotesi fu confermata dal fatto che alla risoluzione dei sintomi psicotici (attraverso una lunga elaborazione psicoanalitica) cessò anche la produzione artistica. Penso che Lei possa spiegare questo fenomeno, ha esperienze analoghe al riguardo?

 

G.B.: Se ben ricordo nella analisi di quel caso, Benedetti individuava tre livelli di lettura dell'immagine, rispettivamente la dimensione psicopatologica e quelle psicodinamica e psicoterapeutica. Ripensando a quella descrizione clinica sono convinto che venisse enfatizzato il processo relazionale, terapeutico, entro il quale, come ha scritto lo stesso Benedetti, lo psicoterapeuta ritrova se stesso non meno del suo paziente. Egli inoltre fa riferimento al concetto di "psicopatologia progressiva", sottolineando così quegli aspetti trasformativi cui può andare incontro il sintomo. In realtà non possiamo leggere le immagini come una sorta di sintomi illustrati: le immagini sono "pensiero visivo", che individua tutta una dimensione prelogica; l'arte è un linguaggio che indubbiamente permette di ravvisare elementi tipici dell'autore, comprendendo quindi le stesse tensioni irrisolte, le torsioni, le coazioni. Dunque tutto ciò che noi chiamiamo "sintomi". Tuttavia una griglia esclusivamente psicopatologica è una griglia riduttiva, che oscura una parte rilevante del nostro campo d'indagine, rischiando di scotomizzare la soggettività dell'autore: non è un caso che Benedetti introduca più livelli progressivi. Di fronte all'immagine, a maggior ragione nel lavoro terapeutico con pazienti psicotici, credo sia necessario mantenere il più possibile aperto il campo osservativo, saper "sospendere il giudizio" per poter intraprendere un percorso che richiede qualità di osservazione estetica. Qui è prioritario il rispetto del linguaggio visivo, delle forme e dei colori visti nella loro prospettiva fenomenologica. L'immagine prodotta deve essere protetta da inopportune incursioni interpretative. L'opera è uno sguardo aperto sul mondo del malato: al linguaggio dell'arte la clinica dovrebbe chiedere di ampliare lo spazio intersoggettivo, di mantenere un dialogo e una relazione laddove si spezza. Non deve invece pretendere di "normalizzare" l'arte, né di fare dell'oggetto estetico prodotto nel lavoro terapeutico una sorta di arte minore, chiusa nei confini della psicopatologia. E' invece comune osservare l'interruzione del lavoro artistico al termine di certe crisi psicotiche. La letteratura psichiatrica e psicoanalitica si è occupata di questo fenomeno sin dagli anni venti. Lo psicoanalista viennese Ernst Kris ha scritto pagine importanti su questo argomento, interpretandolo alla luce della Psicologia dell'Io. Si potrebbe dire che la pulsione creativa, il bisogno d'espressione, che si manifesta nel corso di una crisi rappresenti anche un tentativo di reintegrazione di fronte alla realtà in via di dissolvimento. In questi casi il processo creativo è un dispositivo che permette di reinvestire gli oggetti esterni: un processo riparativo come osserva Katan. Qui l'arte è un linguaggio "altro", sostitutivo nel veicolare simboli e bisogni. Nella mia esperienza di lavoro in un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura ho l'occasione di verificare con una certa frequenza questo fenomeno: solo una parte dei malati continua l'esperienza creativa alla dimissione; gli altri pongono i codici espressivi dell'arte al servizio della crisi. Anche il linguaggio formale è in questi casi caratteristico, con prevalenza di segni primari e di cifre stilistiche essenziali, che sarebbe riduttivo definire semplicemente regressive. Qui il discorso si apre ad un campo d'indagine di grande interesse che coinvolge non solo l'arte, ma le stesse discipline antropologiche.

 

A.G.: Nel testo viene sottolineata l'importanza del linguaggio figurativo (che inizia già nell'ambito del sogno) nelle sue varie espressioni (legate al lavoro artistico e alla espressione in psicopatologia). Mi sembra di capire, leggendo l'interessante esempio clinico di M. Corti, (che rimanda alla linea di ricerca di Benedetti e altri) - che siate d'accordo sul fatto che la transazione sul piano dell'immaginario permette l'accesso al mondo psichico di malati che per profondi motivi di insicurezza si difendono dal rapporto verbale, o si sentono influenzati da questo nel loro pensiero. Inoltre il terapeuta, con questo particolare tipo di comunicazione, attinge al vasto mondo dell'immaginario e al simbolico, che può consentire al paziente di ritrovare nella relazione terapeutica elementi vicarianti del proprio Sé. Un altro vantaggio dell'espressione attraverso il linguaggio pittografico (o simbolico) è messo talora di percepire parti di sé che sul piano verbale sono rimosse dalla coscienza.
Ritiene, in base alla sua esperienza, che ci siano elementi comuni a varie forme di arte terapia (penso anche alla musicoterapia o al dramma terapia) che consentono il recupero di elementi legati al mondo immaginario e simbolico permettendo l'espressione di emozioni altrimenti difficilmente comunicabili?

 

G.B.: L'esperienza sensoriale e corporea avvicina, indubbiamente, le varie forme di arte terapia: si potrebbe dire che la distinzione tra Korper e Leib, cioè tra corpo 'organico' e corpo che 'vive l'esperienza del mondo', viene per certi aspetti ricomposta nell'attività artistica. Paul Valery ricorda che il pittore "si dà con il suo corpo", affermazione che il filosofo Maurice Merleau-Ponty utilizzerà per tracciare un percorso esemplare sul valore del corpo nell'esperienza estetica, considerando come prestando il suo corpo al mondo l'artista trasformi il mondo stesso in pittura. La dimensione ludica, del gioco, e i relativi fenomeni illusionali ad essa correlati, costituiscono un ulteriore elemento di vicinanza. Winnicott riconosceva il valore trasformativo di queste esperienze, capaci di attivare le parti creative della personalità. Alcune caratteristiche del prodotto artistico (atemporalità, simultaneità, molteplicità) contribuiscono a definire un'area illusionale. La psicoanalista britannica Marion Milner, che negli anni Cinquanta vive una personale esperienza artistica come pittrice, descrive molto bene questi fenomeni, riscontrando nel processo creativo l'esistenza di stati mentali molteplici e differenziati che, concretamente, la portavano a sperimentare desideri di separazione e di fusione con la materia. Siamo qui nel vivo dell'esperienza estetica che, ad esempio, un pittore come Cezanne riporta negli stessi termini descritti dalla Milner. Tuttavia è necessario ricordare che il setting artistico prefigura contemporaneamente un'esperienza cognitiva. Il "fare", il lavoro concreto e dinamico con la materia richiamano qualità percettive, suscitano il coinvolgimento e indirizzano l'attenzione verso uno scopo: attivano, dunque, risorse, offrendo così uno spazio al processo integrativo e ricostruttivo. In questo senso lo scenario delle arti terapie riveste un certo interesse per la prospettiva riabilitativa. Qui l'esperienza estetica, come documentano diverse storie cliniche, permette di acquisire competenze e linguaggi che rendono il malato autore/produttore di codici espressivi inseriti nel circuito sociale della comunicazione. D'altra parte, per la loro particolare natura, questi dispositivi artistico-terapeutici richiederebbero ulteriori precisazioni di carattere teorico e metodologico. Quello delle arti terapie è infatti un terreno complesso, che si presta ancora a facili semplificazioni nelle esperienze e negli stessi percorsi formativi che vengono oggi proposti nel nostro paese.

 

A.G.: … Sappiamo che la sua ricerca è in continua evoluzione e che sta scrivendo anche qualcosa di specifico riguardo al delicato e controverso tema della formazione nel campo dell'arte terapia: possiamo anticipare ai lettori di Psichiatry on line che appena sarà pronto metteremo in rete il suo contributo per aprire un dibattito sul tema. A presto e buon lavoro.

 

Sommario

Introduzione

G. Bedoni, B. Tosatti

Capitolo I. Arte e psichiatria. Storie e punti teorici

Premessa, (A. Guerrini);

Arte e psichiatria. Storie e spunti teorici

Giorgio Bedoni

Schede:
- Hans Prinzhorn: outsider tra gli "irregolari" (G. Bedoni)
- Incontri: Walter Morgenthaler, Adolf Wölfli (G. Bedoni)
- Collezioni psichiatriche in Europa (Bedoni, Maranzano)
- La psichiatria tra Ottocento e Novecento: la figura di Eugen Bleuler (F. Pavone)

Capitolo II. "Io scrivo le parole sulla fronte e agli angoli della bocca", Paul Klee

Premessa (Fausto Petrella)

"Io scrivo le parole sulla fronte e agli angoli della bocca", Paul Klee

(Bianca Tosatti)


Schede:
- Campo di Grano con i corvi (B. Tosatti)
- Forme e contenuti dell'espressione. L'estetica psicologica di Theodore Lipps (M. Mazzotta)
- Il laboratorio magico: Kandinsky e Klee (B. Tosatti)
- Max Ernst: un esploratore dell'insidiosa terra di nessuno ai confini della follia
(B. Tosatti)
- L'art brut (T. Maranzano)
- Scritture e scrizioni: Barbara Suckfull, Henri Michaux, Gaston Chaissac, Adolf Wölfli, Vincenzo Sciandra (B. Tosatti)
- Perché Pollock non era interessato all'art brut? (B. Tosatti)
- Coincidenze: Ghada Amer, Madge Gill, nabila, Ann Hamilton, le lukasa e i quipus … (B. Tosatti)

Capitolo III. L'oggetto ritrovato Appunti sull'arte e la cura

Premessa (G. Foresti)

L'oggetto ritrovato Appunti sull'arte e la cura (G. Bedoni)

Schede:
- Le radici pragmatiche dell'arte terapia: tre profili inglesi (G. Bedoni)
- L'arte terapia: in dialogo con la materia (G. Bedoni)
- La comunicazione simbolica a mediazione figurativa in psicoterapia. Un esempio clinico (L. Corti)

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