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Discussione del Caso Clinico

Viganò: L'esposizione è stata abbastanza monolitica, adesso dobbiamo smembrare le questioni e separarle tra di loro. Io riassumerei alcuni problemi, poi do la parola agli altri, seguendo la nostra scaletta. Primo : si chiedeva il racconto istituzionale precedente la presa in carico psicoterapica o psicodinamica. Qui c'è un intervento dello psichiatra che nell'esposizione è stato letto sulla cartella... non c'è in questo invio, non appare una discussione tra lo psichiatra e lo psicologo che riceve. Non c'è una lettura discussa del caso, almeno non è riportata dalla dott.ssa Pozzi. Quindi lei si è ritrovata a leggere delle frasi molto scarne, che ci hanno fatto chiedere dall'inizio "Ma allora questo psichiatra che diagnosi ha fatto, perché fa un invio: per una diagnosi o per una terapia ?" Lì c'è una prima osservazione da fare, di lavoro istituzionale... di come si può stabilire o non stabilire un lavoro di équipe. Un secondo punto è la narrazione del soggetto... occupa gran parte dell'esposizione e la dott.ssa Pozzi ha fatto notare che il rapporto con lei è iniziato su questo andamento ed è proseguito a lungo, con una narrazione molto dettagliata : ha costruito un romanzo di sé stessa, della madre, delle rotture, delle perdite, ecc. Dietro a questa lunga narrazione del soggetto io farei notare, nella parte finale, la dott.ssa stessa l'ha notato, un mutamento sostanziale : a un certo punto, quando c'è il sogno e l'interrogazione "Allora lei mi vuole lasciare ?" (la terapista chiede alla paziente), invertendo il discorso sul ragazzino Marco... lì emerge un piano diverso della relazione, almeno, che non era apparso precedentemente. Un piano dove entra la questione dell'emozione, dell'oggetto, che la paziente vive. Mette in discussione una propria emozione fino al punto di non commuoversi quando va a vedere Titanic, che fa commuovere programmaticamente chiunque. C'è una sorta di movimento, in cui entra nella relazione non più la narrazione, o la rinarrazione, ma una relazione d'oggetto. Va valutato, rispetto alla conduzione della cura, come mai in quel momento e se questo mutamento potrà essere, però non ne abbiamo gli elementi, una premessa per poter ritornare sulla questione della diagnosi. Perché la diagnosi, questa è una mia terza osservazione, in senso psicodinamico, se prescinde dal rapporto che un soggetto ha con quello che in psicoanalisi si chiama oggetto e quindi con la strutturazione analitica inconscia dell'affettività, risulta difficile una diagnosi analitica puramente sulla narrazione, sugli episodi della vita. Qui si sarebbe potuta vedere una dialettica fra diagnosi osservazionale, che poi dovremo fare, come risulta dai comportamenti della fenomenologia della vita di questo soggetto, rispetto ad una diagnosi posta nel transfert. Questo secondo livello, con gli elementi che ci sono, non è ancora attingibile, un livello analitico, cioè all'interno del transfert,... però è una mia impressione. Ultima osservazione che vorrei fare riguarda i due punti che noi abbiamo messo alla fine della scaletta : uso dei farmaci e diagnosi DSM. Rispetto all'uso dei farmaci c'è anche qui qualcosa di singolare, per cui in certi momenti è la terapista che spinge la paziente ad andare dallo psichiatra perché le dia qualcosa. La paziente non vuole cose troppo forti. La psichiatra conferma questo... Xanax... | * Pozzi: Gli psichiatri ! | ... che non è specificamente un antidepressivo, ma anzi una benzodiazepina che viene usata in genere, che io sappia, nei disturbi somatoformi. Quindi questo uso del farmaco è anche questo da discutere. La scelta della psicoterapista è di non entrarci, ma di affidarlo ad un altro transfert : quello sull'istituzione, sulla psichiatria, sulla medicalità... Infine, rispetto alla diagnosi DSM di disturbo ciclotimico, che la dott.ssa proponeva, anche associandolo ad una diagnosi sull'Asse II come disturbo dipendente di personalità, anche questo andrebbe discusso. Soprattutto perché sente il bisogno di attingere all'Asse II, al disturbo dipendente di personalità, se è questo II livello più messo in gioco nella psicoterapia, come sembrerebbe, stando al tentativo di mettere assieme i due momenti, quello più adolescenziale e quello più adulto. Rispetto al disturbo ciclotimico chiedo ai colleghi di confermare questa diagnosi DSM, perché è interessante poi riportarla sulla psicoterapia. |

Smeraldi: Il discorso della diagnosi è un po' diverso da quell'intervento che avevo chiesto di delucidazione iniziale, perché fare una diagnosi adesso, dopo sei anni, è una diagnosi più informale. Il discorso è diverso sull'impostazione iniziale. Io, francamente, non l'ho capito. Cioè, questa qui è una donna che si è presentata al CPS, ha parlato con uno psichiatra, il quale misteriosamente ha dato (misteriosamente per noi oggi) un'indicazione per una psicoterapia... probabilmente lui ha fatto un ragionamento, non ce l'ha comunicato. Però ha fatto un ragionamento per cui, avendo escluso un intervento di Asse I, in linguaggio DSM, ha detto "Probabilmente c'è una caratteropatia, un disturbo di personalità, quindi la invio da uno psicologo, il quale farà una diagnosi psicologica di personalità ed eventualmente farà un ragionamento se è conveniente o non è conveniente la presa in carico." Io non lo so se c'erano degli elementi precedenti. Mi sembra di sì, ma noi non li sappiamo. Questa qui è stata portata già nell'adolescenza... da medici, neurologi... quindi un qualcosa c'era, ma questo livello ci sfugge... Poi c'è un secondo elemento che fa pensare, e questo diventa di un certo peso, che l'intervento comunque farmacologico che era stato tentato era di una banalità sconcertante e soprattutto era aspecifico, perché non ha riferito dei sintomi per fare una diagnosi di un disturbo d'ansia. La psicoterapeuta, nell'arco dello svolgimento della terapia, si accorge... dei cambiamenti, se ho capito bene anche dalla diagnosi finale, che questa donna alterna dei periodi diversi. Credo sia questa l'osservazione e quindi la rimanda, correttamente secondo me, ad un'impostazione psichiatrica. Io non ho capito con che cosa è tornata indietro però ? | Rimandata al mittente ! | Io, al di là del farmaco, mi aspetterei un ragionamento... se uno psicoterapeuta (e ciascuno di noi, facendo lo psichiatra ha fatto questa parte) manda da uno psichiatra una persona, al di là di darle una medicina o meno, risponderà allo psicoterapeuta. Non ho capito questa risposta. Questo cambiamento registrato, lo psichiatra ha detto che era irrilevante ?... può essere, però sembra strano. Al di là del fatto che i cambiamenti sono in due fasi, perché ho sentito parlare a un certo punto del racconto anche di un atteggiamento ipomaniacale e, dal racconto, mi sembra anche che ci siano delle frasi con cui questa signora arriva e ha un eloquio accelerato... probabilmente c'è qualcosa in questo senso... Non capisco la parte clinica. A meno che non ci siano delle informazioni che non abbiamo e che la collochino in un altro quadro... |

 

Pozzi: E' difficile recuperare dei passaggi di comunicazione... tra enti pubblici con persone anche diverse, però la mia sensazione è che nell'incontro con gli psichiatri probabilmente la signora desse, in un certo senso, il "peggio di sé", nel senso del manifestare proprio in funzione delle proprie paure un atteggiamento fatuo, che poteva spostare davvero la diagnosi di nuovo su problemi di personalità, piuttosto che sul I Asse. Quindi forse gli psichiatri non vedevano la necessità di agire... |

Smeraldi: Ho capito, ma qui ci sono dei comportamenti... tu glielo hai detto che viveva in una stalla ? Una persona che è di classe medio-borghese, insegnante elementare, brava, vive in una stalla ? Al punto tale che se deve farsi visitare da un medico va dalla sorella ? Mi sembra un azzardo. Io non l'ho mai sentita una roba simile. Partirei da lì a parlare con questa donna, a dire perché fa questo, o se lo fa sempre, perché non sembra che lo faccia sempre... A un certo punto c'era un tentativo di recupero funzionale, citato anche in casa. Suppongo che non sarà una casa linda, ma un po' meno stalla. Quindi evidentemente c'è questa fluttuazione. Ci sono degli elementi per pensare che il comportamento di questa donna non sia costante e quindi risenta di qualche cosa. Non è detto obbligatoriamente che debba essere una bipolarità, però perlomeno da andarlo a indagare... |

 

Freni: Volevo stare anch'io su quest'aspetto di confine tra psichiatria e psicoterapia, perché mi sembra che per l'ennesima volta ci troviamo in quella che è diventata quasi una costante di questi seminari, cioè constatare come spesso, in psichiatria, le cartelle cliniche, i resoconti non sono sufficientemente informativi e soprattutto non emerge il nesso razionale tra la procedura diagnostica e la relativa conseguente strategia terapeutica. Quindi purtroppo anche in questo caso vediamo come, addirittura in un contesto nell'ambito della stessa équipe, non emerga una condizione di scambio di informazioni. E questo lo troverei molto grave visto che qui facciamo psichiatria integrata, psichiatria delle équipes territoriali... questo è un punto che lascia molto perplessi, al di là del fatto che siano passati anni o che questi psichiatri non si capisce se erano persone che sono state lì poco tempo. Ma non importa, perché se un professionista è tale, che sia poco tempo o molto tempo, è l'atto che compie che va corroborato, che va giustificato. Il che espone anche a complicazioni di ordine medico-legale, perché il problema è che oggi si pretende e si vuole che la documentazione clinica emerga in razionale, rapportato alla diagnosi e al trattamento. Mi aveva molto colpito il fatto che si crea questa strana condizione... tu dici "A me psicoterapeuta appare così depressa, così ipomaniacale, da sentire il bisogno di incoraggiarla ad andare dallo psichiatra e mi sembra che allo psichiatra porti la parte peggiore di sé. Peggiore, se parliamo in termini di DSM (Asse I, Asse II), è Asse I. Asse I è la diagnosi di malattia secondo una certa impostazione. Lo psichiatra invece sembra rispondere all'incontrario, sembra dire : "No, non è una cosa da psichiatria" e la rimanda in psicoterapia. Però, a questo punto, veramente emerge un problema molto complesso a proposito delle relazioni dei trattamenti, perché questo è un classico che si verifica... |

 

Pozzi: Quando dicevo peggiore non intendevo fatuità. |

 

Fatuità, superficialità, negazione della propria condizione : sono segni psicotici. Il fatto di vivere nella stalla io la ritengo una fenomenologia psicotica, che si trova negli stati psicotici, o francamente borderline, oppure in quelle situazioni prepsicotiche. Non è una cosa da poco. Anche il comportamento esteriore del paziente è un indicatore diagnostico... dal mio punto di vista la diagnosi è l'insieme di tutte queste osservazioni. A me sembra... | **

... terapeuta che si comporta come uno che ha bisogno di psicoterapia, al punto tale da convincere ciascun interlocutore dell'opportunità di rinviarlo all'altro. Allora questo è il segno che c'è qualcosa che non funziona. E qui torniamo al problema che poneva Viganò : qui torniamo all'ordine del transfert-controtransfert. Qui emerge un quesito inquietante : cioè è lo psicoterapeuta che, nel momento in cui si sente investito da questa presunta gravità della paziente, sente di non avere strumenti a disposizione per farvi fronte, cioè sente che la strumentazione di cui dispone : l'interpretazione, la relazione, ecc., non sono adeguati, sufficienti a rispondere alla condizione che sta osservando. Se è così e ne è convinta, come mai quando lo psichiatra gliela rimanda non difende il proprio punto di vista ? Questo è il punto... Succede sempre, è un classico. Come mai ciascun professionista... perché è da lì che poi emerge l'essere costretti a esplicitare il proprio relazionale, che rimane così implicito, non detto, non dichiarato, non scritto. Questo mi dà la convinzione che siamo nell'ordine della dinamica dell'inconscio, quando accade questo, che è un atto mancato in termini di scrittura, di comunicazione o di scambio di informazione tra colleghi. Allora, se vogliamo fare un discorso di integrazione di trattamenti, un principio fondamentale è questo : se io mando un paziente a un altro professionista innanzitutto lo devo fare motivatamente e quindi quella fase preliminare di osservazione, di valutazione-opportunità-trattamento o meno sono dell'idea che debbano... gli psichiatri... Io ritengo sbagliato che l'inviante deleghi l'altro, indipendentemente dal fatto che sia psichiatra o psicologa, la psicoterapeuta. Questo discorso è indipendente dalla formazione accademica. Il problema è che allora questo psichiatra fa una lettura molto superficiale, quindi superficiale la paziente, superficiale lo psichiatra, ecco che mi convince che qui c'è una trappola dell'ordine transfert-controtransfert. Superficiale la paziente, superficiale l'osservazione psichiatrica, superficiale la prescrizione farmacologica. Penso che ormai le benzodiazepine si tenda a non darle più. Si va verso antidepressivi che hanno anche un'azione ansiolitica o si va verso farmaci più impegnativi. |

 

Smeraldi: Forse è una riflessione che non c'entra niente però, tutto sommato, questa signora si è auto-fatta la diagnosi, si è auto-fatta la terapia, si auto-fa tutto. Se posso centrare un po' di più il problema : quando dalla psicoterapeuta questa malata viene mandata sulla base osservazionale... allo psichiatra, cos'è che ci si aspetta che lo psichiatra faccia ? Non ho capito. Questa signora si presenta con qualche cosa che è un po' diverso dal solito : parla troppo rispetto al suo standard, oppure è un po' più depressa, fa meno cose, è disordinata nel comportamento, con un'alternanza strana. Allora la rimando dallo psichiatra. Ma cosa mi aspetto che faccia ? Che faccia una presa in carico ? Qui non è questione di fare un'indicazione farmacologica, è questione di fare una presa in carico psichiatrica, a cui conseguirà forse anche una prescrizione farmacologica. Oppure ci si aspetta semplicemente che dia un antidepressivo ? |

 

Freni: Mi sembra che questo quesito sia una situazione esattamente simmetrica dell'altra posizione : così come lo psichiatra invia con quella modalità, anche la psicoterapeuta sembra non esplicitare il motivo dell'invio, l'aspettativa e la difesa poi successiva del proprio punto di vista. Questo mi conferma che entrambi sono presi in questo triangolo, dove i processi dinamici sono talmente travolgenti e effettivamente questo aspetto onnipotente manipolativo della paziente sembra dominare il campo di cui tutti sono un po' vittime inconsapevoli... però è importante questa domanda : se io, che ho in psicoterapia una persona maturo il convincimento dell'opportunità che un altro, che poi si pone il problema... Metti che tu fossi medico-psichiatra, potresti porti il problema se addirittura darglieli tu i farmaci... è un problema molto aperto, su cui in futuro avremo molto da studiare... Tu, che sei psicologa e non prescrivi il farmaco, potresti adoperare questa razionalizzazione come difesa, rispetto al fatto che tu sei convinta dell'opportunità di un intervento psichiatrico più sistematico, più controllato e quindi con una farmacoterapia più efficace, rispetto a una condizione che tu individui come un sintomo-bersaglio o che ritieni forte ostacolo al tuo lavoro... Questa paziente non so, perché ha la depressione in questo momento non elaborabile con la psicoterapia o la ipomaniacalità, oppure il sintomo che ritengo più disturbante ai fin del mio lavoro : questa discontinuità emotivo-affettiva per cui questo continuo oscillare dell'umore spezzetta il trattamento e lo vanifica. Se fosse questo il discorso, già tu dai delle indicazioni possibili anche valente farmacoterapeutiche... |

 

Pozzi: Mi riallaccio a quest'ultimissima cosa... io credo di avere mandato questa paziente allo psichiatra, nel momento iniziale di un periodo depressivo, in cui la vedevo particolarmente sofferente, in una maniera anche inutile e dannosa per la paziente stessa. E la mia richiesta allo psichiatra, che veniva esplicitata, era proprio quella di poter affrontare e togliere di mezzo questo livello di sofferenza depressivo, distruttivo, inutile, per poter permettere a questa paziente di raggiungere uno stato dell'umore appena migliore, in modo che le fosse possibile dare prosecuzione elaborativa alle nostre cose. Io trovo che l'unico periodo in cui è possibile davvero lavorare psicoterapicamente con questa persona è quando è al termine dei periodi depressivi, prima che subentri la risposta della negazione, sulla base di una sensazione di impotenza, in questa paziente, ad affrontare il nodo psicologico suo, che è quello di trovare nella realtà uno spazio percorribile di piacere. |

 

Freni: Quello che stai dicendo tu conferma ancora una volta quello che temevo. Tu stai facendo una richiesta doppia : da una canto immagino lo psichiatra che dà quel tanto di antidepressivo che basta a non farla essere troppo depressa, tra l'altro ci sono in lettura psicoanalitica tanti casi segnalati di soggetti in cui... viene consigliato l'antidepressivo proprio per sbloccare la situazione di stallo, legato al fatto che una condizione depressiva non genera transfert. Poi tu dici che con questa paziente riesci a lavorare meglio in quella fase di uscita dal momento depressivo, prima che poi mi vada verso la negazione maniacale. Quindi stai facendo la domanda "Come sarebbe bello se questo periodo potesse essere prolungato." Allora qui stiamo chiedendo allo psichiatra di vedere se può stabilizzare l'umore. Chiediamo allo psichiatra "Esiste una terapia stabilizzante dell'umore ?" E' una domanda molto diversa da dire "Esiste una terapia che le toglie questa depressione ?", perché può succedere se quello le dà l'antidepressivo quella sta meglio, ma poi entra in quell'altro stato che tu senti non idoneo al tuo lavoro, perché la formulazione della psicoterapia è quella, non è tanto quella di dire... gli puoi dare il farmaco tal dei tali, ma puoi dire "Ai fini del mio lavoro mi servirebbe un tuo aiuto finalizzato a stabilire l'umore della paziente in modo che questo stato d'animo lievemente depresso si prolunghi nel tempo", allora quello fa i suoi ragionamenti "Tra gli stabilizzanti l'umore potremmo provare questo... se poi non funziona allora lo prendo in carico", ci ragiona, prova, riprova... però mantiene questa consegna di vedere se è possibile arrivare a quell'obiettivo. |

 

Viganò: Io proporrei... una lettura un po' anticonformistica, meno conforme rispetto a quanto è stato detto finora, di questo punto di difficoltà che è intervenuto... circa un anno e due mesi dopo l'inizio della terapia. Proviamo a pensarlo dal punto di vista del transfert e della relazione d'oggetto di questa paziente questo momento di crisi, quindi non come accidentale, ma legato a una dinamica di come stavano andando le cose in quella cura. Quel momento di crisi è una crisi sentita dalla terapista come inquietante. E' preoccupata... e allora vediamo di che cosa è preoccupata, perché è un anno e due mesi che stanno dialogando, quindi si è creata una dinamica relazionale tra curato e curante. Questo è confermato dal fatto che la paziente, quando viene re-inviata dallo psichiatra, tende a non volerci andare, a rifiutare il farmaco "forte", che... sarebbe quell'antidepressivo specifico, una cura antidepressiva che le suona come un'interpretazione, possiamo ipotizzare, ma soprattutto va dallo psichiatra a esprimere tutto il suo rancore per la per la psicoterapista. Quindi questo ci potrebbe illuminare su perché la psicoterapista fosse così preoccupata in quel momento. Era preoccupata di un'aggressività che sentiva covare dentro questa paziente, diretta all'analisi, alla terapia, al transfert, una tendenza del transfert a diventare, a ripetere quel rancore, quell'aggressività, quella ribellione, che la paziente ha verso il suo Altro materno. Quindi proviamo a leggere dal punto di vista di un andamento dinamico questo momento della cura, tanto più che la mia esperienza dice che, nelle cure che si svolgono in istituzioni, il transfert va pensato abbastanza globalmente perché il soggetto è uno solo, anche se noi siamo uno psichiatra, uno psicologo, questo e quest'altro. Il soggetto è sempre quello e il suo Altro lo gestisce a partire dalla sua propria soggettività. Quindi psichiatra, psicologo, ecc., le istituzioni si trovano a essere dalla parte dell'Altro della paziente. Il gioco che la paziente può fare tra psichiatra e psicologo è un gioco transferale da leggere unitariamente, perché è il soggetto che gioca tra psichiatra e psicologo. Questa dimensione, secondo me, è una lezione importante da apprendere da questo caso, perché ci dice come la collaborazione tra i colleghi professionisti qui, quando c'è in atto un transfert sull'istituzione, non basta che sia più o meno corretta dal punto di vista di darsi delle informazioni obiettive, ma i professionisti che fanno parte dell'area transferale, di cui partecipa quel soggetto, devono avere una lettura dinamica di quello che sta avvenendo... chiaro che c'è da auspicarsi che la lettura dinamica di questa pluralità di professionisti, che costituiscono l'Altro transferale, porti a sedimentare un'autorevolezza clinica. Se portasse a un conflitto... questo sarebbe distruttivo per il soggetto, quindi unico non nel senso ideale, cioè non è che si deve produrre, come spesso si dice nelle istituzioni ("Facciamo allora un progetto, diciamo qual è la strada che il soggetto deve percorrere."). Il progetto non è necessario, basta che la lettura sia una lettura dove ognuno può avere la sua opinione, ma che dà uno spazio vivibile al soggetto. In questo caso io purtroppo devo dire che sono piuttosto critico rispetto alla gestione di questo momento, perché è stata una gestione che non ha dato al soggetto una strada nel transfert da proseguire, ma ha lasciato gestire praticamente tutto alla paziente. Se l'è dovuta cavare nel conflitto ambientale giocato nella realtà - dal momento che nessuno ne ha colta la valenza transferale e quindi gestire tutta questa sua aggressività... non sento strettamente questi passaggi come umorali, di calo, di differenze dell'umore legati a un investimento dell'oggetto che viene meno. Non ci vedo la dinamica melanconica in questi passaggi, ma piuttosto questa dinamica transferale, che non trova modo di essere elaborata (cioè il suo odio per la madre)... che così deve continuamente agire... con questi passaggi all'atto, anche nel suo comportamento di diventare la maestra brava (sulla scuola proietta molto queste cose)... Questo sintomo-casa... io tornerei a interrogarlo non tanto dal punto di vista dell'umore, ma dal punto di vista dell'organizzazione simbolica che questo soggetto ha della realtà... |

 

Barracco: Questo seminario mi è sembrato interessantissimo. Uno dei pochi spazi in cui si parla nel concreto di che cos'è l'integrazione, di che cos'è il lavoro istituzionale... Sono un po' stupita e incuriosita dall'interpretazione... dalla reale richiesta della terapeuta, cioè "Come sarebbe bello se l'umore si stabilizzasse"... Mi viene da pensare che allora il terapeuta di fronte a delle situazioni che lui può leggere fenomenologicamente come più gravi, anche nel quadro generale (la casa, l'umore) invece di... portare il soggetto a interrogarsi su questa gravità e magari... lui stesso a dire qualcosa su questa gravità... Mi viene in mente che questa persona ha cambiato tre psichiatri, perché questo ? E' tornata nell'acuzie ? E' stata una decisione della paziente di chiedere di chiunque ? |

 

Quello è un grave handicap del lavoro nel pubblico, il fatto che l'interlocutore può cambiare a volte... |

Allora questo significa che, in generale, una situazione anche molto grave, quando si decide anche razionalmente, non su una spinta controtransferale non elaborata, che non ci si può fare altro,... Ci sono molti pazienti anche psicotici che rifiutano profondamente un trattamento farmacologico regolare. Tante volte è possibile per il terapeuta fare qualcos'altro, che non sia solo dire "No, per me lei deve fare questo"... Io credo che si possa agire nel reale anche senza necessariamente con il reale del farmaco o comunque... portare il paziente a chiedere, a elaborare qualcosa di una richiesta da reale a reale, cioè da farmaco a corpo. |

Freni: Qui c'è questo elemento che interviene : quando la paziente dice che non vuole una cosa forte, questa formulazione non si applica solo al farmaco, si applica anche alla psicoterapia. Cioè questa paziente sta dicendo "Guardate che io non voglio cure che richiedano in me dei cambiamenti radicali, io non voglio cambiare." Sta manifestando una forte opposizione alla cura. Qui siamo alla dinamica dell'onnipotenza. Allora il problema è chiedersi se, in questi casi, vale la pena impegnarsi in questa maniera molto generosa, per anni e anni, in trattamenti di questo genere o se invece non vale la pena di dedicare molto tempo alla fase iniziale osservazionale, che può portare al giudizio di dire "Io con questa paziente mi metto a disposizione al suo bisogno", cioè aspetto che sia lei a porre la domanda in modo più autentico e "Sono qui pronto ad accoglierti quando tu ne hai bisogno." Se no questa lotta non finisce più. Quindi può darsi che il bisogno del farmaco nasce da questo, in uno strumento più potente. Il farmaco è potente. Siamo noi abituati ormai. Io non capisco questa strana cosa che si è verificata : di considerare lo psicofarmaco come fosse una caramellina. Lo psicofarmaco è uno dei farmaci più importanti che c'è nella farmacopea generale. Soprattutto quando parliamo di antidepressivi, neurolettici : sono farmaci di altissima specialità, non sono cose da poco. Soprattutto nella varietà attuali dei farmaci che abbiamo a disposizione, ogni farmaco ha un suo specifico quasi e anche una sua corrispondente psicodinamica, dal mio punto di vista... io sono convinto di questo. Dare Serenase o dare benzodiazepina non è la stessa cosa, non solo dal punto di vista biologico o farmacologico, ma anche dal punto di vista psicodinamico. Ecco perché oggi non si può più parlare, questa è veramente una preghiera che faccio agli psicoterapeuti, oggi non è più ammissibile che gli psicoterapeuti non abbiano nozione di queste cose, perché allora... non vuoi difendere il tuo punto di vista. A proposito di quest'ultimo intervento, io con una mia paziente, che ho in analisi per cinque sedute alla settimana (una cosa diversa), che è in cura con un altro collega, prende un antidepressivo piuttosto importante, nuovo, ma a dosi di tutta portata terapeutica. Mi sono trovato in una situazione in cui anch'io qualche volta ho sollecitato che facesse dei controlli più frequenti presso il farmacoterapeuta... e in parte è vero quello che dice lei, cioè arriva comunque il momento in cui questa faccenda se la deve sbrigare lo psicoterapeuta, perché se c'è un salto del simbolico inconscio, questo solo attraverso il lavoro interpretativo si può sciogliere. Non è più una questione di farmaco. Il farmaco serve perché dà il sostegno. Dà un contenimento notevole rispetto a possibilità di aggravamento, di passaggio all'atto e cose di questo genere. Ma, in questi casi, si assiste a un iperbole di certi funzionamenti che sono molto angoscianti. Ad esempio questa paziente è arrivata a un punto tale di odio nei miei confronti terribile, nel transfert con una madre cui si è sentita rifiutata, non amata... non allattata, madre pazza che faceva tentativi di suicidio quasi ogni mese, io sono diventato quello, una cosa angosciante. Ci sono stati dei momenti in cui mi veniva voglia di lanciare la spugna e dire "Vattene via, non sopporto più questi attacchi continui." Il culmine dell'iperbole è stato che questa arriva con la forbice e se la mette tra le mani e ... per fortuna le cade, io la prendo, la sequestro. Quindi si è drammatizzata questa situazione. Dopodichè tutto cade. Dice "Mi sono sentita più sollevata. Adesso le voglio bene, mi sono resa conto che lei mi aiuta." Cambia il mondo. Sono situazioni drammatiche, che io non so. Qui siamo una volta alla settimana. Io reputo che una psicoterapia una volta alla settimana è insufficiente a gestire una situazione di questo genere, con una paziente che non ne vuol sapere di terapie forti, ma non solo terapie farmacologiche. Per quanto riguarda la storia che lo psicotico rifiuta il farmaco, anche quello andrebbe rivisto all'interno di queste categorie che stiamo descrivendo. Per esempio è da un po' di tempo che, proprio in virtù di questa storia dell'integrazione, io non faccio più le prescrizioni dei farmaci secondo la tradizione in cui uno dà delle spiegazioni. Entro nel discorso "Beh forse un farmaco le farebbe bene", ma non tanto in termini di etichetta clinica, ma in termini di una qualche specificità della fenomenologia che presenta il paziente, che lui stesso riconosce non gestibile psicologicamente. Quando troviamo un accordo a questo livello, io dico "Ci sarebbe forse un farmaco adatto a contenere questa cosa." Quando ho la fortuna di avere la fortuna di avere un farmaco che esiste con nomi commerciali diversi, io dico "Esiste... , si chiama così, si chiama cosà, lei quale sceglie ?" Chiamo da subito il paziente nella dinamica decisionale. Per esempio, una cosa classica, che ho citata qui in seminario, a proposito del risperidone: c'è la formula Belivon e la formula Risperdal. Un paziente mi risponde "Belivon... believe on, siccome io ho fiducia in lei prendo il Belivon." E l'ha preso e continua a prenderlo con fedeltà assoluta. Questo la dice lunga sui processi cognitivi, metacognitivi, sulla disposizione poi del paziente alla compliance, che è un grosso problema aperto. Un altro dice "Disperdal... disperdere le emozioni, non pensare." Capite come sono due pazienti completamente diversi dal punto di vista dinamico ?... Comunque il seminario nasce dal fatto che la psichiatria del territorio chiede all'università, alla scuola, di preparare i giovani psichiatri verso procedure di équipe, alla gestione dei pazienti. Quindi siamo stati costretti a immaginare una didattica integrativa che ci ha trovati anche un po' spiazzati... Quindi è un esperimento in corso. Noi speriamo di migliorare sempre di più, anche grazie al contributo di quei colleghi che, venendo dall'esterno, portano esperienze che sono utili a tutti... Mi piacerebbe che tu dicessi qualcosa... anche se si va un po' verso il teorico, prescindendo dalla specificità del caso, formulare delle ipotesi... |

 

Smeraldi: In termini di psicofarmacologia clinica prima è stata detta una cosa che non mi trova d'accordo, lo devo dire. Attenzione ! Il ragionamento "Io ti do un po' di antidepressivo che mi tira fuori un pezzo della depressione, poi l'altro pezzo io lo gestisco in termini non farmacologici" è una cosa che non sta né in cielo né in terra, da tutte e due le parti. Nel senso che, se la natura o la matrice della depressione è un lutto complicato, i farmaci non le fanno niente, anche se è gravissima. Non è che se la matrice è psicodinamica, la depressione non è grave, è gravissima, però la matrice è un'altra e devo gestirla con difficoltà, ma in un altro modo. Viceversa, se io ho fatto una diagnosi bipolare, più o meno grave, allora la componente depressiva viene gestita a livello di clinica psichiatrica, quindi di intervento di quel genere e allora il problema importante è quello della stabilizzazione. Perché allora è la richiesta di un intervento di ordine psicologico, in normotimia... Allora è un intervento psicologico, psicoterapeutico, che ha come obiettivo la personalità del soggetto, perché quello che c'è nel periodo di normotimia è lo studio di personalità... Per quanto riguarda invece l'impostazione io... |

 

Nell'ipotesi che ristrutturando la personalità si possa influenzare anche il decorso di malattia... |

 

Se io avessi dovuto, fossi stato interpellato come psichiatra, io mi sarei orientato da tutt'altra parte. Non mi sembra che questa signora abbia un modo di funzionare, o una presentazione psicopatologica, molto legata alla bipolarità. Può avere delle oscillazioni, ,lei diceva "Ogni anno mi fa un po' lo stesso ciclo, ma l'anno dipende un po' dal fatto che va a insegnare. Cambiano a seconda delle stagioni, non cambia solo la stagione, cambia anche l'impegno... Io avrei insistito molto di più... su quel misterioso intervento dei neurologi in età adolescenziale, perché le premesse per un disturbo di personalità grave (questo c'è, è sotto gli occhi di tutti)spesso hanno un precedente nel disturbo d'attenzione, che non è solo ipercinesia. E' una situazione adolescenziale estremamente complessa, che ha infiniti aspetti. Oltretutto questa è una donna. La componente di ipercinesia è prevalente nei maschi, nelle donne è una difficoltà cognitiva di elaborazione, che corrisponde a quella descrizione della ragazza un po' piatta, com'è andata con l'università, non sa che pesci prendere. Quindi è una situazione molto anziana come datazione e collegata a questo. Che è una cosa molto diversa. Si può fare un intervento psicofarmacologico secondo questa ipotesi, cioè l'ipotesi di un difetto tipo "ipercinesia infantile o adolescenziale", che poi diventa, da adulto, un disturbo di personalità misto, con tanti aspetti, ma grave. Solamente che in questo caso l'intervento va a finire sugli stimolanti... Secondo me, però, questa era una delle ipotesi. Certo bisognava andare a indagare di più, avere più informazioni. Però questa poteva essere una delle ipotesi, che potrebbe anche giustificare il fatto che questa donna non voglia gli antidepressivi. Chi si giova degli antidepressivi... gli affettivi riconoscono che quelle molecole gli fanno bene. E se io ad un bipolare in fase di depressione gli do... (nome di farmaco) lo capisce che non è antidepressivo e te lo dice "Guardi che questa roba qui non va bene. Io voglio un antidepressivo"... loro riconoscono il rovescio. Allora questa qui potrebbe anche essere una che ha provato un po' di antidepressivi... e ha detto "Quella roba lì non mi va bene". Potrebbe essere che quella lì ha registrato nella sua storia il fatto che quelle molecole non le fanno bene e questo è vero. Non bisogna dire che non è vero, di fatto potrebbe essere una delle ipotesi che va a confermare delle scelte alternative. Lo Xanax è come il parmigiano sulla pasta, lo mettono tutti, però non risolve assolutamente niente. L'altra questione importante è sul fatto che questa donna, secondo me... ha delle idee molto singolari su che cosa sia il funzionamento mentale e soprattutto il saldarsi del funzionamento mentale con il comportamento. Ora forse, in tutta questa storia che c'è stata e che l'istituzione le ha offerto in terapia, c'è stata una netta prevalenza del funzionamento mentale, come se il comportamento fosse una cosa irrilevante... Non è il problema della casa, è il problema del comportamento. Forse riequilibrare questo, nello schema del disturbo di personalità, poteva avere un certo vantaggio, perché se c'è un'incapacità assoluta al comportamento ci saranno dei motivi psicologici di questo, che vanno indagati. |

 

Freni: Sostanzialmente è quella che in ambiente psicoanalitico viene chiamata una componente autistica della personalità che ha radici molto antiche. Si manifesta con gravi deficit dell'attenzione, dell'apprendimento, metacognitivi, di simbolizzazione e che, nel comportamento, si manifestano... quindi questa componente qui probabilmente non compare, anche se c'è. E' la parte più dura, che fa pensare di chiedere aiuto al farmaco. |

 

Viganò: Vorrei tornare anch'io su queste considerazioni diagnostiche, perché effettivamente quello che il professor Smeraldi alla fine poneva come dissociazione... di comportamento si può ritrovarlo ad altri livelli. C'è certamente un fenomeno di splitting in questo soggetto... Dal punto di vista dell'organizzazione sessuale, dell'identificazione sessuale, questa donna come organizza il proprio desiderio, le proprie aspettative, le proprie soddisfazioni libidiche ? Noi vediamo che ha... delle divisioni un po' singolari, che ha questo rifiuto dell'identificazione alla madre, sottospecie di casalinga. Quindi la casa, in quanto identifica una forma di donna, un modo di essere donna, una posizione femminile, è rifiutata, per essere recuperata a livello della professionalità della maestra. Lì non sappiamo quanto ci sia, in questa elaborazione, di una rivalsa professionale, intelligente. La rivalità con la sorella, nella corsa a un riconoscimento non sappiamo se sociale, materno, da leggere all'interno dell'équipe... La triangolazione edipica effettivamente sembrerebbe una rincorsa ad un riconoscimento da parte di questo padre distratto e un tentativo di rifiutare ogni identificazione alla madre. Però, se questa è una struttura abbastanza leggibile, come ha, soprattutto nel momento adolescenziale, organizzato questa faccenda ? E' chiaro che solo trovare soddisfazioni nell'investimento intellettuale dell'apprendimento, dello studio, del successo scolastico, evidentemente non le è bastato, perché ha perso forse anche un anno, due, di scuola. Il modello dell'intelligenza, quella dedicata allo studio, che viene bocciata ben due volte. Qualcosa non torna. E sicuramente è intelligente. Disturbi nella concentrazione, nella capacità di proseguire un impegno nello studio, possono mostrare come questa sostituzione di un oggetto puramente intellettuale non abbia funzionato. E allora di nuovo l'interrogazione su che tentativi ha fatto di realizzare una posizione femminile, di trovare una soddisfazione coma donna. Tutto quell'andamento molto particolare del rapporto col marito, la luna di miele a Venezia, subito lasciata lì dopo pochi giorni, una ripresa un po' affannosa di un nuovo incontro sessuale col marito (il primo momento si è spento con una gravidanza abbastanza repentina), tutto questo aspetto : non realizzazione di un'identità sessuale, di un'identità femminile, è ciò che ci sarebbe da aspettarsi che una psicoterapia possa rielaborare, mettere in luce nel transfert. Secondo interrogativo, a partire da questa diagnosi che va, anche dal mio punto di vista strettamente analitico, sulla questione del disturbo di personalità, lì semplicemente interrogherei quanto c'è di possibilità da parte di questo soggetto di isterizzare una relazione. Mi rendo conto che la parola isteria è stata tolta dal linguaggio attuale della psicopatologia, comunque isterizzare nel senso di stabilire una relazione con l'altro di interrogativo su sé stesso, a partire dal desiderio dell'altro, dalla posizione dell'altro che viene colta. Quanto questo disturbo di personalità, in altri termini, tenda a organizzarsi nella modalità psicotica, o quanto invece può essere indirizzato in una modalità nevrotica. Questo, dal punto di vista dinamico, resta, nel campo "disturbi di personalità", l'interrogativo più dinamico. La seconda osservazione, derivata da questo quesito diagnostico, che evidentemente si può risolvere solo nella relazione transferale, è relativo alla psicoterapia... Bisogna aspettare, far prolungare l'osservazione, sono d'accordo... e poi una psicoterapia, una seduta alla settimana, è troppo poco. Quindi come valutare questo ingresso nella psicoterapia ? Da una parte appare che sia stato precoce, sotto vari aspetti : sia nell'invio dallo psichiatra, sia nella domanda della paziente, che una volta messa lì sul seggiolotto della psicoterapia, per cinque anni ha raccontato, con una certa monotonia, la sua storia senza inflessioni. Fino al punto in cui la dott.ssa ha osato (la prima volta non ha osato, l'ha mandata dallo psichiatra) l'intervento scarnificante dell'interpretazione e ne è venuto fuori il sogno della scarnificazione. Come valutare, in questo contesto pubblico, questa "messa" nella psicoterapia ? Non poteva essere più utile uno stand by più prolungato, che facesse maturare la domanda ? Uno stand by con dei colloqui, ma non formalizzati come psicoterapia, con un'osservazione, come qui la chiamiamo. Un'osservazione psicodinamica, ma che potesse far maturare di più una specifica domanda da parte del soggetto. Qua il soggetto non è molto domandante... lo spazio dell'interpretazione si apre forse alla fine. Quindi come giostrare una preparazione, una psicoterapia, per essere più pronti, quando ci fosse una domanda poterla fornire, la psicoterapia adeguata. Questo è anche un imbarazzo un po' dell'istituzione, di giostrare questi tempi, per cui si dà un'indicazione un po' precoce e poi dopo si lancia il sasso e si ritira la mano. |

 

Freni: Mi sembra che il primo punto, nei casi di integrazione funzionale, se per esempio lo psichiatra fosse uomo, avrebbe dato un grossissimo aiuto a ridefinire quella faccenda... quando funziona l'integrazione. |

 

C'è però un punto in cui la paziente definisce bene qual è la sua posizione.

 

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Ascoltatore: Dell'invio che lo psichiatra fa, pur confuso e tutto, il punto che non viene fermato è questo : questo soggetto che cosa sta facendo ? In fondo sta ripetendo continuamente e mantenendo la sua condizione di dominante e, se vogliamo, anche qualche fantasma aperto : studia, poi si va a prendere un uomo che è offeso fisicamente per riuscire a tenere in piedi il matrimonio e lei lo ripete su fasi diverse. Lo ripete nel senso che trova un marito alcolista e fa una luna di miele come "morte fredda". Ripete la luna di miele, quasi un tentativo di apertura, alla morte della madre... Però non riesce a uscire da questo meccanismo. Anche l'organizzazione simbolica della casa così disordinata rispecchia un po' questo disordine interno, in cui non c'è una collocazione sessuale chiara, perché è avvenuto tutto all'interno di questa dialettica, che è riuscita a mantenere anche all'interno della cura. |

 

Freni: Sembra molto interessante questo discorso, perché in realtà sembra che questa donna non entra nel transfert relazionale, ma fa continui transfert di sé ( ? ) all'interno di questa rappresentazione grandiosa, impotente... Il problema è che per poter instaurare il transfert con un soggetto, che adotta strategie sadomasochistiche per mantenere inalterata l'immagine narcisistica di sé, questo è il concetto di fondo, bisogna che il curante assuma le sembianze dell'oggetto di transfert interno e deve poterlo fare in una maniera che spiazza il soggetto - e lì è molto pericoloso, si possono fare grandi errori - perché è difficile che uno si proponga in somiglianza a, senza però scadere nel comportamento reale di quell'altro. E' lì che poi si scolla l'immaginario e comincia la dinamica. Se uno sa fare questa operazione il paziente sposta sul terapeuta questa funzione di transfert. A quel punto però uno dev'essere disposto a sentirsi trattato come quella madre orribile. Se uno sa sostenere questa posizione, a quel punto, ha la prova certa che è avvenuta questa operazione di verità. E automaticamente il comportamento nel mondo esterno cambia. E' molto difficile, però io credo che sia l'unica linea operativamente praticabile se si vogliono affrontare queste cose con molta efficacia e con una certa celerità, piuttosto che lasciarsi staticizzare per anni e anni, stare lì impotenti. Perché anziché il transfert c'è la ripetizione del sadomasochismo, dove la gente masochista diventa "i terapeuti" e la gente sadica "il paziente"... C'è una profonda differenza tra una posizione sadica narcisizzante e un'assunzione di funzioni sadiche finalizzate alla denarcisizzazione... |

 

Di Giovanni: Credo sia interessante questo contributo ultimo del professor Freni, perché potrebbe essere indicazione per caratterizzare quel tempo di osservazione per poter entrare nella cura. Effettivamente... non è un sadicizzare la cura, prendere questo ruolo, che in fondo la paziente nel suo inconscio offre. Ci sono molti tratti perversi in questo comportamento. D'altra parte quella cura che c'ha raccontato è una sadicizzazione. Non è detto che sia meglio lasciare il ruolo del sadico alla paziente invece che prenderlo noi come terapisti. Non è che il masochismo sia una cosa buona e il sadismo una cosa cattiva... il problema è come mettere una distinzione tra immaginario e simbolico, se si accoglie e addirittura si diventa attivi in una posizione che ripete il sadismo cui il soggetto è abituato, se lo ripete a livello della cura... diventa allora un agito dentro alla cura e libera la possibilità simbolica dell'atto. Diverso è se poi passa all'atto totalmente nella realtà esterna. Quindi intervenire anche con un controagito del terapista, se è maneggiato con saggezza terapeutica, quindi non nel senso di sadicizzare realmente, ma dare la possibilità perché sia un'operazione elaborabile a livello simbolico, allora questo credo che sia l'unico modo per entrare in una dinamica altrimenti che tende ad essere chiusa, perché la domanda io qui non la vedo, la domanda di analisi. E allora bisogna sbloccare questi meccanismi ripetitivi.

 

* Il cambio del carattere introduce gli interventi

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