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Introduzione del Seminario

Abbiamo scelto come titolo per questo Seminario “Clinica psicodinamica nel lavoro istituzionale”. Qualche parola sul termine “clinica”, per poi chiarire tre punti: la psicodinamica, il lavoro istituzionale, la proposta di una griglia di riferimento. Per quanto riguarda la clinica mi limiterò a questo: l'etimologia deriva dalla parola greca kliné, letto: clinica è quella trasmissione di sapere, l'insegnamento che si svolge al capezzale del paziente. Dunque ciò che insegna il soggetto, la relazione con la sua presenza reale, preso come testo del caso clinico, l'evento particolare che si rende leggibile e trasmissibile. Oggi che il campo della salute, anche di quella mentale, è dominato dal sapere universale (e universitario) della scienza, è importante sottolineare il peso che si deve dare alla contingenza del singolo caso. Perché vi sia terapia efficace occorre integrare il sapere scientifico con quanto di un caso risulta irriducibile alla scientificità, in quanto legato a ciò che un soggetto ci mette di proprio. Un godimento implicato nel sintomo e le sue trasformazioni, che non conviene scartare, ma che è utile mettere nel calcolo della cura.

E' questa la ragione dell'accento posto sull'aggettivo psicodinamica. Con questo termine non si vuole indicare innanzitutto una teoria generale, un'interpretazione del fenomeno malattia, ma solo una questione di metodo clinico. Certo noi ci rifacciamo all'esperienza della psicoanalisi: lo facciamo perché vi troviamo la radice di un metodo clinico, il modo con cui operare nella cura mantenendo la dimensione del caso per caso.
Se la clinica è diagnosi e terapia, questi due elementi vanno inseriti nello spazio che è loro proprio, quello del soggetto. In altri termini sosteniamo che lo spazio del soggetto va preparato, va “costruito”. E' una condizione essenziale per l'efficacia del trattamento. Senza questa avvertenza metodologica si rischia di applicare diagnosi e terapia in spazi operativi impropri, ad esempio allo spazio predisposto dalle difese e dai preconcetti dei familiari, o dei curanti stessi, o dalle ragioni e dagli interessi dell'istituzione.
Lo spazio del soggetto non è esaurito da quella serie di segni che ci fanno porre la diagnosi, vi è una dimensione della patologia e del sintomo che si struttura proprio come punto di eccezione rispetto alla norma (biologica, legale, sociale, ecc.) in una direzione che non è puramente negativa, che è invece creatività del soggetto. Per questo non potrà essere corretta solo correggendo la trasgressione alla norma. Per passare dal paziente in quanto “designato” a un soggetto che sia realmente l'utente delle nostre cure, occorre mettere a fuoco la dinamica, cioè estrarre dal continuum del campo di osservazione quelle scansioni, quei movimenti di ripetizione, che segnalano l'opera in atto di un soggetto particolare.
Ci pare che per rendere più evidente ciò di cui si tratta sia oggi utile mettere tra parentesi lo psico- della psicodinamica. Fino a ora infatti la psiche ha monopolizzato la designazione del soggetto, è un'eredità platonica che comporta dei fraintendimenti e che non è più utile. Ciò che del sintomo è soggettivo, il suo lato oscuro, fatto di sentimenti e di emozioni, anche se non è “scientificamente dimostrabile” è davvero così immateriale? Noi riteniamo che esso si radichi in un punto di fissazione del godimento, inconscio, ma sempre pronto a ripetersi e a trasferirsi nelle strutture della cura. E' questo l'elemento che ci proponiamo di studiare.
Il modello a cui Freud fece ricorso nell'intento di dargli una forma fu appunto quello della dinamica e in particolare il secondo principio della termodinamica, quello dell'entropia. Quel godimento masochista che infiltra le patologie di cui ci occupiamo è un'energia che viene dispersa, sprecata, perlomeno finchè non ne cogliamo la paradossale utilità nel sostenere la formazione patologica come qualcosa che fa compagnia al soggetto. La dinamica non punterà quindi a togliere questo partner, ma a renderlo più vivibile.
C'è anche chi ha modellizzato questo punto di fissazione strutturante del soggetto come Gestalt, si tratta allora di inserire diagnosi e farmaci in una Gestalt che ne può incrementare l'efficacia, invece che accanirsi a volerla modificare nella sua ragione strutturante.
Infine c'è la struttura proposta da Lacan per questo spazio del soggetto: la topologia, una geometria delle superfici deformabili, che è in grado di mostrare quel punto di resistenza alla trasformazione (piega, buco, torsione, ecc.), che rimane u-topico, senza luogo, sulla superficie piatta che lega la causa con l'effetto. Un esempio per tutti: quell'antidepressivo che si dimostra efficace negli attacchi di panico mette in continuità due facce - la distimia e il panico - che la geometria DSM distingue tra loro. Si evidenzia così una topologia a Nastro di Moebius, ad una sola faccia, dove chimica e dinamica si alleano nell'andare oltre l'apparenza intuitiva dei segni.
In conclusione la prospettiva dinamica introduce nella clinica un movimento che solo in apparenza infrange la bella neutralità richiesta dallo spirito scientifico e che poggia invece sulla struttura stessa della clinica.

Il Seminario si basa su casi presi dal lavoro istituzionale, quindi da un contesto di legame sociale differente da quello che sta alla base della vita universitaria.
Nell'Università al posto di comando sta il sapere e la sua trasmissione. Questo fa sì che si sia stabilita una sorta di alternanza tra due forme di sapere tra loro in conflitto, quella biologista e quella psicologista. E' una linea di frattura che non ritroviamo nelle istituzioni sociali della cura.
Qui comanda l'organizzazione delle cure, che come tale risponde piuttosto alla concertazione democratica che regola le istituzioni sociali. Ad esempio stiamo assistendo ad un profondo mutamento di ordinamenti, centrato sulla “aziendalizzazione”, tesa al taglio delle spese. Essa apre su nuove questioni che toccano direttamente la clinica, quali:
- L'esplosione della coppia curante-curato, per l'introduzione di altri soggetti sociali (operatori sociali, Tribunale, famiglia, psicologi, ecc.).
- Il problema della valutazione, che alla sua radice è di natura etica.
- La necessità di collaborare tra diverse istanze e quindi di dover costruire il momento decisionale (autorità clinica).
- L'insufficenza dell'intervento terapeutico con la comparsa di iniziative “non-profit” e del volontariato.
Tutto ciò mette in una nuova luce l'esigenza di supervisione e di formazione e quindi l'espressione del desiderio dell'operatore che struttura il rapporto con il paziente, ma anche la forma di legame sociale del gruppo di lavoro.
Questi elementi di novità rendono più che mai necessaria una ricerca sulla prospettiva dinamica.

Per questa ricerca abbiamo approntato un primo strumento che è una griglia che apparentemente è formulata come guida per l'esposizione del caso. In realtà sappiamo quanto essa sia l'esito di successive ri-scritture a partire da ciò che si dice in una cura e come sia, di conseguenza, importante mantenere lo stile soggettivo di quella particolare “alleanza terapeutica”.
Abbiamo constatato che l'utilità di questa griglia (che sarà sottoposta essa stessa a verifica e a discussione) è quella di una specie di questionario per la discussione del caso. Essa indica i punti minimali che, a posteriori, possiamo dire che la costruzione del caso deve avere trattato, sono le domande che ogni volta porremo ai casi presentati.
La riportiamo qui di seguito:

1. Il punto di vista istituzionale.
La storia e la rete sociale che ci portano ad incontrare il soggetto verranno costruite su questi due assi:
a. Le narrazioni (del soggetto, delle istituzioni, della famiglia)
b. I tentativi di definizione sociale della malattia.

2. La dinamica.
Introduce nella logica della clinica una nuova dimensione, la “dialettica” della verità soggettiva. A questo punto il racconto diviene costruzione del caso (da esporre) e la definizione della malattia ricontrattazione del sintomo:
a. Le aspettative soggettive
b. L'operatore
c. La costruzione nel gruppo di lavoro (come premessa della valutazione e condizione per l'integrazione)
d. Le identificazioni
e. Individuazione dei nodi sintomatici con cui il soggetto si può rappresentare.
f. Scansioni cliniche e riformulazioni del progetto terapeutico.

3. Verifica e valutazione.
Verrà in particolare evidenziata la dinamica dei seguenti elementi:
a. Diagnosi (DSM e ICD) e sue eventuali modificazioni nel corso dell'osservazione e del trattamento.
b. L'uso dei farmaci.
c. Eventuali interventi sulla famiglia e di altre strutture.
d. Come si è creata la garanzia dello spazio clinico (atto).

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