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E senza telefonino chi sono?

Considerazioni sull’uso del telefonino in adolescenza

G.Ferrigno, M.Marcenaro, L.Attolini, W.Natta

Dipartimento di Neuroscienze, Sezione Psichiatria

Università di Genova

Il telefonino è strumento di comunicazione universale e certamente molto diffuso tra gli adolescenti. Può essere usato per comunicare con i coetanei, i genitori o con il terapeuta stesso.

In seguito alla diffusione del cellulare come strumento di comunicazione prevalente, soprattutto tra i giovani, si sono verificati due importanti cambiamenti. In primo luogo il cellulare consente una reperibilità teoricamente continua, cosicché le persone possono essere raggiunte in ogni momento. Un secondo aspetto è il passaggio da una comunicazione esclusivamente verbale ad una prevalentemente scritta, tramite un uso massiccio degli sms. Tale aspetto è di particolare rilievo se se ne considerano gli aspetti specifici. Un sms può contenere al massimo 160 battute e questo è andato col tempo a costituire un vero canone di una nuova forma di comunicazione che, con il suo limite preciso, fa pensare, per certi versi, alla metrica greca o ai sonetti e, soprattutto all’haiku, di origine giapponese. Vi è quindi la necessità di comunicare al meglio le emozioni in forma scritta e questo ha portato alla nascita e allo sviluppo, in parziale sovrapposizione con un’altra moderna forma di comunicazione, l’email, delle emoticons. Frutto della necessaria brevità degli sms è anche una "nuova grammatica e ortografia", fatta di abbreviazioni estreme, sostituzioni, sigle, a tal punto entrate a far parte della vita dei giovani che tutt’altro che raro è l’utilizzo di queste regole anche al di fuori della comunicazione via sms, come può capitare nei compiti a scuola. Altra caratteristica peculiare dell’uso degli sms è la scelta dei destinatari: non sempre ci si scambia messaggi con una persona in particolare, ma spesso con un gruppo di amici o, a volte, si inviano messaggi a numeri a caso. La comunicazione orale via cellulare viene utilizzata quasi unicamente per comunicare con i genitori.

Il telefonino si configura come un prolungamento dei propri organi di senso e delle proprie opportunità comunicative.

All’interno della relazione con i genitori il telefonino assume la valenza di strumento di controllo e rassicurazione; il genitore dà il permesso di uscire purchè il ragazzo porti con sé il telefonino e lo tenga acceso; in questo modo in ogni istante il genitore ha la possibilità di essere rassicurato e tranquillizzato sulle condizioni e sui movimenti del figlio: " Dove sei? Con chi sei? Quando torni?"

Se il ragazzo uscendo di casa dimentica il telefonino spesso la madre corre a portarglielo, per garantire al figlio e soprattutto a se stessa controllo e sicurezza.

Tra coetanei ci si mandano saluti, si danno gli appuntamenti, ci si ricordano le cose importanti, si spediscono frasi di amore e di amicizia, si mandano messaggi e disegni predefiniti.

Il telefonino rappresenta la presenza dell’altro, il terzo sempre presente, l’attesa che non c’è, l’immediatezza, l’assenza di procrastinazione. Viene quindi a mancare quello spazio mentale che sta tra la percezione della realtà, l’assenza dell’oggetto, l’elaborazione della perdita dell’oggetto attraverso la fantasia, mantenendo così l’illusione che non ci sia differenza tra il dentro e il fuori: l’oggetto è sempre lì presente con la voce, i messaggi, l’immagine fotografica.

L’accesso alla produzione simbolica risulta in questi casi indebolito, così come la capacità di mentalizzazione, di rappresentazione fantastica della realtà dimostrata appunto dalle percezioni che in seguito vengono immagazzinate e diventano rappresentazioni (immagini mentali) disponibili anche quando l’oggetto percepito è assente dal campo percettivo.

Si toglie così importanza alla fantasia e alla tolleranza della prima potenziale frustrazione intesa come intervallo indeterminato tra il desiderio e la sua realizzazione; si può dire che l’adolescente rischia di non riuscire più a sperimentare una solitudine costruttiva. Il ragazzo a casa, a scuola, in vacanza con i genitori si sente sempre e comunque in relazione con il gruppo dei suoi amici, non abbandona o spegne il cellulare e così nasce la difficoltà nel trovare un equilibrio tra individuale e il collettivo, tra la dimensione pubblica e quella privata dell’esistenza che possono portare al fallimento parziale della costruzione identitaria che si basa appunto sulla stabilità dei limiti esterni del contesto.

"L’identità non è soltanto un confine, ma determina al tempo stesso una limitazione (Ladame, 2004). È salutare in quanto offre una chiara demarcazione tra noi e gli altri, ma rappresenta una fonte potenziale di frustrazione, in quanto essere se stessi non permette più di essere simultaneamente qualcun altro. Se l’identità è condizione preliminare al riconoscimento e quindi all’accettazione dell’alterità e della complementarietà, dall’altra a patto di rinunciare a ogni illusione di ubiquità, essa offre la sicurezza di una stabilità capace di durare nel tempo."

Più che un oggetto transizionale, come un giocattolo che rappresenta un oggetto che non c’è ma con cui si immagina ci sia il legame, il telefonino è un oggetto reale in comunicazione diretta con l’oggetto del desiderio.

Diventa un oggetto di attaccamento immediato con l’altro (stile di attaccamento tecnologico) che non frustra un momento, che permette la soddisfazione del tutto e subito e seda immediatamente quell’angoscia segnale che serve anche all’adattamento e che si attiva ogni qualvolta vi è desiderio di spingersi verso l’altro con il rischio di andare anche incontro al rifiuto.

Sembra rappresentare il mezzo di salvataggio psicologico contro l’angoscia da isolamento e da solitudine; ciò che placa in qualche modo l’ansia del distacco.

Ma vediamo alcuni dati raccolti attraverso l’analisi di un questionario somministrato a 755 ragazzi di età compresa tra i 14 e i 20 anni:

  • Nel 70% dei casi è regalato dai genitori
  • I messaggi sms sono diventati la modalità di comunicazione prevalente tra i giovani.
  • Il 60% degli intervistati ammette inoltre di aver conosciuto persone anche solo con lo scambio di messaggi, senza alcun contatto personale.
  • Il cellulare è tenuto con sé anche 10 ore al giorno, tenuto acceso anche durante la vita di relazione in compagnia degli amici.
  • Un certo livello di affezione all’oggetto sembra essere confermato dalla frequenza con cui i giovani ricorrono all’acquisto degli accessori.
  • È unanime la collocazione del telefonino nell’ambito delle cose utili.
  • All’interno della fascia di età adolescenziale è molto usato e ciò conferma la forte valorizzazione dell’oggetto quale mezzo che favorisce i contatti e le relazioni umane.

Secondo la nostra osservazione clinica, inoltre, nell’ultimo periodo, l’età di utilizzo e quindi possesso di un cellulare si è ulteriormente abbassata: si incomincia a usare il cellulare tra gli otto e i dodici anni.

Come si può vedere l’uso che i ragazzi ne fanno può a volte diventare eccessivo; in questo caso telefonano continuamente spendendo molto per comunicare all’esterno; è naturale evidenziare in questo comportamento un aspetto tossicomanico. Alcuni adolescenti rubano per ricaricare il telefonino, mentono: il meccanismo è del tutto simile, così come per le relazioni intrafamiliari, all’utilizzo della droga e si inserisce in un processo di separazione-individuazione alterato con pseudoemancipazione.

Talvolta il telefonino viene sequestrato per punizione dai genitori per contrastare una relazione pericolosa; può succedere che venga fatta, allora, una colletta da parte dei coetanei, spesso solidali, per acquistarne uno nuovo.

I ragazzi telefonino-dipendenti investono affettivamente sull’oggetto e si ritrovano come posseduti dal mezzo stesso, sempre più incapaci di sopportare dosi anche minime di insicurezza e frustrazione a fronte di una grande illusione di indipendenza ed emancipazione. Il legame con il cellulare diventa molto significativo e aiuta ad allontanare da sé il sentimento di lontananza e perdita. Ricorrere ad una telefonata ogni volta che si presenta un disagio, come la sensazione di solitudine, finisce per rendere alcuni ragazzi psicologicamente più fragili, quasi incapaci di convivere con una situazione di distacco e lontananza. La telefonata può diventare un rituale per controllare l’esistenza dell’altro, per negare la minaccia che ci proviene dalla realtà esterna.

Certamente il suo uso sistematico e smodato non favorisce l’apprendimento a contenere l’ansia e tollerarla. Il ricorso immediato al cellulare ogni qualvolta ci si sente insicuri non stimola più l’esperienza del ricordo e della fantasia, i pensieri vengono agiti attraverso la telefonata o l’sms.

I poteri dello strumento possono creare nei ragazzi una forma di dipendenza che si alimenta da sola con l’uso quotidiano: averlo diventa indispensabile, non averlo provoca ansia e disagio.

In questo gioco di relazioni col mondo lo strumento tecnico sembrerebbe prendere il sopravvento sull’uso della mente, tanto da sostituire le funzioni cognitive dell’individuo e da diventare una sorta di protesi psico-tecnica.

Ovviamente non basta lo strumento da solo ad indurre dipendenza; serve come per ogni "sostanza d’abuso" un substrato vulnerabile, un conflitto irrisolto, un bisogno inappagato. Allo stesso tempo se riflettiamo sul tipo di società, possiamo dire che è la società attuale sembra predisposta e predisporre alla dipendenza. Sappiamo pertanto che la dipendenza patologica esclude il rapporto, lo complica, lo impedisce.

Certamente il cellulare, anche come oggetto positivo di investimento narcisistico a metà tra autoinvestimento e investimento dell’esterno che usato in un certo modo e non in modo compulsivo, può rappresentare una "messa alla prova" delle relazioni per sperimentare spazi di libertà o un appropriato strumento di comunicazioni nei casi di reale necessità.

Quando il giovane paziente telefona al terapeuta

"Ora mi uccido"

Una ragazza di 16 anni è ferma su un ponte, pronta per suicidarsi. Telefona alla terapeuta mettendola a conoscenza di tale proposito. La terapeuta riesce a dissuadere la ragazza dal proposito suicidario, la tranquillizza e conferma l’appuntamento per la seduta successiva che si sarebbe svolta regolarmente in base agli accordi presi in precedenza. Non vogliamo adesso soffermarci a riflettere sul significato di questo gesto nei confronti della terapeuta, quanto chiederci cosa sarebbe successo senza la disponibilità del telefonino: la ragazza avrebbe chiesto aiuto in altro modo? Avrebbe ugualmente minacciato di compiere quel gesto? Avrebbe portato a compimento il suo progetto suicidario?

"Ho paura"

Marco è un ragazzo di tredici anni in psicoterapia per un quadro depressivo e di inibizione scolastica; affetto da cardiopatia congenita e in cura con anticoagulanti con un costante grave rischio di vita. Con poco preavviso deve interrompere la psicoterapia per effettuare un intervento chirurgico correttivo presso un centro specialistico lontano dalla sua città di residenza. Prima dell’intervento scrive un sms alla propria terapeuta "Ho paura". Molto impegnata per lavoro e quindi difficilmente raggiungibile attraverso una telefonata tradizionale, la terapeuta legge, anche se a distanza di tempo, il messaggio del piccolo paziente e risponde offrendo un adeguato contenimento: "Non preoccuparti, sei nei miei pensieri. Ci vediamo non appena sarà possibile."

Se il ragazzo avesse telefonato sarebbe incorso nel rischio di una ripetuta frustrazione in un momento di legittima fragilità e preoccupazione e avrebbe dovuto rinunciare all’espressione della sua paura. La terapeuta ha avuto, grazie al telefonino, che conserva la memoria del messaggio, la possibilità di uscire dal setting tradizionale e offrire un supporto e un contenimento.

Un addio?

Riportiamo qui di seguito una serie di brevi messaggi inviati da una giovane paziente alla sua terapeuta:

"Oggi dopo che ho parlato con lei, ho guidato e ho avuto paura"

"Le scrivo perché non ho il coraggio di dirglielo: non verrò"

"Cosa dice? Le ho scritto una lettera di addio"

"Se c’è il posto ancora per il mio appuntamento…io ritornerei"

Ci sembra che descrivano il tipo di attaccamento con il terapeuta, l’alto grado di ambivalenza dell’adolescente di fronte ai sentimenti di abbandono, l’intolleranza dell’attesa tra una seduta e l’altra, la disperazione, il ricatto.

Dal telefonino alla Comunità

Sara è una ragazza di 19 anni che fa uso abituale di cannabinoidi e abusa saltuariamente di eroina e cocaina per via inalatoria. Consapevole della sua fragilità, dopo un breve ricovero in ospedale chiede di poter fare, almeno inizialmente, alcuni controlli farmacologici ravvicinati nel tempo in aggiunta alle sedute di psicoterapia. Le sue richieste aumentano ogni giorno fino ad una richiesta di incessante, continua disponibilità da parte della curante che prende la via degli sms. I messaggi variano da manifestazioni di affetto a richieste di aiuto immediato. Il terapeuta era divenuto come la sostanza: doveva esserci, soddisfare immediatamente quell’intenso bisogno, allontanare il dolore.

"Non mi risponde?"

"Ho fumato, lei non mi aveva risposto!"

Una sera, rimasta senza soldi e dovendo saldare un debito per un precedente acquisto di eroina, impegnò il proprio cellulare attribuendo a quel momento un significato di riflessione. Accettò il secondo ricovero, già da tempo proposto e l’inizio di un percorso comunitario.

Considerazioni conclusive

Il cellulare nella nostra società in particolar modo nel mondo giovanile ed adolescenziale sembra rappresentare il mezzo più utile per conoscere gli altri unito al mondo virtuale delle chat, deo blogs e dei forum anche autogesti ed un oggetto che con i suoi gadgets contraddistingue la tribù di appartenenza.

Certamente oggi lo sviluppo tecnologico e il continuo rinnovamento dei mezzi di comunicazione ha modificato le modalità di rapporto tra le persone, proponendo un’istantaneità che ha sconvolto gli assetti spazio-temporali.

Si moltiplicano quindi gli stimoli per i giovani al di là forse, delle loro stesse capacità di recepirli, elaborarli a livello personale, organizzarli senza criteri interni.

Anche se può sembrare paradossale non c’è spazio per il "vuoto" adolescenziale; c’è una continua giustapposizione di momenti contigui difficilmente integrabili in una visione unitaria significativa sul piano cognitivo affettivo. Il presente più che l’attesa e la progettazione per il futuro sembra essere la dimensione prevalente della temporalità dell’adolescente. Cellulare, e-mail costringono a vivere un tempo senza diluizione; in questa forma di eterno presente senza rievocazione del passato, né progetti per il futuro, non c’è tempo di riflessione. Il ragazzo deve far fronte a continui stimoli, perdendo la dimensione della profondità.

Ci troviamo di fronte a nuovi e sconcertanti assetti mentali e a forme di identità meno definiti e in ogni caso differenti e nuovi. Figli del nostro tempo immersi in quella modernità liquida che toglie senso e stabilità alle forme: fame di identità (Tagliagambe, Gli Argonauti, nov 2004)

Usando il telefonino noi possiamo condividere virtualmente l’esperienza che stiamo vivendo con l’altro che è lontano, annullando i limiti di una distanza fisica. Il telefonino diviene un regolatore soggettivo della distanza e un moderatore della separazione. Il telefono può favorire la vicinanza tra le persone e trasmettere un sentimento di intimità; al contrario è possibile, attraverso di esso, trasmettere un desiderio di rottura o di rifiuto. Oggi l’esperienza mediata da uno strumento tecnico sta prendendo il sopravvento sulle altre forme di conoscenza e sta diventando la forma prevalente di interazione umana.

Sebbene il telefonino tenda a divenire un oggetto sostitutivo della realtà che tende a nascondere la consapevolezza della distanza, l’incertezza data dalla separazione è forse rimasto un mezzo che permette la relazione condensata nei tempi veloci se non ultra rapidi della nostra società.

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