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Karl Heinz Pantke

Locked-in. Imprigionato nel proprio corpo

 

"Imagination is more important than knowledge"

(Albert Einstein, "On science")

Imola di Santo

Il libro intitolato "Intrappolato nel mio corpo", di Karl-Heinz Pantke è lo specchio dell’anima, dove l’autore prende in considerazione quegli aspetti esistenziali su cui non si era mai soffermato prima. Paura, amore, angoscia e terrore, sono le emozioni che riesce a esprimere e a trasmettere al lettore, assieme alla sua grande volontà di vivere e far fronte all’evento catastrofico che lo ha colpito. Egli riesce, scrivendo e pubblicando la sua storia, ad incoraggiare tutte quelle persone che in questo momento si trovano nella sua stessa condizione di grave menomazione, situazione che comporta una disabilità motoria complessa- disabilità che spesso viene malauguratamente confusa e/o meccanicamente associata a presunti deficit cognitivi, ma che, come dimostra la storia dell’A., non è sempre vero. Purtroppo il prezzo della confusione è alto.

Lavoro da molti anni nel settore della riabilitazione con pazienti affetti da gravi cerebrolesioni, quindi con persone che vivono situazioni analoghe a quelle descritte da K.-H. Pantke. Essi pongono tante domande, come tutte le persone che si trovano in uno stato di disabilità, ma alcuni di essi né fanno di particolari. Essi spesso mi sorprendono e io mi interrogo sulla loro vita mentale nascosta, di cui l'imprevedibilità di quelle loro domande è una manifestazione. Spesso non so che risposta trovare e che senso dare. Una persona con grave cerebrolesione è un paziente in cui sono compromesse tutte le funzionalità vitali; egli non ha più il controllo del proprio corpo, quindi di gran parte di sé stesso e quindi sono solo gli altri ad averne su di lui, sulla sua persona. Questa situazione è difficile da accettare, perché quando si è ricoverati in una istituzione purtroppo si è subordinati a degli orari, a delle regole di comportamento, a dei protocolli anche anche se appaiono assurdi. Infatti da questo istante la situazione della propria vita è delegata a mani altrui. Ma deve essere sempre così? O ciò dipende da "consuetudini" organizzative, corporative, che non hanno rapporto alcuno con l’efficacia e il senso della cura?

Lo stato generale della sindrome di cui è affetto K.-H. Pantke compromette la respirazione, la deglutizione, il movimento, le escrezioni, spesso anche la parola. E’ una situazione in cui il quadro clinico, si modifica, si stabilizza e nel suo caso evolve con il tempo, ma una lesione così importante produce certamente gravi disabilità.

Come tutti i gravi cerebrolesi l'autore si confronta criticamente con altri compagni di sventura, critica i metodi di cura, i modelli riabilitativi; cerca soluzioni al suo problema; pensa alle difficoltà oggettive, legate alla sua condizione; desidera avere tutto e subito, pretende. L’A. deve sconfiggere la sua intima disperazione (di cui la depressione è la forma visibile) e guadagnare tempo per andare avanti. Egli deve trovare delle soluzioni che lo aiutino a riprendere in mano la sua condizione di vita. Pantke deve escogitare delle risposte specifiche, che altri ricercatori non sono riusciti a trovare fino ad ora, perché ciò gli da speranza e lo mette cognitivamente in azione, cioè non lo lascia passivo in balia degli eventi. Il nostro Autore nella vita precedente l’evento critico era un ricercatore nel campo delle scienze fisiche, ed è per questo un ottimo critico delle metodologie riabilitative. Come tutte le personalità dotate di vivacità intellettuale polemizza, è irrequieto, pretende, ma come tutti noi è anche spaventato dal futuro. Così avendo molto tempo a disposizione per pensare decide di trasformare i propri pensieri tramite la scrittura di lettere circolari. Si racconta ai suoi lettori diffusi in tutta la Germania in terza persona, quasi oggettivandosi clinicamente, come se vedesse dal di fuori la lesione-la menomazione e le disabilità con le quali è costretto a vivere giorno per giorno, una situazione verso cui è importante convivere, scegliendo le giuste strategie — adattative e riabilitative - affinché il proprio esserci non diventi alieno ed estraneo, o addirittura nemico.

Dalla mia prospettiva di Infermiera Professionale che coordina un settore di pazienti con gravi cerebrolesioni, presso IRCCS San Camillo di Venezia, posso dire che con la lettura di questo testo ho ricevuto una ulteriore conferma della passione che provo per la mia professione, per i miei pazienti e per la ricerca di soluzioni adatte a loro. Riesco a capire meglio ciò che stanno vivendo, perché spesso i sentimenti sopra descritti, sono visibili negli occhi di ognuno di loro, ma permane enorme la difficoltà di riuscire ad procurare a queste persone e alle loro famiglie un trattamento adeguato alle loro necessità riabilitative ed esistenziali. Utile sarebbe perciò la lettura di questo testo per tutti coloro che operano con queste persone disabili (non solo personale sanitario ma ad es. architetti, ergonomi…), affinché inventino ambiti di trattamento meno alienanti, cioè vivi e realistici, centrati sulla vita quotidiana, dove la cura riabilitatitiva è parte di un insieme attivante e motivante la persona, e dunque anche le capacità emotiva e cognitiva del personale di assistenza e cura sia investita nel suo insieme e perciò divenga meno stereotipa e routinaria.

Concludo ricordando una frase detta in passato da un paziente del mio reparto "E' notte… si farà presto giorno". Il nostro compito è perciò quello di abbreviare la loro notte, ma accompagnandoli in questo percorso perché non si perdano.

Grazie per avermi dato questa possibilità.

Imola Di Santo

Venezia, 12 novembre 2007

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