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Psicoanalisidella colpa e colpe della psicoanalisi   
intervistaa Roberto Speziale-Bagliacca 
 

Sullastoriografia della colpa  

A. G.- Lo storico francese Delumeau ne il Peccato e la paura. L'ideadella colpa in Occidente dal XIII al XVIII secolo, sostiene che nonc'è altra civiltà che abbia dato tanta importanza al sensodi colpa e all'intimo senso di vergogna quanto quella occidentale (in questosenso il confronto con le vie di liberazione orientali sarebbe interessante).  
Lei giustamenteosserva che "...la psicoanalisi appariva come la prima disciplina, storicamente, che offriva una chiave inedita, e per molti versi rivoluzionaria, per riformularetutti i problemi posti da quella che chiama 'la logica della colpa' ":pensa che la psicoanalisi - anche come istituzione -  possa reggereil peso di  
questacolpa collettiva, stratificatasi nel corso dei secoli, per quanto l'analista- come persona - possa solo interpretarne gli aspetti che vengono rappresentati nei conflitti intrapsichici del paziente?  

R.S.-B.-Per affrontare una domanda come questa, che coinvolge più piani,avrei bisogno anch'io come Don Giovanni di molto più tempo. Èun argomento centrale, tra l'altro, del discorso sulla vergogna (ci siamoritornati). C'è chi ha parlato di culture basate principalmentesulla colpa, come quella giudaico-cristiana, e quelle basate sulla vergogna,come quella giapponese o quella degli eroi omerici.  Nelle cento epiù pagine che, nello slancio preso per scrivere Colpa, avevogià steso sul rapporto tra colpa e vergogna, io critico abbastanzaradicalmente questa distinzione tra le due culture che non tiene presenteche il senso di colpa può essere inconscio e può venire proiettato.Ma non voglio sottrarmi al suo interrogativo: in generale Delumeau mi sembrasi possa dire che abbia ragione. 
Quanto allaseconda parte della sua domanda, vedo la cosa con un certo distacco "tragico";nel senso che cerco di chiarire soprattutto nel Capitolo quarto. Qui -detto tra parentesi - spiego che l'espressione "vertice della responsabilitàtragica" non mi convince: è troppo tetra. Però un'espressionemigliore probabilmente nella nostra lingua non esiste e già questoè sintomatico. 
Ma torniamoalla sua domanda. Intanto gli psicoanalisti, i terapeuti, gli psichiatri- ripeto - non è proprio detto che sappiano evitare di far sentireil paziente colpevole e che sappiano come aiutarlo ad uscire dall'atmosferaspesso soffocante della colpa. Figuriamoci rispetto alla colpa collettivastratificata nei secoli! 
Nessuno,certamente non l'ultimo Freud, crede più nei compiti messianicidella psicoanalisi che il primo Freud vagheggiava. Personalmente, poi,penso che più che caricarcela sulle spalle, dovremmo penetrare lacolpa per dissolverla. Il senso di colpa è velleità, meglioil dolore per i nostri errori, per i nostri limiti. Il dolore come la gioiaci rende umani, la colpa ci imparenta con gli dei. E questo porta sciagure. 
Nel libro,comunque, cerco di indagare la struttura stessa del possibile fallimentonei confronti del senso di colpa, della logica della colpa: per riuscirenell'impresa di alleviare maggiormente i nostri pazienti dall'oppressionedel senso di colpa, dovremmo per prima cosa dell'analista riuscire a coglierel'ideologia all'interno della quale pensiamo e agiamo. Impresa non certodelle più facili. Il mio vecchio amico Jeans de Viller un giorno,mentre discutevamo di questo, se ne uscì con questa definizione:l'ideologia è come la lama d'una scure con il filo intriso dicolpa.  
Con il lungocaso della "senatrice-bambina", che occupa buona parte del Capitolo nonodel libro, mi prefiggevo lo scopo di gettare le basi per un modello chesi occupi di questo fenomeno da un punto di vista clinico.  
Riassumendosi potrebbe dire che, quando il terapeuta (includo qui una classe vastadi persone) non riesce a prendersi carico del senso di colpa del paziente,ha sovente un qualche problema con i propri sensi di colpa. Non solo nelsenso più banale: ha lui stesso irrisolti sensi di colpa; ma anchein un senso meno banale: questo avviene perché il terapeuta vivee pensa secondo i canoni dell'ideologia della colpa. Anche se questo nonè sempre vero.  
Spiegarmimeglio di così, mi rendo conto che mi è assai difficile:l'intero libro, in definitiva, riguarda questo tema. Il senso di colpaper prima cosa non deve venire negato, poi deve essere accolto e fattosedimentare; tutto questo dovrebbe avvenire prima che una interpretazionesia formulata. È il grande tema del controtransfert, del contenimentoe della "tenuta" (nei Capitoli sesto, decimo e undicesimo). Sono aspettimolto discussi nella pubblicistica psicoanalitica, ma a mio avviso nondi rado intellettualisticamente. 
Per quantoconcerne poi l'istituzione psicoanalitica, potrei dire che una parte nonmarginale del mio lavoro è dedicata a mostrare quanto inadeguatesiano le istituzioni in generale, a questo proposito. La grande parte delleistituzioni (quelle psicoanalitiche e scientifiche incluse) non possonopermettersi le sfumature del pensiero complesso. E quindi non riesconoad affrontare la realtà nei suoi diversi aspetti: alcuni di questi,spesso importanti, vengono sacrificati, tagliati via. Le istituzioni operanosecondo un pensiero "economico", un pensiero semplificato. Più èabile nell'operare queste semplificazioni, senza che ciò appaia,più un dirigente è considerato un bravo leader: le istituzionitendono a cercare la strada con minori ostacoli per gestirsi tra le difficoltàe per poter quindi operare concretamente. Se è vero che il pesantevolano delle istituzioni non sempre le mette in grado di elaborare problematicheintricate, dobbiamo dedurre che è da ciò che possono nascerepolitiche e strategie che sono obiettivamente ciniche. Anche se tutto questonon mi sembra  basti a spiegare il mistero del trionfo della logicadella colpa. 


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