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MANIFESTO CONGRESSO
PSICHIATRIA E MASS MEDIA

Roma.
Hotel Hilton Cavalieri
26-28 giugno 2002

I Conferenza Tematica Nazionale della Societa' Italiana di Psichiatria

Alberto Sibilla: Dipartimento di psichiatria ASL 15, Cuneo

Gianni Sibilla: Dipartimento di Scienze della Comunicazione, Università Cattolica di Milano

Lo Psichiatra nella fiction televisiva; E. R. medici in prima linea

La serie televisiva E. R. Medici in prima linea si basa su una descrizione minuziosa e scientificamente corretta della realtà sanitaria americana, offrendo numerosi spunti di riflessione sullo spazio concesso alla psichiatria in una realtà socio economica complessa come quella statunitense.

Il serial, giunto all’ottava stagione, è nato da un’idea dello scrittore Michael Chricton. Nonostante sia ambientato in un pronto soccorso, permette di riflettere anche sulla rappresentazione mediatica della malattia mentale e della immagine dello psichiatra, spesso trascurata o travisata nella fiction televisiva.

Questa serie sembra ricca di significato ai fini della comprensione della "mitologia" della sanità negli Stati Uniti e come futuro scenario della medicina in Italia. La fiction riesce a conciliare le storie personali dei protagonisti e il loro ruolo professionale in maniera credibile. Soprattutto per gli internisti e i chirurghi agiscono in maniera credibile; il modello di racconto messo in scena è ben rappresentato dal vecchio motto della Marvel Casa, editrice di fumetti come Superman, o l’Uomo Ragno: "supereroi con super problemi".

La fiction si propone quindi con un intreccio —molto serrato tecnicamente, con concatenazione delle scene spesso frenetica, data inquadrature dinamiche e da un montaggio spesso forsennato- tra storie private e lo spazio pubblico della medicina.

Sin dal momento dell’ingresso in scena sia il personale sanitario che i malati vengono individuati con pochi tratti, ma a forte caratterizzazione:

"maschio di cinquanta anni con dolore toracico, mentre era intento al suo hobby preferito …." Queste descrizioni trascinano nella emergency room, equivalente statunitense del pronto soccorso nostrano, spaccati di storie metropolitane in cui risalta in particolare la difficoltà della vita quotidiana a contatto con la violenza -in particolare quella giovanile- con la solitudine, con la vecchiaia, con le malattie incurabili.

Nel corso degli anni si è costruito un universo immaginario decisamente affascinante in cui i problemi della medicina, della morte, dell’aggressività vengono sapientemente mescolati con storie sentimentali credibili; o, meglio, costruite per sembrare verosimili.

L’obbiettivo della verosimiglianza viene perseguito tramite due strade:

1) A differenza di analoghe serie italiane, non vi è un atteggiamento di falsificazione dolcificante dell’universo rappresentato.

2) La serie ha un universo assiologico assai sfaccettato, contrariamente ad altre serie statunitensi. In altre parole, i diversi personaggi sono rappresentanti di diversi sistemi di valori, nessuno dei quali prevale sull’altro.

L’universo di E.R. è in stretto collegamento con i problemi della sanità sia sotto il profilo clinico, che organizzativo e non ultimi con le limitazioni economiche.

Wood spiega che la funzione del cinema è di esaminare i problemi, dar l’impressione di guardarli. Il cinema allevia le ansie delle menti confuse dai problemi quotidiani, ma mantiene anche la confusione. Vi è nello spettacolo televisivo una analoga funzione di ammorbidimento (di pettinamento, direbbe l’ex direttore di Raidue Carlo Freccero) delle problematiche che vengono descritte e contemporaneamente relegate al margine della nostra attenzione in quella "terza condizione " tra sonno e veglia descritta da Pancheri. In questo stato mentale lo schermo crea miti. La funzione mitopoietica deve essere esaminata attentamente e come esorta Barthes nelle sue note Mithologiés: bisogna analizzare i dettagli per smascherare come una cultura spesso dalle caratteristiche "piccolo borghesi" si trasformi in cultura universale. O più modestamente è compito dell’osservatore attento riconoscere nei dettagli elementi messi al margine, ma di forte valore, ma con forte potere nei confronti dell’immaginario degli spettatori.

In precedenza si accennava alla prevalenza in E.R. di alcune figure mediche rispetto ad altre.

Lo psichiatra è presente al pronto soccorso dell’Ospedale di Chicago —luogo d’azione della serie- come personaggio progressivamente secondario. La serie inizia con un problema psichiatrico: il tentativo di suicidio della capo sala Hataway, che tuttavia supera la crisi in maniera non formalizzata, senza un sostegno specialistico sia farmacologico che psicologico. Disagio psicologico rilevante e marginalità dell'intervento tecnico sin dalle prime battute. Basti pensare ad un semplice dato: nelle otto serie della fiction si sono succeduti diversi psichiatri, ma con grande irregolarità, tanto che la figura è stata assente per lunghi periodi. Ciò non è avvenuto per altre categorie, sempre presenti nonostante il grande e inevitabile ricambio di attori tipico delle fiction americane di lunga durata: l’internista, il chirurgo, il medico in formazione, il direttore sanitario.

Lo psichiatra, inoltre, è tratteggiato con caratteristiche non certo edificanti. A Hollywood, così come nella teoria narratologia classica, si dice che un personaggio è definito non da quanto afferma, ma dalle proprie azioni, quindi viene costruito attraverso le proprie reazioni alle situazioni di crisi.

Le caratteristiche dello psichiatra in E.R. sono spesso l’inefficienza e la marginalità: anaffettività, interventi ritardati, accentuazione dei problemi personali. Inoltre, vi è stata una progressiva riduzione dello spessore tecnico concesso alla psichiatria. Contemporaneamente la malattia psichica esplicita viene marginalizzata, come disturbo evanescente rispetto alla "evidente" patologia organica. Questo trattamento è paradossale: la sofferenza psichica, al contrario, è fortemente presente nel contesto della storia, ma non viene formalizzata sotto la definizione di malattia. Per il pronto soccorso si aggirano psicotici, barboni, tossicodipendipendenti. Nelle storie personali degli operatori vi sono madri bipolari, sorelle con disturbi di personalità e cosi via. Colpisce la ricchezza e la credibilità della caratterizzazione psicopatologica in netto contrasto rispetto alla povertà della professionalità psichiatrica.

Alcune situazioni presentate dalla serie permettono di capire l’evoluzione dell’immagine dello psichiatra nel panorama narrativo della serie. Per comprenderle è necessaria da una breve descrizione dei personaggi principali

All’inizio della serie lo psichiatra era il Dott. Cvetic; aveva un ruolo significativo all'interno della storia, in quanto era fidanzato di una protagonista, Susan Lewis, giovane internista. Tutto si compromette, quando il Dott. Cvetic deve affrontare una situazione professionale con un giovane che sale sul tetto dell’Ospedale e minaccia il suicidio. La conversazione avviene alla presenza di Carter, allora giovane interno. Il colloquio psichiatrico è caratterizzato da estrema durezza e quasi da un atteggiamento di sfida da parte del Dott. Cvetic nei confronti del giovane, convinto che si tratti di un gesto dimostrativo. Così non è: il ragazzo si suicida davanti allo sguardo sconvolto del giovane Carter.

Sfuma la puntata e in quella successiva il Dott. Cvetic viene visto in mezzo alla strada, sotto un temporale, in stato confusionale (psicogeno, da alcool …?). Scompare per sempre sotto la pioggia scrosciante.

Secondo momento, episodio Destini incrociati. Si presenta al pronto soccorso uno studente di legge con cefalea. Carter e Lucy lo seguono attentamente con una serie di esami per capire la natura del dolore. Progressivamente si fa strada l’idea che sia un paziente psichiatrico, non tanto per l’emergere di sintomi psicotici, quanto per l’assenza di una chiara patologia organica. Carter scocciato invita Lucy a chiedere la consulenza psichiatrica. Quando Carter va a cercare Lucy la trova accoltellata e viene accoltellato anche lui. Lucy muore drammaticamente e Carter resta profondamente segnato da questa esperienza. Il consulente psichiatra (un primario…) arriva quando il dramma è concluso e dice alcune banalità sulla psicosi. Quando lo psicotico rientra in Ospedale, la situazione viene sigillata dalla Weaver con l'invito a portarlo in Psichiatria per fare spazio a un ammalato "vero".

Terzo momento, settima serie, episodi La resa, La vita e l’amore. La dott.ssa Weaver, responsabile del Pronto Soccorso ha una storia sentimentale con la Dott. ssa Legaspi, psichiatra omosessuale o, meglio, omosessuale psichiatra. L'intervento professionale ricco di importanza nel corso della storia da parte della Dott. Legaspi consiste in un atteggiamento di comprensione nei confronti di una paziente, dettata da un "presunto" comune orientamento sessuale. Questo intervento evolve verso una denuncia per molestie sessuali. Il comportamento professionale della dott.ssa Legaspi, a parte quello descritto, non è mai delineato nelle caratteristiche tecniche (se non per una insistenza fastidiosa a coinvolgere i figli nelle malattie dei genitori) , mentre la storia personale affettiva tra la Psichiatra e la Weaver ha un peso nell’economia della storia.

Come afferma Gabbard "Per chi fa cinema lo psichiatra è una figura paradossale. Da un lato il loro lavoro è estremamente difficile da comprendere e rischia di portare un’azione emozionante a una battuta d’arresto mortale. Dall’altro se gli psichiatri vengono osservati troppo da vicino, essi possono fornire opportunamente il luogo ideale per l’esposizione e lo sviluppo dei personaggi." Il ritmo televisivo è decisamente più rapido e quindi i problemi vengono accentuati. Mi sembra che dall’analisi degli episodi, emerga piuttosto chiaramente che nel serial prevale la prima caratteristica degli psichiatri, quella di rallentare in maniera insopportabile lo sviluppo della azione e della storia. Rispetto a questo rallentamento vi è un progressivo ridimensionamento del ruolo professionale dello psichiatra con una subentrante predominanza degli aspetti personali che tipizzano il personaggio. Siamo ovviamente davanti a una finzione, ma la differenza tra il Dott. Carter, protagonista della serie e la Dott.ssa Legaspi, Psichiatra, non consiste nella presenza di problemi psicologici. Anche il dott. Carter nel corso degli anni è subissato da dolorosi disagi con depressioni, ricorso alla droga, impulsività. Non è però caratterizzato da questi aspetti e in particolare pur nelle sue vicissitudini esistenziali affina le sue capacità cliniche e tecniche, diventando un internista e un chirurgo d’urgenza valido e competente. Penso che queste considerazioni vengano comprese non solo all’interno di un contesto tecnico, ma anche chi guarda senza alcuna professionalità medica la serie, si potrebbe fidare e si rivolgerebbe con aspettative adeguate a Carter. Al contrario la professionalità psichiatrica è estremamente generica e non sembra avere evoluzioni migliorative.

Ma in America cosa fanno gli psichiatri? Usano i farmaci, fanno psicoterapia? Possibile che al di là di rassicurazioni generiche sulle problematiche sessuali non si riesca ad andare ?

Chi andrebbe in cura dal primario o dalla dott.ssa Legaspi ? E’ molto più umano il Dott. Carter e anche sotto il profilo della competenza farmacologica viene il dubbio di maggiori conoscenze rispetto ai colleghi psichiatri.

Sicuramente gli episodi descritti sono significativi, ma non rendono conto della presenza dello psichiatra all’interno della serie. Si colgono però alcuni motivi di riflessione sull’immagine di questa professione. I motivi di questa "trascuratezza" sono essenzialmente due.

  1. ER schiaccia la propria rappresentazione sulle malattie di "Emergenza": solitamente casi improvvisi —incidenti, riacutizzazioni impreviste di situazioni croniche-, raccontabili in breve tempo, in modo tale da permettere al telefilm di mantenere il ritmo elevato di narrazione che lo contraddistingue. La velocità caratterizza il serial, e quindi il conseguente scarso approfondimento, sono i difetti principali del serial.
  2. In questo panorama la malattia mentale formalizzata trova poco spazio: il disturbo psichico è contraddistinto da tempi lunghi, poche svolte improvvise: caratteristiche che poco si adattano ai canoni della narrazione audiovisiva. Il racconto televisivo è infatti costruito su pathos, brevità, ritmo e sorprese. La malattia mentale viene quindi confinata ad alcuni suoi esiti, finalizzati alla creazione di eventi significativi per il racconto: crisi depressive che danno vita a suicidi, crisi maniacali che creano stragi. In E.R. si registra un solo personaggio affetto da una malattia mentale a lungo termine: la madre di un’infermiera — presente in alcuni episodi - è bipolare, ed infatti viene rappresentata soprattutto nelle sue crisi maniacali che hanno un loro valore drammatico.

  3. Il secondo motivo riguarda più specificatamente la figura dello psichiatra. Il racconto audiovisivo, e in particolare modo quello televisivo, è fatto necessariamente di scarti, eventi improvvisi, ribaltamenti di scena che coinvolgono i personaggi in un intreccio complesso ma lineare, il cui fine è catturare l’attenzione dello spettatore.

Lo psichiatra, per sua natura, svolge una funzione razionalizzatrice: tramite la terapia tenta di riportare all’ordine ciò che, per diversi motivi, è uscito dai binari della normalità, la mente. Se rappresentato nelle sue funzioni "ordinarie", lo psichiatra va contro le logiche del racconto, che ha invece nell’anormalità la sua ragione d’essere. E’ per questo che in E.R. dove le logiche narrative dell’intreccio sono esasperate dal punto di vista del ritmo, la figura dello psichiatra è marginale.

"La psichiatria è più lenta del solito"

Rispetto al primo punto va fatta un’affermazione di principio: dobbiamo avere diritto alla lentezza. E.R. ormai non è soltanto un mondo immaginario, ma è una rappresentazione sufficientemente fedele della vita quotidiana in Ospedale e nella società. La rapidità come valore assoluto rischia di condurre a un appiattimento sia della clinica che del valore diagnostico dell'intersoggettività. Nel nostro operare la richiesta di diagnosi e soluzioni rapide rischia di appiattire a limiti intollerabili la nostra specificità professionale.

Insomma, la lentezza se segno di riflessione, va rivendicata come un valore, senza per questo condannare la velocità dei nostri tempi. Come scrive Italo Calvino nelle sue Lezioni Americane, la rapidità spesso trasforma la comunicazione in una "crosta uniforme ed omogenea"; ciò nonostante bisogna riuscire ad affrettarsi lentamente, sfruttare le possibilità —anche tecnologiche- che offre il nostro tempo senza farsene travolgere. Questo è ciò che spesso succede ai mass media, in cui la rapidità diventa azione eclatante, una tecnica fine a se stessa che appiattisce ogni contenuto sulla superficie per raggiungere strumentalmente il fine della "cattura" dello spettatore. Nel panorama mediatico contemporaneo ci sono casi ben peggiori di E.R., che tutto sommato conserva un buon tasso di profondità — se si eccettuano queste "leggerezze" sulla distinzione tra malattia fisica e malattia mentale. Ciò non toglie che ormai non siamo immuni dal virus della "rapidità selvaggia", che è ben lontana dalla "lenta rapidità" che Calvino indicava come uno dei valori chiave per questo nuovo millennio.

Rispetto al secondo punto, pur ritenendo corrette le considerazioni sulla struttura condizionante del racconto televisivo non si può essere estranei ai rilievi sugli psichiatri che traspaiono dal serial. Anaffettività, uso distorto dell'empatia, superficialità, tendenza a farci carico con difficoltà dei pazienti, coinvolgimento eccessivo dei familiari e in particolare eccesso di narcisismo nel tentativo di razionalizzazione del perturbante. Ciò che entra nell’emergency room non è proprio il perturbante secondo la definizione di Rossi: il lato pauroso e tenebroso della vita sociale e contemporaneamente familiare a ciascuno di noi. Qualcosa di ben conosciuto, ma inaccettabile "come il sorgere inopinato di brandelli della propria vita emotiva perversi o incongrui".

Il mezzo televisivo da un lato ha un enorme potere sul narcisismo delle persone. Come affermava Andy Wahrol la malattia contemporanea più grave è l’invisibilità. Quanti psichiatri per rendere evidente e "viva" la loro presenza si prestano in televisione a ruoli di tuttologhi razionalizzanti dissertando su tutti gli argomenti collegati con il disagio? Contemporaneamente la televisione può offrire ferite professionali e narcisistiche estremamente profonde. Quando assistiamo al serial viene continuamente da chiedersi "ma possibile che mi vedano così? Ma sono proprio cinico e anaffettivo e reso nevrotico dalla mia vita personale?" L’identità dello psichiatra passa attraverso l’acquisizione talora difensiva di strumenti tecnici: conoscenze, distanza emotiva, farmaci … Questi strumenti ritornano addosso in maniera caricaturale nella fiction televisiva e cinematografica.

E’ un problema di fraintendimento. O forse bisogna smettere di piangersi addosso e rinforzare più che si può una nostra immagine tecnica personale, non frutto di conoscenze indiscriminate, ma collegata a una attività clinica ben strutturata e con conoscenze cliniche indiscusse, ma limitate..

In queste pagine è stato scelto E.R. come fiction con cui confrontarsi perché la psichiatria in quel serial è inserita in un ospedale generale e quindi deve mettersi in gioco continuamente di fronte alla ideologia medica più consolidata e strutturata. Il superamento dello stigma avviene anche rinunciando a una condizione di separazione, fonte di pregiudizi, ma talora anche di sicurezze.

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