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"Outsideof a dog, a book is a man's best friend.
Insideof a dog, it's too dark to read."
GROUCHOMARX
 
 

  

KOHUTHEINZ 
Thetwo analyses of Mr. Z 
trad.it.: Le due analisi del Sig. Z., Roma, Astrolabio, 1989, pp. 106,£. 14.000* 

*Recensionea cura di Gian Maria Galeazzi 


PerchèDue Analisi? 
Sull'identitàdel Sig. Z. 
Bibliografia 

Perchéleggere "Le due analisi del Sig. Z"? 
"Le due analisidel Sig. Z" è uno splendido libro che si legge tutto d'un fiato,anche a bassa voce. Tutti  gli psicoterapeuti dovrebbero leggerlo(può darsi che dopo averlo letto non siate d'accordo con me, maio avrò raggiunto il mio intento). È un'opera essenzialesia dal punto di vista dello stile, sia da quello del contenuto cioèè breve: la versione originale è comparsa come articolo dell'InternationalJournal of Psychoanalysis (1), non troppo complicata, anche se complessa.  
Èun libro pratico, perché è il resoconto di un caso clinico.È vivace e quindi non annoia. 
Scriverneulteriormente mi sembra quasi un peccato: non perdete tempo a leggere questocommento e trasportatevi velocemente in una delle migliori (aggettivo checonnota da sempre, in maniera in verità tutt'altro che informativa,i negozi che possiedono il libro ricercato) librerie o biblioteche ( laseconda opzione permette un consumo immediato ed economicamente vantaggiosoe io la consiglio vivamente) e divoratevi il Sig Z, che, tra l'altro, èabbastanza appetitoso essendo pubblicato in Italia da Astrolabio Editoricon una appetitosa copertina color pasta all'uovo(2). Ma per chi èproprio curioso e vuole leggere qualcosa di più su questo libro,continuerò a parlarne meglio che posso. Non aspettatevi peròun vero riassunto. Sarebbe come svelare la trama di un giallo e questonon si fa. Però voglio solleticare la vostra curiosità conqualche indizio e spero di riuscirci. Tra l'altro riguardo al libro esisteun segreto e quest'ultimo mi permetterò di svelarlo. Il segreto,come vedrete, è dentro e fuori dal libro, ovvero può costituireuna importante chiave di lettura per interpretare il contenuto dell'operae allo stesso tempo le conferisce un significato complessivo molto particolare. 


Il titoloè spesso la prima cosa che si legge, ma la Z è l'ultima letteradell'alfabeto. 
Non so se capita anche a voi, ma a me succede spesso di essere invogliato all'acquistoe alla lettura di un libro perché colpito dal suo titolo particolarmenteriuscito, e questo mi è successo anche  con quello che vi stoconsigliando. Ho quindi pensato che potrei prendere come punto di partenzaproprio la prima cosa che si legge di questo caso, come per accompagnarvisulla soglia di una abitazione sconosciuta della quale si legge la targhettadel nome su un campanello o sulla buca delle lettere.  


Perché DUEanalisi? 
L'Autoreriferisce e commenta due periodi di trattamento psicoanalitico, ciascunodella durata di quattro anni (per quattro sedute settimanali) che lo stessopaziente, il Sig. Z. appunto, ha condotto con lui a distanza di cinqueanni e mezzo. Viene subito da domandarsi (almeno a me) perché siparla comunque di due (diverse) analisi, visto che il paziente e l'analistasono le stesse persone (vi prego di annotare mentalmente questa osservazione).In fondo, si potrebbe obiettare, si tratta della stessa analisi che haavuto una lunga interruzione. 
Kohut spiegache l'interruzione ha coinciso con radicali cambiamenti del modello teoricodi cui ha informato il processo terapeutico. La prima tranche, sostiene,è stata condotta secondo la teoria classica freudiana, mentre, almomento di iniziare la seconda, Kohut aveva già sviluppato i suoiconcetti divenuti noti con il nome di "self-psychology" a partire dallariflessione sull'empatia e sui  vari tipi  di transfert narcisisticoe in  base ad essi conduce la seconda parte di terapia. Il suo svolgimentoe i suoi esiti sarebbero così diversi e, secondo l'Autore, cosìmigliori, che permetterebbero non solo di considerare questa seconda parteun' "altra" analisi, ma anche il presentarla come esempio paradigmaticodell'utilità clinica del nuovo modello. 
La decisioneè certamente una decisione discutibile, e infatti la discutiamo.Chi ci dice che la "seconda" analisi, quella considerata dal terapeutapiù utile, più "profonda", possa essere così differenziatadalla prima, tanto da sottolinearne la discontinuità con il precedentetrattamento? I problemi per i quali il paziente si era rivolto a Kohutla prima volta - vaghi sintomi somatici, senso doloroso di solitudine edi isolamento, incapacità di instaurare relazioni volute con l'altrosesso, attività masturbatorie sostenute dalla fantasia di essereusato come schiavo da una donna dominatrice - erano lentamente venuti menodurante la prima analisi. 
Quando siripresenta all'analista il Sig. Z avverte problemi diversi, tra cui soprattuttoun senso di insoddisfazione e di noia sul lavoro. 
Il fattoche il paziente si rivolga di nuovo al terapeuta che lo aveva curato cinqueanni prima con i "vecchi" principi, non testimonia forse un successo enon depone a favore della qualità della relazione instaurata nelcorso della prima analisi? Il paziente sembra avere imparato dall'esperienzaalmeno a chiedere aiuto. Naturalmente Kohut interpreta l'insorgere di nuovidisagi come un segno dell'incompletezza della precedente terapia, comela ricomparsa di ciò che non era stato adeguatamente affrontatoe sviscerato. Naturalmente, dico, perché questo è un fintroppo noto pregiudizio che trascura la dimensione del tempo nella vitadel paziente. 
In cinqueanni e mezzo il Sig Z. non solo ha funzionato, ma ha progredito nella suaemancipazione sociale e culturale. Per Kohut la seconda analisi riprendeesattamente dal punto in cui si era interrotta la prima e anche questanotazione pare confermare uno scarso apprezzamento del tempo trascorso. 
Ora saràpur vero che il modello teorico dell'analista nel frattempo è cambiato,ma attribuire solo ad esso il diverso decorso della "seconda" analisi misembra francamente esagerato. Anche il paziente è cambiato, comesicuramente cambia una persona in cinque anni e mezzo, sicché ancheda un punto di vista solamente logico l'attribuzione automatica dei miglioriesiti alle nuove scoperte dell'analista non è forse del tutto giustificata. 
Insomma,si sarà capito, faccio fatica a vedere le "due" analisi del Sig.Z. in contraddizione tra loro. Entrambi mi sembrano efficaci e utili. Forsequesto libro, malgrado le intenzioni dell'Autore, concorre a dimostrareproprio che terapie svolte secondo modelli interpretativi ritenuti assaidifferenti possono ottenere risultati molto favorevoli: anche con lo stessopaziente! 
Un'altracosa che ci ricorda questo caso è che il paziente, come nota lostesso Kohut, può avere idee molto diverse da quelle del terapeutarispetto a ciò che è utile e ciò che invece non loé. Ad esempio, nella prima analisi il sig. Z. sembra trarre moltogiovamento da un'osservazione che il terapeuta giudica innocua e insignificante.La ragione del potente impatto di questa affermazione appare inspiegabileal Kohut della prima analisi, che se ne stupisce assai. Solo piùtardi, quando, raccogliendo esperienze simili, può inserire questoepisodio nella cornice della self-psychology, l'effetto positivo dell'interventotrova la sua spiegazione. 
Ho riportatoquesto esempio perché mi sembra centrale il fatto che il terapeutasia pronto a stupirsi di ciò che sembra "strano" rispetto alle previsionidel modello che sta seguendo e proprio da lì tragga lo spunto perelaborare nuove ipotesi. Del resto, questo modo di procedere è insintonia con i principi del metodo scientifico e si può dire chela prima analisi è molto feconda da questo punto di vista perchéil terapeuta si pone delle domande non banali e cerca risposte non banali,lasciando uno spazio aperto alla scoperta oltre che alla conferma. 
Puòessere che la seconda analisi, come afferma Kohut, sia stata piùefficace sul piano dei risultati (anche se ho già espresso i mieiinterrogativi al proposito) e che il nuovo modello abbracciato gli abbiapermesso, secondo le sue parole, "di vedere più cose!", ma forsein essa, proprio perché tutto veniva così bene assimilatonei nuovi  principi, c'era meno spazio per vedere certe cose per laprima volta. In fondo alle teorie psicoanalitiche non è stata piùvolte rimproverata una "chiusura" esplicativa, una tendenza ad inglobaree appiattire ogni sorpresa nel già noto o in ipotesi ad hoc? A benvedere questo rischio è più presente nella seconda piuttostoche nella prima analisi. Per quanto riguarda Le due analisi, misembra che possa bastare. 


Passiamoora al SIG Z. 
La prendiamoun po' alla lontana, ma vedrete che arriveremo al nocciolo della questione. 
La primavolta che ho letto questo caso, durante l'ultimo anno dello studio di Medicina,mi è successo di aderire molto velocemente e con entusiasmo alletesi proposte dall'Autore. 
Utilizzandol'aggettivo che Kohut usa per il Sig Z. si potrebbe dire che ero molto"compliant". 
Proprio adun atteggiamento di questo tipo egli attribuisce  il miglioramentomanifesto della sintomatologia del paziente nella prima analisi, miglioramentoche, alla luce degli sviluppi delle sue teorie, viene giudicato piùapparente che reale, perché riproporrebbe un meccanismo di adeguamento(sostenuto da insicurezza e dalla paura  di perdere l'amore) del piccolofuturo Sig. Z alle richieste della madre, bisognosa di strangolante e continuocontrollo su di lui, e incapace di sostenerne la crescita verso la stimadi sé e l'indipendenza. A questa lettura, che individua una analogiatra la "compliance" del paziente rispetto alla madre e quella rispettoall'analista, facendone derivare un giudizio sostanzialmente negativo suquest'ultima, oggi mi sembra di poter obiettare che il meccanismo di adeguamentoo di compiacenza che dir si voglia costituisce uno dei più importantifattori di miglioramento di ogni tipo di terapia, come dimostrano le ricerchesull'effetto placebo (3). 
Comunquesia, quando ho ripreso in mano "il sig. Z." per scrivere questa speciedi recensione, anche per me erano passati cinque anni e, come potete vedere, le ragioni che mi fanno amare questo libro sono cambiate. In particolare,come già accennnato lo considero un esempio emblematico che esistonopiù di una analisi efficace e vera per un paziente e il suo psicoterapeuta,che le persone cambiano col tempo, che teorie diverse fanno vedere cosediverse, che un sincero interesse ed un ascolto empatico di chi ci stadi fronte non solo è la base di ogni terapia, ma costituisce anchela condizione per quello straordinario stato d'animo cognitivo-affettivoche è la meraviglia e che permette sempre nuove scoperte. 
Ed ècon questo atteggiamento che ho riletto il sig. Z. per scriverne a voied uno degli effetti è stato il bisogno di conoscere meglio questoAutore in cui mi ero imbattuto per caso anni fa, colpito da un titolo accattivante.Così, ho fatto una piccola ricerca bibliografica e sono venuto asapere che nel 1994 è stata pubblicata una raccolta delle letteredi Kohut che mi sono procurato (4). 
E qui tornasulla scena il segreto. Nella prefazione del libro il curatore esprimela convinzione, suffragata da elementi biografici e comunicazioni personali,che il sig Z. altri non sia che Kohut stesso, che descrive la sua primaanalisi (condotta con Ruth Eissler) e una successiva auto-analisi generatricee generata al tempo stesso dalle posizioni successivamente maturate dall'Autore. 
Anche ilfiglio di Kohut, Thomas, ha confermato pubblicamente pochi mesi fa, essendopassati più di quindici anni dalla morte del padre, questa versione(Morris Eagle a Paolo Migone, comunicazione personale). 
Cosa cambiaquesto fatto nella lettura del sig Z.?  
Tutto e niente,verrebbe da dire. Niente considerando questa notizia come extra-testuale,postuma, estranea alla storia raccontata nel libro. Ma diventa molto significativase allego questa informazione alle impressioni che avevo già allarilettura del testo. 
Per esempio,diventa doppiamente vera l'affermazione fatta sopra che "il paziente el'analista sono le stesse persone" e che vi avevo pregato di annotare mentalmente.E, alla luce di questo fatto, il giudizio già espresso sull'effettivosuccesso della prima analisi, malgrado le impressioni dell'Autore, apparecerto rafforzato. Non solo e non tanto perché, l'unica "vera" (arigore di termini, nel senso di coinvolgere un professionista e un pazientein una relazione terapeutica) analisi raccontata in questa storia è la prima. Ma anche, e mi pare più importante, perchél'autoanalisi successiva può essere vista come lo sviluppo favorevoledella prima analisi svolta, una terapia che ha lasciato l'Autore liberodi crescere, di continuare a porsi delle domande e darsi delle risposte,di trovare nuove storie su di sé rispetto a quella scaturita nellavoro con la prima terapeuta. In altre parole, il fatto che Kohut-Sig.Z, partendo dal lavoro della prima analisi sia riuscito a sviluppare autonomamente-senza un'altra terapia, ma lavorando su di sé- una visione alternativao, meglio, complementare della sua storia, testimonia che quel meccanismodi "compliance" della prima analisi di cui sopra non era così pervasivoed inibente da impedire una crescita  e un distacco dalle opinioniprima condivise. 
Mi sembraanche interessante notare, come la riscrittura del sig. Z operata da Kohutavvenga attraverso un lavoro personale che vede riunite nello stesso soggettodiversi ruoli: paziente, terapeuta, teorico della cura, scrittore. Delresto la figura di riferimento della prima analisi e dei principi che l'hannosorretta, Freud, fece qualcosa di molto simile in un'opera consideratada molti cardine nello sviluppo della psicoanalisi, la 'Traumdeutung' (5),e questo, più che per il suo contenuto, per i metodi utilizzati(come si è saputo più tardi, i sogni più importantiinterpretati nell'opera sono di Freud stesso).  
Consapevolidi questo segreto, per finire, ci commuoviamo un po' di più a leggerela descrizione che Kohut fa di se stesso all'inizio del caso "...Era unuomo di piacevole aspetto, di costituzione robusta e muscoloso. Il suoviso pallido e sensibile, il viso di un sognatore e di un pensatore, erain notevole contrasto con il suo aspetto atletico". Così, pure,sapere che il Sig Z. è Kohut più che farci sviluppare unacuriosità vojeuristica nei confronti dei particolari "forti" dellastoria (come la relazione omosessuale del ragazzino-Sig Z. con un istruttoredi camping, o il fatto che, da bambino, "... per un breve periodo di tempoaveva praticato atti di masturbazione anale e anche- questo particolaredei suoi ricordi era inizialmente accompagnato da intensissimi sentimentidi vergogna - aveva annusato e perfino assaggiato i suoi escrementi") ciaiuta forse a capirli meglio e ci fa apprezzare ancora di più ilcoraggio della scrittura di questo "caso" così particolare. 
Caso che,a questo punto,  avrete così tanta voglia di leggere (o rileggere)che non mi dilungo in ulteriori rivelazioni. 
Di cosa nonho parlato (anche). 
Delle teoriedi Kohut, del suo concetto di empatia e di quello  bipolare del Sé,del semicerchio della salute mentale (6), degli oggetti-Sé e deitransfert narcisistici tipo "mirror", "idealizing" e "twinship", del suosaluto in stazione a Freud quando lasciava l'amata Vienna invasa dai nazisti,del suo "narcisismo" che viene ricordato perfino nei suoi necrologi (7),del fatto che Kohut ha lavorato indefessamente per dieci anni con un linfomae che aveva confidato la sua malattia solo ai familiari stretti e a due soli colleghi (8), della sua delusione per non essere potuto diventarePresidente dell' International Psychoanalytic Association (malgrado l'appoggiodi Anna Freud) (Cocks, op. cit., pag 220 ), del suo impegno per la formazionedei giovani futuri colleghi, del suo interesse per l'arte e la storia ,dei suoi appelli per una psicoanalisi che non fosse guidata da principi"moralistici", delle critiche più o meno feroci che ricevette. 
Mi piacepensare che, leggendo il Sig. Z., quasi un 'Bildungsroman' in forma (auto-)analitica,tutte queste vicende e teorie diventino più comprensibili e chequindi la lettura del libro sia in qualche modo propedeutica a un naturaleapprofondimento di questa figura e del suo messaggio. 

Bibliografia 

1.Kohut, H. (1979), The two analyses of Mr. Z., International Journalof the Psychoanalysis,  60:3-27 

2.Kohut, H. (1989), Le due analisi del Sig. Z., Roma, Astrolabio Ubaldini,1989 

3.Brown W.A. (1998), The placebo effect., Scientific American Januaryissue, 68-73 

4.Cocks, G. (1994), The curve of life: the correspondence of Heinz Kohut,1923-1981. Chicago: University of Chicago Press, pp.1-31; 

5.Freud, S. (1980), Opere. Vol. 3: L'Interpretazione dei sogni, OSF,a cura di Musatti C. L., Bollati Boringhieri, Torino 

6.Kohut, H. (1982), Introspection, empathy, and the semi-circle of mentalhealth., International Journal of Psycho-Analysis, 63:395-407 

7.Goldberg, A. I. (1982) Heinz Kohut (1913-1981) International Journalof Psychoanalysis, 63:257-258 

8.Ritter, J. (1997), Analysts honor self-psychology's,Chicago founder.Chicago-Sun-Times, 17/11/1997 
  


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