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Dott. Guido DITTA

Dirigente del Dipartimento di Prevenzione del Ministero della Sanità

E' la prima volta che andiamo a Sud di Napoli e credo che questo sia importante come per l'immagine di questo lungo Paese. Lungo sia nella sua storia, sia nella cultura che è capace di esprimere.

Molti forse non hanno la possibilità di conoscere le realtà più diversificate che si manifestano nel Paese, ma io che abito a Roma ho la possibilità di vedere quello che succede in giro; e vi assicuro che non sempre il vituperato Sud è secondo ad altri modelli di intervento, non soltanto come impegno dichiarato, ma come impegno realizzato.

Siamo qui perché è necessario ricordarci che bisogna arrivare ad una qualità media di interventi, valida su tutto il territorio nazionale, all'interno delle singole regioni dove le differenze sono notevoli.

Di qui il significato di questa conferenza che si è articolata attraverso esperienze organizzate con la collaborazione delle Regioni Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Piemonte e, oggi, Basilicata per testimoniare che non è soltanto lo Stato a dover garantire interventi efficaci. Noi sappiamo che oggi si va sempre di più verso il decentramento delle responsabilità e se di questo non si tiene conto si rischia di sbagliare mira quando si cercano le responsabilità non corrisposte. Infatti, le responsabilità sono differenziate per cui bisogna che siano ben chiare a livello istituzionale, gestionale e professionale.

Come è intuibile dai titoli delle giornate, il paziente grave è oggetto di intervento prioritario nel progetto obiettivo nazionale 98/2000 da parte dei Dipartimenti di Salute Mentale. La salute mentale in età evolutiva è un problema importante perché, se è vero, come è vero, che bisogna assicurare salute dall'infanzia fino alla vecchia, è un dovere della Sanità pubblica garantire la salute in tutto l'arco della vita.

L'età evolutiva generalmente si trova in una posizione ancora arretrata rispetto ai successi della salute mentale in età adulta, e questo è un problema in più per la Sanità Pubblica perché prevale un modello di intervento troppo settorializzato; per cui il lavoro integrato e di rete è un po' meno consolidato, pur in presenza di esperienze significative al riguardo.

La promozione della salute, la prevenzione e la partecipazione, l'integrazione sociale e sanitaria, il lavoro di rete: in tutto questo c'è un filo conduttore. Può essere separata solo l'età evolutiva in termini di sforzi organizzativi e di indirizzi.

Per la tipologia di problemi che si affrontano per la salute mentale non ci si inventa nulla: promozione della salute, interventi, che si declinano dal sanitario al sociale, verso la massima autonomia possibile di pazienti che comunque hanno bisogni di salute importanti che si prolungano nel tempo, evitando che le residenze a dimensione familiare diventino luoghi di isolamento.

Riguardo alle cose da farsi, per prima cosa è necessaria l'integrazione e, nel progetto obiettivo 1998/2000 vi è un forte richiamo alla organizzazione e coordinazione da ottimizzare. In questo tutti sono coinvolti tutti i soggetti istituzionali (Stato, Regioni, Aziende, Enti Locali, volontariato, ecc.) perché ciascuno, nella propria realtà, sa quali sono i soggetti che vengono coinvolti nel lavoro di rete. Ovviamente questo è difficile da realizzare in quanto si tratta di una fatica culturale, ma io credo che il nostro Paese abbia fatto importanti passi avanti in questa direzione sia sul piano normativo, sia sul piano dell'esperienza realizzata.

Quello che bisogna evitare e, comunque, contrastare è il passato degli interventi settoriali in quanto è importante che chi ha la responsabilità istituzionale (Stato, Regioni e Comuni) si assuma una responsabilità nella coordinazione, sapendo che serve ai cittadini del proprio territorio perchè si tratta di un servizio e serve a garantire i diritti di cittadinanza.

Le norme nazionali sono abbastanza chiare in questa direzione: a partire dalla legge n. 180, fino ad arrivare alla legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Quest'ultima è una legge attesa dal nostro Paese da più di 20 anni; è una legge approvata in maniera definitiva il 18 ottobre, ed è in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Questa legge è complementare al decreto legislativo n. 229, con la riforma ter nella parte che concerne il distretto e l'integrazione socio-sanitaria. L'accreditamento delle strutture è importante, ma lo è soprattutto la realizzazione dell'integrazione socio-sanitaria.

Il riferimento alle normative principali è utile anche per capire che, per avere un nuovo riferimento normativo, dal 1978 si è giunti al 1994; per cui c'è stato un vuoto alquanto preoccupante. Però, questo vuoto è stato colmato dal primo progetto obiettivo, in cui si è fortemente sottolineata l'esigenza di un'organizzazione dipartimentale per farsi carico di persone con problemi che avevano la necessità di essere seguiti in un lungo percorso ed in una maniera integrata.

Nel Dipartimento Salute Mentale, le strutture che ci devono essere sono: residenze, centri diurni e day hospital. Si tratta di riferimenti importanti a cui le Regioni devono dare requisiti ulteriori.

Le leggi finanziarie importanti sono quelle che sanciscono la definitiva chiusura degli ospedali psichiatrici. Questa è stata sicuramente una grandissima spinta al cambiamento perché tutte le Regioni hanno approntato dei programmi, il cui successo non è omogeneo. Se è vero che crediamo nella continuità, e che il lavoro sui disturbi mentali gravi è un lavoro che implica la continuità e la complementarietà, e non la separatezza dell'intervento, quando faccio un intervento ambulatoriale e poi c'è l'inclusione in una residenza, devo sapere cosa succede a quei soggetti nella residenza. Queste sono cose che sappiamo, ma è bene ricordarcele perché ci sono spinte a contrastare questo modello della solidarietà e della complementarietà che ha un suo senso ed una sua ragione d'essere. Io credo che bisogna contrastare fortemente il modello clinico specializzato che si ferma su momenti settoriali. Sicuramente quel momento serve, ma esso va inserito in un contesto di continuità.

Voglio sottolineare l'importanza di realizzare l'integrazione sociosanitaria, senza il trattino, perché bisogni sanitari e bisogni sociali devono essere valutati in maniera univoca nel momento in cui si presentano. I bisogni sociali si manifestano fin dal sorgere della malattia, per cui bisogna tenerne conto.

Il Piano Sanitario parla di integrazione istituzionale, gestionale e professionale che sono termini abbastanza chiari. Le istituzioni devono fare delle cose per favorire l'integrazione, ma la cosa più importante è l'integrazione degli interventi professionali.

Io credo che sia importante dare dignità forte a tutti gli operatori che entrano in questo campo. Quelli che lavorano all'interno dei dipartimenti di salute mentale ancora oggi sono prevalentemente figure sanitarie (medici, psicologi, infermieri professionali). Questo è comprensibile, ma la dignità e l'importanza della professionalità dei riabilitatori deve emergere e deve essere tenuta in grande considerazione. La settimana scorsa a Trento parlavo di questo tema e molti giovani operatori si lamentavano di un regime un po' troppo gerarchico e non democratico dello stile di lavoro. Io non so se si tratta di passare dalla gerarchia alla democrazia, anche se è evidente che se si parla di integrazione e di modello di intervento in cui più operatori concorrono a valutare i bisogni, la valorizzazione della professionalità deve essere massima. Questo significa che ci deve essere un forte nucleo di conoscenze professionali, gli operatori devono avere una formazione di base e continua forte, aggiornata e basata sulle evidenze rispetto ai risultati. Il mio non è un discorso di rivendicazione professionale, ma di valorizzazione dell'operatore che entra nel lavoro integrato col massimo della visibilità.

So benissimo quali sono i problemi delle relazioni all'interno dei gruppi che lavorano integrati, però la cultura dell'organizzazione fornisce tanti strumenti per favorire e facilitare il lavoro insieme. E' importante evitare di sentirsi figure professionali gregarie rispetto al medico, come può essere per l'assistente sociale o il riabilitatore, tenendo conto che ci sono tante esperienze in cui la valorizzazione di tutte le professionalità è massima. Se questo si può fare in alcuni luoghi, lo si può fare in tutti.

Questo vuol dire attivare delle modalità, tra l'altro conosciute, per far funzionare meglio le organizzazioni, altrimenti non avremo nessuna integrazione sociosanitaria e non avremo nessun distretto. Il distretto può funzionare solo se si assume questa capacità di coordinamento tra tutti i soggetti che lo frequentano (medici di base, pediatri, assistenti sociali, infermieri, specialisti, ecc.). Ma il distretto deve avere una unità che funzioni da tutoraggio, altrimenti diventa una struttura incapace di offrire i servizi che le competono. Qualunque struttura organizzativa serve per valutare e rispondere ai bisogni di salute, e non per rispondere a noi stessi.

Riferimenti normativi.

  1. Legge n.833 del 23 dicembre 1978 articoli 33, 34, 35, 64
  2. Decreto Legislativo 229/1999 —Riforma Ter-
  3. DPR 10.11.1999 "Progetto Obiettivo Tutela Salute Mentale 1998-2000
  4. Legge quadro 18.10.2000 per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.

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