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Ignazio Senatore, Curare con il cinema, Presentazioni di Gianni Canova e Paolo Pancheri, Centro Scientifico Editore, Torino 2001, pp. 227, Euro 24

 

[ Ignazio Senatore, psichiatra e psicoterapeuta, è Funzionario Tecnico presso la Clinica Psichiatrica dell’Università di Napoli "Federico II". E’ Presidente eletto della Società Italiana per lo Studio dei comportamenti alimentari (Sezione Sud) ed è Membro del Direttivo Campano della Società Italiana di Psichiatria e della Società Italiana di Alcologia. E’ Socio Ordinario Didatta e Segretario del Comitato d’Ammissione della Società Italiana di Terapia Familiare. Ha pubblicato il volume L’analista in celluloide. La figura dello psicoterapeuta al cinema dal 1986 al 1993 (Franco Angeli, Milano 1995). Per tutti gli amanti della connessione tra cinema e psiche, Ignazio Senatore ha allestito il sito www.cinemaepsicoanalisi.com.

Per introdurre il lettore ai temi del suo saggio, riportiamo qui sotto la prefazione di Gianni Canova, docente di Storia e critica del cinema presso la Libera Università di Lingua e Comunicazione IULM di Milano ]

 

Terapeutico. Che il cinema avesse anche questo ruolo (forse, soprattutto questo) credo di averlo capito negli anni fragili e turbinosi dell’adolescenza, quando i film e lo schermo mi sembravano l’unico luogo (il solo, almeno, che io conoscessi, l’unico che il mio tempo mi offrisse) per riconnettere in una storia dotata di senso i frammenti sconnessi di esperienza contro cui mi faceva cozzare la vita.

Ricordo certi pomeriggi invernali a Milano, quando il "male di vivere" (la sua insensatezza…) sembrava materializzarsi nella nebbia che ti inghiottiva, e che immergeva lo sguardo in un’ovattata luminosità lattiginosa. Si andava al cinema, allora. A vedere qualsiasi cosa, purché fosse un film. Rannicchiati in terza fila, in posizione fetale, ci lasciavamo invadere dai simulacri di mondo che emanavano dallo schermo. 90-120 minuti di terapia intensiva: all’uscita stavamo sempre meglio, e ci pareva perfino che il mondo (quasi sempre ancora avvolto nella nebbia) fosse migliore (e avesse più senso) di quanto non pensassimo prima di comprare il biglietto e di immergerci nel buio luminoso della sala.

Da che cosa curava, il cinema?

Che malattia aiutava a sconfiggere? Che patologia combatteva? Benchè da più di vent’anni il cinema sia ormai diventato il mio alimento quotidiano, restano domande a cui non sono mai riuscito a dare una risposta. So solo che il cinema —per me, ma credo di poter dire anche per la mia generazione- non è stato solo uno straordinario "attrezzo per fantasticare", ma anche uno "strizzacervelli" che ha favorito un po’ in tutti l’anamnesi e l’autoanalisi, portando a galla —sulla superficie dello schermo- i fantasmi e i cadaveri che ci portavamo dentro. Ci ha curato? Non lo so.

Ignazio Senatore mi dice spesso che solo la relazione terapeutica può "curare". Lo dice convinto, e penso che dal punto di vista dell’ortodossia analitica abbia perfettamente ragione. Ma ho anche il sospetto che la sua sia un’affermazione —come dire- più attenta alla "correttezza" deontologico-professionale che alla verità dei fatti. So che anche Ignazio Senatore si è curato con il cinema, e che dal cinema e dai film ha ricavato spunti, schegge e frammenti di storie e di narrazioni che l’hanno aiutato a curare gli altri, i suoi pazienti nella vita. Questo libro documenta la sua duplice passione (la sua ambigua affezione…): per i film che raccontano storie di cura e per la convinzione che sia possibile curare (curarsi…?) anche grazie ai film.

Non so se il cinema sia stato la nostra Sheherazade, e noi i suoi sultani. A volte ho come l’impressione che, al contrario, noi siamo stati le Sheherazade del cinema, e che al cinema abbiamo affidato ogni notte le nostre storie. Quelle che ci servivano ad allontanare lo spettro della morte, e a sentirci vivi. Ma tant’è. Quel che conta, direbbe Senatore, è l’intensità della relazione. Il cinema è un territorio inevitabilmente relazionale. Questo libro lo dimostra in modo appassionante e appassionato. Ricordando a tutti, se non altro, come proprio i film siano serviti (e servano tuttora) a rendere il mondo un po’ meno invivibile di quanto non fosse prima che il cinema venisse inventato.

Gianni Canova

 

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