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Il desiderio femminile nell'isteria e nella melanconia

di Paola Zaretti



Del soggetto femminile finalmente in questione.
Il desiderio femminile fra peripezia e riconoscimento
Nell'isteria e nella melanconia.

C'è una questione macroscopica elusa, si sa, nella teoria psicanalitica: l'Edipo femminile. La fondazione del Forum, il nostro essere qui, testimoniano di un evento straordinario, del fatto che tale questione è arrivata - al termine di una lunga corsa - al suo capolinea per aver esaurito il suo tempo logico, il tempo, per le psicanaliste donne, per comprendere.
Per comprendere che la teoria che si trovano fra le mani sulla questione femminile, pone forse più problemi di quanti non ne risolva. Che si parli di buco nelle teoria o di teoria bucata, di forclusione del nome della madre o di miseria simbolica, che se ne dica - nelle più svariate forme e con gli stili più diversi - che se ne avverta l'inadeguatezza o che se ne denunzi l'impotenza, non cambia la sostanza del problema. Vale a dire la necessità, non ulteriormente rinviabile, di conoscere e di definire con il maggior rigore teorico possibile, i termini precisi della questione. Infatti, senza una chiarezza, una diagnosi sul reale stato di salute della teoria, sui suoi limiti, nonché sulle sue prospettive a venire, essa insisterà a bruciare passando di mano in mano, di scrittura in scrittura in una confusione delle lingue in cui, essendo tutto possibile, nulla è possibile fare per cercare di costruirne, eventualmente, un'altra o perché no, molte altre, avendo imparato, da Nietzsche, che una teoria altro non è se non un mescolarsi degli impulsi tra loro, il giuoco “dionisiaco” - quando capita - delle nostre pulsioni.
L'esigenza che avverto - un'esigenza forte che ha dato impulso a questo lavoro - consiste nella necessità di fare un passo avanti - sia pure a costo di fare alcuni passi indietro - per rimettere la questione femminile sui suoi cardini, avrebbe detto Amleto. Intendo dire che una certa spinta, per certi versi troppo in avanti, nella teoria, ha prodotto una sorta di sovrapposizione, una coincidenza fra due tempi che coincidenti non sono: il momento per comprendere e il momento di concludere con il risultato di un'anticipazione del secondo a scapito di una maturazione del primo.
Per spiegarmi più chiaramente, c'è un dato oggi assodato - sul quale credo non manchino delle affinità di vedute - circa il fatto che la donna, in quanto donna, in quanto “soggetto” sessuato con una propria identità sessuale, sia esclusa dall'ordine significante. In verità, all'intuizione folgorante dell'esistenza di questo dato di realtà, si deve la nascita, la crescita e la grande diffusione del movimento femminista degli anni '70 che - bisogna dire - non è andato, né sarebbe potuto andare, molto più in là di questa intuizione, i cui effetti nel sociale furono e continuano ad essere riconoscibilissimi, sia pure, a volte, in forme destabilizzanti se non devastanti per le donne stesse. Eppure, malgrado i trent'anni trascorsi, si ha l'impressione che questa intuizione fondamentale non abbia ancora raggiunto quella chiarezza e quello spessore teorico necessario neppure - beninteso - all'interno del campo psicanalitico femminile, che le permetterebbero di trasformarsi in un progetto di revisione teorica impegnato a definire meglio la posizione donna in relazione all'ordine significante e, quel che più conta, in relazione alla cura.
Credo che persino la fondazione del Forum, rispetto allo stato attuale dei sapèri teorici sulla questione femminile, rappresenti una considerevole anticipazione temporale in cui non c'è corrispondenza fra il momento di concludere (è indubbio che l'esistenza del Forum rappresenti un tale momento) e il livello d'elaborazione che permetterebbe di concludere davvero - nel senso di un passaggio ad una nuova fase, nel senso di cambiar musica. Ciò che mi pare auspicabile è un oltrepassamento della teoria sulla questione femminile che non sia uno scavalcamento dei passaggi necessari a metterla, dicevo, sui suoi cardini per meglio coglierne le aporie. La mia esigenza, in effetti, è proprio quella di ricostruire alcuni passaggi teorici necessari del percorso edipico femminile che ci autorizzino ad affermare con cognizione di causa, con strumenti forse più sofisticati, ma forse anche con alcune differenze, ciò cui il movimento femminista non ha mai cessato di dar voce, consentendoci, al tempo stesso, una visione più limpida del perché del nostro essere qui. Come dire che vorrei trasformare il punto d'arrivo più alto - che il Forum certo rappresenta - in una discesa per una ripresa teorica senza scorciatoie.
Situare nel titolo il desiderio femminile fra isteria e melanconia fra peripezia e riconoscimento (che sono, si sa, assieme alla catastrofe (pathos), due elementi utilizzati da Aristotele nella Poetica in riferimento alla tragedia, dando alla prima il significato di “mutamento improvviso” “da una condizione di cose nella condizione contraria” e al secondo il significato di “passaggio (inatteso) dalla non conoscenza alla conoscenza”) significa situare la questione femminile sul versante del tragico, su un versante con cui Freud ha dovuto fare i conti dato l'uso del termine “catastrofe” da lui introdotto per indicare le peripezie legate all'Edipo femminile.
Il titolo, nella sua prima parte - una variante su tema di un noto titolo di Lacan - è un'esigenza e un impegno: ripercorrere il sentiero inaugurato da Freud, battuto da Lacan, individuando in alcuni punti salienti delle tappe fondamentali dello sviluppo della bambina, ciò che farà - o non farà - di lei una donna.
Un percorso tortuoso e accidentato (denso di importanti mutamenti, di permute, di prestiti, di crediti) al cui termine soltanto mi sentirò forse autorizzata a parlare - o no - di un soggetto femminile e a ridefinire con maggior cognizione di causa quel desiderio femminile indicato in uno scritto precedente come desiderio di una donna di essere una donna. Si può già cogliere nel quadro di questa prima definizione del desiderio femminile, una sensibile differenza da quel desiderio ostinato e indistruttibile trasmutato da Freud nel termine invidia del pene. Eppure vale la pena anticipare sin d'ora che questa distanza - cui pure non manca una sua ragion d'essere - è meno radicale di quanto possa sembrare. Meno radicale anche rispetto ad un'affermazione - espressa, per la verità, in forma dubitativa - di Eugénie Lemoine secondo cui ciò che vuole una donna è sparire come donna. Si è trattato, per Freud, di un fenomeno di parziale accecamento nel con-fondere un brandello di verità (più propriamente parlando un brandello di carne), con la verità “tutta”.
In un lampo anticipatorio vorrei rilevare che la scelta di situare il desiderio femminile, nel titolo, fra isteria e melanconia, non è casuale non essendo affatto accertato che questo desiderio (nell'accezione appena suggerita che mi piace conservare) possa davvero realizzarsi nella sua forma più pura, senza l'ingombro di una patologia, possa offrirsi, insomma, nella sfera della Salute ( termine da intendersi in senso nietzschiano, nel senso della Grande Salute da non confondersi con la cosiddetta normalità). Un dubbio ed un sospetto che hanno la loro ragion d'essere, come ho già avuto occasione di dire, in quell'impossibile che c'è per una donna ad essere una donna e dunque nell'impossibile via d'accesso al proprio desiderio di donna.
Un ultimo breve scorcio per dire che la mia riflessione sull'Edipo femminile sarà incentrata a) su quella disimmetria fondamentale che c'è nello sviluppo sessuale fra un uomo e una donna e che caratterizza il percorso femminile un percorso anomalo, segnato da due stravaganze ravvisabili nel cambiamento d'oggetto e di zona erogena; b) sul ruolo dell'identificazione nell'Edipo maschile e femminile in rapporto alla scelta d'oggetto. I testi di riferimento relativi al primo punto e, in qualche caso, anche al secondo, saranno “Il tramonto del complesso edipico” (1924), “Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica tra i sessi” (1925), “Sessualità femminile” (1931) e la trentatreesima lezione dell'“Introduzione alla psicanalisi” del 1932. Il testo di riferimento privilegiato per la trattazione del secondo punto - identificazione e scelta oggettuale - sarà “Lutto e melanconia “ (1917) piuttosto che “Psicologia delle folle e analisi dell'Io” o “L'Io e L'Es” che meritano una trattazione a parte e che ai fini del nostro intento risultano al momento meno utili.
Per facilitare l'assimilazione di un percorso intricato che a prescindere da quelli che saranno i suoi risultati, ha richiesto un'attenzione considerevole, vorrei anticipare da subito che il punto più importante, il nodo teorico decisivo che tenterò di sciogliere verte sul concetto di identificazione, più precisamente sulla diversa funzione che tale concetto assume al termine dello sviluppo edipico maschile e femminile sia in rapporto alla costituzione del soggetto, sia in rapporto al desiderio. A missione compiuta, ci sarà facile constatare che mentre sul versante edipico maschile l'identificazione simbolica al padre, mettendo fine al complesso attraverso la formazione dell'Ideale dell'Io costituisce il fondamento dell'identità maschile del soggetto, sul versante edipico femminile questa identità sessuale, l'identificazione della donna al proprio sesso, resta priva di un modello identificatorio femminile per l'impossibilità della donna di identificarsi con la propria madre sia essa presa come madre che come donna (la distinzione fra questi due termini, lo vedremo, è essenziale). L'impossibilità di questa duplice identificazione renderebbe ragione a) dell'orrore della bimba dinanzi alla scoperta della castrazione materna; b) dell'abbandono del primo oggetto d'amore; c) della fuga in direzione dell'oggetto paterno con cui stabilire un'identificazione “riparativa” immaginaria.
La necessità di limitare il campo d'indagine all'identificazione che è in giuoco al termine dello sviluppo edipico (indicato da Lacan, per intenderci, come III tempo), è imposta dalla dimensione e dallo spessore teorico di questo concetto la cui vastità e le cui articolazioni rischierebbero di fuorviarci rispetto alla direzione intrapresa. Un punto essenziale va tuttavia tenuto presente: la centralità del concetto d'identificazione - cui Lacan ha dedicato un intero Seminario - ripetutamente indagato da Freud e dallo stesso Lacan sul versante maschile - occupa, sul coté femminile della teoria, una posizione marginale, ambigua, irrisolta dovuta allo scacco in cui Freud si trova nel tentativo di spiegare il rapporto fra la donna e la Legge nonchè le sue conseguenze sulla formazione dell'Ideale dell'Io femminile.
Merita, infine, un chiarimento il termine impossibile riferito all'identificazione della bimba con la madre da intendersi non nel senso che tale identificazione non sarebbe possibile, ma nelle conseguenze fatali legate ad una tale possibilità che nella melanconia vedremo all'opera.
Inizierei col dire, allora, che c'è un travaglio nel desiderio di Freud, una precipitazione a concludere - nel senso di voler venire a capo di qualcosa - allorché si cimenta sulla sessualità femminile soprattutto nei testi che vanno dal '24 al '32. Un travaglio le cui tracce sono già sensibili in molte opere precedenti a partire dal '17 con “Lutto e melanconia”, passando per “Il Perturbante”, per lo scritto sul Feticismo, per la pulsione di morte fino alla stesura de “L'Io e l'Es del '22, in cui la difficoltà di elaborare una teoria persuasiva di questo concetto assume l'aspetto di un'ossessione. Si avverte, più insistentemente che mai, dopo la scoperta dell'importanza della fase pre-edipica della bimba - paragonata nientemeno, alla scoperta della civiltà minoico-micenea - l'assunzione di un impegno titanico, quasi una promessa superiore non già alla forza spregiudicata del suo ingegno ma agli arnesi, agli strumenti teorici - non abbastanza sofisticati - di cui disponeva. Bisogna dire che la mancanza di questi strumenti - l'apporto della linguistica - non gli impedisce di giungere comunque al culmine di un percorso teorico estremo cui manca - nondimeno - l'essenziale.
Benchè non mi consideri affatto una “seguace” di Lacan (del resto lui stesso diceva di essere freudiano e non lacaniano) né, d'altronde, di chicchessia, sono sempre più persuasa che la lettura da lui inaugurata con il famoso ritorno a Freud, sia assolutamente ineludibile e a tutt'oggi insostituibile per situare al giusto posto - sul piano dell'ordine significante - dandogli il meritato respiro, la questione del rapporto fra un soggetto e l'assunzione del proprio sesso e che, nel caso della donna, pone la questione supplementare della legittimità o meno di parlare di un soggetto femminile.
Con l'apporto di Lacan la teoria freudiana dell'opposizione maschile-femminile in relazione all'Edipo, la differenza di percorso fra un uomo e una donna, la peripezia della donna, vivono di nuova luce acquistando trasparenza. Sentiamo che cosa ci dice in proposito:

“Se il riconoscimento della posizione sessuale del soggetto non è legata al sim-
bolico, all'analisi, al freudismo, non resta che scomparire, non vogliono dire
assolutamente nulla. Il soggetto trova il suo posto in un apparato simbolico pre-
formato che instaura la legge nella sessualità. E questa legge non permette più
al soggetto di realizzare la sessualità se non sul piano simbolico. E' ciò che vuol
dire l'Edipo, e se l'analisi non sapesse ciò, non avrebbe scoperto assolutamente
nulla” (Lacan - Seminario Libro III - pag. 200)

(Occorre dire, per inciso, che questo passo va tenuto costantemente presente nel corso della trattazione dell'argomento essendo necessaria una sorta di lettura parallela, quasi una traduzione simultanea da un registro ad un altro). Eppure, malgrado ciò, c'è un punto limite, un bordo su cui la riflessione di Lacan - e con essa la sua teoria - si arresta bruscamente come capita davanti ad un burrone. Il punto in cui, nuovo Ponzio Pilato, egli affida alla formula “Non c'è La donna o alla formula “elle n'est pas toute “ il compito ingrato di puntare il riflettore sul rapporto, quanto mai complesso, che intercorre fra la donna e l'ordine significante in quanto tale. Un rapporto - propriamente parlando - senza via d'accesso e - fino a prova contraria - senza via d'uscita, che nessun godimento “al di là dal fallo” potrebbe assolvere.
Su questo punto di verità indiscutibile - tanto indiscutibile da provocare nel movimento femminista la fioritura di un dibattito senza fine - Lacan si arresta per segnare i contorni di un campo “minato” per la donna, privilegiato per l'uomo, la cui conformazione non può non avere dei riflessi inquietanti sul campo analitico del setting in cui ogni tipo di patologia femminile diverrebbe strutturalmente incurabile.

Chi cura chi? Da che cosa? E per che cosa?
C'è per La (la barrato) donna una cura? E in che consiste?
Si sfiora, come si vede, una questione etica cui non manca uno spessore tragico. E tuttavia bisogna dire che l'evento davvero tragico non consiste nel torto di Lacan, nell'aver detto ciò che ha detto (con Freud prima di lui) sulla donna, il fatto veramente tragico è che Lacan, nel dire “Non esiste La donna”, aveva rigorosamente ragione. Ed è proprio in forza di questa sua ragione che noi siamo qui a confermare con la nostra presenza la mancanza dell'Altro come Luogo per la differenza, a confermare che Lacan aveva ragione
Come non cogliere che gli scritti che circolano attualmente nel Forum - gli esempi non mancano - battono all'unisono lo stesso chiodo, come non sentirli risuonare - con strumenti più o meno accordati - della stessa malinconica melodia? E come non avvertire il fruscio di un girotondo che è anche un girare in tondo, un girare attorno a qualcosa - un Centro - che appena sfiorato rapidamente si dilegua. Credo che il nostro compito - di certo il mio - come analista donna sia quello di inter-legere appieno - voglio dire con tutti i cinque sensi - la Ragione di questa ragione di Lacan (e di Freud prima di lui), per tentare di interrogare il rapporto fra teoria e cura.
Inutile negare che un tale progetto mi spaventa non foss'altro che per ciò che si potrebbe scoprire ma tant'è. Essere arrischianti - con Heidegger - è l'anima della nostra fatica. E del resto, se non fosse già lampante, va subito detto che la fondazione del Forum evoca nella sua materiale concretezza qualcosa che è dell'ordine dell'osare : osare l'impossibile, far sì che ci sia se non Altro dell'Altro , Altro dall'Altro.
Già. Di questo, proprio di questo si tratta, di un al di là della Legge - malgré la loi - dice
va Lacan . E Nietzsche in Aurora “ ……..la legge mi divora come un cadavere divora un
uomo vivo, se io non sono più che la legge io sono il più reietto degli uomini”
La questione dunque non sarebbe esclusivamente femminile? E Kierkegaard, non ha forse
passato la vita ad interrogarsi sul rapporto fra il Singolo ed il Generale?
Per entrare ora nel vivo dell'argomento non trovo di meglio da fare che riesaminare alla luce del contributo di Lacan sui testi freudiani, quella disimmetria essenziale che distingue il percorso edipico femminile da quello maschile e che implica per Freud due cambiamenti decisivi riferiti esclusivamente alla bimba. Si tratta, come sappiamo, del cambiamento d'oggetto che fa sì che il primo oggetto d'amore -la madre- venga ad un certo punto abbandonato per cedere il posto al padre, e del cambiamento riguardante la zona erogena. Nel passaggio dalla madre al padre la bimba deve rinunciare al primato della clitoride (presente nella fase fallica in cui è, a tutti gli effetti, un “ometto”, e in cui la differenziazione fra maschio e femmina è ancora inesistente), per far posto alla vagina. Questa doppia permuta - oggetto e zona erogena - questo passaggio obbligato segnerebbe per Freud la “svolta decisiva verso la femminilità” e una svolta, io credo, anche nel nostro discorso.
Infatti, se si considera con attenzione il punto relativo al cambiamento d'oggetto, si può facilmente constatare di trovarsi di fronte ad un'incredibile anomalia, ad una stravaganza davvero curiosa. Ciò che Freud ci dice è che la svolta verso il femminile, l'identificazione della donna con il proprio sesso, la realizzazione piena della sua identità sessuale, si costruiscono attraverso l'identificazione con un sesso che non è il suo sesso, potremmo dire parafrasando con una variante Irigaray. Tale è la tesi di Lacan.
Ciò che dal complesso dell'architettura freudiana sfugge alla comprensione, è come sia possibile una “svolta” verso il femminile a partire da una “deviazione” sessuale segnata da un'identificazione della donna al sesso maschile. La tesi, da un punto di vista teorico, appare tanto più insostenibile e se si pensa che da Freud in poi - e questo almeno questo è un dato certo d'estrema importanza - l'accesso alla “normalità” sessuale di un soggetto, maschio o femmina che sia, è assicurato dall'identificazione con una persona dello stesso sesso. Ciò premesso, come non dubitare del fatto che la “normalità” sessuale sia per la donna un traguardo davvero raggiungibile? In effetti, se ho situato il desiderio femminile fra isteria e melanconia è perché per la donna l'orizzonte di una “normalità” e, contestualmente, l'accesso ad un desiderio non patologico - che abbiamo definito come desiderio di essere una donna - appare un orizzonte dai contorni foschi. Come non vedere infatti, nello scenario attraversato da quell'evento all'apparenza incomprensibile e stravagante costituito dal cambiamento d'oggetto, piuttosto che l'inscrizione per la donna, nel campo della “normalita”, la svolta decisiva verso l'isteria, la perversione o, con le dovute differenze di stile, verso la melanconia senza esclusione per la paranoia?
Certo non si può affermare che Freud non se ne sia accorto quando riduce la possibilità di uno sviluppo femminile “normale” ad una sola chance su tre essendo i due esiti rimanenti sono - così ci dice - la nevrosi e il complesso di mascolinità che ha tutto l'aspetto di una variante asintomatica dell'isteria e che conduce, nei casi estremi, alla perversione (all'omosessualità). C'è da aggiungere che persino sull'unica chance contemplata, Freud avanza delle riserve allorché, parlandone con estrema precauzione - quasi in punta di piedi - usa l'espressione “compiere i primi passi sulla via della femminilità” o quando dirà, con minor prudenza, che il complesso edipico femminile, a differenza di quello maschile, può essere distrutto solo tardi e mai completamente. O, ancora, quando a proposito dell'enigma donna, dirà - memore forse di Aristotele - che esso consiste in una perpetua alternanza e in un congiungimento impossibile fra maschile e femminile, due polarità fra cui mancando ogni riconciliazione possibile, c'è un'antitesi irriducibile che situa perciostesso la questione femminile sul versante del Tragico.
Merita qui un cenno la nozione di bisessualità (presente in Freud sin dal 1905) che egli riconosce come una caratteristica più marcatamente femminile e con cui tenta di dar ragione dell'oscillazione (più che dell'alternanza), nella vita della donna, fra le due posizioni. Stando alle osservazioni che seguiranno, sembra plausibile pensare la bisessualità più che come causa, come effetto dell'alternanza, come effetto del cambiamento d'oggetto che - Freud non manca acutamente di riconoscerlo - è “più di un semplice cambiamento d'oggetto”.
Già. E' proprio questo più di, come vedremo, a fare la differenza, a non permettere alcuna svolta verso il femminile. Ascoltiamo Lacan in un passaggio decisivo al riguardo:

“Per la donna la realizzazione del suo sesso non si fa nel complesso di
Edipo in modo simmetrico all'uomo, non per identificazione alla ma-
dre, ma la contrario per identificazione all'oggetto paterno………..
Ma lo svantaggio in cui si trova la donna quanto all'accesso all'identi-
tà del proprio sesso, alla sua sessualizzazione come tale, si trasforma
nell'isteria in un vantaggio grazie all'identificazione immaginaria al pa-
dre che le è perfettamente accessibile, specialmente in ragione del suo
posto nell'Edipo”(Lacan, Il Sem. Libro III, pagg. 202-203)

Abbiamo sentito bene? Lacan qui - e non solo qui - non dice che l'identificazione della donna all'oggetto paterno è un meccanismo tipicamente, esclusivamente isterico, dice - nientemeno - che l'identificazione immaginaria al padre rientra, in un certo senso, per la donna nell'ordine di una necessità evidenziando, nel contempo, la mancanza nell'Edipo femminile, di un'identificazione con la madre. Teniamo ben presente questo punto che ai fini del nostro discorso ha grande rilevanza. Va anticipato subito, che mentre Freud non rinuncerà mai ad affermare con ogni mezzo, anche a costo di sfibranti revisioni della sua teoria e sino al termine della sua vita, l'identificazione della bimba con la madre - quasi a voler operare l'impossibile quadratura del cerchio tesa a ristabilire con l'Edipo maschile una simmetria impossibile, Lacan eviterà prudentemente questa soluzione. Se il Nome del Padre - che dà fondamento alla Legge - è essenziale sul versante maschile alla strutturazione del simbolico, manca, - non senza ragione - sul versante femminile un Nome della Madre. Ciò ci permette di evidenziare, fra i due autori, analogie e differenze di vedute sui due versanti dell'Edipo il cui approfondimento necessita senz'altro di un lavoro più circostanziato. Si può già rilevare tuttavia, dal lato maschile, una prima affinità nel fatto che per entrambe, l'identificazione con il modello paterno (e la formazione dell'Ideale dell'Io), rappresenta la realizzazione dell'identità sessuale maschile e la via verso la “salute” ed una seconda analogia nel fatto che tale identificazione del bimbo con il padre con cui l'Edipo si conclude, si fonda sull'amore, un amore per Lacan “non dissociabile dall'identificazione”. Ciò che troviamo invece sul versante femminile, è un'importante differenza cui si è già accennato ma che vale la pena sottolineare: mentre Freud, pur di mantenere ad ogni costo l'identificazione della bimba con la madre finirà per fondarla sull'odio, Lacan non prenderà neppure in considerazione una tale eventualità fondando l'identificazione che produce l'Ideale dell'Io femminile sulle “insegne paterne”. Inutile dire che il silenzio di Lacan ha almeno una buona ragione: evitare l'impasse di Freud, facendo rientrare dalla finestra ciò che era stato chiuso fuori dalla porta: il Nome della Madre. Freud infatti, per non fondare la “normalità” della donna su un modello identificatorio maschile, finirà per edificarla sul modello materno il cui presupposto è l'odio anziché l'amore con le conseguenze che vedremo.
E dunque? Come trovare in questo labirinto un orientamento? Qual è - ammesso che ci sia - l'identificazione che permette ad una donna di diventare una donna?
Per quel tanto d'onestà teorica che l'analisi di un testo esige, ho rilevato poco fa che l'interpretazione di Lacan che spinge la disimmetria edipica oltre il cambio d'oggetto sino all'identificazione, potrebbe apparire una forzatura. Sotto il profilo metodologico, per evitare il sovrapporsi di due questioni distinte che nei testi troviamo spesso intrecciate, consideriamo in primo luogo e separatamente, l'identificazione della bimba con l'oggetto paterno e successivamente l'identificazione sul versante materno così come viene articolato nei testi indicati. Nel primo, “Il tramonto del complesso edipico” (1924), è facile notare che l'identificazione con il padre e la formazione dell'Ideale dell'Io ivi descritta come un sostituto dell'investimento oggettuale abbandonato, si riferisce esclusivamente all'Edipo maschile mentre, per quanto riguarda la bimba, il complesso edipico consiste nell'assumere un atteggiamento femmineo nei confronti del padre” (cfr. pag. 32) il che implica, senza dubbio, un'identificazione con la madre. Nello scritto del '25 Freud ammette un'identificazione della bimba con il padre evidenziandone, come conseguenza, una “fissazione” al complesso di “mascolinità”, mentre lo scritto del '31 sull'identificazione tace. Nel testo del '32, l'identificazione della bimba con il padre viene nuovamente menzionata insistendo, una volta di più, sul complesso di “mascolinità” che ne deriva e il cui risultato estremo sarà un'omosessualità manifesta. Freud dunque sembra considerare l'identificazione della bimba al padre se non proprio un evento normalmente presente nell'Edipo femminile, un evento limite fra patologia (isteria) e perversione (omosessualità). Bisogna tener presente infatti, che egli stesso contempla un esito non estremo dell'identificazione con il padre (il complesso di mascolinità) che qui, come altrove, e con un'insistenza anche maggiore, non esita a considerare un tratto del carattere inscrivibile nel campo della “normalità”. In sintesi, in questi scritti di Freud, l'identificazione della donna con il padre - cui Lacan si riferisce - pur essendo costantemente presente, lo è sempre in forma ambigua, mai esplicita. Si tratta di un'ambiguità scientemente perseguita, per il fatto che Freud nel bel mezzo del suo cammino, si imbatte in un paradosso (lo stesso rilevato da Lacan) tale da compromettere pesantemente il costrutto teorico secondo cui la famosa “svolta” verso il femminile avverrebbe grazie al cambio d'oggetto. Come è possibile sostenere l'accesso della bimba al femminile attraverso l'identificazione con un oggetto di sesso diverso dal suo? Ecco il paradosso della cui esistenza Freud è talmente consapevole che, ad un certo punto, per cercare di risolvere l'impasse in cui si trova impicciato, è costretto a trasformare l'antica identità simbolica pene = bambino in una differenza funzionale alla distinzione, nello sviluppo edipico della bimba, fra un desiderio “maschile” (il possesso del pene), e un desiderio femminile (il bambino). Sentiamo:

”Il desiderio con cui la bimba si rivolge verso il padre è indubbia-
mente, all'origine, il desiderio del pene che la madre non le ha con-
cesso e che ora essa si aspetta dal padre. La situazione femminile è
però affermata solo quando il desiderio del pene viene sostituito da
quello del bambino, ossia quando il bambino prende, secondo un'an-
tica equazione simbolica, il posto del pene” (La femminilità, Lez.33,
pag. 234) -
Sentiamo ancora, nel '38, quanto affermato, in modo, se possibile, più chiaro:

“….Il suo nuovo rapporto con il padre può avere inizialmente per
contenuto il desiderio di disporre del suo pene, ma culmina in un
altro desiderio, quello di avere da lui in dono un bambino. Il desi-
derio del bambino ha così preso il posto del desiderio del pene, o
quanto meno, si è da esso separato. (”Compendio di ps”., pag. 620)

Risulta qui palese il modo in cui Freud, non senza imbarazzo e con un artificio davvero ingenuo, tenta di aggirare il problema legato all'identificazione con il padre che rischierebbe d'inficiare sia la tesi della ”svolta” femminile nell'Edipo sia, soprattutto, quel passaggio oscuro nello sviluppo edipico femminile (mai risolto nella teoria), del cambiamento di zona erogena). Il fatto è - lo vedremo trattando dell'identificazione sul versante materno - che Freud, nell'intento di risolvere questo paradosso, si troverà invischiato in un'impasse teorica ancor più seria. Infatti, il tentativo di dar conto del desiderio femminile tramite il puro e semplice scambio pene-bambino, comporta la condanna del desiderio femminile alla funzione materna, l'identificazione fra sessualità femminile e procreazione e infine lo scambio di un desiderio femminile con un desiderio che, date le premesse, femminile non è. Questo è così vero, che per Freud, soltanto la nascita di un figlio maschio rappresenta per la donna il “coronamento idilliaco” di quel desiderio che egli, in palese contraddizione con se stesso, indicherà come femminile. Così Freud, dopo aver predicato per anni l'irriducibilità del campo del sessuale alla sfera riproduttiva, in omaggio alla donna, abdica ad uno dei capisaldi della sua teoria.
Per cogliere il senso della lettura di Lacan dei testi freudiani, è necessario dunque cercare nei testi stessi, ciò che non cessa di scriversi. Il desiderio di una donna, ho detto, è desiderio di essere una donna ed è proprio questo che a Freud sembra sfuggire anche benché vada riconosciuto che il suo parziale accecamento non gli ha impedito di avvertire con grande lucidità il limite della sua teoria sull'invidia del pene e, più in generale, sull'Edipo femminile. In effetti, se egli fosse stato davvero convinto di poter ridurre il desiderio della donna all'invidia del pene (“L'ha visto, sa di non averlo, vuole averlo”), o al desiderio di un bambino, non avrebbe avuto alcun ragionevole motivo di chiedersi “Che cosa vuole una donna?”. Se Freud se lo chiede è perché sa che ciò che una donna può volere (un bambino), non è precisamente tutto ciò che vuole, perché sa che invidia del pene e bambino sono lì a significare ben altro, a significare per la donna l'impossibilità di accedere, in quanto donna, ad un Luogo, (il simbolico) in cui manca un equivalente femminile del Fallo, e in cui lei può avere accesso solo prendendo a prestito il fallo immaginario di un altro. Sotto questo profilo, l'operazione di Lacan di spingere la teoria freudiana oltre il cambiamento d'oggetto e di zona erogena, per estendere al concetto d'identificazione la disimmetria esistente fra un uomo e una donna, è non solo legittima ma essenziale per cogliere l'Edipo femminile nella sua nudità.
A questo punto una domanda sorge spontanea: se a garantire alla bimba la “svolta” verso il femminile, l'affermazione della sua identità sessuale non è, né può essere, l'identificazione con il padre, qual è allora la condizione che le permetterà di diventare una donna? Lo può forse l'identificazione con la propria madre? Se con i dati attualmente a nostra disposizione e con l'aiuto a quelli che andremo a raccogliere, fossimo in grado di rispondere con una certa fondatezza teorica a questa domanda, potremmo forse incominciare a sciogliere quel nodo enigmatico in cui il mistero del femminile è custodito. Tuttavia, se iniziassimo a farlo considerando l'ipotesi, solo in apparenza più probabile, che la bimba possa diventare una donna tramite un'identificazione con la madre analoga ma inversa a quella che, al termine dell'Edipo, si verifica sul versante maschile, saremmo fuori strada costretti ad ammettere, fra un sesso e l'altro, una simmetria inesistente anche per quanto riguarda l'identificazione e - possiamo finalmente aggiungerlo - la formazione dell'Ideale dell'Io che, pur rappresentando un punto chiave nella nostra ricostruzione, dobbiamo rinviare per non trovarci irretiti in un labirinto di concetti che aggiungerebbero a difficoltà altre difficoltà.
Rileviamo per ora, che comunque stiano le cose a livello teorico, l'identificazione sul versante materno, pur presente soltanto nello scritto del '32, è quanto basta perchè ce ne occupiamo sottolineando, in grassetto, che lo spazio dedicato da Freud all'identificazione della donna con la madre, è davvero risibile. Ciò non manca, è evidente, di un'intima ragione: l'identificazione rappresenta, sul versante femminile della Legge, sul versante femminile del Nome del Padre fondante il soggetto, uno spazio teorico deserto incapace a dar conto dell'accesso della donna alla propria identità sessuale e al proprio desiderio di essere una donna.
Dall'analisi del testo del '32, l'identificazione sul versante materno è possibile a tre livelli: a) a livello pre-edipico in cui il modello identificatorio per la bimba è rappresentato dalla madre fallica;
b) a livello post-edipico in cui la bimba, identificandosi con la madre, ne prende il posto presso il padre;
c) ad un ultimo livello, fatale (che non compare in questo scritto), in cui l'identificazione con il primo oggetto d'amore comporta l'annientamento del soggetto (“L'ombra dell'oggetto è caduta sull'Io”) su cui Freud si era impegnato in “Lutto e melanconia”.
Se si considera il primo tipo d'identificazione descritta, quella pre- edipica alla madre fallica, è facile constatare che sul piano della nostra ricerca, per la bimba, di un modello identificatorio femminile e di un desiderio femminile, tale identificazione non differisce da quella con il padre caratterizzata, in un primo tempo per ammissione dello stesso Freud, dal desiderio di possesso del pene. Sul secondo tipo d'identificazione, post- edipica, in cui la bimba si sostituisce alla madre presso il padre, non possiamo far altro che ribadire la sua totale inadeguatezza a dar conto della formazione di un'identità sessuale femminile (ciò che accade, inversamente, sul versante maschile) essendo il desiderio -avere un bambino dal padre - una variante assai poco originale dell'originario desiderio del pene. Il terzo ed ultimo tipo d'identificazione della donna con la madre, è contenuto in “Lutto e melanconia” di cui ci occuperemo in seguito.
Rileviamo, per intanto, che il risultato finale delle due identificazioni qui contemplate da Freud e dell'identificazione con il padre (che vedremo all'opera nel caso di Dora), prive come sono di un reale modello identificatorio sessuale femminile, non ci autorizza a parlare né di un soggetto femminile, né di un desiderio femminile. Un motto di spirito di Lacan può dar ragione della problematicità - quanto meno - del termine “soggetto femminile”: “Quando si parla della relazione d'oggetto non è male chiedersi come “l'oggetto femminile” se lo rappresenti” (Lacan, “La relazione d'oggetto e le strutture freudiane (II), pag. 17). E questo motto di spirito contiene, si sa, un nucleo di verità non solo sulla costituzione del “soggetto femminile” ma anche sul suo desiderio che consiste per Lacan nell'essere il fallo, il significante del desiderio dell'Altro che situa la donna nella posizione di oggetto riducendo il suo desiderio al desiderio di essere desiderata.
E dunque? E' evidente, a questo punto, che per affrontare le due questioni congiunte - del soggetto e del desiderio femminile - è tempo di sapere se esista nella teoria psicanalitica la possibilità per la donna e - prima ancora per la bimba - di un'identificazione non con una madre fallica, non con una madre che assuma nei confronti dell'uomo-padre una posizione d'oggetto, non con una madre nella sua funzione materna e nemmeno con una madre grazie all'identificazione con la quale si produca l'annientamento del soggetto. E' tempo di sapere se al tramonto di un Edipo “intramontabile”, esista nella teoria un'identificazione con la madre in quanto donna, se esista insomma, un'identificazione “sana” della donna con la donna. Già. Non è forse ragionevole e teoricamente corretto pensare che l'unica via davvero idonea per la bimba a realizzare la propria identità sessuale femminile, sia la via in cui ad essere assunta come modello sessuale è la donna? Vale a dire qualcuno che non esiste se non come pas toute se non come La (barrato) donna?
Ebbene, credo che siamo giunti così al cuore della questione femminile, a quel nodo teorico insoluto individuabile in una duplice identificazione impossibile della bimba con la madre, della bimba con La (barrato) donna. Di questa identificazione impossibile - a livello del significante - Lacan ci ha già informati nel passo letto in precedenza in cui si allude allo “svantaggio della donna quanto all'accesso all'identità del proprio sesso” e a cui l'isteria pone rimedio sostituendo ad un'identificazione simbolica impossibile con La donna, (barrato) un'identificazione immaginaria con l'uomo.
Su questo ”privilegio” dell'isteria, Lacan tornerà di nuovo commentando il caso di Dora in cui si vede chiaramente che il vantaggio di cui si tratta non protegge affatto Dora dallo “scompenso nevrotico” di cui patisce e non permette a noi di dimenticare che la ragione della disimmetria fra i due sessi descritta da Freud e ripresa da Lacan, va situata a livello del significante rispetto a cui Dora - come ogni donna - si presenta disarmata. Infatti, l'identificazione immaginaria di Dora con il Signor K., appare del tutto inadeguata a fare di Dora - di una donna - una Donna. Di questa identificazione Dora si serve per sapere che cos'è essere una donna ed è evidente che se se lo chiede è perché non lo sa, è perché non lo è.
Do lettura a questo proposito, di un altro brano di Lacan:

“Quando Dora si trova a interrogarsi su Che cos'è una donna? tenta di
simbolizzare l'organo femminile come tale. La sua identificazione al
l'uomo, portatore del pene, è per lei in questa occasione un mezzo per
afferrare la definizione che le sfugge. Il pene le serve letteralmente da
strumento immaginario per cogliere ciò che non riesce a simbolizzare.
……….La metafisica della propria posizione è la via traversa imposta
alla realizzazione soggettiva della donna. La sua posizione è essenzial-
mente problematica e, fino ad un certo punto, inassimilabile. Ma una vol-
ta che la donna è impegnata nell'isteria, bisogna dire che la sua posizio-
ne presenta una stabilità particolare……….Quando la sua questione pren-
forma sotto l'aspetto dell'isteria, è molto facile per la donna porla per la
via più breve, cioè l'identificazione al padre.”
La disimmetria fra un uomo e una donna, ravvisabile sia nel cambiamento d'oggetto che nell'identificazione, è lì a segnalare una disimmetria nel significante per cui, essendo il Fallo l'unico simbolo per entrambe i sessi - è questo che intende Freud quando dice che c'è una sola libido ed è maschile - viene a mancare per la donna un simbolo equi - valente del Fallo idoneo a simbolizzare l'organo sessuale femminile. Lacan insiste molto, in entrambe i brani letti, sul fatto che la posizione della donna, rispetto alla propria identità sessuale, è una posizione “problematica” ed “inassimilabile”. E in “Encore” si spingerà oltre sostenendo che la donna è “assente da se stessa, assente in quanto soggetto” (pag. 35). Come dire che per la donna la via dell'isteria, della “mascolinità” e, nei casi estremi, della perversione, è, in un certo senso, più semplice e meno dolorosa. Quando andremo a considerare, infatti, alcune differenze fra melanconia ed isteria, soprattutto sul versante dell'identificazione, vedremo che si tratta proprio di questo. Prendendo a prestito un termine caro a Lacan, possiamo ribadire con una formula, che il punto nevralgico, il “reale” di tutta la questione femminile consiste in un'identificazione impossibile della donna con La (barrato) donna. In questa identificazione impossibile della donna con La (barrato) donna va individuata sia la causa originaria dell'orrore della bimba dinanzi alla scoperta della castrazione materna, sia la ragione dell'abbandono, dell'odio e del disprezzo del primo oggetto d'amore e della sua sostituzione con l'oggetto paterno, sia la ragione per cui il complesso di castrazione per la bimba segna l'inizio del complesso edipico.
Come, quando, perché” la bimba “si libera dalla madre?”, si chiede Freud in un rapido incalzare di domande che si rincorrono nel testo e a cui egli rifiuta di dare una falsa risposta pacificante come sarebbe - se lo volesse - l'appello all'eterosessualità. La risposta definitiva che Freud darà all'ultima di queste domande, è che la bimba non perdona alla madre d'averla fatta nascere donna - da una donna - possiamo aggiungere.
Sembra qui delinearsi per la madre l'orizzonte di una duplice colpa - essere una donna-
e aver generato una donna, permettendo così la trasmissione e la perpetuazione della sua stessa mancanza e, per la figlia, di un colpa causata dal suo essere donna. L'identificazione con la madre fallica, possibile nella fase pre - edipica proprio in virtù del possesso del fallo, con la scoperta della castrazione materna diventa impossibile nella misura in cui essa, in mancanza nel simbolico di un significante femminile equivalente al Fallo, evoca per la figlia lo scenario in cui la propria morte simbolica, come soggetto sessuato trova posto. E' quanto accade, infatti, nella melanconia in cui mancando, lo vedremo, la possibilità di sostituire il primo oggetto d'amore con un altro oggetto, l'identificazione narcisistica con l'oggetto amato diventa fatale. Rilevo qui, per inciso, il nesso esistente fra colpa e masochismo femminile.
Che cosa c'è dunque di così insopportabile, di così orrifico in questa identificazione da far sì che la bimba “si precipiti” - dice Freud - nella situazione edipica “come in un porto sicuro”, come in un “rifugio?” Ci giunge notizia, per esempio, dai misteri orfici che Demetra, vagando errabonda alla disperata ricerca della figlia Core, viene ospitata da Baubò che le offre da bere,in segno di ospitalità, il ciceone. Demetra, a causa del suo cordoglio, rifiuta di bere e Baubò, rattristata, mette a nudo i genitali e li esibisce alla dea che, rallegratasi alla vista dello spettacolo, accetta di bere il ciceone. Sentiamo i versi che Clemente Alessandrino attribuisce ad Orfeo:

“Così dicendo sollevò il peplo e mostrò tutta l'impronta,
nel corpo, per nulla palese: ma era fanciullo Iacchos,
e si slanciò ridendo con la mano sotto il grembo di Baubò.
E di questo sorrise la dea, si rallegrò nel suo cuore,
e accettò la coppa rilucente, in cui era il ciceone”.

Alla vista del genitale Demetra accetta di libare superando, per un attimo, il suo cordoglio e Iacchos, un fanciullo, ride, per nulla spaventato. Che cosa terrorizza dunque una bimba?
Su quale dei tre registri -immaginario, simbolico, reale - dobbiamo iscrivere l'intensità di questo orrore per riconoscergli quell'aspetto tragico che gli è proprio? E' evidente che attribuirlo alla scoperta, da parte della bimba, dell'evirazione della madre - come Freud suggerisce - nulla ci dice sul perchè la scoperta di questo evento susciti un'angoscia tale da produrre gli effetti che conosciamo - cambio d'oggetto e identificazione al padre. Occorre ricordare che del sacro orrore del femminile (di cui entrambe i sessi, fatte salve la dovute differenze, sono preda), Freud si occuperà nel '37 in “ Analisi terminabile e interminabile” considerando l'invidia del pene e la “protesta virile” due questioni analiticamente insormontabili.
Freud, per spiegare l'orrore del femminile, fa ricorso alla biologia mentre Lacan chiama in causa l'ordine significante. Infatti, a rendere impossibile l'identificazione della bimba sia con la madre che con La (barrato) donna è il fatto che non ci può essere identificazione sessuale- simbolica - con un sesso che, privo di un equivalente simbolico del Fallo, non può avere accesso alla rappresentazione della propria identità sessuale nell'ordine significante.
E' nell'orizzonte di questa impossibilità di rappresentazione - di questa morte simbolica - di questa forclusione, (è il caso di dirlo), della sessualità femminile dall'ordine significante, che possiamo individuare la radice dell'angoscia evocata dalla castrazione materna, ed è in questo stesso orizzonte che il rimprovero rivolto dalla bimba alla madre per averla generata donna può riempirsi di senso. Il punto d'orrore, immaginario, concerne dunque l'identificazione impossibile con una “mancanza” anatomica unicamente nel senso che questa mancanza rinvia ad una mancanza simbolica. In questo senso, solo in questo senso, “l'anatomia è il destino”. Abbiamo già anticipato che là dove quest'identificazione si realizza - è ciò che accade nella melanconia - gli effetti possono essere devastanti.
Ho usato il termine Verwerfung non senza pensarci essendo, com'è noto, la forclusione del nome del padre il meccanismo che presiede all'instaurarsi della psicosi. E' utile chiarire subito, a scanso di equivoci e per evitare un uso selvaggio dei concetti teorici a nostra disposizione, che la melanconia non è un psicosi e che nel nostro caso non si tratta della forclusione di un significante primordiale ma, più semplicemente, della forclusione de la donna che non solo non è un significante primordiale ma non è neppure un significante universale essendo il significante “la un significante che non significa nulla” (Lacan). Il che non manca, naturalmente, di avere su di lei gli effetti che vedremo.
Sulla necessità di considerare la questione femminile nel contesto del rapporto fra la donna e l'ordine significante, leggerei un ultimo brano di Lacan:

“L'esperienza dell'Edipo testimonia della predominanza
del significante nelle vie d'accesso alla realizzazione sog-
gettiva, giacchè l'assunzione da parte della bambina della
propria situazione non sarebbe affatto impensabile sul pia-
no immaginario. Ci sono tutti gli elementi perché la bambi-
na abbia della posizione femminile un'esperienza che sia
diretta e simmetrica alla realizzazione della posizione ma-
schile. Non ci sarebbe alcun ostacolo se questa realizzazio-
ne dovesse compiersi nell'ordine dell'esperienza vissuta,
della simpatia dell'ego, delle sensazioni. Eppure l'esperien-
za mostra una differenza che colpisce - uno dei due sessi è
necessitato a prendere come base della propria identifica-
zione l'immagine dell'altro sesso. Che le cose stiano così
non può essere considerato come una pura bizzarria della -
natura. Il fatto non si può interpretare che in una prospetti-
va in cui è l'ordinamento simbolico a regolare tutto”.(L.ibid.,p.208)

Tutto ciò non manca d'avere - dicevamo - degli effetti di cui isteria e melanconia rappresentano due possibili incarnazioni: tragicomica, per certi versi, la prima, decisamente tragica la seconda. Vediamo dunque di cogliere, finalmente, alcune differenze ed analogie fra queste due sofferenze considerando ancora una volta ma da un'angolazione un po'differente, il desiderio femminile nei termini in cui viene pensato da Freud. Sappiamo che questo desiderio si situa, per Freud, in un humus abitato più dalla categoria del dare-avere che da quella dell'essere: avere un pene, avere il padre, dare un bambino alla madre, avere un bambino dal padre. La categoria dell'essere interviene o per segnare un'appartenenza (essere la bimba del padre, essere la donna di, essere l'oggetto di) oppure per descrivere un'identificazione con il padre (essere come il padre). Ciò equivale a dire che sul versante dell'essere la donna ha due possibilità: essere per o essere come, essere il fallo per l'uomo o essere come un uomo. Il desiderio femminile eternamente incagliato fra questo per e questo come viene riconosciuto -quando capita - spesso troppo tardi al termine di un lungo viaggio nel tempo che finisce per coincidere per la donna con l'inizio del suo declino. Una donna, insomma, tutto può essere fuorché una donna ed è proprio questa sua mancanza ad essere a muovere, In principio, il desiderio di essere una donna. Il cambiamento d'oggetto, le peripezie che la bimba incontrerà nel suo processo di crescita e di maturazione, altro non sono se non le peripezie di chi - attraverso il cambio d'oggetto, l'invidia del pene e, infine, la nascita di un bambino - cerca instancabilmente nell'ordine significante un posto - il suo posto - che non esiste. Padre, uomo, pene, bambino, sono dunque strumenti provvisori, presi a prestito per cercare di dar forma a quel desiderio impossibile che consiste per una donna nel poter essere una donna.
Nell'esperienza clinica la ricerca insistente di questo posto affiora di continuo ritornando nelle forme più creative con una frequenza davvero impressionante: “firma d'approvazione”, “certificazione”, “timbro di conferma”, “marchio”, sono soltanto alcuni significanti con cui il posto viene nominato. La svista di Freud consiste nello aver scambiato un mezzo con il fine dimenticando, pare, che talvolta il fine giustifica i mezzi. Il fine del desiderio femminile, infatti, - poter essere una donna - e aver diritto come donna, ad un posto nell'ordine significante, non ha nulla a che fare con l'invidia del pene se non nel senso dell'identificazione immaginaria di Dora con il Signor K. se non nel senso che il Signor K. le serve come uno strumento, sia pure immaginario, per accedere all'ordine significante. Sappiamo tuttavia che l'operazione riesce solo parzialmente e temporaneamente perché lo “scompenso nevrotico” di Dora mostra che la realizzazione del desiderio femminile tramite l'identificazione con un rappresentante dell'altro sesso, è votata al fallimento di cui i sintomi di Dora sono il segno manifesto. In Dora, infatti, i desideri in giuoco sono tre: essere il Signor K, non essere il Signor K., essere la Signora K., ma il primo è soltanto un mezzo per realizzare il terzo che - beninteso - non è affatto realizzabile.
Al quadro tragicomico dell'isteria il quadro melanconico, più complesso, si contrappone nella sua tragicità; se sul piano del desiderio fra l'una e l'altra non c'è differenza, essendo il fine ultimo del desiderio - essere una donna - identico, cambia però il mezzo: non già nel senso che la melanconia ne avrebbe a disposizione un altro ma nel senso, più radicale, che il mezzo utilizzato dall'isteria, l'identificazione con l'altro sesso, appare nella melanconia in tutta la sua caducità.
La melanconia ha dunque, rispetto all'isteria, una chance in meno per l'impossibilità che incontra nel “deviare” sull'oggetto paterno l'attaccamento al primo oggetto d'amore. Detto altrimenti, il cambio d'oggetto che tanto ha dato da pensare a Freud e a Lacan e che ha impegnato questa ricerca, non si verifica. Se l'isteria “predilige” la via traversa dell'uomosessualità (Lacan), lo fa sapendo di non avere scelta: la sola alternativa possibile, infatti, (l'identificazione con la madre, con La (la barrato) donna), non è la via regia alla rappresentazione della sua identità sessuale, ma la via della propria morte (simbolica).
Che cosa accade dunque nella melanconia? Che cosa accade quando anche l'ultima illusione - il cambio d'oggetto - non è immaginabile? Accade che essendo impossibile l'identificazione con l'oggetto maschile, l'identificazione impossibile con il primo oggetto d'amore diventa - è il caso di dirlo - fatale. Noi sappiamo infatti, per averlo, spero, sufficientemente esplorato, quale rischio comporti per la donna l'identificazione con la madre o con La (la barrato) donna: il rischio di trovarsi a diretto contatto con la dimensione della propria scomparsa, della propria non rappresentabilità come soggetto femminile.
Il versante tragico della melanconia consiste in tre identificazioni egualmente impossibili: l'identificazione con il padre, l'identificazione con la madre, l'identificazione fatale con La (la barrato) donna. Questo processo non lo troviamo illustrato da Freud nelle opere dedicate alla sessualità femminile ma viene magistralmente descritto in” Lutto e melanconia” dove, poeticamente viene evocato ciò di cui si tratta: ”L'ombra dell'oggetto è caduta sull'Io”. Stupenda metafora per nominare un declino, quasi il calare di un sipario sul destino del femminile, lo stesso della propria madre. Ma anche il calare di quel velo che avvolge un soggetto nella spirale depressiva. Il lutto nella melanconia femminile è costituito da una doppia perdita: la perdita del fallo materno (che il fallo paterno non può sostituire perché ciò di cui la donna ha bisogno per situarsi sessualmente nell'ordine significante con la propria identità femminile non è il fallo maschile ma un suo equivalente femminile; un fallo, insomma, non ne vale un altro) e la perdita del femminile come causa del desiderio di essere una donna. Il lavoro del lutto è così difficile nella melanconia femminile perché, lei sa che la “trovata” dell'isteria avrà da fare i conti con il Tempo inteso come durata di un'illusione. La melanconia anticipa ciò che l'isteria, complice l'oggetto, ritarda ma spesso non evita e quando questo accade i sintomi di conversione che, per certi versi rappresentavano un'importante risorsa, cessano, trapassando in depressione melanconica. Vale davvero la pena di ascoltare Freud:


“Non è difficile ricostruire questo processo. All'inizio ebbe luogo
una scelta oggettuale, un svincolamento della libido a una deter-
minata persona, poi, a causa di una mortificazione o di una delu-
sione subita dalla persona amata, questa relazione oggettuale fu
gravemente turbata. L'esito non fu già quello normale, ossia il ri-
tiro della libido da questo oggetto e il suo spostamento su un nuo-
vo oggetto…..L'investimento oggettuale si dimostrò scarsamente
resistente e fu sospeso, ma la libido divenuta libera non fu spo -
stata su un altro oggetto, bensì riportata nell'Io. Qui non trovò pe
però un impiego qualsiasi, ma fu utilizzata per instaurare una iden-
tificazione dell'Io con l'oggetto abbandonato. L'ombra dell'ogget-
to cadde così sull'Io………Se da un lato deve essere stata presen-
una forte fissazione all'oggetto d'amore, d'altro lato,invece, l'in-
vestimento oggettuale deve avere avuto scarse capacità di resi-
stenza”.(pag.110) -
Come non sentire nello stile di questo passo e in quello che leggerò fra pochissimo, la stessa tonalità che troviamo- mi limito ad un esempio soltanto - in “Al di là del principio di piacere” in cui Freud, quasi dimentico del suo debito con la scienza, sembra volare più alto riservando alla descrizione dell'Edipo femminile la sua formulazione forse più felice. I termini “mortificazione” e “delusione” sono riconoscibilissimi. Ma ascoltiamo ancora:


“Nella melanconia le occasioni che danno luogo allo scoppio del-
la malattia……….si estendono a tutti quei casi di mortificazione,
di sensazione di aver subito un torto, di delusione, che o generano
un contrasto fra l'amore e l'odio o possono rafforzare un'ambiva-
lenza già esistente…….Quando l'amore per un oggetto si è rifugia-
to nell'identificazione narcisistica - ma si tratta di un amore a cui
non si può rinunciare nonostante si sia rinunciato all'oggetto stes-
so - accade che l'odio si metta all'opera contro questo oggetto sostituti-
vo oltraggiandolo…..”

“Torto subito” amore irrinunciabile ma anche quell'ostilità che Freud non esita a chiamare col suo nome: odio. Ci sono tutti gli ingredienti essenziali, tipici nella relazione edipica fra la bimba e la propria madre. Ma a suggerire una direzione “femminile” nella lettura del testo c'è di più: la minaccia d'evirazione che per il bambino non può essere considerata un torto subito ma un pericolo a venire e che porrà fine al complesso edipico. Inutile dire che neppure l'odio conseguente al torto subito, è generalmente riscontrabile nella relazione madre - bambino. Benché Freud in “Lutto e melanconia” ricostruisca il processo melanconico in modo neutro, quasi asettico, limitandosi a descrivere le complesse dinamiche nel rapporto fra l'Io e l'oggetto, senza mai nominare esplicitamente l'Edipo femminile, senza alludere alla polarità maschile - femminile, senza dedicare apertamente questo scritto alla melanconia femminile, si ha l'impressione che, in realtà esso, come nessun altro e forse più d'ogni altro, contenga la chiave d'accesso per intendere la radice originaria della melanconia femminile, una sofferenza assai più diffusa di quanto non si creda che trova nella donna il proprio habitat ideale.

Al termine di questo primo flash orientativo sull'Edipo femminile, un dato emerge con sufficiente chiarezza: la mancanza per la donna, nel corso della sua evoluzione edipica, di un modello identificatorio femminile tale da permettere l'accesso alla proprio sesso e al proprio desiderio.
Abbiamo visto la posizione di Lacan oscillare fra un'identificazione al padre in cui vago ed evanescente si fa il discrimine fra patologia e “salute” e un modello identificatorio femminile del tutto assente al posto del quale troviamo un'identificazione della donna al fallo. La posizione di Freud al riguardo, assai più complessa e ambigua, sembra articolare con maggior chiarezza il nesso fra l'identificazione al padre e le sue conseguenze sul piano patologico e perverso (eccezion fatta per il “complesso di mascolinità”) ma giunge a postulare un'identificazione con il modello femminile materno fondato per un verso sulla maternità e per un altro sull'odio, senza raccoglierne minimamente le conseguenze. Non c'è dubbio che se il desiderio di una donna è di essere una donna, tale desiderio - di differenza - nella teoria non è contemplato né si vede come potrebbe esserlo al termine di una di una cura.
La questione importante - cui si può solo accennare - è vedere se i limiti, i buchi riscontrati nella teoria analitica sull'Edipo femminile, debbano essere considerati il frutto di una concezione fallocentrica o trovino la loro radice irriducibile - una “roccia” - per dirla con Freud, nell'ordine di una Legge (l'ordine della “cultura”) che l'Edipo femminile mette vergognosamente a nudo e di cui la clinica e la teoria sarebbero la sola risultante possibile e necessaria. Si ripropone dunque l'incontro - o lo scontro - con una vexata questio centrata sul rapporto fra la teoria psicanalitica (il cui statuto epistemologico non è ad altri assimilabile) e l'ordine istituito di una “cultura” preesistente al soggetto. A far nodo con l'Ordine della “cultura” e la Teoria, c'è la Clinica che, alimentata - o contaminata - dal primo, nutre a sua volta la teoria diffondendo il contagio. Credo che un'indagine aggiornata sul nesso che tiene annodati questi tre elementi - Ordine significante, Clinica e Teoria - sia preliminare non solo ad ogni valutazione critica sul fallocentrismo di Freud e di Lacan (sui quali non per caso ho indugiato), ma anche ad ogni ambizione revisionista che mi sembra del tutto prematura: è ciò che intendevo all'inizio quando affermavo che la fondazione del Forum rappresenta una considerevole anticipazione temporale per cui fra il momento conclusivo che esso storicamente segna e il livello d'elaborazione teorica non ci sia corrispondenza. Occorrerà la pazienza del cammello prima che il cammello diventi leone e il leone diventi fanciullo…..diceva un saggio.
Se posso esprimere un desiderio e un auspicio vorrei che il Forum nel misurarsi con il senso epocale della sua portata racchiuso nella formula c'è Altro dall'Altro - che significa segnare nel simbolico una differenza dal simbolico - fosse il Luogo di elaborazione di una teoria e di un'etica della differenza e della possibilità reale, voglio dire simbolica, di impostare su questa differenza la direzione di una cura.
La fondazione del Forum, così la vedo, è un atto che ha a che fare con la conclusione di un lutto di cui il “rimaneggiamento” del simbolico rappresenta un momento decisivo che dovrebbe culminare - a dar retta ad Holderlin - nel “dire gioiosamente il gioiosissimo.” Da dove cominciare?

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