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Il concetto di rettifica dalla Lezione 28 di Sigmund Freud

di Maria Vittoria Lodovichi

    


Ho riflettuto su questo argomento data la constatazione del disagio da parte delle persone che presentano una domanda di ascolto e si rivolgono indifferentemente allo psicologo, allo psicoterapeuta e, perché no, allo psicanalista, senza intenderne le specificità.
La differenza fra psicoterapia e psicanalisi è di difficile definizione, ma può essere recuperata teoricamente partendo dal concetto di rettifica che definisce la posizione di analista e analizzante.
    La cura psicanalitica riguarda appunto la rettifica dei rapporti del soggetto con il reale,  notazione che vale per il soggetto in analisi e quindi per l'analista. Il concetto psicanalitico di rettifica sancisce un momento specifico nel quale viene messa alla prova la conduzione della cura.
    La psicanalisi è la scoperta di Freud: l'inconscio il suo sentiero. Gli psicanalisti non devono rimuovere il fatto che la psicanalisi è la radice e la fonte delle psicoterapie, le quali, spesso, osano fino al loro completo stravolgimento interpretativo.
    Bisogna compiere l'atto di riconoscimento di aver abbandonato il concetto di ipnosi per quello di transfert. Freud comprende che il sentiero dell'ipnosi pone il sapere dalla parte del medico ed esclude il paziente. La psicanalisi decolla con il desiderio di Freud di speculare e verificare la teoria psicanalitica, che nasce dalla riflessione di quel particolare che per ogni paziente l'analista stabilisce, in modo tale che la storia della guarigione di un paziente sia altrettanto interessante quanto quella della malattia.
    Questa riflessione riguarda ciò che Freud scrive sulla cura psicanalitica e sulla ripresa di questi concetti da parte di Jacques Lacan.
    La parola rettifica deriva dalla voce dotta latina della scolastica rectificare, -atio, costruito su rectilineus, rectiangulus degli antichi gromatici.
La parola rettification, compare per la prima volta in una relazione di J. Lacan tenuta a Royamont nel luglio del 1958 intitolata "La direction de la cure et le principes de son pouvoir"; non è rintracciabile nel percorso freudiano, anche se il concetto può essere intuito nell'Opera di Freud.
    Tornando al tema proposto, alla Lezione 28 di Freud, intitolata La terapia analitica; si legge che la cura psicanalitica impone tanto all'analista quanto al soggetto un lavoro pesante che viene utilizzato per abolire le resistenze interne. Con il superamento di queste resistenze la vita psichica del malato viene mutata permanentemente, elevata a un grado superiore di sviluppo e preservata da nuove possibilità di malattia. Freud in seguito modificherà il suo pensiero sul concetto di superamento della resistenza, ma osserviamo che nel soggetto, grazie alla relazione psicanalitica, avvengono cambiamenti sostanziali.
    Il lavoro di superamento dei sintomi è la prima ricerca freudiana, in seguito viene da lui abbandonato per seguire il metodo delle libere associazioni.
    Nella esperienza di analisi l'analista lavora sulla traslazione, sciogliendo ciò che gli si oppone, mettendo a punto lo strumento con il quale intende operare. La nozione di transfert è l'unica che l'analista impara, per così dire, a proprie spese, dato che la clinica psicanalitica propriamente non si impara mai. Infatti a volte l'errore indovina la verità, oppure l'esattezza centra l'abbaglio.
    Quale è il problema del nevrotico? Di che cosa si ammala? Quale elemento è alterato?
    Il nevrotico è incapace di sostenere e di usufruire del godimento se non per via sintomatica. E' incapace di agire perché la sua libido non è rivolta verso alcun oggetto reale infatti spende gran parte della propria energia per mantenere rimossa la libido e premunirsi contro il suo assalto. Un sentiero dell'esperienza psicanalitica concerne l'apprendimento della gestione di quel poco di buono che ciascuno possiede residuo di un fallito della rimozione.
    Ogni analista sa che nel sintomo rintraccia oltre al godimento anche il senso di colpa e di pena, quindi deve stare attento a non voler sanare a tutti i costi e a tenere conto della traslazione.
    La traslazione è dunque l'ambito della rettifica.
    Se tutta la libido viene concentrata su questo unico obiettivo, ovvero il rapporto con l'analista, i sintomi si trovano a non poter usufruire della libido. Al posto dell'uso patologico della libido subentra l'uso della libido prodotta dalla traslazione. Così la rettifica, o modificazione soggettiva prende atto. A questo punto il lavoro psicanalitico attua il passaggio che lo contraddistingue dalle altre psicoterapie, quello dal vis-à vis al lettino: dalla funzione dello sguardo, gratificante per il paziente, alla concentrazione d'ascolto, alla responsabilità dell'analista rispetto a ciò che egli ode.
    Occorre ricordare che il lavoro psicanalitico si scompone in due fasi: nella prima tutta la libido, tolta ai sintomi, viene spinta nella traslazione e qui concentrata; nella seconda si sostiene e si conduce  la lotta intorno a questo nuovo oggetto fino a quando la libido non venga liberata da esso.
    L'inizio della guarigione, che coincide con l'apertura verso un nuovo discorso per il paziente, o la fase terminale dell'analisi, che articola la rettifica, è spesso caratterizzata da un ritorno dei conflitti strutturali che hanno il contenuto fondamentale della elaborazione compiuta durante la parte principale dell'analisi. Una volta ancora incombe la necessità di una elaborazione che fornisca una diversificazione degli investimenti affettivi edipici all'esterno della famiglia, stemperando con l'analisi e il transfert gli aspetti più criminogeni del dramma familiare.
    La tecnica psicanalitica è tanto utile quanto difficile da insegnare, scrive Freud, perché è basata sulla propria capacità di autorizzarsi a compiere l'atto analitico. Il transfert nasce dalla supposizione di un sapere, un sapere sul nostro sapere sull'inconscio. Fino qui Freud....

    Jacques Lacan così procede:
“Nella direzione della cura vi è un ordine secondo un processo che va dalla rettificazione dei rapporti del soggetto con il reale, allo sviluppo del transfert, quindi alla interpretazione.”
    Jacques Lacan, come Freud, conferma che la direzione della cura è tenuta dallo psicanalista e consiste nel far applicare al soggetto il patto analitico dato all'inizio in forma di consegna. Esso apre il sentiero della elaborazione teorica dell'analista e dà la consapevolezza di trovare i fondamenti dell'impresa comune che fanno emergere difficoltà sia per l'analista che per il paziente.
    Le difficoltà compaiono per l'analista nei seguenti riferimenti fondamentali: l'interpretazione, il prestare la propria persona nel transfert e col pagare con ciò che di essenziale c'è nel suo più intimo giudizio.
    L'analista dovrebbe essere libero e sicuro nell'azione psicanalitica, ma questo non avviene sempre: allora dovrebbe comprendere che forse si trova coinvolto più nel suo essere che come analista. L'analista è interprete di ciò che viene presentato in discorsi o in atti e da qui parte l'interpretazione. Egli è lontano dal poter misurare l'effetto delle sue parole ma se è consapevole di ciò può provvedere.
    L'analizzante fa della persona dell'analista il supporto dei propri fantasmi, l'analista si abbandona al proprio inconscio per integrare l'inconscio del paziente, in modo tale che la propria costruzione termina nel ricordo dell'analizzante. A volte non si è capaci di produrre un proficuo lavoro. Allora si ha evocazione, liberazione, assestamento del sapere, percezioni di verità. Il racconto della vita del paziente, delle relazioni con la famiglia divengono il lavoro immaginario. L'analista nel lavoro psicanalitico sospende il controllo cosciente dei propri pensieri, non trascura ciò che è evidente, ovvio. Egli tralascia ogni preoccupazione sistematica. Ed è proprio questo sconvolgimento delle regole che permette al soggetto in analisi di reperire l'interrogativo centrale della sua nevrosi anziché essere preso dal discorso intenzionale.
    L'ascolto analitico va oltre il dire del paziente per situarsi nelle pieghe della parola da cui la domanda pulsionale urge e che quel significante concentra.
In Fonction et champ de la parole et du langage en psychanalyse (1953) Lacan scrive che l'interpretazione decifra la diacronia delle interpretazioni inconsce e introduce nella sincronia dei significanti qualcosa che subito rende possibile la traduzione. Ciò è consentito dalla funzione dell'Altro.
    In un libro divertente di Jacques Lacan intitolato Salvatore dell'Io, Jacques Lacan, Istruzioni per l'uso, si legge che l'Altro è il luogo del discorso dell'inconscio, tesoro dei significanti, posizione della domanda, orizzonte del desiderio del desiderio, assenza di Altro dell'Altro.
    La dottrina lacaniana del significante è prima di tutto apprendimento della capacità di sorprendere chi si è divenuti durante il nostro dire nella seduta, ciò deriva dalla formazione nella quale la pratica di ascolto insegna i modi di effetto nei quali il significante opera nell'evento del significato. Ciò deriva dal fatto che l'inconscio è strutturato come un linguaggio e quindi non si possono avere  a priori regole per interpretare.

    Freud, nel caso clinico di una nevrosi ossessiva, divenuto in seguito noto come quello dell'uomo dei topi procede per ordine inverso. Introduce il paziente al primo reperimento della propria posizione nel reale. Nel caso clinico Dora, il frammento di un'analisi di isteria, lo Psicanalista fa constatare alla giovane paziente, che al grande disordine del mondo ella ha fatto ben di più che partecipare, ha compiaciuto gli eventi.
    Fin dal 1902 , alle prime riunioni della Società psicologica del mercoledì, Freud proponeva alla discussione frammenti e dettagli clinici, esponeva anche ai congressi elementi dei casi. I presenti sono cono sempre colpiti dalla “facilità di espressione” dal modo superlativo in cui mette in ordine i resoconti in un materiale così complesso.
    Occorre tenere presente che il pensiero dell'analista è portato a far sospendere al soggetto le sue certezze, finché se ne consumino gli ultimi miraggi.
    Conviene ricordare che l'identificazione primaria richiama la potenza materna, cioè quella che non solo sospende all'apparato significante la soddisfazione dei bisogni, ma li frammenta, li filtra, li modella sulla struttura della catena significante.
    L'amore, scrive Lacan, nel sentiero del transfert diviene dare ciò che non si ha.     Il soggetto invece può aspettarsi di riceverlo visto che l'analista non ha niente altro da dargli. Ma appena questo niente viene donato, di fatto questo niente è ciò che si paga.
    Così i bisogni sono costretti a sopportare lo stesso doppio registro su cui opera il significante: 1) Sincronico di opposizione fra elementi irriducibili. 2) Diacronico di sostituzione e combinazione, grazie a cui il linguaggio struttura completamente la relazione interumana.
    Così possiamo precisare che l'identificazione all'analista consiste con quella dei significanti. Nello sviluppo dell'analisi l'analista lavora sulle articolazioni della domanda del soggetto, ma deve risponderne unicamente dalla posizione di transfert.
    Il desiderio si coglie solo nell'interpretazione, mentre l'elaborazione del soggetto è nutrita dal desiderio. Questo sentiero è ciò che si manifesta nell'intervallo scavato dalla domanda al di qua di se stessa in quanto il soggetto articolando la catena significante porta alla luce la mancanza ad essere, insieme all'invocazione a riceverne il complemento dall'Altro.
    Ma che cosa è il desiderio? E' l'impossibilità di questa parola che esige una divisione, mentre la regressione verte sui significanti orali, anali ecc. della domanda e interessa la pulsione. Ridurre la domanda significa ridurre il desiderio, il che significa dar sollievo ai bisogni e trovarsi così a lavorare con il fantasma grazie a cui il soggetto si regge al livello del proprio desiderio evanescente, dato che la stessa soddisfazione della domanda gli sottrae il suo oggetto.
    L'esperienza di analisi costruisce il processo della graduale diminuzione degli errori fatti dal soggetto sull'oggetto (a). Nella sua storia egli non ha fatto altro che ingannare tale oggetto, facendogli supporre risapute ciò che invece erano verità nascoste. L'asse di questo processo è il desiderio dell'analista che non si manifesta in segni ma in domanda di niente. Ciò che si propone al paziente è l'accettazione della sua insufficienza iniziale riguardo al desiderio di sapere, ma ciò gli sarà utile per sopportare la sua divisione di soggetto.
    La cura psicanalitica non definisce uno scopo, per questo non possiamo dargli un senso se non quello di produrre un analista.
    Nella pratica di ascolto il dire del paziente, privato dell'intenzionalità permette di riconoscervi sia il vero che il falso, o meglio l'insufficienza del linguaggio apre ad una ipotesi terza nella quale il soggetto trova un proprio punto etico che traccia il sapere personale.
    E' forse arrischiato considerare l'opposizione del vero e del falso come un terzo sistema; soltanto se si situa a livello di una proposizione all'interno di un discorso, la partizione tra il vero e il falso non è né arbitraria, né modificabile, né istituzionale, né violenta ma forse va verso quella neutralità che l'analista può assumere.
    Concludo con una citazione.......
Ciò che hai ereditato dai padri, riconquistalo, se vuoi possederlo davvero.
Wo Es war, soll Ich werden.

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