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IL RICONOSCIMENTO DEI DISTURBI EMOTIVI NELLA MEDICINA DI BASE:IL RUOLO DELLA COMUNICAZIONE MEDICO-PAZIENTE

Anna Saltini

Servizio di Psicologia Medica

Istituto di Psichiatria

Università di Verona - Ospedale Policlinico

INTRODUZIONE
L'INTERLOCUTORE DEL MEDICO DI BASE
L'APPROCCIO AL PAZIENTE E ALLA MALATTIA
L'INTERVISTA MEDICA
IL MEDICO DI BASE E L'IDENTIFICAZIONE DEI DISTURBI EMOTIVI: EVIDENZE DEL RUOLO DELL'INTERVISTA MEDICA
LA FORMAZIONE DEL MEDICO DI BASE. QUALI BENEFICI?
CONCLUSIONI

BIBLIOGRAFIA

L'interlocutore del medico di base

Il medico di base vede ogni giorno pazienti con problemi multipli, cioè disturbi organici, problemi psicologici o sociali. Egli interagisce inoltre con pazienti che presentano, attraverso le più differenti modalità espressive, problemi di tipo familiare, economico e di lavoro. A differenza del setting specialistico nel quale la "selezione" per un più specifico disturbo è già avvenuta, nel setting della medicina di base appare talvolta più complesso, tra la molteplicità dei problemi presentati, individuare il problema principale ed i disturbi clinicamente rilevanti.

Difficoltà di riconoscimento dei disturbi emotivi si evidenziano allora, in particolar modo, quando il paziente soffre di un disturbo organico oppure di malattie gravi o croniche. Freeling e collaboratori (1985) hanno osservato che effettivamente i medici non riconoscono la presenza di depressione quando essa si accompagna alla presenza di una malattia organica grave. Nel caso il paziente soffra di una malattia cronica, il medico tende infatti a rivolgere l'attenzione al disturbo noto, trascurando di accertare l'eventuale presenza di disturbi emotivi e inducendo, allo stesso tempo, il paziente a fornire informazioni concernenti principalmente il disturbo in questione, con la conseguente riduzione delle probabilità che egli riferisca in seguito, durante la visita, i segni di una sofferenza emotiva qualora essa sia presente.

La riduzione della resistenza agli stress (il paziente, ad esempio, sopporta meno sintomi preesistenti per i quali non aveva ritenuto opportuno in precedenza consultare il medico) e l'aumento della vigilanza per le sensazioni somatiche, inducono i pazienti con disturbi emotivi a consultare il medico ed a sottoporre alla sua attenzione sintomi e disturbi organici. A causa della notevole "interferenza organica", i sintomi del disturbo emotivo possono così rimanere anche in questo caso latenti.

Una fra le più comuni cause di mancato riconoscimento dei disturbi emotivi è rappresentata dalla somatizzazione. Sono per altro proprio i casi di somatizzazione che maggiormente si prestano a fenomeni di collusione tra medico e paziente. Il medico, infatti, può sentirsi maggiormente a proprio agio valutando disturbi somatici piuttosto che un disturbo emotivo (magari anche sospettato) che richiede competenze delle quali non si sente sicuro, mentre il paziente può trarre la "soddisfazione attesa" dalle attenzioni di tipo biomedico e dalla prescrizione di trattamenti farmacologici o di indagini cliniche.

In questi casi, medico e paziente scelgono dunque quella che per entrambi appare la "strada più semplice". Il medico non deve indagare ed in seguito gestire il disturbo emotivo, mentre il paziente non deve affrontare direttamente il proprio disagio e forse, in parte, la propria responsabilità per l'attuale difficile situazione.

Nel caso della riacutizzazione di disturbi organici od in presenza di sintomi giudicati dal medico come banali, appare importante individuare le ragioni implicite che possono aver condizionato la richiesta di consultazione. Il medico dovrebbe cioè chiedersi per quale motivo, a parte le ragioni esplicite, il paziente abbia deciso di contattarlo "proprio in quel momento". La risposta a questa domanda consente una più corretta interpretazione delle informazioni raccolte.

Le ragioni implicite della consultazione, oppure la presenza di altri problemi o disturbi oltre a quelli già riferiti all'inizio della visita, vengono molto spesso esplicitate dal paziente soltanto al momento della conclusione della visita stessa. Questi "annunci tardivi", che costituiscono quella che Barsky (1981) definisce hidden agendas del paziente, riguardano nella maggior parte dei casi contenuti di tipo psicologico e dipendono dalla percezione che il paziente ha delle "aspettative" del medico circa il tipo di disturbi da presentare alla sua attenzione (Beckman & Frankel, 1984) e dal tipo e contenuto degli interventi del medico nel corso dell'intervista. A questo proposito, White e collaboratori (1994) hanno osservato che una particolare attenzione da parte del medico, fin dall'inizio della visita, alle emozioni espresse dal paziente ed agli aspetti psicosociali, il chiarificare i problemi del paziente e la valutazione della "teoria" che il paziente ha circa i sintomi ed i disturbi riferiti, contribuisce a ridurre il numero di nuovi problemi sottoposti all'attenzione del medico soltanto al termine della consultazione.

Il modo in cui vengono espressi i disturbi emotivi da parte del paziente influenza la possibilità del loro riconoscimento da parte del medico. Per altro, alcuni pazienti non hanno, o non manifestano chiaramente, una percezione dei propri disturbi in termini emotivi. Durante l'intervista medica questi pazienti espongono i propri problemi in termini organici piuttosto che in termini di disagio psicologico, appaiono riluttanti nel riferire spontaneamente contenuti di tipo psicosociale (Burack & Carpenter, 1983), inducendo così il medico ad orientare la propria indagine nella direzione del disturbo somatico. In questi casi, il disagio emotivo può pertanto arrivare all'attenzione del medico soltanto se egli decide di indagarne l'eventuale presenza in modo preciso e diretto.

La modalità di esporre i disturbi psicologici in termini prevalentemente organici sembra essere per altro indotta dal setting stesso della medicina di base, nel quale i pazienti tendono a ritenere che il medico sia principalmente interessato a malesseri ed a sintomi di tipo fisico piuttosto che psicologico e ciò appare tanto più evidente quanto più essi sono stati "condizionati" a riferire informazioni riguardanti in prevalenza sintomi e disturbi organici. Di fatto è stato riscontrato che solo una minoranza dei pazienti che si rivolgono al medico di base (anche tra coloro che presentano disturbi emotivi) menziona un disturbo di tipo psicologico all'origine della richiesta di consultazione, mentre la maggioranza riporta un sintomo od un disturbo di natura organica secondo una modalità che è risultata comune a pazienti di diversi paesi del mondo (Ustun & Sartorius, 1995).

La tendenza a riferire al medico di base sintomi o disturbi in prevalenza di natura organica, non sempre rappresenta uno scarso bisogno di affrontare problemi di natura psicologica. Good e collaboratori (1987) hanno infatti osservato che più del 70% dei pazienti della medicina generale ritiene che sia appropriato rivolgersi al medico per ricevere un aiuto per disturbi emotivi, problemi familiari, problemi sessuali o di comportamento. Esiste pertanto una disparità tra quelli che i pazienti ritengono essere i problemi da sottoporre all'attenzione del medico ed i problemi che di fatto vengono generalmente riferiti durante l'intervista medica.

Lo studio condotto da Bensing e Sluijs (1985), nel quale sono stati valutati gli effetti di un training centrato sulla conduzione dell'intervista medica rivolto ai medici di base, ha messo in evidenza l'effetto di quelle che i pazienti ritengono essere le aspettative del medico circa il tipo di disturbo da sottoporre alla sua attenzione.

Dopo il training il comportamento dei medici era cambiato nella direzione attesa dagli autori. I medici erano più empatici, conducevano l'intervista in modo meno direttivo e lasciavano più spazio agli interventi dei pazienti. Questi cambiamenti dello stile di intervista non avevano tuttavia prodotto una sostanziale modificazione della frequenza con la quale i pazienti esponevano i propri problemi in termini psicologici, come si prevedeva al contrario di riscontrare. Gli autori ritengono che i pazienti, abituati allo stile di intervista precedente al training, avessero bisogno di tempo per modificare la propria percezione circa le aspettative del medico, verosimilmente definita anche sulla base del comportamento tenuto dal medico stesso durante le interviste precedenti. In altri termini, lo stile di intervista adottato dal medico aveva "educato" il paziente a riferire un certo tipo di sintomi piuttosto che ad esplicitarne altri od esporre problemi di tipo psicosociale.

E' quindi verosimile che, seppur con le variazioni individuali o culturali, il comportamento del medico durante l'intervista ed il tipo di approccio al paziente possano influenzare (o educare) anche le attitudini dei pazienti nei confronti dei disturbi emotivi e della salute in generale.


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