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PSICOPATOLOGIA CLINICA DI UN'ESPERIENZA MANIACALE

Maria Teresa Ferla, Chiara Guglielmetti

Servizio di Psichiatria dell'Azienda Ospedaliera "Maggiore della Carità", Novara

(Il lavoro si deve ai due autori in parti uguali)

 

 

 

Premessa psicopatologica

Retroscena

La storia

La sua famiglia

Temperamento e personalità premorbosa

La storia clinica

Atto secondo

Discussione

Bbiliografia

Retroscena

Cosa ci sia dietro questo caso di ordinaria e classica storia maniacale che ora andiamo a descrivere ci è sembrato essere la modalità di vivere lo spazio e quindi la realtà del maniacale stesso: uno spazio, una realtà, dai confini assolutamente mobili e dilatati verso infinite prospettive in cui il mondo della fantasia, del sogno e del gioco prevaricano sul mondo reale. Ma in questo spazio "virtuale", in cui l'esperienza maniacale fa precipitare la paziente di cui narreremo la storia, l'unica condizione in cui è possibile continuare a vivere è quella della recitazione, della continua entrata e uscita da un personaggio all'altro. È il mondo dell'apparenza, intesa nella sua superficialità, come mondo in cui ciò che conta è lo sfolgorio dei colori, l'invadenza dei profumi, la clamorosità dei suoni, le vibrazioni della pelle: proprio come sul palcoscenico ove bisogna "apparire" per vivere.

Eppure questa esperienza della "superficialità" intesa come captazione sottile ed estrema dell'apparenza, dell'aspetto apparente e appariscente del reale, rivela anche l'esigenza di vivere e gustare l'aspetto "formale" del reale come dotato anch'esso di fascino e di rimandi che troppo spesso restano sepolti dalla superficialità (questa si negativa) del nostro sguardo routinario e quotidiano.

Quando l'esperienza maniacale si è inaridita e si e spenta, alcuni pazienti la rivivono nostalgicamente come una esperienza positiva e altri, invece, come un'esperienza negativa, dolorosa; ma già durante la sequenza maniacale, ci sono pazienti che definiscono la loro condizione come autentica, angosciante ed estranea alla loro personalità.

Come ha mirabilmente documentato Weitbrecht, citando una sua paziente che, uscita dall'episodio maniacale diceva: Ora so cosa possono significare i colori, gli odori, le sensazioni tattili, e quali sensazioni inebrianti possa dare la musica. L'esperienza quotidiana le risultava estremamente noiosa e di una desertica ottusità: tutto sembra allora ricoperto di uno strato di opaco grigiore. Chi non è mai stato immerso in una condizione maniacale è povero e può solo consolarsi pensando che non sa quali, e quante esperienze potrebbero fare quando la malattia cancellasse quella specie di velo grigio.

In particolare questa storia si è ben prestata all'analisi della struttura portante dell'esperienza maniacale proprio perché la paziente in questione è un'attrice; appare quindi meno artificioso e inautentico per lei "restare in scena" anche quando la recita è finita e i riflettori si spengono. Lei sa meglio di altri cosa rappresenti questa realtà, essendone frequentemente immersa e, per questo, con più difficoltà può cogliere il deragliamento dal mondo reale a quello della mania.



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