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L'ESPERIENZA SCHIZOFRENICA NELLA SUA DIMENSIONE PSICOPATOLOGICA E FENOMENOLOGICA

Eugenio Borgna

 

Servizio di Psichiatria della Azienda Ospedaliera "Maggiore della Carità" di Novara

 

LA SOGLIA

LA FENOMENOLOGIA COME ORIZZONTE DI COMPRENSIONE DELLA ESPERIENZA SCHIZOFRENICA

LE STRUTTURE PROFONDE COSTITUTIVE DELLA ESPERIENZA SCHIZOFRENICA

COME SI VIVE NELL'AUTRE MONDE

LA FENOMENOLOGIA DELLA VITA EMOZIONALE SCHIZOFRENICA

L'ANGOSCIA COME STRUTTURA PORTANTE DELLA ESPERIENZA DELIRANTE SCHIZOFRENICA

LE CATEGORIE FENOMENOLOGICHE DELLA DISTANZA E DELLA VICINANZA VISSUTE

QUALCHE CONCLUSIONE

BIBLIOGRAFIA

 

Le strutture profonde costitutive della esperienza schizofrenica

L'esistenza schizofrenica non è, analizzata fenomenologicamente, se non una modalità di rottura della comunicazione; ma di una radicalità che non ha confronti con altre forme di vita "normale", o psicotica. Nella desertica solitudine monadica, in cui si smarrisce chiunque sia contrassegnato da quella presenza-assenza che è la schizofrenia, lo scacco della comunicazione si fa esperienza immediata e ambigua nella sua stregata dilemmaticità. Nel contesto di questa comunicazione infranta, ma non definitivamente dissolta, non è più possibile articolare l'abituale (spontanea) reciprocità di significati e di gesti; trasformandosi profondamente gli elementi costitutivi del discorso e della comunicazione. Le intenzionalità (l'intenzionalità della coscienza di chi è fuori della esperienza schizofrenica e quella della coscienza di chi è nella esperienza schizofrenica) si divaricano nel loro orizzonte di senso.

Lo scacco della comunicazione (la metamorfosi della intersoggettività che è la condizione radicale di questo franare della comunicazione) sono, del resto, dialetticamente correlate con la metamorfosi delle strutture spaziali e temporali (dello spazio e del tempo vissuti). Ovviamente, non si ha a che fare, qui, con lo spazio obiettivo e geometrico; né con il tempo misurabile e obiettivo (con il tempo delle lancette dell'orologio); ma, appunto, con il tempo e con lo spazio vissuti: modi, cioè, di tematizzare e di vivere il mondo.

(Certo, alcune cose essenziali sulla fenomenologia, e in particolare sulla fenomenologia che si fa ermeneutica, sono state scritte da Ferdinando Barison, e da un suo lavoro molto bello e originale, che ha sconfinamenti anche (psico)terapeutici, vorrei stralciare questa citazione (3): "Nel dialogo ermeneutico non ci sono un soggetto ed un oggetto, ma c'è l'incontro di due orizzonti, che si fonde in un orizzonte nuovo, costituito da un cambiamento di entrambi nel momento dell'interpretazione: si verifica un "aumento di essere" come dice Gadamer"; e ancora: "bisogna ricordare che l'essenza dell'esame clinico è l'ascolto, che può essere anche ascolto in silenzio del silenzio, nel mirabile nuovo orizzonte che abbraccia due orizzonti").

Cosa accade, allora, nella costituzione spaziale e temporale di una esperienza schizofrenica?

Nella esistenza schizofrenica la trasformazione delle strutture spaziali si accompagna alla negazione di ogni qui e di ogni là e, contestualmente, alla dissolvenza di ogni de-limitazione spaziale; non essendoci più difesa, e non essendoci più distanza, davanti agli altri-da-sé e davanti alla divorante aggressività degli sguardi. Nella Lebenswelt schizofrenica la distorta articolazione spaziale non consente più che ci si muova dialetticamente fra qui e là: si è là e non si ri-torna qui; non essendo più possibile uscire-fuori dai confini della propria egoità né rientrare in essa. La svolta copernicana, così Klaus Conrad (12) definisce questa possibilità di uscire-fuori, con un movimento di radicale trascendenza, nel mondo comune a noi e all'altro-da-noi, è bruciata (e nientificata) nel contesto della esperienza apofanica che, nella schizofrenia acuta emblematicamente, consegna ad ogni forma di vita soggettiva e intersoggettiva il sigillo irrevocabile dell'autoriferimento e della illibertà.

Nella metamorfosi delle strutture temporali (del tempo vissuto e ri-vissuto) si coglie una altra radicale connotazione della (nuova) forma di vita schizofrenica. Il tempo vissuto in essa non scorre più: non è élan ma fatalité, e si trasforma in una sequenza discontinua di istanti che si consumano nel presente e sono, semmai, risucchiati nel passato: stralciati da ogni futuro. L'avvenire, cioè, non ha (più) senso; e il tempo non è (più) il senso della vita perché ha perduto il futuro (ogni futuro). Non sopravvivono, dunque, se non il presente e, in parte, il passato; vissuti come un "peso" insopportabile. Ma nella schizofrenia il presente è un presente chiuso; non essendoci nulla dell'agostiniano (1) presente del presente sospinto nel divenire. Nel tempo cosificato, nel tempo disarticolato e dilacerato, della esperienza schizofrenica nulla può a-venire; il poter-essere essendo divorato dal tempo che si arresta e non avanza se non, precipitando, nell'abisso del passato. Le autodescrizioni di una giovane schizofrenica, illustrata in un bellissimo lavoro di Franz Fischer (13), rimandano alla scomposizione del tempo che sprofonda nell'ombra del silenzio immobile e glaciale. "Ma c'è, dunque, un futuro? Prima mi era dato un avvenire: ora, questo si restringe sempre più. Il passato è così invadente: si getta sopra di me, mi trascina indietro. Devo dare un esempio: sono come una macchina che è in movimento ma che non si sposta". Da queste autodescrizioni un'altra immagine luminosa e straziante: "Sono come una freccia in fiamme che si scaglia in avanti e che, poi, si arresta, torna indietro e si spegne come in uno spazio vuoto d'aria. E' rigettata indietro. Intendo dire, con questo, che non c'è più futuro e che sono rigettata-indietro".

La modificata costituzione intersoggettiva e spazio-temporale della esperienza schizofrenica conduce alla formazione di una Eigenwelt, di un "mondo" privato e del tutto autonomo, che mantiene una sua profonda significazione umana anche nel contesto di una irrealtà immaginaria e di una solitudine autistica in cui ogni Lebenswelt schizofrenica tende fatalmente a rinchiudersi: benché ci sia in essa una radente nostalgia di incontro e di contatto affettivo: di comunicazione disperata e nondimeno aperta alla speranza.



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