POL.it POL.it banner POL.it banner POL.it banner POL.it banner logo feedback POL.it banner
POL.it banner POL.it banner POL.it banner POL.it banner POL.it banner POL.it banner POL.it banner
POL.it banner POL.it banner POL.it banner POL.it banner POL.it banner POL.it banner POL.it banner

spazio bianco

I COSTI DELLA DEPRESSIONE

Fabio Ranzini 1, Emilio Sacchetti2

1 I Unità Operativa Clinicizzata di Psichiatria, Azienda Spedali Civili, Brescia.
2 II Cattedra di Psichiatria- Università degli Studi di Brescia

 

TESTO ARTICOLO

BIBLIOGRAFIA

 

Una analisi sull’impatto economico di una patologia non può ovviamente prescindere da considerazioni epidemiologiche della stessa: la prevalenza della depressione maggiore è stimata fra il 3.0 e il 6.4%, con una frequenza per il sesso maschile tra l’1.7 e il 4.7% e per quello femminile tra il 4.1 e il 6.9% (Kaplan e Sadock, 1989); la prevalenza lifetime si attesta intorno al 20% (Kessler et al., 1994). Questa patologia si caratterizza per tassi di ricaduta e di cronicità elevati e spesso si presenta in comorbidità con altri disturbi di pertinenza psichiatrica e non, modificandone in senso negativo la prognosi, anche quoad vitam. Le previsioni per l’anno 2020 stimano la depressione maggiore unipolare come la seconda causa di disabilità nel mondo (Lasser et al., 1998). Da una ricerca condotta negli Stati Uniti nel 1990 da Greenberg e Coll., è emerso che 11 milioni di soggetti risultavano affetti da disturbi depressivi (greenberg et al., 1993). L’importanza della depressione nell’ambito dell’economia sanitaria risulta evidente anche dalla comparazione di questa con altre categorie di disturbi: Mendlewicz ha riportato una frequenza per la depressione 8 volte superiore a quella della schizofrenia e 16 volte per il morbo di Parkinson (Mendlewicz, 1989).

Stante queste indicative considerazioni epidemiologiche, l’impatto economico della patologia depressiva è valutato in termini di costi diretti ed indiretti; i primi sono riconducibili al riconoscimento, al trattamento, alla riabilitazione, alla prevenzione ed alla assistenza a lungo termine del disturbo. I secondi si riferiscono oltre alla perdita di produttività per il soggetto (non solo nella fase acuta di malattia) e per le persone vicine impegnate nell’assistenza, anche alla morte prematura. Di fatti la depressione, confrontata con tutti gli altri disturbi psichiatrici, presenta un rischio suicidario tra i più elevati, se non il più elevato (Montgomery, 1992; Kaplan et al., 1994). Si deve inoltre aggiungere a questi costi quelli cosiddetti "aggiuntivi" che discendono direttamente dalla malattia quali ad esempio quelli correlati al trasporto dei soggetti per accedere alle prestazioni sanitarie, quelli per l’assunzione di figure sostitutive per la gestione della casa e per la cura dei figli (Bentkover e Feighner, 1995).

Gli studi macroeconomici concernenti la patologia depressiva indicano un trend generale per quanto riguarda l’analisi dei costi: quelli diretti non sono mai superiori a quelli indiretti, con un investimento economico prioritario rivestito dalle spese di ospedalizzazione, ed una quota riferibile all’acquisto di farmaci relativamente modesta (Kind e Sorensen, 1993; Jonsson e Bebbington, 1993).

Il primo studio sistematico sui costi sociali della depressione è stato pubblicato da Stoudmire e Coll nel 1986, nel quale si analizzavano i dati del 1980, relativi a pazienti con diagnosi di depressione maggiore: i costi diretti rappresentavano il 12.8 % dei costi totali (circa 16 miliardi di dollari); i costi dovuti alla mortalità il 24.4 % (4,2 miliardi di dollari), i costi indiretti il 62.8 % (circa 10 miliardi di dollari). Il costo medio per paziente, calcolato sulla base di una popolazione di 4,76 milioni di individui affetti da depressione maggiore, ammontava a circa 3.400 $ (Stoudemire et al., 1986). Uno studio sempre incentrato sull’analisi e la ripartizione dei costi della depressione effettuato da Greenberg e Coll., pubblicato nel 1993 ha valutato la spesa totale per la patologia depressiva in 44.1 miliardi di dollari, ripartiti in percentuale tra costi diretti per il 29%, quelli associati alla mortalità per il 17%, e tra indiretti per il 54% (Greenberg et al., 1993). In questo studio ai casi di depressione maggiore erano stati aggiunti anche quelli per disturbo bipolare e per distimia; per quanto concerne i costi indiretti, oltre i giorni di assenza dal lavoro, si era aggiunto il ridotto rendimento lavorativo durante gli episodi depressivi. Kind e Sorensen hanno pubblicato nel 1993, un lavoro riguardante l’analisi dei costi della depressione in Inghilterra e Galles per dati relativi al 1990-91: la spesa annuale ammontava a 3.5 miliardi di sterline, ripartita in 420 milioni per le spese dirette e 3 miliardi per quelle indirette (Kind e Sorensen, 1993). In questo lavoro, gli Autori avevano poi analizzato il ruolo dei trattamenti farmacologici per i costi medici della depressione e avevano evidenziato che quelli legati al farmaco incidevano solamente per l’11.3%. Gli Autori, inoltre, sottolineavano che, anche ipotizzando un trend di crescita più sostenuto rispetto al passato, le spese legate ai farmaci non dovevano superare il 15% di incidenza sui costi diretti. Un dato analogo è emerso in uno studio di Jonsson e Bebbington del 1994 in cui la spesa legata ai farmaci era nell’ordine del 21.6% nel totale dei costi diretti (Jonsson e Bebbington, 1994). Oltre ai costi correlati alla sola patologia depressiva, un corposo numero di dati evidenzia che la comorbidità di una patologia depressiva con altre malattie costituisce un elemento aggiuntivo di posti letto e più in generale di risorse sanitarie. In uno studio Simon e Coll. hanno analizzato i costi dell’assistenza medica di pazienti seguiti in medicina di base: correggendo in funzione della compresenza di malattie croniche e di altre valutazioni mediche, i soggetti con una diagnosi in senso lato di disturbo depressivo richiedevano una spesa superiore non solo a soggetti che non lamentavano depressione, ma anche di coloro che presentavano elementi sottosoglia di tipo depressivo (Simon et al., 1995). Inoltre uno studio condotto sull’analisi dei costi medici totali per paziente/anno ha evidenziato una significativa differenza fra i soggetti affetti da depressione e quelli non affetti; per i primi la spesa medica si attestava in 5764 dollari annui, per i secondi 4227 dollari, con un costo medico totale associato per depressione in 1498 di dollari (Hatziandreu et al., 1994).

Sempre per quanto concerne la condizione di comorbidità, uno studio di Verbosky e Coll. ha evidenziato a parità di DRG medici, un notevole allungamento dei tempi di ricovero; la durata media dei ricoveri nei soggetti depressi era di 10 giorni, nei soggetti depressi non trattati di 25.6 giorni (Verbosky et al., 1993).

Di notevole importanza appare l’osservazione dell’utilizzo dei servizi sanitari (visite ambulatoriali, utilizzo del Pronto Soccorso, ospedalizzazioni, spese per test diagnostici) da parte dei soggetti anziani: il surplus di spesa medica per depressione appariva particolarmente importante (Callahan et al., 1997). Anche uno studio di Unuzur rilevava un significativo aumento dei costi dei servizi di medicina generale; l’aumento dei costi era comune a tutte le componenti della spesa sanitaria e non era correlata ad un aumento dei soli costi specialistici ambulatoriali (Lepine et al., 1997). L’aumento inoltre dei costi permaneva significativo anche dopo l’aggiustamento per differenza di età, sesso e malattie croniche concomitanti. Questi dati assumono un’importanza rilevante in considerazione del costante allungamento dell’attesa media di vita e del conseguente incremento delle probabilità di esposizione alla patologia depressiva in terza età.

Lepine e Coll., in uno studio condotto in 6 paesi europei, hanno evidenziato una maggior frequenza di consultazione presso il medico di base (4.4 contro 1.5 visite in 6 mesi) da parte dei soggetti con depressione maggiore sia nei confronti dei controlli che dei soggetti con depressione minore. Ulteriore dato rilevante era che il 43 % dei soggetti affetti da depressione non faceva richiesta di un trattamento e solamente il 25 % dei casi che il medico riteneva di curare, riceveva un antidepressivo (Lepine et al., 1997).

Quest’ultimo dato pone in rilievo che oltre ai costi diretti ed indiretti correlati alla depressione, non sono da sottovalutare quelli legati alla mancata diagnosi ed al mancato trattamento: i problemi inerenti al riconoscimento della depressione e ad una corretta terapia non pertengono soltanto all’etica professionale, ma rivestono un ruolo fondamentale per le politiche economiche tendenti alla razionalizzazione, alla ottimizzazione e/o al contenimento dei costi. Tuttavia, variabili quali lo stigma sociale, la negazione nei confronti della depressione, la difficoltà nel considerarla una condizione morbosa suscettibile di cura, il deficit di informazione e di aggiornamento professionale di alcuni operatori e una condizione di refrattarietà al trattamento di una quota non trascurabile di soggetti, sono tutti fattori influenzanti i costi di mancata diagnosi e trattamento. Dati rilevati in Italia (Sacchetti, 1994) mostrano che nel caso di soggetti trattati farmacologicamente per depressione, soltanto a poco più di un terzo dei casi venivano prescritti antidepressivi o stabilizzanti dell’umore (generalmente a dosi inferiori rispetto ai minimi proposti dalle case farmaceutiche); la parte rimanente delle prescrizioni è ripartita in "tranquillanti", ricostituenti, nootropi, neurotonici, parasimpaticomimetici.

Tali dati suggeriscono che una priorità di investimento dovrebbe essere data a programmi con l’obiettivo da un lato di promuovere nei cittadini una migliore conoscenza della patologia depressiva, dall’altro di migliorare gli standard diagnostici e terapeutici. Un’esperienza su pazienti gravemente depressi ha evidenziato che l’implementazione di farmaci antidepressivi utilizzati correttamente, interventi di counselling e la contemporanea diminuzione delle prescrizioni di tranquillanti è risultata la strategia economicamente più vantaggiosa (Sturm e Wells, 1995). Uno studio condotto nell’isola di Gotland (Svezia) ha dimostrato come un corso di formazione per medici di medicina generale, incentrato sulla diagnosi e il trattamento, ha portato ad un apprezzabile risparmio sui costi di gestione della patologia depressiva (Rutz et al., 1992). Tale dato sottolinea l’importanza dell’investimento sui medici di medicina generale, mediante una politica di miglior qualificazione professionale, allo scopo di ottimizzare e razionalizzare le risorse destinate alla depressione; infatti il medico di medicina generale, spesso, si trova in prima persona o in collaborazione con gli specialisti psichiatri, a trattare un grande numero di pazienti affetti da patologia dell’umore.

Come già evidenziato dall’analisi dei costi diretti, le terapie antidepressive incidono per una quota limitata , un esempio può essere il dato elaborato negli Stati Uniti dal National Advisory Mental Health Council (NAMHC) nel 1993 dove le spese legate ai farmaci antidepressivi ammontavano a un miliardo e 200 milioni di dollari (soltanto il 2.7 % della spesa totale). A fronte della limitata incidenza sui costi totali e la buona efficacia, la promozione di un impiego maggiore delle terapie antidepressive dovrebbe essere un obiettivo primario in politica sanitaria (Report NAMHC, 1993).

Con l’avvento dei nuovi farmaci agenti sulla ricaptazione della serotonina e di altri antidepressivi di nuova generazione, il medico deve valutare da un lato i costi e dall’altro i rischi/benefici delle varie opzioni terapeutiche. Le decisioni scandite da processi di minimizzazione dei costi non prendono in considerazione sufficientemente la realtà attuale caratterizzata dalla contrapposizione tra i rischi e i benefici delle diverse terapie. Gli studi di paragone tra i diversi trattamenti sono tuttavia condizionati da debolezze intrinseche agli approcci sperimentali ; un esempio è quello degli studi retrospettivi, tra i più utilizzati in questo contesto. Questi risultano viziati dalla relativa accuratezza, completezza ed omogeneità dei dati, da problemi di campionamento e di attribuzione di un specifico trattamento. Gli studi basati su modelli matematici di simulazione dell’analisi decisionale, che controllano sufficientemente le molte limitazioni di un’analisi retrospettiva, risultano d’altro canto non rappresentativi della pratica clinica raccomandata essendo per lo più basati su studi clinici controllati, cioè su un contesto per definizione distante dalla pratica quotidiana che è l’ovvio riferimento degli studi economici.

Stante queste limitazioni metodologiche la maggior parte degli studi clinici controllati ha evidenziato una efficacia sostanzialmente sovrapponibile tra gli antidepressivi di prima e successiva generazione ma contemporaneamente una superiorità di questi ultimi in termini di tollerabilità (con una relativa diminuzione dei drop-out per eventi avversi, un miglioramento complessivo della compliance ed un accorciamento dei tempi di esposizione di malattia) e di sicurezza in caso di sovradosaggio (con un maggior utilizzo dei reparti di rianimazione ed una maggior durata dei ricoveri nel caso di intossicazione con i triciclici) (D’Mello et al., 1995). Globalmente quando tutti i costi inerenti alle terapie sono presi in considerazione, gli studi comparativi tendono ad evidenziare un miglior rapporto costo-effetti dei nuovi antidepressivi rispetto ai triciclici (Bentkover e Feighner, 1995; Jonsson et al., 1993; Lapierre et al., 1995; Melton et al., 1997; Sclar et al., 1994; Souetre et al., !993; Forder et al., 1996; Nuijten et al., 1995; Montgomery et al., 1996; Crott e Gilis, 1998).

Infine, sebbene la depressione costituisca con ogni probabilità l’area di pertinenza psichiatrica maggiormente studiata dal punto di vista economico, è da sottolineare che questi dati derivanti da studi macroeconomici metodologicamente validi, non sono generalizzabili dal momento che provengono da poche nazioni e che quindi sottostanno a importanti fattori di contesto. Di fatti, le caratteristiche sociali, culturali e educative delle popolazioni, le differenti realtà economiche, i differenti modelli sanitari in ambito psichiatrico, che caratterizzano le diverse nazioni, hanno un impatto notevole sui dati economici. Per tale motivo, sembra necessario promuovere, a livello di singole nazioni, studi di macroeconomia sulla depressione.


spazio bianco

RED CRAB DESIGN

spazio bianco

Priory lodge LTD

Click Here!