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IL PROGETTO "PROGRES-ACUTI" : I RISULTATI DELLA FASE 2

LA GESTIONE DELLE ACUZIE E DEL RICOVERO IN PSICHIATRIA

29-30 GENNAIO 2008

TEATRO DELLA GIOVENTU’

Via Macaggi 92 r. Genova

Report di Isabella D’Orta

 

Queste due giornate di studio sono dedicate ad un progetto di ricerca internazionale sulla gestione delle situazioni acute e del ricovero in Psichiatria che ha coinvolto tutte le regioni italiane eccetto la Sicilia.

 

Prima Giornata, 29 Gennaio 2008

PRIMA SESSIONE

Il dott. Franco Bonanni (Agenzia Regionale per la Sanità della Liguria) dà il benvenuto ai partecipanti a nome dell’Assessorato alla Salute della Regione Liguria che patrocina questo evento. La sua attenzione è rivolta alle istituzioni ospedaliere, che auspica possano essere considerate come parte integrante della rete territoriale per la salute e non come entità separate; è necessario a tal fine valutare la coordinazione della rete di lavoro di tutte le strutture deputate a tali servizi. In particolare, aggiunge, è essenziale dedicare particolare attenzione ad adolescenti ed anziani.

 

Passa quindi la parola al dott. Giovanni De Girolamo (Agenzia Sanitaria Regionale, Bologna) che presenta il lavoro: "I risultati della fase 1: strutture pubbliche e private di ricovero, aspetti strutturali e processuali, variabilità regionale " a cura di Giovanni De Girolamo, Angelo Picardi (ISS, Roma) e Pietro Ciliberti (ASL 3 Genovese).

De Girolamo presenta un’ overview dei risultati dello studio delle strutture residenziali per pazienti psichiatrici acuti; i ricercatori che hanno partecipato alla ricerca presentano un diverso background e, come sottolinea il relatore, questo ha costituito una ricchezza in più che ha portato ad una collaborazione fruttuosa con la possibilità di confrontare aspetti diversi.

L’obiettivo dello studio è stato di valutare diversi aspetti delle strutture pubbliche e private ove avvengono i ricoveri psichiatrici acuti, raccogliendo una serie di dati, contemporaneamente, in una sorta di censimento, stabilito per tutti lo stesso giorno, l’8 Maggio 2003 (Census Day nazionale).

È la prima volta che le case di cura private partecipano ad un progetto di ricerca di tale portata.

Durante la fase 1 del progetto vengono raccolti dati provenienti da tutte le strutture partecipanti, dalle ore 00.00 alle 24.00 dell’ l’8 Maggio 2003, che vengono poi rielaborati per estrapolare i dati presentati.

In fase 2 invece viene compilata una "scheda paziente" per tre coorti di pazienti: 1- ricoverati, 2- ammessi, 3- lungodegenti.

In fase 1 sono valutate 301 strutture pubbliche (262 SPDC, 23 Cliniche Universitarie e 16 CSM attivi nelle 24h dotati di posti letto) e 54 private.

Dai dati strutturali emerge che il numero medio di posti letto nelle strutture private è maggiore che in quelle pubbliche; in 12 regioni in Italia sono presenti strutture private (non è stata valutata la Sicilia che non ha partecipato allo studio). Valutando la percentuale di posti letto pubblici e privati sembra che si possa parlare d’integrazione dal momento che laddove vi sono più posti pubblici, i privati sono di meno e viceversa; la variabilità della disponibilità di posti letto resta comunque ampia.

In SPDC la durata media delle degenza è risultata essere di 12 giorni. In realtà, nelle regioni dove la disponibilità di posti letto è maggiore tale durata aumenta; come avviene nelle regioni del Nord-Est, dove la durata media arriva anche a 22 giorni. Al Sud invece, dove la disponibilità è limitata, la degenza dura mediamente di meno. Nelle case di cura private la durata di degenza è fino a tre volte maggiore: in media 39 giorni; nei CSM 37 giorni, nelle Cliniche Universitarie 18 giorni.

Dal punto di vista strutturale è emerso che solamente 2/3 degli SPDC dispongono di un locale dove i pazienti possono soggiornare insieme e che non sia il luogo comune dove si mangia; e non tutti presentano uno spazio aperto accessibile ai pazienti.

È stato possibile evidenziare una correlazione tra gli indici di natura strutturale e la percentuale di TSO sul totale dei ricoveri: al Sud infatti, dove i posti letto pubblici sono di meno (superfluo ricordare che i ricoveri in regime di Trattamento Sanitario Obbligatorio possono avvenire esclusivamente in strutture pubbliche) la percentuale di TSO è doppia (10-20%) rispetto al resto d’Italia. L’interpretazione fornita dai relatori è che i curanti richiedano un TSO per ottenere un posto letto in una situazione di generale difficoltà e carenza.

Comunque, in media, negli SPDC solo l’8.9% dei pazienti (meno di 1/10 ) è ricoverato in regime di TSO.

È stata valutata, inoltre, la possibilità per i pazienti ricoverati di uscire autonomamente dal reparto: le strutture con porte chiuse sono l’80% degli SPDC e il 70% delle Cliniche Universitarie. Nessun CSM attivo nelle 24h presenta porte chiuse; 2/3 delle case di cura private presentano porte aperte.

_ degli SPDC hanno praticato almeno una contenzione negli ultimi 12 mesi, con una percentuale, molto variabile, che va da 3 all’anno a 2 al giorno; all’interno di _ delle case di cura private si pratica la contenzione fisica. Non risulta invece che ciò avvenga all’interno di CSM attivi nelle 24h.

Per quanto riguarda i trattamenti farmacologici, questi sono utilizzati in tutte le strutture valutate, senza differenze di rilievo; è emersa invece una sostanziale differenza nell’uso della terapia elettroconvulsivante che viene praticata nel 14% delle case di cura private contro il 2% degli SPDC.

Gli 8000 pazienti valutati durante il Census Day hanno evidenziato un case-mix differente tra pubblico e privato: uomini di età compresa fra i 18 e i 54 anni con diagnosi afferenti al gruppo delle psicosi sono ricoverati prevalentemente in strutture pubbliche; donne con età superiore ai 54 anni con disturbi depressivi ed organici sono ricoverate più spesso in case di cura private.

Da sottolineare inoltre il fatto che i pazienti ricoverati negli SPDC provengono da un territorio geografico ben preciso, al contrario di quanto avviene invece nelle Cliniche Universitarie e nelle case di cura private. In queste ultime poi è presente spesso una lista d’attesa di pazienti provenienti da aree diverse, diversificando così ulteriormente il quadro.

Dalla ricerca è emerso che nel 2005 il 55% dei posti letto si trovava nelle strutture private, rendendo così estremamente diversa l’assistenza sanitaria ospedaliera in Italia.

Partire dai dati provenienti dalla ricerca clinica, conclude De Girolamo, è essenziale per pianificare e gestire al meglio le risorse del sistema assistenziale.

Passa ora la parola al prof. Antonio Preti dell’Università di Cagliari per l’intervento dal titolo: "La metodologia della Fase 2 del PROGRES-ACUTI ed i pazienti valutati all’ammissione: determinanti e procedure del ricovero." di Antonio Preti, Bruno Norcio (ASL Triestina), Elisabetta Rossi (ASL di Perugia).

I dati relativi alla fase 2 riguardano variabili quali lo stato lavorativo, la cittadinanza e le caratteristiche cliniche all’ingresso.

Dalla ricerca è emerso come nelle strutture pubbliche vengano ricoverati, più frequentemente rispetto a quelle private, pazienti disoccupati o con lavoro non stabile, di cittadinanza non italiana e in particolare non facenti parte della Comunità Europea.

All’ingresso nelle strutture pubbliche si presentano più spesso pazienti di sesso maschile affetti da schizofrenia o altra psicosi; i TSO riguardano nell’ordine: schizofrenici, pazienti con disturbo bipolare, disturbo di personalità, abuso di sostanze e depressi.

Al contrario nelle case di cura private la diagnosi d’ingresso è più spesso di disturbo organico e demenza.

Per quanto riguarda in particolare i disturbi dello spettro affettivo, i depressi si ritrovano più facilmente nelle strutture private, mentre i pazienti in fase maniacale sono ricoverati più facilmente in strutture pubbliche. In relazione a questo dato è utile ricordare che i TSO possono avvenire solo nelle strutture pubbliche. In definitiva, sottolinea Preti, nel servizio pubblico vengono ricoverati pazienti più gravi.

Qual è il percorso del paziente verso la cura? La maggioranza dei pazienti sono seguiti già prima del ricovero da uno specialista "psi" di vario tipo, solo una minoranza segue una terapia cosiddetta alternativa.

Cosa significa invece non essere in contatto con uno specialista del settore fino al ricovero? Si tratta o di un indice di gravità della patologia, a causa della quale il paziente rifiuta le cure o comunque non si fa seguire con continuità, oppure possiamo trovarci di fronte ad un esordio, particolarmente grave qualora si presenti la necessità di TSO al primo ricovero.

L’intervento delle Forze dell’Ordine è più frequente con pazienti schizofrenici o bipolari piuttosto che con pazienti dello spettro ansioso-depressivo o con disturbi di personalità. Lo stesso vale per l’intervento dei familiari, che sollecitano il ricovero più spesso in caso di pazienti schizofrenici e bipolari.

Durante un TSO è frequente che il paziente sia fortemente angosciato per il timore per l’integrità fisica e per l’ansia d’intrappolamento; la diminuzione dell’angoscia fa calare parallalemente lo stato d’agitazione.

L’alcool è stato riconosciuto come la più frequente sostanza d’abuso nei pazienti ricoverati, compresi quelli con un disturbo di personalità.

L’abuso di sostanze è comunque minimo, meno del 6% da quanto emerge dalla ricerca e, paradossalmente, è più frequente negli schizofrenici (senza considerare la nicotina). Forse, ipotizza il relatore, questi dati sono influenzati dalla difficoltà e dai costi delle analisi tossicologiche quali l’esame delle urine e il test tricologico.

I disturbi alimentari sono frequenti, anche in comorbilità con i disturbi depressivi; non infrequenti sono le complicanze cardiovascolari e dismetaboliche.

Quali sono in conclusione i fattori che contribuiscono al ricovero?

  1. Le relazioni socio-lavorative e familiari ( la famiglia è una risorsa importante che spesso riesce a mediare con i servizi psichiatrici ed accompagna il congiunto al CSM oppure all’ospedale per il ricovero e non di rado sollecita il TSO in caso di necessità ).
  2. I fattori medici sono spesso motivo di richiesta di ricovero da parte dei curanti, ad esempio per rivedere la terapia farmacologica e monitorarne i cambiamenti.
  3. Le condotte aggressive, soprattutto per quanto riguarda i TSO.
  4. Gli eventi traumatici, quali i TS.

Concludendo, si può sottolineare ancora che i pazienti con profilo sintomatologico più grave, con psicosi o eccitamento maniacale, afferiscono principalmente ai servizi sanitari pubblici.

L’intervento del dott. Marco D’Alema ( Ministero della Salute ) conclude la prima sessione del convegno.

L’attenzione è rivolta alla necessità di utilizzare sempre dati di evidenza per una corretta programmazione sanitaria e per quanto concerne il piano strategico nazionale; purtroppo, ancora oggi, non sempre si coglie la necessità di basarsi su un dato reale.

Il relatore si sofferma poi a considerare l’importanza della qualità dell’accoglienza negli spazi delle strutture pubbliche, ritenendola un elemento essenziale su cui intervenire.

Un altro punto cruciale è costituito dalla necessità di monitorare costantemente gli eventi TSO e contenzione all’interno delle strutture pubbliche e di valutare che vi siano sempre le condizioni necessarie perché tali provvedimenti possano essere evitati quando non strettamente indispensabili; nella vita di un paziente rappresentano infatti avvenimenti non irrilevanti.

In tal senso, conclude D’Alema, non bisogna sottovalutare l’importanza del legame con il Servizio di Salute Mentale. Troppe volte infatti è proprio a causa del mancato contatto con il CSM che ci si trova nella necessità di ricoverare un paziente in regime di TSO.

Angelo Picardi integra queste considerazioni facendo presente la necessità di rivedere le singole competenze delle strutture ospedaliere e residenziali, non potendo negare l’importanza delle strutture private nell’ambito dell’assistenza sanitaria, che in alcune regioni diventa addirittura essenziale. È proprio per questo motivo che si rende necessaria la possibilità di una programmazione unitaria, con un filo conduttore comune, tenendo conto inoltre delle differenze fra i singoli territori locali, fra loro molto diversificati.

Inizia la discussione l’intervento del prof. Luigi Ferrannini (ASL 3 Genovese) che fa notare come, a trenta anni dall’emanazione della legge 180, gli Ospedali si siano evoluti e con essi la Psichiatria all’interno degli Ospedali. Il concetto di residenzialità non è più esclusivo della Chirurgia e della Medicina: bisogna pensare alla necessità della gradualità delle cure perché è evidente che non esiste esclusivamente l’acuzie e i pazienti hanno bisogno di cure diversificate nel tempo.

Inoltre, continua Ferrannini, sono ancora in gran parte carenti le strutture dedicate alla cura degli adolescenti e dei pazienti con disturbo d’abuso di sostanze: i SerT non operano nelle 24h e in Ospedale non ci sono posti letto dedicati.

Anche le patologie della terza età creano allarme sociale e al momento non ci sono risposte concrete, tenendo anche conto della frequente associazione con patologie somatiche.

SECONDA SESSIONE

L’intervento di Francesca Guzzetta (ASL di Ravenna) e di Rossella Miglio (Università di Bologna) dal titolo "I pazienti al primo ricovero nella vita: interventi precoci o tardivi?" apre la seconda sessione del convegno.

Il primo ricovero è un evento estremamente stressante nel corso della vita. Le cause che più frequentemente vengono citate nella letteratura scientifica relativamente al ricovero in generale sono:

  1. il rischio per sé e per gli altri
  2. la rivalutazione diagnostica
  3. la revisione della terapia farmacologica
  4. il sollievo offerto al paziente e alle famiglie

Per quanto riguarda il primo ricovero sembra che i motivi siano più spesso i sintomi maniacali di pazienti bipolari e il rischio suicidario.

Il 21% dei pazienti ammessi in 131 strutture valutate si trovavano alla loro prima esperienza di ricovero; sono state valutate le loro caratteristiche demografiche.

L’età media era di circa 42 anni, con deviazione standard di 17 anni; il 45% dei pazienti valutati aveva un’età compresa fra i 25 e i 45 anni, il range era compreso fra i 15 e i 91 anni.

Lo stato civile era equamente diviso fra singles e coniugati/conviventi ( 45%-45% ).

Il 35% dei pazienti lavorava, il 5% aveva un lavoro part-time, il 5% un lavoro temporaneo. Il 25% era disoccupato, il 15% studente o casalinga.

La maggior parte dei pazienti valutati viveva a casa con i parenti ( genitori o fratelli ) o con un partner.

La diagnosi più frequentemente riscontrata nei pazienti al primo ricovero è stata di depressione (1/4) seguita da schizofrenia (1/5) e disturbo bipolare (16%).

È stato valutato inoltre l’intervallo di tempo intercorso tra l’esordio della sintomatologia clinica e il primo ricovero: nel 35% dei casi il primo ricovero corrisponde all’esordio, in un altro 35% sono passati da uno a cinque anni e in un 5% dei casi più di cinque anni dal momento dell’esordio alla necessità di ricovero. Il 18% dei primi ricoveri avviene in regime di TSO.

Al momento del primo ricovero è emerso che fino al 46% dei pazienti non stava ricevendo alcun trattamento. Tali pazienti erano più spesso non italiani ( 3% vs 1.3% ) e i ricoveri sembravano più bruschi ( più frequente il ricorso alle forze dell’Ordine e al 118 ).

I sintomi più frequentemente presentati nelle settimane precedenti il ricovero sono stati ansia e depressione ( anche per i pazienti psicotici ) e confusione.

Le cause scatenanti sono state nell’ordine:

  1. diminuito funzionamento socio-lavorativo
  2. ritiro sociale
  3. conflittualità interfamiliare
  4. scarsa cura di sé
  5. TS/ gesti autolesivi
  6. violenza ( nel 14% dei casi agita verso altri o cose, nel 2% dei casi subita )

Le agenzie più frequentemente coinvolte sono state il PS, il CSM e il 118.

Nel 61% dei casi i familiari hanno sollecitato in qualche modo il ricovero.

Alla luce di questi dati si è cercato di evidenziare la presenza di gruppi omogenei, definiti clusters. In base all’età, allo stato civile, alla condizione abitativa, al punteggio medio alla SOFAS e alla BPRS e al trattamento nel corso del mese precedente sono stati evidenziati 4 clusters.

Il primo cluster comprende pazienti maschi, con basso funzionamento socio-lavorativo, di età media di circa 34 anni, che nel 72% dei casi non assume alcuna terapia prima del ricovero. Per questi pazienti, il cui esordio sintomatologico precede di circa un anno il primo ricovero, si rende spesso necessario l’intervento del 118 e delle Forze dell’Ordine, e non di rado il primo ricovero avviene in regime di TSO. Per tali caratteristiche i componenti di tale cluster difficilmente afferiscono alle strutture di cura private

Il secondo cluster comprende pazienti di circa 50 anni che soffrono di disturbi dello spettro affettivo. Questi pazienti, che godono in genere di un buon sostegno familiare, hanno un funzionamento pre-ricovero migliore e di solito assumono già una terapia farmacologica. In 1/3 dei casi presentano anche una condizione medica generale.

Il terzo cluster è analogo al secondo, con la differenza però che i pazienti godono di un minor supporto familiare.

Il quarto cluster comprende pazienti più giovani, di circa 22 anni e che vivono con le famiglie. Non è stata evidenziata una diagnosi principale, tuttavia si può dire che la frequenza di TSO in questo gruppo è minore e che vi è una maggiore coscienza di malattia.

Infine, conclude la relatrice, si può dire che il primo ricovero avviene in età media generalmente piuttosto avanzata ma si tratta di un intervento tardivo o di eterogeneità diagnostica?

Proprio alla luce di questo domanda aperta finale non si può non prendere in considerazione il ruolo preventivo essenziale dei CSM, dei MMG e delle famiglie; spesso tuttavia non si può escludere che abbiano un ruolo anche inevitabili eventi traumatici.

È la volta di Paola Rucci ( Università di Pisa e Pittsburgh ) e Andrea Gaddini ( ASR Roma ) con l’intervento dal titolo: "I pazienti valutati alla dimissione: trattamenti erogati ed integrazione con i servizi territoriali"

Vengono valutati ora sottogruppi di pazienti relativamente al momento della dimissione. In genere il trattamento farmacologico prescritto al momento della dimissione è lo stesso somministrato negli ultimi giorni di ricovero e la durata media del ricovero è di 10 giorni.

L’età mediana dei pazienti in dimissione è di 41 anni nelle strutture pubbliche mentre nel 23% delle strutture private è di 65 anni o più. Dagli SPDC vengono dimessi soprattutto pazienti affetti da schizofrenia, dalle Cliniche Universitarie pazienti con disturbo bipolare.

Nei tre gruppi valutati (Cliniche Universitarie, SPDC e case di cura private) i titoli di studio sembrano distribuiti in modo omogeneo, in maggioranza si tratta di pazienti che hanno adempiuto all’obbligo scolastico. Riguardo l’occupazione, nelle case di cura private sono ricoverate più frequentemente casalinghe; disoccupati e studenti afferiscono più facilmente agli SPDC e alle Cliniche Universitarie. Analogamente pazienti che vivono nella famiglia d’origine vengono ricoverati nelle Cliniche Universitarie, nelle case di cura private vengono ricoverati più frequentemente pazienti coniugati.

Passiamo ora alla valutazione delle terapie indicate alla dimissione: quasi mai si tratta di una terapia monofarmacologica ma vengono somministrati almeno due farmaci di classi farmacologiche diverse; metà dei pazienti assumeranno almeno tre farmaci. Questo vale sia per pazienti dimessi con diagnosi di schizofrenia che di depressione che di disturbo bipolare.

Ecco uno schema delle combinazioni di farmaci più utilizzate per la terapia alla dimissione della schizofrenia:

51.2 % NEUROLETTICI TIPICI + BDZ

45 % NEUROLETTICI ATIPICI + BDZ

19 % TIPICI + ANTIPARKINSONIANI

16.2 % ATIPICI + ANTIPARKINSONIANI + BDZ

10.2 % ATIPICI + ANTIPARKINSONIANI

9.7 % ATIPICI + ANTIDEPRESSIVI

In caso di depressione vengono somministrati antidepressivi che nel 49% dei casi sono SSRI e nel 17.5% dei casi sono TCA.

Nel 51.9% dei casi viene somministrato un solo antidepressivo, nel 14.7% due antidepressivi sono somministrati in associazione. Solo nel 5% dei casi si somministrano tre o più antidepressivi in associazione.

A causa di questa polifarmacoterapia in caso di reazioni avverse risulta difficile valutare a quale farmaco siano dovute. Del resto è poco realistico pensare che pazienti, che il più delle volte vengono ricoverati già con una politerapia, possano ricevere una monoterapia in ambiente ospedaliero.

Una segnalazione: l’unico farmaco che viene somministrato con una certa efficacia in monoterapia è il litio che appare efficace contro il rischio suicidario ma provoca spesso una serie di effetti collaterali, soprattutto tiroidei, che causano spesso la necessità d’interrompere la terapia.

L’intervento viene concluso con una valutazione sui trattamenti psicosociali, talora strutturati, talvolta meno, altre volte affidati alla rete sociale (per es. gruppi auto-aiuto) e sul senso del ricovero psichiatrico che risulta essere un intervento sulla crisi, sulla rete sociale che dovrebbe creare un contatto fra l’ambiente sociale e familiare che risulti quindi "psicoterapeutico".

Al momento della dimissione, aggiunge Gaddini, è essenziale l’integrazione con i Servizi Territoriali: "Nessun reparto psichiatrico è un’isola".

 

È la volta dell’intervento "I pazienti con permanenza protratta: determinanti e caratteristiche del ricovero prolungato" di Antonella Gigantesco ( ISS Roma ) e Pierluigi Morosini ( ISS Roma ).

Vengono esposte le caratteristiche dei pazienti che vanno incontro ad un ricovero prolungato, suddivisi in:

lungodegenti: pazienti con degenza di durata superiore ai due mesi e non in dimissione al momento dell’indagine

lungodimessi: pazienti con degenza di durata superiore ai due mesi che al momento dell’indagine erano prossimi alla dimissione.

Gli autori espongono l’analisi delle variabili associate al ricovero prolungato cui molti pazienti gravi vanno incontro.

Nelle strutture pubbliche l’8% dei pazienti è lungodegente, il 2% è lungodimesso; in quelle private il 50% lungodegente, l’8% lungodimesso. Il 33% dei lungodegenti è ricoverato in una struttura pubblica, in cui il ricovero medio ha durata di 10 giorni al contrario di quanto avviene nelle strutture private, dove il ricovero dura mediamente 62 giorni.

Sembra che le variabili associabili alla lungodegenza siano l’essere non coniugati e la scolarità più elevata, dato questo che viene riscontrato soprattutto nelle case di cura private e che mostra come spesso la possibilità di sostenere economicamente un ricovero ne determini anche la durata.

Qual è l’opinione degli operatori rispetto alla lungodegenza?

Nel 90% dei casi non ritengono che sia dovuta alla patologia psichiatrica sottostante (riferiscono che nel 61% dei casi non perdurano gravi sintomi psichiatrici); 1/3 degli operatori dice che vi è un programma riabilitativo in corso. Nel 57% dei casi sembra che il prolungarsi del ricovero sia dovuto alla mancanza di una casa, dei familiari o di una struttura più pertinente. Il 65% di questi ricoveri non viene prolungato per il rischio di comportamenti antisociali. Da sottolineare che i valutatori hanno utilizzato apposite scale per studiare tali dati, dopo un apposito addestramento.

Gli studi recenti smentiscono ogni associazione tra diagnosi e ricovero prolungato. Il maggior predittore di lungodegenza è un ricovero in una struttura privata non per acuti ma per subacuti e cronici; questi pazienti hanno le risorse economiche per sostenere tale ricovero che costituisce un modo per allentare il carico familiare dovuto alla patologia. Si tratta infatti, il più delle volte, di una decisione familiare.

Infine, conclude la Gigantesco, la mancanza di programmi di supporto che coinvolgano i familiari e di strutture apposite, sono fattori che aumentano la durata del ricovero.

La parola passa ora ad Angelo Barbato ( Istituto Mario Negri, Milano ), con l’intervento dal titolo "Quanto migliorano i pazienti nelle strutture di ricovero psichiatrico? Una valutazione dei pazienti ammessi e dimessi nel periodo indice" di Angelo Barbato, Francesco Panicali ( Università di Modena ) e Alberto Parabiaghi ( Istituto Mario Negri, Milano ).

Quanto migliorano i pazienti nelle strutture di ricovero psichiatrico? Gli SPDC e le altre strutture valutate sono per acuti e pertanto, il miglioramento alla dimissione dovrebbe essere notevole. È davvero così? La coorte valutata è stata studiata prospettivamente per valutare l’entità del cambiamento tramite i test BPRS e SOFAS, focalizzandosi quindi sui sintomi.

Negli SPDC sono ricoverati pazienti più gravi ma non del tutto sovrapponibili agli altri. È stato valutato un ipotetico "paziente medio". Il campione eterogeneo per diagnosi dei 281 pazienti valutati con durata media di 5 giorni di ricovero era composto da pazienti in genere gravi ma non gravissimi e che miglioravano in maniera consistente, con un passaggio da 53 a 41 alla BPRS.

Il paradosso però è un altro: i pazienti che migliorano maggiormente sono quelli ricoverati per abuso di sostanze, che, in teoria, non dovrebbero neppure essere ricoverati in SPDC.

Seconda Giornata, 30 Gennaio 2008

 

L’intervento introduttivo della mattinata, del moderatore dott. Paolo Peloso ( ASL 3 Genovese ) ha inizio con un riferimento a Basaglia.

Parlare di contenzione fisica è sempre difficile perché si tratta di un argomento spinoso, che suscita reazioni viscerali, e mediare diventa quindi difficile. Dire che la contenzione può avere un effetto terapeutico nel paziente maniacale perché provoca la liberazione endogena di sostanze sedative, come è stato sostenuto recentemente in un convegno a Bormio, fa trascurare l’evidenza che la contenzione ha comunque un effetto morale molto pesante, che non deve mai essere sottovalutato.

Citando Bandini, Peloso ricorda che la contenzione evoca una duplice identificazione: quella con il medico ma anche quella con l’essere umano che viene legato.

Il motto attribuito a Basaglia "La libertà è terapeutica" esprime un nucleo profondo di verità e va letto nel contesto in cui è inserito: si tratta del ribaltamento della paradigma pineliano, tecnicamente errato, che il paziente è nelle mani dello psichiatra.

La diatriba in tema di contenzione non dovrebbe sussistere alla luce del fatto che comunque la psichiatria lavora perché la contenzione non avvenga, perché la contenzione fa male, crea delle ricadute emotive, vissuti di colpa ed elaborazioni paranoidi sia nel paziente che nel medico. Non si tratta quindi di sterili prese di posizione, ma di assumere come obbiettivo forte per il futuro rendere possibile l’abolizione della contenzione.

È ora la volta dell’intervento dal titolo "I comportamenti violenti tra pazienti ammessi nelle strutture pubbliche e private: le evidenze quantitative." di Sara Delmonte ( Università di Modena ), Bruno Biancosino ( DSM di Ferrara ) e Giovanni Santone ( Azienda Ospedaliera di Ancona ).

Per valutare l’aggressività manifestata i pazienti sono stati suddivisi in :

-non ostili

-ostili ( che avevano espresso minacce )

-violenti ( che avevano aggredito persone ).

I pazienti violenti ostili costituivano circa 10%, i violenti il 3%; il problema non sembrava quindi insormontabile agendo su prevenzione e trattamento; la percentuale era infatti molto più bassa di quelle di USA e Canada, che andavano dal 20% al 35%.

Il 90% dei pazienti ostili e violenti era ricoverato in una struttura pubblica ed era costituito soprattutto da pazienti di sesso maschile.

Per quanto riguarda l’età più del 50% dei pazienti violenti avevano un’età compresa fra 25 e 44 anni; i single risultavano prevalenti soprattutto fra i violenti, che erano single nei _ dei casi. Questi dati, che confermano quanto riscontrato in letteratura, evidenziano come la famiglia possa svolgere un ruolo protettivo verso tali comportamenti.

Per quanto riguarda il lavoro la maggior parte dei pazienti violenti e ostili risultano essere disoccupati; non sono emerse differenze per quanto concerne il gradi d’istruzione. L’elevata scolarità infatti non risulta essere un fattore protettivo, a dispetto delle aspettative.

Sembra che i pazienti violenti soffrano più spesso di schizofrenia, quelli ostili invece di disturbo di personalità.

La consapevolezza di malattia è apparsa diminuita o assente nei pazienti ostili e violenti, metà di essi (sia ostili che violenti) assume un antipsicotico. Metà dei pazienti violenti viene contenzionato almeno una volta così come il 22% dei pazienti definiti ostili. 1/3 di loro va incontro ad una contenzione ripetuta.

In conclusione, quali sono i fattori predittivi di comportamento violento? Il fatto di essere single, di percepire una pensione d’invalidità, di aver frequentato la scuola media superiore e avere una diagnosi di schizofrenia. La depressione unipolare costituisce invece un fattore predittivo negativo.

Il moderatore, prof. Tullio Bandini ( Università degli Studi di Genova ), conclude con una domanda: la contenzione è un atto medico? Molto spesso il rapporto con una diagnosi c’è ma non è sempre scontato e non sempre è predittivo.

È la volta dell’intervento "Restrittività e coercizione durante il ricovero psichiatrico." di Bruno Norcio ( ASLTriestina ) e Renata Bracco ( ASLTriestina ).

Le premesse su cui si basano gli autori sono i principi etici fondamentali quali il diritto della persona, la dignità della persona e l’inviolabilità del corpo. Se vengono meno questi diritti allora il corpo diventa violabile, si ha la negazione del diritto e si arriva ad avere una scarsa qualità dei Servizi di Salute Mentale.

Gli autori hanno valutato quante strutture offrano la possibilità ai pazienti di uscire durante la giornata di degenza, quante abbiano un giardino o, in alternativa, rendano possibile l’uscita dei pazienti accompagnati. Nel 14% dei casi i pazienti non possono uscire né soli né accompagnati.

Il telefono cellulare, in teoria vietato, in realtà è considerato una comodità reciproca e come tale viene concessa, disattendendo quindi alla regola generale.

La contenzione meccanica e l’isolamento sono applicate al 7% dei pazienti ricoverati, anche in caso di permanenza protratta. E questa è la critica della relatrice: com’è possibile che un paziente ben conosciuto debba essere trattato con metodi così limitanti?

Il 9% dei pazienti ricoverati in SPDC viene sottoposto a contenzione contro il 4% di quelli delle Cliniche Universitarie.

4 pazienti contenzionati su 113 sono risultati essere minori: 3 ragazzi di 17 anni ed una ragazza di 14. Le diagnosi in questione erano di RM, disturbo di personalità e disturbi d’ansia.

Secondo i dati raccolti sembra che i cittadini extracomunitari vadano più facilmente incontro a contenzione, soprattutto, semrba, se non sono in regola e non hanno permesso di soggiorno. Qual è il ruolo della mediazione culturale?

La Bracco passa ora alla valutazione dell’ambiente del ricovero: nel 35% delle strutture valutate c’è interazione intensa fra gli operatori, nel 9% invece l’interazione, anche fra pazienti e personale, è nulla. È emerso che laddove si usa la contenzione il personale è più in allarme rispetto alle strutture in cui tale ipotesi non viene nemmeno considerata

La contenzione quindi, conclude la relatrice, fa sentire gli operatori incapaci, rende più insicure le famiglie (che vedono disarmati anche gli operatori) e rafforza la cultura dello stigma.

Il convegno si chiude con la discussione, in cui emerge la necessità di evitare sterili prese di posizione, sia per quanto riguarda la contenzione sia per le terapie utilizzate. Infine, Norcio e Ciliberti pongono fine ai lavori con un commento conclusivo su questo progetto che costituisce oltre che un risultato, un punto di partenza importante.

COLLABORAZIONI

Dato l'alto numero degli avvenimenti congressuali che ogni anno vengono organizzati in Italia e nel mondo sarebbe oltremodo gradita la collaborazione dei lettori nella segnalazione "tempestiva" di congressi e convegni che cos potranno trovare spazio di presentazione nelle pagine della rubrica.
Il materiale concernente il programma congressuale e la sua presentazione scientico-organizzativa puo' essere mandato via posta elettronica possibilmente in formato WORD per un suo rapido trasferimento online

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