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La formazione continua nell’ambito della Salute Mentale

Il ruolo della ricerca-azione e i rapporti Università-territorio.

VII SEMINARIO, Roma 11 Luglio 2007

Plenaria Finale

Report — primo gruppo - a cura del dott. Fedele Maurano

 

Il gruppo è stato condotto dal dottor Giuseppe Cardamone ed era costituito da 15 partecipanti, in rappresentanza di 10 regioni e, per la maggioranza, composto da medici psichiatri.

In premessa, si deve ancora una volta sottolineare la grande eterogeneità nel nostro Paese dei sistemi sanitari regionali rispetto alla promozione e alla tutela della salute mentale, per cui diventa molto difficile riuscire a descrivere/tradurre in un linguaggio comune le molteplici e variegate esperienze rappresentate. Per restare nel tema del seminario di oggi, in alcune regioni sono previste apposite strutture aziendali per la Formazione ( Lombardia, Campania, Toscana) con relative risorse umane e finanziarie, in altre essa è delegata all’iniziativa e alla volontà del singolo operatore o gruppo di lavoro (Abruzzo, Sicilia).

La discussione, molto viva e partecipata, nella prima parte è stata centrata sul dilemma/confronto di idee e di esperienze su formazione monoprofessionale e/o formazione multiprofessionale, Quest’ultima è stata privilegiata da gran parte del gruppo nonostante la netta prevalenza in esso di un profilo professionale (sanitario psichiatra); si è infatti convenuto sull’idea di formazione unica, continua e multiprofessionale, rivolta a tutto il gruppo di lavoro, che deve essere capace di valorizzare la dimensione creativa e soggettiva di ogni operatore nella gestione di una "buona relazione" con l’utente, con gli altri membri del gruppo di lavoro e con i vari soggetti della comunità locale. Interessanti al riguardo le esperienze di Lecco, di Grosseto, di Salerno e di Frascati.

Il gruppo di lavoro è da tutti pensato come il luogo privilegiato per la formazione.

Condiviso un po’ da tutti è anche il carattere permanente della formazione che viene intesa come processo e modalità costante di riflessione e di autoriflessione da parte del gruppo di lavoro, che può essere aiutato e confortato in questo da esterni in qualità di supervisori. È stata sottolineata l’importanza, in questo modo di intendere il processo formativo, delle riunioni e degli incontri del gruppo di lavoro.

Uno dei problemi emergenti è come rendere accessibile e fruibile detto processo di formazione da parte dei volontari, dei familiari, degli operatori sociosanitari e degli amministratori delle comunità locali, nonché come far partecipare ai corsi di formazione ECM, promossi dal Dipartimento di Salute Mentale, quegli operatori del privato sociale o quegli operatori che lavorano nelle strutture accreditate. Tale accesso non può essere regolato soltanto con particolari clausole nelle gare d’appalto.

Nella seconda parte la discussione ha riguardato i rapporti tra Università e Servizi di salute mentale, anche alla luce delle relazioni del prof. Galli e del prof. Lo Verso; sottolineando la complessità e spesso l’assenza di tali rapporti.

Nelle Università italiane, nelle facoltà di Medicina e di Psicologia, nelle scuole di specializzazione in Psichiatria e nei corsi di laurea per le nuove figure professionali impegnate nell’ambito della salute mentale, si registra al momento un mancato adeguamento delle strutture didattiche, ad eccezione di alcune realtà, per renderle competenti ed efficaci nei processi e negli avvenuti cambiamenti che si sono determinati nel nostro Paese con la legge di riforma sanitaria, specialmente in riferimento ai saperi e alle azioni di salute mentale di comunità.

La difficoltà principale dell’Accademia, secondo alcuni, è stata quella di non aver lavorato con i servizi e le loro competenze allo sviluppo di un modello teorico di riferimento della salute mentale di comunità che rimanda all’incontro di più culture, alla valorizzazione delle esperienze territoriali, alla considerazione del Territorio e della Comunità locale come laboratori di ricerca, alla contaminazione di più saperi, all’integrazione di molteplici linguaggi.

L’Università tende a produrre modelli monoculturali che non possono andare bene per tutti e allo stato attuale produce un modello esclusivamente di tipo psico-biologico.

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