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S. Garfield, Il malva di Perkin. Storia del colore che ha cambiato il mondo, Garzanti, Milano, 2002, pp. 213, Ä 18

E’ una lettura piacevole, ricca di notizie e di dati su una vicenda di notevole importanza, anche se ignota ai più, riguardante un chimico atipico dell’800 e la prima sintesi di un colorante artificiale, il malva, che ha dato l’avvio all’industria dei coloranti precorritrice di quella farmaceutica.

La storia si svolge nella seconda metà del secolo XIX e, anche se il libro non contiene significative riflessioni epistemologiche, esso riporta puntualmente fatti e dati oggettivi riguardanti un ricercatore capace e fortunato che, nonostante il successo scientifico ed economico, restò modesto e senza arroganza.

William Perkin (1838-1906), poi Sir William, nacque e morì a Londra dove, giovanissimo, divenne discepolo del grande chimico tedesco August Wilhelm Hofman (1818-1873), attratto in Inghilterra dal principe Albert, consorte della regina Vittoria e messo a capo del neonato Royal College of Chemistry su raccomandazione del suo maestro Justus von Liebig (1803-1873). Perkin era un pittore dilettante e questo lo rese particolarmente sensibile ai colori anche nel suo lavoro di ricerca. Il progetto nel quale era impegnato il laboratorio di Hofman era la sintesi chimica del chinino, il farmaco antimalarico che allora si ricavava dalla corteccia dell’albero di china. Il diciottenne Perkin, tentando di convertire un composto basico come l’anilina nell’alcaloide chinino ottenne un oliaccio scuro, classico risultato di un fallito esperimento di sintesi organica. Qualsiasi chimico un po’ più esperto avrebbe gettato via tutto, ma Perkin, aiutato dalla sua ingenuità e dal fatto che il suo supervisore era momentaneamente assente, provò ad estrarre con alcool il residuo ottenendo un liquido color malva apparentemente adatto a tingere in modo permanente le stoffe.

A parte la serendipità della scoperta, il giovane fu fortunato per molti riguardi. Per prima cosa egli intravide le potenzialità economiche della scoperta e, contro il parere di Hofman, decise di abbandonare la ricerca pura per diventare un produttore. L’incontro con Robert Pullar, uno scozzese che lavorava nella produzione di tinture per tessuti, fu importante perché l’interesse commerciale della scoperta venne confermato da un esperto.

Perkin decise di brevettare l’invenzione, di continuare il lavoro di ricerca in un laboratorio di fortuna allestito in casa con l’aiuto del fratello e di costruire una vera e propria fabbrica con i fondi generosamente messi a disposizione dal padre, pronto ad impegnare nell’impresa i risparmi di una vita. Era il 1856. La chimica organica stava nascendo come pratica preparativa e, a partire dal 1859, con la proposta della struttura ciclica del benzene da parte di August Kekulé (1829-1896), si avviava ad acquisire una base teorica, anche se solo l’avvento della quantomeccanica, nel 1926, doveva fornire il vero e proprio fondamento alla disciplina.

Il libro descrive con efficacia gli eventi che portarono Perkin al pieno successo ed i fattori che ad esso contribuirono. Prima della sua scoperta i coloranti tessili venivano estratti da vegetali, molluschi, insetti e minerali, cioè materie prime per la gran parte importate in Europa da India, Messico e altri paesi lontani. La richiesta di stoffe colorate stava peraltro diventando un fenomeno di massa e, in quel periodo, si andava precisando la logica che lega la produzione industriale alle richieste del mercato.

Diverse altre interessanti articolazioni emergono dalla narrazione. La chimica in Germania e nell’Europa continentale era allora una disciplina accademica affermata, ma stava solo iniziando a divenire tale in Inghilterra soprattutto per la spinta dei grandi profitti che derivavano dalla produzione chimica industriale di coloranti, esplosivi, fertilizzanti, eccetera.

Alla fine del XIX secolo si erano costituite le grandi industrie chimiche per la produzione dei coloranti - e degli altri composti chimici necessari per lo sviluppo - e la ricerca non era più un fenomeno limitato ai laboratori universitari.

Nel 1899 i laboratori di ricerca della Bayer tedesca, partendo dall’acido salicilico, un prodotto intermedio per la sintesi di coloranti, avevano sintetizzato l’aspirina e successivamente avevano ottenuto composti come eroina e codeina. I profitti realizzati con la commercializzazione dei coloranti erano stati d’altra parte impiegati per il lancio dell’atebrina, antimalarico di sintesi più potente del chinino. Anche la Hoechst, altra grande industria chimica tedesca, aveva impiegato parte dei profitti derivanti dai coloranti per finanziare le ricerche del grande chimico-medico P. Ehrlich (1854-1915), fondatore della chemioterapia e dell’immunologia. Ehrlich, partendo dall’ipotesi che, in analogia con le stoffe, esistessero sulla superficie delle cellule dei tessuti animali siti specifici capaci di legare coloranti, era arrivato a formulare il concetto di "recettore" ed a proporre che i farmaci agissero come "pallottole magiche" capaci di colpire selettivamente gli agenti patogeni. In questo modo egli arrivò a ottenere composti chimici sintetici con cui si potevano trattare la tripanosmiasi, l’amebiasi e la sifilide. La colorazione delle cellule viventi con composti quali fucsina e bleu di metilene aveva d’altra parte permesso lo studio di queste al microscopio e, a partire dal 1869, l’individuazione di diverse strutture subcellulari. R. Koch (1843-1910), usando bleu di metilene con una tecnica messa a punto da Ehrlich, aveva identificato i micobatteri, agenti eziologici della tubercolosi, mentre lo stesso Ehrlich, dopo tentativi fatti con più di 600 composti, identificò, nel 1910, il 606-Salvarsan, cioè il prodotto di sintesi da usare per la terapia della sifilide.

A partire dall’inizio del secolo XX, tutte le industri e i gruppi industriali sorti attorno alla sintesi dei coloranti di sintesi si adattarono gradualmente a produrre farmaci e la nuova industria farmaceutica ereditò molti metodi di ricerca, apparecchiature e sistemi di commercializzazione che nel secolo XIX erano stati messi a punto per i coloranti.

Perkin era partito con l’idea di fabbricare un farmaco ed aveva trovato un colorante. Molti di coloro che, dopo di lui, si erano occupati di coloranti, si trovarono coinvolti nella fabbricazione di farmaci. Il cerchio così si potè chiudere.

Lauro Galzigna

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