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Gruppo di Ricerca sulle Psicoterapie Brevi

Resp. Prof. L. Pavan

Atti del Congresso Nazionale
L'Alleanza Terapeutica

 

LA PSICOTERAPIA BREVE COGNITIVO COMPORTAMENTALE

DEI DISTURBI DELLA CONDOTTA ALIMENTARE

Prof.ssa C. Ramaciotti

Università di Pisa

 

Parleremo dei disturbi della condotta alimentare. Non è facilissimo quando non si sa da quale livello (preparazione in merito dell’auditorium) si parte però si tratta di usare un materiale che può essere sia un motivo di discussione, sia rappresentare qualcosa di nuovo per chi si avvicina a questo argomento. Cercheremo di impostare la lezione in modo integrativo, se avete delle domande me lo dite e ad intervalli regolari mi fermo e mi fate le domande.

Studiare i disturbi della condotta alimentare in questo congresso vuol dire portare una particolare attenzione sia all’empatia, perché il convegno ha parlato prevalentemente di empatia, sia di metodologia al trattamento e per definizione si è parlato di psicoterapia breve. Nel centro dove opero sono responsabile di una delle due sezioni per i disturbi alimentari, ci sono due unità afferenti alle due cliniche psichiatriche. Nella nostra unità da sempre per definizione il disturbo alimentare si affronta in modo quanto più ampio possibile, viene usato il famoso, abusato come termine, "trattamento multidimensionale". Mai come in questo disturbo è necessario che si possa usare il trattamento farmacologico, psicoterapeutico e nutrizionale insieme e ovviamente il controllo internistico dei pazienti. La psicoterapia breve dei DCA……ma breve quanto?

Cominciamo a premetterlo, direi che quando si parla di anoressia nervosa o di BED, di cui parleremo, le cose siano diverse rispetto alla bulimia nervosa, per la quale si può pensare ad un intervento organico contenuto in sei mesi. In una anoressia nervosa possono bastare sei mesi in alcuni casi fortunati, per esempio esordio recente, primo episodio, con tempestiva individuazione della patologia, sei mesi possono anche riuscire a risolvere un quadro, in altri casi, specialmente nelle patologie di lunga durata, sei mesi possono avere un altro significato, possono avere il significato di introdurre a fasi successive. Ad esempio noi a Pisa abbiamo una realtà di questo tipo: abbiamo un reparto psichiatrico dove sono ricoverati i pazienti psichiatrici, non abbiamo però un servizio dove ricoverare pazienti affetti da disturbi della condotta alimentare e questi pazienti vengono all’occorrenza ricoverati in reparto in mezzo agli altri pazienti. Bene, visto che è questo che abbiamo a disposizione, il mio gruppo preferisce fare in un altro modo: preferisce offrire una terapia ambulatoriale o di day hospital ma quando possiamo evitiamo il ricovero nel reparto psichiatrico perché tra i due mali, io preferisco il minore. Allora, quando ce n’è bisogno, dove si possono ricoverare? Si possono ricoverare in una medicina che sappia lavorare con questi pazienti o si possono avviare a trattamenti specialistici in reparti dove ricoverano spesso queste pazienti. Voi sapete che ce ne sono di specifici: quello di Villa Garda, c’è Rieti, che però prevedono un tempo d’attesa abbastanza lungo per ricoverare queste pazienti. Col tempo parleremo dei pro e dei contro di questo perché ci sono anche dei contro, ovviamente. Questo sembra facilitare il problema: vediamo il paziente e lo mandiamo là. Questo non è vero perché molte volte se il paziente non è pronto, non è stato preparato al ricovero presso questi centri specializzati, firma e se ne torna a casa. Quindi dobbiamo concepire il progetto terapeutico di questi pazienti come una serie di fasi che ci portano verso una risoluzione. Nel contempo ognuno di noi dovrebbe riflettere: io dove lavoro, quali sono le disponibilità che ho, che cosa ho vicino? Ognuno di noi sulla base di quello che diremo oggi, se vuole lavorare con questi pazienti, si può ricavare una sua realtà. Non abbiamo un centro come quello di Toronto dove hanno tutto dalla A alla Z, tuttavia anche lì, pur essendo un centro super specializzato, arrivando persone anche da molto lontano, non possono risolvere ogni problema, per esempio devono pensare a chi verrà affidato il paziente quando verrà dimesso.

Nella prima diapositiva [Fig 2] vi ho semplicemente riportato quali sono i tipi di disturbi della condotta alimentare: si passa da un’anoressia restrittiva dove la paziente controlla il suo peso, il suo basso peso, tramite la misura della restrizione calorica ed una iperattività fisica. Abbiamo poi un’anoressia dove la perfezione del digiuno viene rotta ad intervalli regolari dall’abbuffata e da condotte di eliminazione che servono poi a controbilanciare l’effetto dannoso per la paziente. Poi abbiamo una bulimia senza condotte di eliminazione, una bulimia con condotte di eliminazione, ed un BED. Ci si chiede se la bulimia senza condotte di eliminazione sia la stessa patologia del BED.

Il BED: immaginatevi dei pazienti che hanno la prima parte della bulimia e cioè che si abbuffano in genere come risposta a stati emotivi scarsamente controllati, ma non hanno né condotte di eliminazione, né hanno come nella bulimia precedente le condotte di compenso ovvero un digiuno compensatorio, oppure una intensa attività fisica. Quindi la differenza attuale se vogliamo schematizzarla è che nella bulimia qualcosa fanno per rimediare all’abbuffata, nel BED è come se fossero delle persone rassegnate che non provano a fare qualcosa, è come se avessero l’incapacità a fare qualsiasi cosa per rimediare.

In questa diapositiva abbiamo l’anoressia nelle sue due varianti, bulimia nelle sue due varianti e BED.

La diapositiva successiva [fig 3] focalizza l’attenzione sul peso dei pazienti perché non dobbiamo dimenticare che questo disturbo psichiatrico parte dalla mente senza dubbio, ma coinvolge strettamente il corpo: un circolo vizioso nel quale, specialmente nell’anoressia, se in un primo tempo è la mente malata che coinvolge il corpo, è poi quest’ultimo che coinvolge la mente. Ci sono dei fattori perpetuanti legati al dimagramento e al digiuno che costituiscono dei fattori di mantenimento della malattia perché indipendentemente dall’approccio che uno vuole usare, è importante comunicare che, se non lui, qualcuno si deve occupare degli altri aspetti della malattia, quelli che coinvolgono strettamente il soma, il corpo.

Il peso che significato ha?

Nell’anoressia, per definizione, il peso deve essere inferiore al peso fisiologico per età, …eccetera ma in pratica si parla di Indice di massa corporea (IMC) e il peso dell’anoressica è inferiore a 17,5. Sapete che l’IMC dà un impatto immediato, perché se io dico "quella ragazza pesa 55 kg" voi mi dite sì …allora…. com’è, normopeso, sovrappeso….. Se io vi parlo in termini di IMC, ci sono anche delle tabelle per calcolarlo, voi sapete subito che se dico 14 di IMC la paziente è gravemente denutrita, se io vi dico 40 di IMC, è un grande obeso. L’IMC ci dà una comunicazione più precisa e più immediata. Voi capite che se un paziente in fase di recupero arriva ad un IMC di 19, non lo lasciamo andare, è solo una ragazza anoressica, o un ragazzo che è in fase di recupero: dal punto di vista del soma ci potremmo rilassare, ma sarà necessario continuare a lavorare a livello psichico.

Tra 17,5 e 25 in genere è il peso della bulimia.

Questo vuol dire che la persona con bulimia nervosa nella maggior parte dei casi ha un peso fisiologico, quindi non ve ne accorgete dal peso, può avere un peso leggermente inferiore alla norma, e a volte ci sono delle persone che hanno un peso nettamente superiore alla norma fino ad arrivare all’obesità. Ma questo non è difficile da capire se pensate che il peso dipende da tante variabili, dal peso iniziale, dal set point del peso, ne parleremo, o dipende anche dal fatto che la bulimia sia fatta da due componenti, una è l’abbuffata e una è l’eliminazione, dipende da quanto grande è l’abbuffata e da quanto efficace è l’eliminazione perché se uno in un’abbuffata mangia 7000 calorie e ne elimina 3000, è evidente che 4000 gli rimangono, quindi, anche se non come regola, nella bulimia ci si trova di fronte ad un peso superiore alla norma.

Ho tralasciato la questione dei sessi ma lo sapete, il rapporto è di un uomo per dieci donne nell’anoressia, molti di più nella bulimia e "se la battono alla pari" i due sessi nel BED.

 

Modello a strati della psicopatologia dei disturbi della condotta alimentare.

[fig 4]

Quando un paziente arriva da voi avete di fronte un paziente che ha uno stato di caos dietetico e biologico. L’epifenomeno della malattia conclamata è senz’altro il caos dietetico, sia che si tratti di anoressia, sia che si tratti di bulimia, sia che si tratti di BED. Potete anche non trovare la malattia nel momento di acuzie, perché si sa che in queste malattie ci sono delle fasi di acuzie e delle fasi in cui i sintomi non sono evidenti. Soprattutto il BED si caratterizza per delle ondate sintomatologiche e ogni ondata porta sulla riva qualche chilo in più e qualche strato di psicopatologia in più. Però ammettiamo che generalmente il paziente che ci viene portato, ci viene portato perché ha un disturbo che si manifesta con dei comportamenti. A proposito di questo, voglio dirvi che quella divisione che io vi ho dato non è meramente scolastica dove si sono distinti dei comportamenti, ma ci sono stati molti studi dove si è cercato di far corrispondere un nucleo psicopatologico ad un comportamento. A noi non interessa più di tanto capire se una paziente anoressica vomita o non vomita perché l’importante è che a certi comportamenti, a certi epifenomeni, corrisponda poi un nucleo psicopatologico, sapere qual è il disturbo che ci troviamo di fronte.

Quando voi vedete un paziente ossessivo, mettiamo caso un disturbo di personalità di tipo ossessivo e nel bandolo della matassa ne individuate una o due di caratteristiche, si può ipotizzare che ne abbia altre, perché molto spesso c’è un determinato core sindromico. Ecco, il comportamento di una paziente con un disturbo della condotta alimentare, fa spesso capire quali sono le caratteristiche temperamentali di una paziente, dato che naturalmente bisogna sempre sottoporre alla verifica clinica. Al di sotto del caos dietetico e biologico ci sono i disturbi dell’immagine corporea, ovvero il desiderio di modificare la propria immagine. Non tutti i pazienti con DCA hanno una dispercezione corporea, è frequente, ma non è assoluto. Quindi quando si parla di disturbi della percezione corporea dovete pensare che comprendono non solo la dismorfofobia classica quale la si intende, ma anche un desiderio di modificare il proprio aspetto per un qualche motivo. Al di sotto dell’immagine corporea, che sia dismorfofobia o il desiderio di modificare la propria immagine corporea, sta il concetto di sé, sta un nucleo fragile al quale bisognerebbe poi risalire. Ho sempre creduto e continuo a credere nella multidisciplinarietà e credo che tutti gli approcci siano importantissimi ma dobbiamo essere anche abbastanza flessibili da capire che non sempre e non con tutti i pazienti li dobbiamo applicare. Ci sono delle pazienti che sono uscite fuori dalla malattia intervenendo solo all’apice della piramide (caos alimentare) e almeno sul momento dimostravano chiaramente di non voler andare più in profondità. Ma questo le espone al rischio di una ricaduta e questo forse è vero, ma se noi abbiamo una paziente che è tornata alla salute ed ha deciso di non andare oltre il processo di terapia, non creso stia a noi decidere, la porta è aperta e se mai ce ne sarà bisogno ritornerà. Le differenti modalità di intervento avranno differenti porte di entrata se voi tenete presente la piramide. Le tecniche comportamentali come l’esposizione con prevenzione della risposta per il controllo dello stimolo e i trattamenti di tipo somatico, la terapia nutrizionale e la farmacologia entrano dalla cima della piramide. Le modalità psicodinamiche inseriscono il processo di guarigione dal basso della piramide (Sé fragile), ma quando voi avrete un paziente davanti vedrete che ogni situazione è diversa dall’altra, allora sta a noi decidere con il paziente quali sono le sue condizioni e le sue priorità. Se abbiamo una paziente gravemente defedata è certo che non cominceremo da una modalità psicodinamica, né da una modalità cognitivo comportamentale strutturata, ma dalla terapia nutrizionale verosimilmente ricoverandola ed inizierà con una psicoeducazione. Non è una scelta che facciamo sulla base solamente delle nostre competenze e delle nostre idee, ma il nostro deve essere un approccio duttile che ci fa capire, quando la paziente arriva alla nostra attenzione, di cosa ha più bisogno. È importante ricordare che da tutte le parti della piramide si può entrare e questo non dipende tanto da noi quanto dalla situazione. In genere comunque si agisce a tutti e tre i livelli della piramide, ma non vuol dire che lo dobbiamo fare in contemporanea.

Multifattorialità dei disturbi della condotta alimentare.

Da dove è partita la nostra ricerca?

Io mi ero accorta nel corso degli anni che le pazienti che arrivavano, in particolare parlo di anoressia, avevano molto spesso quella che viene chiamata la "spinta alla magrezza" ed è chiaro che questo implica un certo tipo di trattamento tagliato su questo motivo. Al di là di quello che il DSM chiede per fare diagnosi di anoressia però, ho verificato che certe pazienti non avevano poi questa spinta iniziale alla magrezza, oppure l’avevano solo fino ad un certo punto. Riguardando la letteratura si vede che fino al 1930 nella diagnosi di anoressia nervosa non veniva contemplata la spinta per la magrezza. Eppure le Sante anoressiche sono esistite: S. Caterina e S. Barbara sono state affette da anoressia ed è improbabile che fossero spinte solamente da un desiderio di magrezza. C’è sempre stata l’anoressia, anche se non con l’incidenza attuale e la bulimia? C’era anche la bulimia, più come BED, in realtà. Quindi c’era una parte, che è sempre esistita, poi ad un certo punto, dagli anni cinquanta in poi c’è stato un aumento epidemico dei DCA. Raccogliendo in nostri dati emerge che il 20% delle nostre pazienti non avevano inizialmente la spinta alla magrezza e mantenevano l’assenza di tale spinta durante la malattia. L’80% delle pazienti hanno l’anoressia classica che tutti ci aspettiamo.

A questo punto mi sono messa in contatto col centro di Toronto per vedere quante erano le pazienti che potevano essere lette con questa chiave di lettura. Con sorpresa, la percentuale emersa era la stessa, il 20%.

Ma allora sono anoressiche? Credo che a tutti noi sia capito il caso del bolo isterico, della fatica alla deglutizione, queste ragazze ci sono state portate dicendo "non vuole mangiare", ma quelle non sono anoressiche, quello è un disturbo di panico, mentre queste ragazze a tutti gli effetti sviluppano un’anoressia che ha, di distinguibile dall’anoressia classica, che più della paura del peso hanno la paura del cibo. Con queste ragazze va mirato il trattamento perché se noi cominciamo a parlare del significato della magrezza, dei vantaggi che la magrezza può dare, della tirannia culturale del peso, ci accorgiamo che è come l’olio sull’acqua, scivola. Per queste ragazze la terapia più adeguata è quella che entra dalla parte alta della piramide, abbastanza direttiva dal punto di vista alimentare, molto rassicurante dal punto di vista del fatto che vicino a loro c’è qualcuno che sa cosa fare e che le guiderà fuori da questa situazione. Ho diviso i fattori predisponenti dai fattori precipitanti perchè è una cosa fondamentale [Fig 7]. Tra i fattori precipitanti, come vedete qui, c’è "insoddisfazione per il proprio peso" 80%, "fare la dieta per migliorare la stima ed il controllo di sé" 80%, io aggiungerei. Infatti vi ho detto che il fattore precipitante vero è una zona oscura all’interno della quale nessuno sa ancora cosa succede: S. Barbara e S, Caterina non volevano essere belle o attraenti, in qualche modo incontrare i canoni estetici del tempodato che i canoni estetici socialmente perseguibili per loro casomai erano l’ascesi, il digiuno. In qualche modo il significato del digiuno o della iponutrizione in quel tempo era diverso dal nostro. Io direi che qualsiasi forma di ridotto apporto calorico che porti ad un calo di peso nelle persone che hanno i fattori predisponenti naturalmente, hanno un effetto scatenante devastante e quindi possono fare iniziare la malattia. Io ho avuto due casi, per farvi capire meglio, in cui queste ragazze avevano adottato lo schema anoressico (come in passato ce n’era una che aveva avuto tutti i sintomi più aspecifici) ed in realtà erano affette da sindrome di Munchausen. Se ne è molto discusso dei vantaggi intrapsichici più che interpersonali, però, se uno trova sempre il sintomo gastroenterico o dermatologico, o fisiatrico, alla fine viene smascherato. Se la ragazza sceglie invece il sintomo anoressico, il digiuno di per sé su una persona che chiaramente qualche problema ce l’ha, la sola restrizione calorica dicevo, riesce ad avviare una forma anoressica che certamente al colloquio clinico dava da pensare: io con queste ragazze non trovavo un nucleo anoressico, c’era la paura del cibo, ma in qualche modo questa paura era venuta con il progressivo calo di peso non era dettata né dai motivi di S. Caterina, né dai motivi delle anoressiche attuali. Vi voglio dire quanto importante sia che le diete siano realmente controllate perché c’è un numero di persone che è estremamente suscettibile al solo calo di peso.

Sintomi di mantenimento: io qui vi ho portato sintomi da digiuno ora ne parliamo, e reazione degli altri. Le ragazze non solo perdono un po’ di peso inizialmente ma molto spesso questo calo di peso dà l’illusione temporanea, viene chiamata la fase di luna di miele, di una maggiore assertività, determinazione, di riuscire a portare avanti qualcosa che le fa stare meglio, quindi in un primo momento hanno anche un rinforzo positivo ad opera delle persone che le circondano.

In queste torte [Fig 8] io riporto uno schema di autovalutazione funzionale e disfuzionale. Da una parte una persona che è affetta da DCA, dall’altra una persona che non è affetta da DCA. Se voi andate a vedere i vari spicchi dove ci sono famiglia, lavoro, peso, o altro, nelle pazienti con DCA, lo spicchio dedicato al peso, alle forme corporee, al controllo dell’alimentazione, è enorme. Una sorta di filtro attraverso cui la paziente vive le sue realizzazioni ed i suoi rapporti interpersonali e quindi il suo benessere intrapsichico. Mentre la persona che non ha un DCA ma che ha anche un altro disturbo psichiatrico non ha questo tipo di caratteristiche, e questo espandersi di questi ambiti. Il DCA è utile che lo indaghiamo, che lo studiamo, che tentiamo di legare il nucleo psicopatologico al disturbo comportamentale, ci sono però delle modalità di trattamento sempre più usate che vanno a cogliere dei nuclei che sono in comune a tutte le forme di DCA.

Indipendentemente dalla diagnosi tendo a raggruppare le pazienti sulla base di queste caratteristiche: perfezionismo clinico, bassa autostima nucleare, problemi interpersonali, intolleranza alle emozioni. Se voi non avete almeno uno di questi nuclei in un paziente che secondo voi dovrebbe avere un DCA pensate di essere sulla strada sbagliata, perché non dico che li abbiano tutti, ma molto spesso ne hanno almeno uno e sono molti i casi in cui ce ne sono almeno tre.

Effetti del digiuno sul comportamento.

La patologia ha un aspetto preciso non solo a livello clinico ma anche a livello psichico. Vi ricordo di uno studio chiamato il Minnesota Study [Fig 11; Fig 12] in cui si sono valutati 36 uomini giovani, sani, per sei mesi, prima di sottoporsi a questo esperimento che riduceva il loro apporto calorico del 50% sono stati valutati sia da un punto di vista clinico e psicologico e fu usato il minnesota test. Questi 36 volontari arrivarono a perdere il 25% del peso iniziale e non erano proprio volontari perché o si sottoponevano all’esperimento o andavano alla guerra in Corea, però tutti gli uomini sperimentarono questi cambiamenti: cominciarono a cambiare il contenuto dei loro argomenti preferiti che non furono più le ragazze, lo sport ecc ma fu il cibo, quello che la mamma aveva preparato il Natale prima ecc. questo non è per essere riduzionisti, ma finchè viviamo in un corpo, il digiuno ha un effetto sul nostro corpo, quindi cambiavano tantissime cose, ad esempio la scala dell’ossessivitià, normale all’inizio, diventò patologica, l’aspetto cognitivo si modificò, ci furono tre di loro che scelsero di fare, dopo l’esperimento, i cuochi…… quindi pensate le nostre scelte come possono essere indirizzate. Ci sono proprio degli studi che hanno fatto Santanastaso e Favaro nei quali sono andati ad intervistare dei sopravvissuti ai campi di concentramento che non hanno mai più ritrovato regimi alimentari normali, hanno subito un trauma terribile anche da un punto di vista comportamentale, ed alcuni di loro hanno conservato delle abitudini bizzarre come nascondere il cibo. Gli effetti del digiuno sul comportamento ci sono e sono importanti.

Teoria del set point.

[Fig 13]

Ognuno di noi ha un’area di peso che viene riconosciuta come biologica e alla quale il nostro corpo tende a portarsi spontaneamente. Questo dovrebbe essere spiegato già nelle scuole ai ragazzi: ci sono delle cose che non possono essere modificate mentre il peso purtroppo sembra una cosa che si può modificare, e invece non lo è. Infatti, tutti i metodi di diminuzione del peso, tanto più sono violenti e aggressivi, tanto più mettono in moto forti meccanismi di compenso. Il genere umano proviene, e purtroppo non ne è ancora uscito (sappiamo che una parte del mondo è ancora affamata) , da un periodo di carestie, per cui il nostro corpo ha imparato a difendersi dalla iponutrizione: abbiamo dei meccanismi che si mettono subito in moto sia quando si perde peso velocemente, sia quando si intende prolungare eccessivamente la perdita di peso.

Tutte le volte che la persona con DCA riduce l’apporto calorico attiva due meccanismi: da una parte la restrizione del metabolismo energetico, infatti gli ormoni tiroidei sono bassi (T3 che è la forma inattiva si alza)e le mestruazioni si interrompono. Questi sono sintomi di un risparmio energetico di un organismo che intende sopravvivere, si abbassano le gonadotropine, quindi si verifica quasi uno stato di riposo. Questo succede non solo nella paziente anoressica, ma anche nella paziente bulimica che tende ad adattarsi a non mangiare e però prevale in lei il secondo meccanismo di difesa del nostro organismo che è l’abbuffata, la quale viene erroneamente interpretata dalla ragazza come una perdita di controllo, ma è in realtà una risposta fisiologica a quello che lei sta infliggendo al suo organismo. Ma allora significa che tutte le persone che sono un po’ sovrappeso non possono dimagrire? No, per esempio può capitare che per mille motivi una persona sia sopra il suo set point e al tempo stesso che la si possa riportare in quello che sarebbe previsto per la sua struttura; questo però va fatto in modo graduale. Per esempio nei grandi obesi non si fanno mai perdere più di dieci chili alla volta. Ci sono due fattori precipitanti l’abbuffata: la fame e l’emozione, ovvero alcuni pazienti utilizzano l’abbuffata quasi come un tampone per reagire ad emozioni che non riescono ad affrontare in modo diverso. Le due grandi aree che stanno dietro all’abbuffata sono la difficoltà ad avere a che fare con le proprie emozioni, e la riduzione calorica (ovvero la fame che ne consegue). Quando una paziente viene da noi, abbiamo detto che ci sono due aspetti da tenere conto, quello organico e quello psicologico: la prima cosa che dobbiamo avere in mente, ovviamente come medici, è l’incolumità della paziente.

La prima valutazione dovrà essere fatta sulla necessità di ricovero o meno [Fig 17]. Sono due i casi che dobbiamo considerare per un ricovero: il rischio di suicidio per una depressione associata ma anche per un senso di fallimento esistenziale, oppure le alterazioni elettrolitiche e tanto più una paziente è sottopeso, tanto più dobbiamo avere paura, soprattutto se vomita, che ci sia un’ipopotassiemia. Per quanto riguarda la paziente anoressica ci sono altre cose che vanno prese in considerazione: c’è l’aspetto fisico, ovvero una grave denutrizione che ha portato ad una diminuzione dei globuli bianchi, oppure a parte tutte le complicanze organiche una famiglia poco collaborante e di fronte a ripetuti tentativi falliti, è necessario ricoverare la paziente. Direi che quando si abbia un grave sottopeso da digiuno, a volte si ha anche l’impressione di non capire bene quale sia la capacità introspettiva od il quoziente intellettivo perché queste pazienti sono quasi stordite, a volte lo stato di coscienza è anche parzialmente alterato, quindi come si fa ad accedere a queste pazienti se non controllando in un primo momento le condizioni fisiche? Vi suggerisco un vecchio stratagemma: la ragazza anoressica nella prima fase, vuoi perché è contenta di quelli che considera dei successi, vuoi perché non se ne rende conto, è difficile che venga a chiedere aiuto. Allora sta a noi stabilire l’alleanza terapeutica e in particolare direi che riportare la paziente su un terreno concreto di realtà non serve, semmai quando la relazione terapeutica è forte, piuttosto che metterla allo specchio, il che richiede una capacità tecnica del tutto particolare, è opportuno chiedere di farsi portare delle foto. Non serve partire in prima battuta contro quei nuclei di malattia fortemente strutturati, sarebbe come andare a dire ad un delirante che il suo è un delirio e che non rappresenta la realtà. Bisogna prendere alle spalle l’argomento. Per esempio, noi abbiamol’idea di farla aumentare di peso, ma non dobbiamo comunicargliela. E’ opportuno quindi, non certo ingannare la paziente, ma focalizzare la propria attenzione per esempio su una corretta alimentazione che non la faccia aumentare di un etto ma che le dia l’energia necessaria per vivere la giornata. L’idea di mangiarsi il corpo, i muscoli ed i globuli bianchi in genere non piace, quindi se cominciate a prospettare il cibo come medicina il peso non va nominato, l’aspetto fisico non va nominato: nelle prime fasi di trattamento non va fatto questo errore. Io credo di non dire mai la parola "ingrassare" in tutto il trattamento, dico piuttosto "aumentare di peso" ma in là, molto in là nel corso della psicoterapia. Abbiamo anche noi il famoso stratagemma: se viene somministrato alla paziente anche con l’aiuto di una dietista un regime calorico sufficiente, miracolosamente per la paziente accade quello che il terapeuta aveva detto: lei mangia di più ma non prende peso. Per quanto riguarda la bulimia ed il vomito, vi dico solo, così sapete cosa dire, che per una ragazza che smette di vomitare anche per due o tre settimane, il suo feedback a livello di liquidi non si riassetta immediatamente, per cui anche lì c’è un allarme che dice "risparmia liquidi perché li perdo" quindi la ragazza che vomita è in uno stato di risparmio liquido. Se la ragazza smette di vomitare, essendo ancora in funzione il sistema di risparmio idrico, tende ad aumentare di peso, ma non perché ingrassa, ed è solo dopo 15 — 20 giorni che l’organismo si rilassa e capisce che può iniziare a liberarsi dei liquidi in eccesso.

L’atteggiamento del terapeuta.

L’approccio con la ragazza: che cosa potete dire? [ Fig. 20]

Intanto una cosa molto utile…. nel disturbo di panico, salvo rare occasioni, il paziente non è contento di avere il DAP, mentre in questi disturbi, molto spesso, le pazienti se non sono contente quella è comunque l’unica modalità adattativa che in quel momento conoscono ed hanno molta paura di cambiare. Quindi direi di cominciate ad usare quegli aspetti che sono egodistonici [fig 19] come ad esempio il freddo, l’umore flesso, la diminuzione della capacità di socializzare, far capire che l’autostima non è migliorata col calo di peso. Il quadro psicopatologico classico è che la paziente per compensare delle aree che crede di non poter modificare, è come se scegliesse un falso bersaglio che si sente in grado di aggredire, quindi è chiaro che non si può sottrarre di colpo quell’unica area in cui si sente capace, senza darle prima qualcosa che la possa agganciare ad una realtà nella quale si senta efficace. Il nostro atteggiamento non dovrebbe essere seduttivo, le pazienti hanno bisogno di vedere di fronte una persona che sa quello che sta facendo. Non dobbiamo essere moralistici perchè sono loro che si danno le colpe per prime ogni volta che mangiano, non giudicanti, non punitivi, né oppositivi o minacciosi. Dovremmo essere fermi, competenti, dovremmo far leva su aspetti egodistonici sulla paziente, dovrebbe interessarci il paziente e non perché ci siano terapeuti ai quali non interessano i pazienti, ma per fare attenzione ad essere coscienti dei propri limiti quando si hanno in carico molti pazienti. Ed ecco che nei servizi ci sono i vari stratagemmi psicoterapeutici, come i gruppi terapeutici che però non si usano per le pazienti anoressiche per le quali il setting adatto più classico è quello duale. Alcuni studi indicano che al di sotto dei 18 anni, per un esordio recente, per una paziente anoressica è indicata la terapia familiare, in ogni altro caso si preferisce la psicoterapia a due. Nella bulimia è ottima la psicoterapia di gruppo, sei mesi una volta a settimana, ma può essere anche a formato singolo. Nel gruppo dell’anoressia nervosa è molto forte il fenomeno della competitività, soprattutto nelle prime fasi dell’intervento quando le pazienti ancora associano il successo ad avere un aspetto magro ed emaciato, se vedono qualcuna più magra ed emaciata di loro tendono ad intensificare gli sforzi patologici al dimagramento. Nel BED è ottimo il formato della psicoterapia di gruppo. Bisogna essere bravi per effettuare una terapia di gruppo, ed essere soprattutto sempre al corrente perché quello che tende a fare una ragazza anoressica è dividere il gruppo, ma non perché vuole avere un alleato speciale ma perché vuole continuare nel suo comportamento patologico ed intende sabotare le misure terapeutiche. Quindi comunicatevi sempre le decisioni.

Terapie.

Anche la terapia nutrizionale [Fig 25 - 36] è una psicoterapia, quando si spiega ad una paziente anoressica che mangiare un po’ di più all’inizio del trattamento non la farà aumentare di peso, è come dire occupiamoci di più di quello che ti sta veramente a cuore, è un modo per stabilire un’alleanza, è far sentire alla paziente che vogliamo lavorare con lei anche oltre quelle difficoltà che la allontanano dalla terapia, e che la rispettiamo e le vogliamo andare incontro per quello che è possibile. È importante che venga comunicato alla paziente (a qualsiasi età della paziente) che quello che viene fuori in sede di psicoterapia non verrà detto a nessun’altro, che i genitori non verranno avvisati, salvo che, e questo viene detto subito, ci dovessimo trovare preoccupati per la sua condizione di salute psichica e fisica. Al di là di questo, la paziente si sente sicura della nostra discrezione. La terapia nutrizionale ve l’ho portata, non credo che ci siano particolari difficoltà perché ci sono tutta una serie di diapositive che vi dicono come impostare una terapia nutrizionale. Secondo me voi siete già in grado di svolgere un buona terapia nutrizionale, anche con l’ausilio di una nutrizionista. Ricordate che le dietiste che non hanno una preparazione specifica, quando mandate loro una paziente bulimica, tendono a metterla a dieta ipocalorica, il che è un errore, va fatta una dieta normocalorica. Qui vedete la terapia nutrizionale e l’automonitoraggio, il classico diario alimentare per una ragazza affetta da abbuffate sia anoressica che bulimica, si chiede di indicare ora e luogo, cibi e bevande consumati, in quale situazione sociale è avvenuta, e i sentimenti e le emozioni che hanno preceduto ed in qualche modo favorito l’abbuffata. In questo modo noi vediamo in primo luogo che tipo di alimentazione ha la paziente, se restringe l’alimentazione, se risponde di più alla restrizione calorica come abbuffata o se risponde di più allo stato emotivo, da questo monitoraggio ben fatto ve ne rendete conto.

La psicoterapia in questi casi è di tipo cognitivo comportamentale [Fig 37] come primo approccio che comprende la psicoeducazionale, include suggerimenti riguardanti la modificazione di certi comportamenti, se in modo banale al colloquio o con il diario clinico si riescono ad individuare i momenti nei quali la paziente si abbuffa, si può anche tentare di sostituire delle strategie a quei momenti, e quindi qui siamo proprio all’esterno della "cipolla" se vediamo la terapia psicodinamica al centro, la psicoeducazionale sta proprio in periferia, però ha una sua funzione, per esempio per la paziente che non vuole andare al centro della cipolla. Ci sono una lista di attività piacevoli che voi potete far compilare alla paziente o delle attività che le sarebbe piaciuto fare e che non si è mai decisa a fare, quindi cose molto pratiche fino a che in contemporanea o dopo si comincia con quella psicoterapia che mira ad evidenziare gli errori cognitivi tipici che inducono sia depressione ed ansia nella paziente, e ricordo che la terapia cognitiva dei DA e dei disturbi dell’umore, quella classica di Beck, ha messo insieme degli elementi dell’IP e della cognitivo comportamentale che sono stati usati nei disturbi depressivi.

Vengono quindi messi in luce quali sono gli errori cognitivi classici [Fig 37 — Fig 39] che la paziente con DCA tende a fare. Sono ad esempio: l’astrazione selettiva, ovvero per esempio è successo qualcosa di brutto oggi così la mia giornata è rovinata; la catastrofizzazione: se non mantengo questo compito, la mia carriera sarà rovinata; l’inferenza arbitraria che include previsioni negative ed interpretazioni del pensiero, ad esempio non mi ha parlato questa mattina, deve avercela con me (io una volta mi sono vergognata di una mia inferenza arbitraria per mesi, una volta incontrai un collega, che normalmente mi salutava gentilmente e che aveva "un muso", rimasi proprio male e ne pensai di tutti i colori, poi venni a sapere che gli era morta la madre) ; l’omogenizzazione, ovvero tutte le opinioni su di me sono fatte in un sol modo; la centralizzazione, ovvero tutti stanno a guardare me, questo ha qualcosa di narcisistico; il pensiero dicotomico tutto o nulla, molto spesso in coloro che si abbuffano c’è un fenomeno detto della "limit violation" dopo una sfoglia che non era in programma, ormai è rotta la regola, e se lo diciamo così sembra banale, ma è importante spiegare alla paziente che ci sono degli stati intermedi, anche di emozioni tra "mi attengo al quella regola" e "tanto vale che non mi attenga per nulla a quella regola". Poi abbiamo la super generalizzazione, la sottovalutazione del pensiero positivo e tutta una serie di altre alterazioni cognitive spiegate con degli esempi che tratteremo poi insieme alle domande. Prima di passare alle domande vorrei passare al BED [Fig 42 - 49] che credo sia una cosa importante. Da psichiatri e da medici veniamo sempre più portati a valutare, che uno si occupi di disturbi alimentari o meno, l’obesità quasi come se fosse una patologia. Non tutti gli obesi hanno un DCA di tipo BED, inoltre non tutti i pazienti con BED sono obesi, però i 2\3 sono obesi. Si va da una popolazione generale in cui l’incidenza del disturbo varia dal 2,5% al 5%, nelle cliniche specialistiche o nei trattamenti tipo alcolisti anonimi sostituendo cibo con alcol, si arriva alla percentuale del 70%. Il BED si manifesta in età più tardiva ma comincia verosimilmente in età più precoce perchè come nell’esempio che vi facevo prima è come una risacca che porta ogni volta qualche chilo. Già l’essere obesi porta anche a psicopatologia. Ci sono degli studi che dimostrano che negli obesi senza BED sono più frequenti i DA o i DD non come conseguenza ma come causa, perché di persone ansiose che mangiano per sedare l’ansia ce ne sono molte. Sono insomma persone che hanno un’alta comorbidità con i disturbi dell’umore e reagiscono, si adattano alle emozioni con della abbuffate. Mangiano con la stessa sensazione di perdita di controllo, e la stessa sensazione di fallimento dopo l’abbuffata che viene provata negli altri DCA. Hanno un’alta spinta per la magrezza, quindi pensate quanto stanno male imprigionate in un corpo che detestano e che dà loro una capacità di relazioni interpersonali disturbatissima. Molto spesso non hanno la capacità di frenare e rispondere a questa spinta. Si manifesta a ondate, quindi i test fatti in modo puntuale fanno perdere molti casi, bisogna vedere quello che è successo nei sei mesi prima. Da un punto di vista psicopatologico sono molto vicini alla bulimia anche se hanno una comorbidità col disturbo depressivo maggiore; hanno una resistenza ai regimi ipocalorici maggiore delle bulimiche, per loro lo scatenante non è il regime ipocalorico che non riescono a mantenere, ma è l’emozione. Come assetto cognitivo seguono il precetto del tutto o nulla, da anni non ricordano un pasto in cui si siano sentiti liberi di mangiare quello che mangiavano.

Quello che noi facciamo attualmente è una terapia di gruppo o individuale in tre fasi: la prima, nella quale per un mese e mezzo si incontrano i pazienti in gruppo di sette, otto e insegnamo loro a mangiare liberamente, poi si individuano gli errori cognitivi dei pazienti sfociando anche un po’ nell’interpersonale, se c’è difficoltà a rapportarsi a qualche figura familiare in particolare e la dietista dà delle informazioni nutrizionali. Poi c’è un periodo di pausa di quindici giorni durante il quale "li lasciamo camminare con le loro gambe" ed infine una terza fase in cui i pazienti sempre in gruppo vengono sottoposti a dieta ipocalorica, ognuno ha la sua dieta e si lavora sull’interpersonale ma facendo seguire la dieta al paziente. Nelle altre diapositive ho riportato qualche suggerimento sul come comportarsi coi genitori, anche con alcuni suggerimenti pratici.

DOMANDA: l’organizzazione narcisistica distruttiva tipica delle anoressiche associata ad una sensazione di onnipotenza distruttiva…. mi domando come forse nel rapporto diretto con queste pazienti non si ha a che fare con un odore di morte che comunicano. Non voglio dire che tutte le anoressiche ma la stragrande maggioranza tenderebbe al suicidio dal punto di vista psicologico.

RISPOSTA: se è per questo le pazienti anoressiche danno anche l’impressione di essere voraci, vogliono una disponibilità totale, hanno bisogno di riempire il tempo per riempire il loro vuoto interiore. Il fatto del narcisismo si può trovare in alcune pazienti, spesso sono solo sintomi isolati come quello di pensare di essere al centro dell’attenzione. Fondamentalmente sono ragazze che stanno cercando di strutturare un sé in qualche modo sbagliato, c’è questa carenza ma se si accede nel modo corretto loro accettano di essere aiutate, e questo desiderio di morte non è così frequente.


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