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Walter Freeman e la Neurodinamica dell'Intenzionalità

Renato Nobili

 

1. Introduzione

Questo testo si basa su una mia intervista al neurofisiologo americano Walter J. Freeman e sulla registrazione della sua relazione effettuata durante un convegno, tenutosi a Milano tra il 4-5 ottobre 2002, sul tema Neurofisiologia e Teorie della Mente promosso dal Centro di Bioetica dellIstituto Auxologico Italiano IRCCS (Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico). Le relazioni presentate al convegno hanno coperto un’ampia gamma di temi, dalle più recenti acquisizioni delle neuroscienze e della neuropsicologia alle questioni filosofiche e bioetiche riguardanti il problema del rapporto mente-corpo.

La relazione di Freeman si è intercalata in un contesto tematico interessante e suggestivo, trovando validissimo complemento nelle relazioni di Alessandro Mauro e Vincenzo Silani sui processi di costruzione, organizzazione e funzionamento del sistema nervoso centrale.

Alcune appassionanti discussioni avute con Freeman ai margini del convegno mi hanno permesso di comprendere meglio alcuni aspetti e correggere alcuni errori d’interpretazione circa i risultati ottenuti e le idee elaborate dall’eminente scienziato durante la sua 42-nnale carriera all’Università di Berkeley (California). I seguenti titoli tematici possono rendere un’idea dei punti nodali della visione di Freeman:

  1. Sistema limbico come apparato codificatore centrale del processo di organizzazione mentale e centro generatore dell’intenzionalità.
  2. Carattere inconscio dell’intenzionalità.
  3. Coscienza come cognizione posticipata dei prodotti intenzionali.
  4. Cognizione come processo d’incorporazione selettiva dell’informazione sensoriale pilotato dal sistema limbico attraverso le fasi di preafferenza, afferenza e riafferenza verso e da le aree sensoriali.
  5. Memoria come modificazione permanente della rete nervosa incessantemente riorganizzata da scopi, orientamenti e motivazioni che vengono proiettati dal sistema limbico verso gli effettori periferici, e da qui verso il mondo esterno.
  6. Carattere caotico-dinamico della dinamica neuronale.
  7. Caos dinamico come strategia d’acquisizione, creazione ed elaborazione dell’informazione nervosa e come processo generatore della complessità cerebrale.

Questi temi investono questioni di grande importanza anche per la psichiatria. Lo stesso Freeman ha dichiarato di aspettarsi che le sue scoperte contribuiscano a rinnovare in modo sostanziale anche le basi scientifiche della psicoanalisi, e di voler procedere verso questa direzione di ricerca negli anni futuri.

Il lettore potrà farsi un’idea più precisa della tematica freemaniana leggendo Come pensa il cervello (titolo inglese: How brains make up their minds), il solo libro di Freeman finora tradotto in italiano. Una ricca collezione di pubblicazioni scientifiche dello stesso autore è reperibile presso il sito web http://sulcus.berkeley.edu/

In quest’articolo mi limiterò ad esporre brevemente i risultati più significativi della ricerca di Freeman privilegiando gli argomenti che mi sono sembrati particolarmente cari al neuroscienziato. Prima di entrare nel merito, ritengo opportuno dire alcune cose circa il contesto in cui la produzione di Freeman si colloca.

2. Le neuroscienze

Il recente convegno di neuroscienze tenutosi ad Orlando (Florida, novembre 2002) ha contato circa 22.000 partecipanti, quello di San Diego (California) dello scorso anno ne ha contati circa 28.000, nonostante fosse capitato subito dopo l'11 settembre. Questi numeri indicano l’entità del grande sforzo che si sta compiendo nella ricerca neuroscientifica, ma anche la dispersione della conoscenza in questo campo.

Non sappiamo invero quanto le neuroscienze siano lontane dalla possibilità di una sintesi di portata paragonabile a quella raggiunta dalla fisica nei primi decenni del ‘900. Sintesi, quella, che rese possibile alla comunità scientifica il raggiungimento di una conoscenza pressoché completa della struttura della materia nell’arco di pochi decenni. Il fatto è che la stragrande maggioranza dei neuroscienziati opera di necessità a livelli ultraspecialistici, ed è impressionante constatare che il processo di specializzazione si sta diramando a frattale, con biforcazioni pressoché settimanali. È’ ovvio che nessuno di questi ultraspecialisti, a meno di non essersi già guadagnato chiara fama come tale, ha il tempo di esplorare l’immenso territorio che si estende fuori del suo personale campo d’indagine, o la convenienza a coltivare visioni generali. Allo stato presente, solo pochi "grandi vecchi" sono in grado di tentare delle sintesi che permettano di contribuire significativamente alla composizione del puzzle.

3. La neurodinamica del sistema olfattivo

Walter Freeman, come in altri tempi Lashley, Hebb, oppure, in anni più recenti, e in altri modi, Edelman, Damasio, Varela, Kosslyn e vari altri (ma non moltissimi), oltre ad essere un formidabile specialista appartiene alla schiera dei grandi sintetizzatori. Le sue opinioni, i suoi punti di vista, le sue interpretazioni sono essenziali per chiunque voglia orientarsi nel mondo delle neuroscienze. La maggior parte delle sue pubblicazioni (circa 150 articoli e 5 libri) riguardano l’attività elettrica locale del cervello, in particolare del sistema olfattivo dei mammiferi. Il campo d’indagine coperto da queste ricerche non è molto vasto, ma la portata dei risultati ottenuti ne oltrepassa ampiamente i confini.

Non si può tacere sul fatto che l’apparato metodologico e analitico costruito da Freeman risulta indigesto ad alcuni studiosi. Le difficoltà derivano probabilmente dal fatto che le sue interpretazioni, pur chiamando in causa le teorie delle reti neurali e del caos dinamico, in realtà non si adattano bene alle svariate decine di modelli che sono stati ispirati da queste popolari discipline. A mio avviso, non esiste ancora una teoria capace di spiegare in modo convincente il complesso dei fenomeni da lui osservati. I suoi lavori possono perciò indurre un senso di frustrazione e far sorgere nello stesso tempo l’aspettativa di un nuovo corso d’idee.

Gli esperimenti più significativi di Freeman (Freeman e Viana di Prisco, 1986; Freeman, 2000 a, b, c) riguardano le oscillazioni di potenziale elettrico nel sistema olfattivo dei mammiferi (principalmente conigli e ratti).

Mediante piccole matrici di elettrodi (8x8) poste stabilmente a contatto con alcune aree di tale sistema (l’asse anatomico-funzionale formato dalla sequenza bulbo, corteccia e nucleo olfattivi, corteccia entorinale) egli e i suoi collaboratori sono riusciti a rivelare in modo dettagliato e forse completo come queste strutture nervose reagiscano agli stimoli odorosi. Sottoponendo gli animali all’azione attivante di sostanze odorose in varie condizioni sperimentali essi hanno potuto osservare emergere, da un’attività di fondo caotica, pattern oscillatori caratterizzati da specifiche proprietà spazio-temporali che dipendevano in modi specifici dalle condizioni sperimentali.

I patterns oscillatori dimostravano una certa consistenza, riconoscibile nel fatto che certi odori, ai quali l’animale era esposto, suscitavano nel bulbo olfattivo e nella corteccia olfattiva pattern di forma identificabile, che andavano soggetti a cambiamenti lenti ma progressivi nel corso dei giorni o delle settimane. Le caratteristiche salienti di questi pattern potevano riassumersi nelle seguenti regole:

  1. Gli episodi oscillatori dei potenziali locali, che coprono uno spettro di frequenze compreso tra pochi herz a un centinaio di herz, si innescano e si estinguono nel corso delle fasi d’inalazione sincrone con il ritmo respiratorio dell’animale.
  2. Tutti i punti del bulbo olfattivo o della corteccia olfattiva oscillano in modo generalmente aperiodico ma sincronico, senza rilevanti differenze di fase tra punti diversi.
  3. La forma dell’oscillazione varia imprevedibilmente da episodio a episodio.
  4. Sia sul bulbo sia sulla corteccia olfattiva, le ampiezze locali delle oscillazioni formano un paesaggio con cime e vallate la cui forma rimane invariata attraverso tutti gli episodi oscillatori, nonostante la marcata diversità dei profili temporali delle oscillazioni.

Quando un particolare odore era associato a una reazione emotiva dell’animale (mediante un evento rinforzante, come un premio o una punizione) il pattern oscillatorio suscitato dall’odore subiva un cambiamento di forma, come se il fattore di rinforzo interferisse in misura apprezzabile nel modo di funzionamento delle aree olfattive. Ulteriori verifiche assicurarono che, in assenza di ulteriori sessioni d’addestramento, la configurazione spaziale del pattern risultava invariata e poteva essere riconosciuta come una specie di firma di quell’odore.

A prima vista, il paesaggio di ampiezze del pattern poteva interpretarsi come una "rappresentazione", a livello delle strutture nervose, della sostanza odorosa e si poteva ipotizzare che ne costituisse in qualche modo il "significato" Questa interpretazione però non reggeva a una più attenta analisi. In assenza di fattori di rinforzo, l’animale si abituava infatti all’odore e ne diveniva insensibile. In tali condizioni, il pattern associato all’odore doveva ritenersi privo di significato. Questo possiamo capirlo bene perché noi stessi, animali umani, percepiamo l’ambiente abituale come inodore.

In contrasto con questo stato di cose, quando la presenza del fattore di rinforzo rendeva la risposta nervosa allo stimolo carica di significato, il pattern non prendeva una forma dipendente tanto, o soltanto, dal tipo di sostanza odorante ma anche dal tipo di fattore contestuale di rinforzo. Per esempio, invertendo il premio con la punizione, il pattern suscitato dalla stessa sostanza odorosa cambiava completamente forma. Insomma, l’azione di rinforzo, determinando la memorizzazione di un pattern, ne stabiliva anche la forma..

Freeman dedusse da ciò che i pattern memorizzati dal sistema olfattivo non codificano affatto "rappresentazioni" di odori - se così fosse essi risulterebbero uguali a quelli che si formano in assenza di azioni di rinforzo — ma codificano piuttosto i significati emotivi che quegli odori hanno per l’animale.

Ancora più sorprendente è la successiva scoperta di Freeman: in corrispondenza ad ogni processo di memorizzazione non cambiava solo il pattern usualmente eccitato dall’odore in assenza del rinforzo, ma anche, in misura apprezzabile, tutti gli altri pattern caratteristici degli odori memorizzati in precedenza.

Ora, poiché ci sono buone ragioni per ritenere che i meccanismi neurodinamici operanti negli altri sistemi sensoriali (visivo, uditivo, tattile, somatico) siano compatibili con quelli del sistema olfattivo, sia pure con differenze anche notevoli di complessità e modalità di funzionamento, si arriva alla seguente conclusione: l’attivazione di uno stato emotivo non solo interviene nella struttura dei dati memorizzati, caricando di significati propri i modi di risposta delle aree sensoriali, ma produce anche la ristrutturazione dell’intero assetto della memoria, riorganizzando di conseguenza l’intero sistema dei significati!

4. Pre-afferenza, afferenza e post-afferenza

Nei lavori più recenti Freeman e collaboratori (Kay et al., 1996; Kay e Freeman, 1998) hanno scoperto fatti nuovi che contribuiscono a chiarire certi dettagli della fenomenologia appena descritta. Il processo di acquisizione dell’informazione olfattiva avviene attraverso tre fasi — preafferenza, afferenza e postafferenza (o riafferenza) - che si ripetono in continuazione sotto il controllo di ritmi di bassa frequenza imposti o riverberanti dal sistema limbico (banda beta, 12-35 cicli al secondo). Durante questo processo i segnali nervosi possono propagarsi in entrambi i sensi lungo la sequenza di stadi bulbo-corteccia olfattiva-sistema limbico.

Durante la fase di preafferenza, quella che precede l’arrivo del segnale odoroso, il sistema limbico invia una breve corrente di segnali direttamente al bulbo olfattivo. Questa va a disinibire selettivamente il complesso di neuroni bulbari che sono pronti a ricevere gli stimoli direttamente dai recettori nasali. Si può dire che la preafferenza apra una finestra attenzionale nell’area sensoriale primaria, predisponendola a raccogliere stimoli potenzialmente "interessanti".

Poiché, per un altro verso, il sistema limbico interagisce con le regioni del cervello che sono coinvolte nella generazione delle reazioni emotive, si può anche dire che l’apertura delle finestre attenzionali è diretta da segnali interni che dipendono dall’attitudine comportamentale o l’intenzionalità dell’animale e che, nel caso degli esseri umani, potrebbero essere riferiti a desideri, bisogni, aspettative, motivazioni, timori ecc..

Il segnale di preafferenza agisce abbassando la soglia di scarica di numerosi neuroni sparsi in tutto il bulbo, variamente accoppiati da connessioni sinaptiche eccitatorie e forniti di neuroni satellitari che rinviano ad essi retroazioni inibitorie ritardate. S’innesca di conseguenza in questo modo uno stato d’eccitazione di alcuni neuroni che si trasmette rapidamente agli altri neuroni bulbari in misure dipendenti dagli effetti disinibitori della preafferenza. L’alternanza di fasi eccitatorie e inibitorie che ne consegue si estende attraverso il bulbo promuovendo un regime oscillatorio aperiodico nella banda di frequenze gamma (35-160 cicli al secondo) che si estende sincronicamente su tutti i punti del bulbo e trascina nell’attività oscillatoria anche la corteccia olfattiva. Durante questa attività oscillatoria bulbo e corteccia mantengono un’accentuata coerenza oscillatoria. La dinamica di questo processo esula dagli schemi comportamentali tipici delle reti neurali e sembra inscriversi invece in quelli descritti dalla teoria del caos dinamico. In questa fase preparatoria, nonostante l’intensa attività oscillatoria del sottosistema bulbo-corteccia, non si registra un apprezzabile coinvolgimento del sistema limbico.

La fase successiva, detta di afferenza, avvia il processo di riconoscimento dell’odore o, nel caso che si tratti di un odore nuovo, la sua memorizzazione. Essa inizia quando la raffica degli stimoli provenienti dai recettori olfattivi destabilizza il regime dinamico del sistema bulbo-corteccia interrompendo bruscamente la loro coerenza oscillatoria. Successivamente, i regimi oscillatori delle due aree evolvono in modi diversi a seconda del processo cognitivo in atto nell’animale.

Nel caso sia in atto il riconoscimento di un odore già memorizzato si nota una diminuzione del disordine oscillatorio del bulbo olfattivo e l’emergere di modi oscillatori simili a quelli che la teoria del caos dinamico riconosce come caratteristici degli attrattori di tipo ciclo-limite. Nel caso si tratti di un odore nuovo, l’apparizione dei modi oscillatori di tipo attrattore risulta ritardata. Questo comportamento è concomitante alla formazione, nel bulbo e nella corteccia, dei paesaggi d’ampiezza invariante descritti nel punto 4) del paragrafo precedente.

Freeman e collaboratori hanno accertato che il processo di memorizzazione avviene mediante microprocessi di rinforzo o indebolimento delle connessioni sinaptiche, secondo il ben noto principio della memoria associativa a completamento di contenuto ipotizzato da Hebb (1949; ed. it. 1975) e schematicamente modellizzato da Hopfield (1982). L’individuazione dei precisi meccanismi molecolari che determinano i processi di rinforzo o indebolimento delle connessioni sinaptiche, noti col nome di long term potentiation (LTP) e long term depression (LTD), è una delle maggiori conquiste della ricerca neurofisiologica degli anni. ’80 e ‘90.

Il principio di formazione della memoria associativa, ma più in generale di organizzazione della rete nervosa, consiste nel rafforzamento, o nella nuova formazione, di connessioni tra neuroni che si trovano ripetutamente eccitati durante gli stessi intervalli di tempo, e nell’indebolimento, o nella perdita, delle connessioni tra neuroni che raramente o mai risultano eccitati contemporaneamente. Questo processo di riorganizzazione plastica della rete nervosa determina la formazione di "assemblaggi" (dal termine assembly coniato da Hebb) di neuroni reciprocamente collegati da connessioni eccitatorie, favorendo nel contempo la formazione di connessioni reciprocamente inibitorie tra assemblaggi diversi.

In questo modo, quando una frazione di neuroni di un assemblaggio è simultaneamente stimolata, lo stato eccitatorio si estende rapidamente a tutto l’assemblaggio. Retroazioni inibitorie ritardate intervengono a spegnere questi stati d’eccitazione collettiva o, in certe condizioni, a promuovere un loro andamento oscillatorio. Nel caso del bulbo olfattivo il processo di memorizzazione è basato sulla formazione di assemblaggi formati da neuroni che sono simultaneamente stimolati da segnali provenienti dai recettori olfattivi e dalle altre zone del sistema nervoso. In definitiva, il pattern caratteristico di un odore rappresenta l’attività elettrica di uno o più assemblaggi associativi di neuroni sparsi attraverso l’intero bulbo.

E’ opportuno ricordare che un determinato recettore olfattivo si limita a rivelare la presenza di un piccolo dettaglio della molecola odorosa e che, pertanto, un insieme di molecole uguali ha l’effetto di attivare un certo sottoinsieme di recettori di vario tipo. Si può allora capire perché l’arrivo di una frazione, anche piccola, di stimoli olfattivi, reclutando la risposta di un intero assemblaggio neuronale, determina il completamento associativo del pattern caratteristico dell’odore.

Nella terza fase, detta di post-afferenza o riafferenza il bulbo e la corteccia si scambiano reciprocamente il ruolo. Ora le oscillazioni della corteccia pilotano quelle del bulbo, mentre il dialogo tra la corteccia e il sistema limbico continua. Il ruolo funzionale di questa terza fase non è stato precisato da Freeman, ma è probabile che esso sia quello di consolidare e riorganizzare l’esperienza acquisita dal sistema olfattivo.

5. Il caos dinamico

Freeman, medico di formazione, ma non privo di conoscenze matematiche, sta collaborando da molti anni con ingegneri e matematici al fine di capire e rappresentare mediante modelli i meccanismi generatori delle oscillazioni di potenziale locale che si osservano nelle reti neuronali.

Egli è solito interpretare e descrivere i fenomeni neurodinamici osservati come manifestazioni di "caos dinamico". In ambito matematico questo termine è usato per caratterizzare il complesso dei comportamenti dei sistemi nonlineari deterministici multidimensionali. Attrattori puntiformi, cicli limite, attrattori strani, paesaggi di attrattori ecc. scaturiscono dalla teoria come paradigmi matematici ricchi di potenza esplicativa che sembrano forgiati apposta per descrivere e interpretare la complessità della dinamica cerebrale.

Tuttavia, sia dalle conversazioni personali sia dalla sua relazione al convegno, ho tratto l’impressione che Freeman non sia completamente soddisfatto di quest’identificazione. Nella sua relazione egli ha avuto cura di chiarire quale sia, a questo riguardo, il suo punto di vista attuale: "Il termine caos è un po’ abusato e ha troppi significati. In senso colloquiale esso significa disordine. Nella matematica si riferisce a certi comportamenti dei sistemi deterministici. Nella fisica significa rumore soggetto a vincoli. Insomma è un termine privo di base semantica. Un’accezione alternativa più utile è "dinamica non convergente". Questa è l’espressione preferita dagli ingegneri coi quali lavoro attualmente".

La sua insoddisfazione trapela anche dal fatto che recentemente egli ha proposto il termine "caos stocastico" in sostituzione di caos dinamico; termine che, a dire il vero, non rimanda ad alcun paradigma matematico noto del genere sperato. La ragione di ciò risiede nel fatto che a stretto rigore il caos dinamico è una fenomenologia tipica di sistemi rigorosamente deterministici. Ora, sebbene il comportamento macroscopico delle reti nervose possa ritenersi, per ragioni di medie statistiche, relativamente immune dalla natura probabilistica degli eventi neuronali microscopici, riesce tuttavia difficile credere che i segnali casuali abbiano un’incidenza trascurabile. D’altronde il caso è un ingrediente essenziale per la creazione di nuova informazione. Questo è implicito già nel fatto che nell’ambito della teoria della comunicazione l’informazione è definita come riduzione d’incertezza. Non vi è informazione se prima non vi è incertezza, e non vi è modo di produrre incertezza se non mediante la produzione di eventi casuali. L’eccitazione oscillatoria disordinata caratteristica della fase di preafferenza, descritta nel paragrafo precedente, sembra corrispondere assai bene alla generazione di una forma specifica d’incertezza che attende d’essere ridotta dallo stimolo sensoriale.

6. INTERVISTA (D=domande dell’Autore, R=risposte di Freeman)

D: La maggior parte delle sue ricerche sono focalizzate sul comportamento del sistema olfattivo dei mammiferi. Per quale ragione questa particolare regione del cervello è così importante?

R: Per me o per gli animali? …Per lei?

D: Ah, ah ... Intendo dire per la ricerca in generale. Ricordo un lavoro di Gary Linch nel quale si rilevava l’importanza del sistema olfattivo per la comprensione di come funziona il cervello.

R: Ci sono tre risposte. Una, che lei può intendere bene perché è un biofisico, è che il sistema olfattivo è molto più semplice degli altri sistemi sensoriali. Così, per noi fisiologi ignoranti questo è il punto migliore da cui partire. Questa è la ragione numero uno. La seconda ragione è che nell’evoluzione l’olfatto viene prima, perché noi, come pure i nostri animali antenati, viviamo in un mare di sostanze chimiche nel quale dobbiamo orientarci e di cui dobbiamo trovare il senso.

D: Dunque l’olfatto sarebbe il prototipo della memoria cognitiva?

R: Si, … quando gli altri sistemi si svilupparono - il visivo, l’uditivo, il somatico - essi trovarono già esistente un sistema che funzionava bene, e così essi cooptarono il sistema preesistente. Essi hanno preso il sopravvento mantenendone le modalità fondamentali di funzionamento e le hanno elaborate. Pertanto non si potrà capire come funziona la vista, l’udito, il tatto fintanto che non si capirà l’olfatto.

D: La maggior parte degli studiosi che hanno cercato di costruire modelli di reti nervose hanno descritto la memoria cognitiva dei mammiferi come provvista di capacità associative e auto-organizzative, in particolare come dotata di una sorta di capacità di categorizzazione. Può indicare qualche esempio di categorizzazione nella funzione olfattiva?

R: Oh sì. Sì. Questo è cruciale affinché la nostra codificazione olfattiva possa lavorare. Bisogna infatti considerare che nel naso lei ha qualcosa come cento milioni di recettori e ci sono forse un migliaio di specie diverse di recettori. Così una semplice divisione le confermerebbe che ci sono circa centomila cellule nervose responsabili di ciascuna specie d’odore che noi possiamo aspettarci. Ora, quando lei annusa, cattura solo poche molecole e di conseguenza soltanto un numero limitato di recettori è attivato. Questo è tutto quello che possiamo sapere. Ogni volta che lei annusa, per via della casualità nella distribuzione di molecole nel naso, i recettori stimolati formano un sottoinsieme diverso, e tuttavia lei percepisce l’identico odore. Com’è possibile che ciò avvenga? La ragione è che, con l’apprendimento, nello spazio dinamico del sistema olfattivo si forma un "attrattore"….

D: Qual’è il grado di efficienza nella discriminazione di odori che differiscono di molto poco?

R: Intende odori dovuti a sostanze chimicamente diverse?

D: Sì. Qual’è l’efficienza nella discriminazione delle differenze di odore? Penso che "categorizzare" significhi costruire una sorta d’albero formato da "generi prossimi" che si diramano in "differenze specifiche".

R: Questo non è vero. Non è vero per il cervello. Qui le cose funzionano in modo diverso.

D: Ah sì? Mi piacerebbe capire bene questo punto.

R: Ok! Nello spazio dinamico del sistema olfattivo si dà la possibilità di funzionare a certi modi preferiti di operare. Questi non si accendono a caso. Ci sono certe onde con le quali un cervello preferisce lavorare, o che gli sono più familiari. Ora, abbiamo la presentazione di un odore. Essa seleziona uno di questi modi preferiti, e si può vedere che [nello spazio della dinamica neuronale] si forma un sorta di paesaggio simile alla superficie della luna, che ha molti crateri [che funzionano come attrattori]. Se lei lancia un missile, esso cadrà in uno di questi crateri e rotolerà nel fondo, non importa dove il missile è precisamente caduto.

D: Vorrei sottoporle un’altra questione specialistica. È stato dimostrato che i potenziali di membrana di alcuni tipi di cellule nervose possono presentare oscillazioni permanenti anche se nella rete neuronale non avvengono scariche di potenziali d’azione. È stato anche dimostrato che, almeno in alcune regioni del cervello, gli interneuroni comunicano elettricamente tra loro non attraverso vie sinaptiche ma in modo diretto, attraverso canali transmembrana, noti come gap-junctions Ora, per quanto non vi sia alcun dubbio che le scariche dei potenziali d’azione e l’attività oscillatoria che si registra a scala mesososcopica o macroscopica sono reciprocamente interdipendenti, il quadro dei dati sperimentali permetterebbe di ipotizzare che l’attività oscillatoria non sia un mero epifenomeno dell’attività di scarica dei neuroni. Qual è la sua opinione?

R: Oh … Penso che solo i neuroni possano trasmettere a lunghe distanze segnali che si presentano come potenziali d’azione. I potenziali d’azione sono un espediente usato dagli animali multicellulari per superare le barriere della distanza e perciò la maggior parte delle cellule nervose non usa potenziali d’azione. Perché mai lo dovrebbero fare? Esse non devono trasmettere a grandi distanze. Questo è un problema per i neurobiologi, perché se non ci sono potenziali d’azione, cosa c’è invece? Ci sono i potenziali dendritici e dell’arborizzazione nervosa.

D: Ora una domanda di carattere generale. In alcuni dei suoi scritti lei ha dichiarato che il concetto di "rappresentazione", intesa come prodotto della codificazione dell’input sensoriale, è sbagliato e ha enfatizzato il ruolo dell’intenzionalità nel reclutamento dell’input sensoriale. Cos’è allora una "percezione", come intende il ciclo azione-percezione da lei menzionato in alcuni dei suoi scritti, mutuandolo, mi pare, da Jean Piaget?

R: La prima parte della domanda riguarda la rappresentazione. Ognuno crede di avere nella propria mente rappresentazioni di ciò che sta lì fuori. Facciamo un esempio. Ognuno di noi ha l’esperienza del caffè, di bere caffè. Qual è la sua rappresentazione di caffè? Che è nero. Questo non è un odore! Lei ha una parola per nominarlo, e la può vedere. Lei ha una tazza o una bustina che lo contiene. Tutto questo forma una rappresentazione. Oppure si può pensare un albero in Costarica, o in Brasile. Ma che cos’è un caffè? Il suo aroma, il suo sapore? Cos’è la rappresentazione in questo caso? Si sa che le sostanze chimiche si diffondono da questa tazza verso il nostro naso. Ha lei rappresentazioni di queste sostanze chimiche? Sappiamo cos’è la caffeina, ma non che cosa sia la sostanza chimica che forma quest’odore (la caffeina peraltro è del tutto inodora). Che cosa possiamo dire delle cellule nervose nelle quali questa sostanza chimica che entra nel naso innesca le oscillazioni dei potenziali d’azione? E’ questa la nostra rappresentazione? Essa è un segnale d’attività e ciò è quello che sappiamo. Abbiamo il ricordo del caffè, abbiamo una raccolta d’informazione. Ma possiamo chiamare tutto ciò una rappresentazione?

D: Cosa c’è allora? Qualcosa è cambiato nel frattempo. Lei è arrivato alla conclusione che questo strano fenomeno trova una spiegazione nei processi che dipendono dall’intenzionalità dell’animale. Come entra in gioco la questione dell’intenzionalità?

R: Questo è stato spiegato diversi secoli fa da un filosofo italiano, Tommaso D’Aquino. Egli ha chiarito che noi comprendiamo solo ciò che è stato costruito dentro di noi, ciò che abbiamo fatto in noi stessi. Queste cose non sono rappresentazioni. Sono piuttosto ricordi, esperienze ed espressioni di significato, poiché quando io guardo questa tazzina di caffè, questa è per me un’esperienza di piacere, godimento, utilità e non semplicemente un’immagine che si lega da qualche parte nel mio cervello. I patterns di eccitazione, che si formano nelle aree sensoriali del cervello durante l’acquisizione di informazione, non rappresentano i dati sensoriali ma i loro significati. In corrispondenza a stimoli diversi ci sono patterns diversi, e la determinazione di questi patterns non è fatta dagli stimoli, ma dall’esperienza che l’animale ha con gli stimoli. Essi non sono rappresentazioni degli stimoli, essi sono attribuzioni (statements) di valore, di significatività (significance), di significato (meaning) degli stimoli. Questo succede nei primi stadi del cervello di un animale primitivo come il coniglio. Nel nostro cervello, quando gli stimoli arrivano vi sono aree sensoriali che creano patterns mediante processi dinamici che non sono semplici rappresentazioni degli stimoli che arrivano.

D: Che cos’è una percezione allora?

R: Ci sono due aspetti di ciò. Una è se è necessario che una percezione sia cosciente affinché ne possiamo diventare consapevoli. Ora io direi che la neurofisiologia ha dimostrato che la risposta è no. Noi possiamo avere percezioni che sono inconsce. E quando pensiamo a una certa cosa e acquistiamo familiarità con essa non ne nasce un gran problema. Cos’è dunque questa percezione? Essa è la costruzione di un pattern che occupa l’intero cervello come conseguenza dell’impatto degli stimoli sensoriali sul cervello preparato a riceverli, poiché ciò che entra dentro di noi non è comprensibile, non può essere compreso, se non abbiamo un’esperienza a priori. Noi dobbiamo sempre sapere quello che stiamo cercando. Poiché noi abbiamo un’esperienza di vita già nelle nostre risposte. Noi abbiamo tazze sulle quali impariamo, di fatto: la prima cosa, afferrare qualcosa come questa e quindi usarla per soddisfare alle nostre necessità. Così, ad esempio, ora arrivo qua settantacinque anni dopo, la vedo e non ho alcun problema. Sebbene non abbia mai avuto un’esperienza come questa, non ho un grosso problema. Cos’è questo? Così ora la percezione è la tarda conseguenza della postura intenzionale e dell’azione sul mondo, che si traduce nell’impatto sui sensi di pattern d’energia e quindi nella costruzione ed evoluzione del pattern globale. Ci sono esperimenti che mostrano le onde cerebrali in azione nel cervello umano: un processo di azioni ripetitive che producono l’immagine di ciò che sta realmente accadendo nella testa di una persona.

D: Se noi capiamo solo ciò che conosciamo già, come avviene la conoscenza ulteriore a tutti livelli dell’esperienza?

R: Sappiamo solo quello che sappiamo, ma facciamo sempre ipotesi. Pensiamo il futuro, quindi facciamo predizioni e poi azioni.

D: Possiamo dire che prima noi generiamo la nostra incertezza e poi attiriamo l’informazione dentro il sistema di riferimento della nostra incertezza?

R: E’ giusto. Si ripetono i tentativi, si ha ragione o torto e si fanno errori fino a che s’impara. Se non ci si corregge non s’impara nulla. Se non si fa nulla non s’impara nulla.

7. Dalla relazione di Freeman al convegno

"La percezione non è semplicemente un processo passivo d’elaborazione dell’informazione portata dagli apparati sensoriali, ma comincia con una ricerca, cioè con l’emergenza entro il cervello della concezione di qualche desiderato stato futuro e l’emergenza di un programma d’azione a fare qualcosa riguardo ad esso."

"L’attività del cervello è caotica, nel senso che è auto-organizzante. Essa non è un semplice processo d’elaborazione d’informazione ma creazione d’informazione. Le cortecce sensoriali sono pre-attivate dal sistema limbico ad aspettare certi input sensoriali; lo stimolo sensoriale seleziona uno di questi schemi preesistenti."

"Il cervello può sapere solo ciò che esso costruisce con i materiali grezzi dei dati sensoriali, che ottiene dai recettori. Questo accade perché il mondo è infinitamente complicato mentre il cervello è finito. Il modo con cui esso funziona è con una dinamica caotica che costruisce ipotesi e le verifica con le azioni. La sola cosa che possiamo sapere è ciò che abbiamo postulato e quali sono stati i risultati delle nostre verifiche. Questo spiega da dove proviene la nozione di causalità. Causo mediante azioni e ricevo mediante gli effetti prodotti da queste azioni. Estrapoliamo quel ciclo azione-percezione allo stesso mondo fisico."

"I processi caotici non sono periodici. Questo significa che non possono essere ridotti ad eventi che si ripetono ad uguali intervalli temporali, come per esempio una nota musicale. I nostri orologi, poiché non sono periodici, non possono convalidare predizioni nel futuro. Il processo caotico non è prevedibile nel lungo termine. A breve termine sì, a lungo termine no. Ora questo solleva una profonda questione filosofica per la quale abbiamo due risposte possibili: la prima risposta è che il futuro è già stato determinato ma noi non ne sappiamo abbastanza, perché siamo troppo ignoranti o troppo lenti o i nostri computer non sono adeguati a predire il futuro. Questo è l’asserto classico di Spinoza e di Einstein, la tesi dell’universo-orologio, che il futuro è già stato creato e noi non possiamo fare altro che vivere attraverso esso. Questa è una delle opzioni. L’altra è che il futuro non esiste e che noi abbiamo la responsabilità di metterlo in forma. Ora vi chiedo, qual è la base scientifica sulla quale scegliere tra le due: che il futuro è già stato determinato e non possiamo conoscerlo oppure che esso non esiste ancora e che possiamo dargli una forma. La risposta a questo interrogativo è che non c’è alcuna base scientifica sulla quale prendere una decisione. Questa è un’istanza etica che non può essere risolta né dalle neuroscienze né dalle altre scienze. Noi dobbiamo scegliere cos’è che noi crediamo come base per la nostra determinazione del futuro. Di fatto, il caos permette un temerario attacco (bold opening) per la comprensione di questo problema. Perché i processi caotici sono caratterizzati da salti improvvisi, da certi cambiamenti repentini. Ciò che accade è che con questi cambiamenti, con questi salti, ha luogo la rideterminazione e l’autorigenerazione del cervello. Ora vi chiedo, è questo compatibile con il libero arbitrio? Beh, sì e no. Di fatto, la nozione di libero arbitrio contrapposto a determinismo è davvero una cattiva antinomia. Nessuna azione è totalmente libera. Ogni azione ha luogo entro i vincoli imposti dal nostro patrimonio genetico e del nostro ambiente. Possiamo dire che la scelta circa la via da seguire sia soggetta al controllo volontario? Ebbene, sì e no. Si dà la circostanza che i nostri cervelli funzionino in continuazione e che la maggior parte del nostro comportamento sia di fatto non consapevole. Esso è per la maggior parte inconscio. Esso avanza sotto la sottile "impiallacciatura" (veneer) della consapevolezza, la quale impegna solo una piccola parte [dell’attività cerebrale]. Cosicché, quando siete posti di fronte ad una scelta, voi vi trovate ad agire in qualche direzione e vi rendete conto che ciò che avete scelto è ciò che il cervello sta portando fuori. Non avete tempo di coglierlo nella sua interezza. Anche se lo fate la situazione è così complessa che voi non avete il tempo di prendere una decisione razionale. Voi cogliete voi stessi nell’atto di intraprendere un’azione. E anche se non c’è alcuna azione, questa è una scelta che fate. E così voi scoprite chi siete, cosa siete, quale tipo di persona siete, sulla base di ciò che avete scelto. La lezione che viene dalle neuroscienze è questa: che l’opposizione tra libero arbitrio e determinismo è una falsa antinomia perché nessuna azione è totalmente libera, ma d’altra parte nessuna azione è interamente indeterminata, anche se si tratta della decisione di non fare nulla. Anche se il cervello mantiene il suo corpo a riposo, esso costruisce in ogni momento il suo futuro sotto il vincolo duale del suo passato e del suo presente, vale a dire della sua natura e del suo stato di nutrimento. Comunque egli deve inevitabilmente scegliere. Penso che la domanda cruciale sia proprio questa: com’è che noi effettuiamo scelte e diventiamo consapevoli di ciò che abbiamo fatto?"

Postfazione: Ringrazio intanto l’amico carissimo Lauro Galzigna per alcuni piccoli ma preziosi interventi di chirurgia estetica apportati al testo.

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