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Convegno nazionale “So-starenel conflitto”

Genova, 5/6 novembre1999


MassimilianoVignoli

veliero@freemail.it


Neigiorni 5 e 6 novembre si è svolto a Genova presso il Museo diSant'Agostino il convegno nazionale “So-stare nelconflitto”, organizzato dal CPP-CentroPsicopedagogico per la Pace e la Gestione dei Conflitti, nell'annodel 1° decennale dalla fondazione. Ecco come si èpresentato il centro nel pieghevole contenente il programma:


IlCentro Psicopedagogico per la Pace e la Gestione dei Conflitti diPiacenza compie dieci anni.

Lasua esperienza è cominciata nel 1989 e cresciuta fino adiventare punto di riferimento, in Italia, per una formazione alconflitto come risorsa educativa.

IlCPP, fondato dal pedagogista Daniele Novara, ha raccolto le capacitàche in Italia si andavano acquisendo nel settore, iniziando un'azioneformativa sistematica attraverso interventi territoriali e corsiperiodici.

Èoggi una cooperativa di formatori, pedagogisti, psicologi, animatori,che stabilmente offre competenze in questa direzione.

Inquesti dieci anni ha lavorato in vari ambiti, tra cui l'educazioneai diritti dei bambini, i programmi formativi antimafia, l'educazioneal rispetto delle differenze (educazione interculturale), i casidifficili nei contesti educativi. Si rivolge agli operatori impegnatia livello socioeducativo, agli insegnanti, ai genitori.

Dianno in anno è stato presente sul territorio dove il suocontributo era richiesto, specialmente a favore degli enti locali, scuole, centri educartivi.

Daultimo va ricordata l'esperienza del corso di specializzazioneannuale in gestione dei conflitti che, avviato nel 1991, continua aessere un punto di riferimento per coloro che si vogliono formare inmodo organico nella conduzione dei gruppi e nella gestione delconflitto.


Unconvegno sul conflitto in educazione.

L'ipotesipiù suggestiva a spiegazione delle crescenti difficoltà,anche educative, sul piano delle relazioni interpersonali e sociali,denuncia una carenza di alfabetizzazione personale nella gestione deiconflitti.

Ilconflitto è in realtà un'esperienza comune,quotidiana e costante nella vita degli individui e dei gruppi,allontanarlo ne impedisce ogni forma di elaborazione costruttiva ededucativa.

Ilconflitto diventa uno spazio di possibile creatività, in cuiattivare competenze legate all'educare, alla relazione e allacomunicazione

Ilconvegno si propone come occasione per delineare processi possibilinella gestione e nella trasformazione del conflitto.


Ledue giornate si sono articolate in una serie di interventi dicollaboratori del centro e di esperti nel campo psicologico epedagogico che hanno affrontato, ognuno secondo la propria ottica, levarie fasi dello sviluppo, le relazioni d'amore e leproblematiche educative, focalizzando l'attenzione sul conflittoe la sua gestione. Tra queste c'è stata la tavolarotonda con Gustavo Pietropoli Charmet, di cui riporto i puntisalienti nella relazione seguente.

Segnaloin ultima analisi l'interessante mostra interattiva (itinerante,come ci hanno detto gli operatori del centro e disponibile anche surichiesta) per ragazzi e ragazze: “Conflitti, litigi e altrerotture” . La mostra, costituita da una serie di stand collegatitra loro dal percorso,offre spunti di riflessione dove il gioco, la lettura e l'utilizzodi materiali, propongono uno stimolo ad affrontare il conflitto comerisorsa educativa, nodo, questo, di tutto il lavoro del CentroPsicopedagogico di Piacenza.



Ilconflitto in educazione.

Tavolarotonda con Gustavo Pietropoli Charmet, intervistato da Paolo Ragusae da Rita Vettori (Centro Psicopedagogico per la Pace e la Gestionedei Conflitti).



Famigliaetica e famiglia affettiva.


Intervistatoda Paolo Ragusa e da Rita Vettori, collaboratori di Daniele Novara,Charmet ha aperto il dibattito sul conflitto in educazione prendendospunto dalle basi educative che hanno caratterizzato la sua vita,dalla infanzia all'adolescenza, e, con lui, la propriagenerazione. La differenza sostanziale, sostiene Charmet, sta nelfatto che allora la famiglia era impostata sull'aspetto etico(“famiglia etica”): il bambino era visto come un piccoloselvaggio da civilizzare, mosso da soli istinti e totalmente privo dibasi valoriali. La famiglia rappresentava quindi lo Stato a cui ilcittadino/fanciullo doveva adeguarsi per divenire a pieno titolomembro della comunità. Raggiungere tale scopo era possibilefondando la pratica pedagogica sul senso di colpa e sulla vergogna ebasando il controllo adulto sulla cosiddetta “tolleranza zero”.La paura delle sanzioni avrebbe guidato il bambino, evitandogli dicommettere azioni non approvate dal sistema. Il modello dava perscontata un'impostazione etica e civile ben precisa per ilfuturo. In un tale regime fortemente autoritario era però fatta salva, e in questo Charmet si riconosce debitore, unavalorizzazione delle risorse individuali che trovavano accordo con ilsistema ed una capacità di garantire il futuro, inteso insenso sia progettuale che valoriale. La massima che potrebberiassumere il modello dominante era: “se farai come ti dico,seguendo le regole che ti offro (impongo) ti garantisco una buonaposizione civile e lavorativa”. Il regime era anche un pericoloper il Sé ma la certezza nel domani dava la possibilitàdi trasportare il Sé reale, sotto un falso Sé, in unadimensione dove l'autonomia raggiunta avrebbe potuto liberare lepotenzialità proprie permettendo, in definitiva, di vivere lavita come si voleva.

Oggile cose sono fortemente mutate. Salta agli occhi come la dimensionefutura non esista o sia, comunque, poco contemplata. Al contrario si“eternizza il presente”, laddove il futuro è morto.La mancata elaborazione di questo lutto ha portato a grossisquilibri, dove le tossicodipendenze ne sono un'esempio fra i tanti.

Èinteressante come, su questo punto, Charmet non proponga comecambiare ottica per riappropriarsi del futuro ma, dando la cosa comeun fatto ineluttabile, avverta la carenza di un'analisigeneralizzata.


Lafamiglia odierna, diversa rispetto a quella etica, è una“famiglia affettiva”. Da questa definizione passa l'analisidel ruolo del padre e della madre ai nostri giorni. La paternità,ci dice Charmet utilizzando una simbologia a lui cara, è statamaternalizzata. La donna ha fecondato simbolicamente l'uomo equesto atto ha fatto si che si attui una capacità di scambiotra i coniugi, sviluppando una collaborazione tra uomo e donna nellagestione del figlio. Il ruolo paterno , maternalizzandosi, haesaurito la spinta imitativa nei confronti del proprio padre econosce adesso una nuova realizzazione. La dinamica, così comeè stata descritta, permette al padre di stabilire un rapportocon il figlio in età precoce, favorendo lo sviluppo el'orientamento di una competenza paterna. Una maggioreattenzione ai richiami del figlio ed un impegno a capirne i realibisogni, sono tra le competenze che il padre odierno ha acquisito. Ilfiglio è chiamato, a sua volta, a vestire i panni dell'altroper imparare a gestire le situazioni conflittuali.

Lamadre svolge un ruolo diverso, mediando lo sviluppo del figlio intermini sociali. Oggigiorno il bambino acquisisce precocemente lacapacità di socializzare e la componente materna èforte in questa direzione. È la madre che spinge versol'inserimento nella rete delle relazioni sociali con i coetanei,proprio perché attraverso questa rete si consolidano lecompetenze sociali. Se esse risultano efficaci, tra gli altrivantaggi vi è quello di organizzare al meglio la separazionetra madre e figlio.

Imodi con cui la madre “addestra” il figlio alla socialitàpassano attraverso i contesti dello stare insieme. Sono state abolitele forme del galateo formale, impostando la relazione sui contenuti enon sugli aspetti formali. La relazione non è esente, per lamadre, da ansia, dovuta principalmente all'importanza del nuovocompito sociale e alla mancanza di tempo per la gestione dellarelazione. La carenza dei tempi fa si che si opti per una scelta benprecisa su come giocare il rapporto.


L'adolescentein relazione.


Nell'adolescenzale figure significative si allargano ulteriormente fino a comprenderei docenti. Nell'esame che i ragazzi fanno ai loro insegnanti sidistinguono alcuni criteri standard per verificare la “competenzadell'adulto nell'essere in grado di gestire la fiducia cheeventualmente è possibile affidargli”:


  • se ama la materia che insegna, se dimostra dedizione e impegno in ciò che fa, gli vengono perdonate stramberie e estrosità

  • se, in rapporto alla disciplina, sa capire i fermenti nuovi e valorizzarli, pur rimanendo nel ruolo che l'autorità gli conferisce. È un docente, questo, che sa stare nel proprio ruolo e lo utilizza come strumento di incontro; non cerca di uscire eccessivamente dal binario della propria figura istituzionale, cosa che apparirebbe come un tentativo di seduzione ma, nonostante ciò non è rinchiuso in un recinto che gli impedisce qualunque contatto con gli allievi.


Dalcanto loro gli adolescenti sono, oggi, più vicini all'adulto.Chiedono risposte e aiuto e sono pronti a offrire collaborazione perfar funzionare le cose se trovano adulti competenti.


Dalgruppo alla banda.


L'ultimopunto dell'analisi ha focalizzato l'aspetto gruppale degliadolescenti e la degradazione che porta all'atto criminale.

Einteressante notare come, nella dinamica dell'atto vandalico ocomunque criminoso, gli autori possano essere ragazzi che conduconouna vita non disagiata in senso generale. La differenza passa tra ilgruppo amicale e la banda che no si escludono a vicenda ma il primoassume le caratteristiche del secondo. Il percorso si puòriassumere patendo dalla condizione esistenziale dell'adolescente.La noia e la tristezza che egli vive chiedono di essere risolte ed ènel gruppo che si cercano le risorse per combatterle. Non trovandole,in quanto ogni membro chiede all'altro le medesime risposte chenessuno può dare in quanto tutti partecipi della stessacondizione. Gli effetti sono il ricorso alle droghe e alle azionivandaliche. Il motivo è principalmente individuabile, nelsecondo caso, nella strutturazione gerarchica che il gruppo (inrealtà solo una parte di esso) assume in situazioni operativedi tipo criminoso: si stabilisce una leadership, ognuno ha un ruoloed un compito predefinito. Si svolge l'azione e,successivamente, tutto torna come prima. Il gruppo con le usualicarenze affettive e solidali. Pur riconoscendo una differenza tra laspecificità dell'azione delle classi agiate rispetto aquelle medie, la dinamica è pressoché la stessa, cosìcome il fatto che in quel raptus, forte è la sensazione diappartenenza alla banda (non più gruppo). Nonostante gliesecutori materiali siano solitamente pochi, l'impressione èche il gruppo intero ha agito e la coesione porta a quellasolidarietà fortemente ricercata. Solidarietàdichiarata anche di fronte alla scoperta, da parte delle forzedell'ordine, del crimine compiuto.

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