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FIGURE DELLA DEPERSONALIZZAZIONE.
La depersonalizzazione somatica nella psicosi

Clara F. Muscatello

L'antropoanalisi delle psicosi è particolarmente interessata all'ascolto, alla descrizione e all'analisi di quei peculiari vissuti in cui l'abnorme esperienza del proprio corpo rappresenta un aspetto parziale e complementare di una abnorme esperienza della totalità dell'Io.
Tali vissuti, sempre presenti nel quadro dell'invasione psicotica, sono, per la loro stessa natura, ambigui, ineffabili, spesso incomunicabili, talora espressi obliquamente attraverso travestimenti metaforici. Tra questi le esperienze di depersonalizzazione appaiono le più ricche di interrogativi e le più antropologicamente enigmatiche. Prese a sé potrebbero addirittura rappresentare l'essenza inafferrabile dei cosiddetti “sintomi negativi” della schizofrenia.
Mi occuperò del linguaggio del corpo e dei suoi travestimenti metaforici in quella specifica situazione psicopatologica rappresentata dalla depersonalizzazione schizofrenica e dalle sue evoluzioni deliranti. In alcune di queste condizioni psicopatologiche, in particolare quando la depersonalizzazione diventa delirio somatico, questo linguaggio sembra avere perduto ogni risonanza vitale per diventare un vuoto, enigmatico linguaggio che ridefinisce il corpo all'interno di una bizzarra topografia fantastica, in cui alcuni organi possono completamente autonomizzarsi, altri assumere nuove funzioni, altri addirittura annullarsi.
La psicopatologia fenomenologica non può non porsi una cruciale domanda:E' l'enigmatica bizzarria di questo linguaggio delirante che parla sul corpo una metafora per dire altro?
Non si tratta soltanto di cogliere le caratteristiche che emergono nella situazione clinica finale, ma anche, soprattutto, di saper leggere la sequenza delle stratificazioni fenomeniche sottostanti, in questo caso il vissuto originario e indicibile che caratterizza l'esperienza della depersonalizzazione.
Una analisi a ritroso delle tappe che sfociano in quella specifica «visione del mondo» rappresentata dai deliri somatici ci appare finora fallita, se pure è stata mai veramente tentata.Lo stesso Küchenhoff (1985), pur latore di una riflessione fenomenologica fra le più avanzate, fonda tutta la singolarità del rapporto Io-mondo dell'ipocondriaco sul concetto di «perdita dell'ovvietà del vissuto di integrità somatica e psichica», dizione estrapolata da una felice, e ormai classica, definizione di Blankenburg (1971) riguardante la «sottrazione basale dell'evidenza naturale» nei confronti del quale lo schizofrenico è chiamato a prendere posizione.
C'è da chiedersi se è possibile andare oltre, se è possibile considerare questa «perdita dell'ovvietà del vissuto di integrità somatica» in un contesto più ampio che ne consenta una ulteriore comprensibilità antropologica.
L'espressività linguistica che caratterizza la psicopatologia del vissuto somatico in una vasta gamma di condizioni cliniche che vanno dall'ipocondria ad altre più enigmatiche e indicibili esperienze riguardanti il corpo viene colta in pieno da Duprè che, in «Pathologie de l'imagination et de l'émotivité» (1925), ce ne fornisce un sorta di catalogo.
Questo linguaggio, per le sue coloriture lussureggianti e bizzarre, connesse con le immagini della corruzione, della tortura, del fuoco e della morte, coglie l'essenza psicopatologica di tutti i linguaggi che delirano sul corpo. Esso evidenzia un mondo di significati che vanno ben oltre il corpo come significante condiviso per inoltrarsi nel mondo delle esperienze antropologiche più angosciosamente vitali e radicali: quelle estreme di alienazione e di scacco che coinvolgono l'intero universo cosmo-biologico, proprie della psicosi.
In questa prospettiva le esperienze citate dall'autobiografia di Schreber (1903), pur nella loro ermetica chiusura ad ogni possibile condivisione, rappresentano una possibile chiave di lettura per entrare nel problema del «Mal-Essere» dell'uomo, fin dalle più larvate esperienze di depersonalizzazione che connotano le «schizofrenie subapofaniche”. Un degradante vissuto di impurità permea tutte le fasi delle suo delirio, in particolare le sue vicissitudini somatiche che si contraddistinguono per il loro carattere contagioso e deturpante (peste, lebbra, sifilide), sempre connesse ad un sostrato di impurità fisica e di indegnità morale. Qui la psicosi parla, per enigma e per simboli, di un'arcaica esperienza del «male» che dispiega l'intero repertorio delle sue metafore primarie: contagio fisico, infezione, impurità, indegnità, peccato, maleficio magico, maledizione divina, possessione demoniaca (Muscatello, 1979).
Nelle parole di un salmo penitenziale babilonese (cit. da Ricoeur, 1960) ritroviamo l'esperienza di questa angoscia senza nome che si interroga sul significato del "male”.

Implora il supplicante di Babilonia:
Possa il male che è nel mio corpo,
nei miei muscoli e nei miei tendini
andarsene oggi.
Scioglimi dal mio incanto...
perché un cattivo incanto
e una malattia impura,
e la trasgressione,
e l'iniquità
e il peccato
sono nel mio corpo,
e uno spettro malvagio mi si è attaccato

Nelle parole dell'orante si dispiega tutta la gamma delle metafore obbligate del «male», connesse con l'esperienza umana dell'angoscia e dello scacco, nelle quali l'ordine cosmo-biologico del "mal-essere" (infelicità, malattia, morte, scacco) si confonde con quello magico-religioso del "mal-fare", attraversando i temi dell'infezione, dell'impurità, della trasgressione colpevole, del peccato, del maleficio magico, della possessione. I temi somatici iniziali del contagio fisico, dell'infezione e dell'impurità (“una malattia impura”) si colorano nel corso della preghiera di valenze etiche, sconfinano in un sentimento di indegnità per culminare in una fantasia persecutoria di possessione ("e uno spettro maligno mi si è attaccato").
Soffermandoci ancora sul testo di questa antica preghiera individuiamo altri aspetti significativi. Vediamo come il male sia avvertito profondamente radicato nel corpo: «il male che è nel mio corpo, nei miei muscoli, nei miei tendini...» è il primo lamento dell'orante. Esso è «malattia impura», infezione di impurità.
Questo male trova poi una ulteriore declinazione nel «cattivo incanto», espressione di una intenzionalità malvagia esterna che allude già ad una larvata esperienza persecutoria.
Ciò che rende la preghiera babilonese straordinariamente significativa è il fatto che le sue parole conservano le tracce di antiche stratificazioni espressive in cui un arcaico linguaggio dell'angoscia si interroga sul “male”.
Esso affonda le sue radici nella corporeità e appare chiaro che di questa non può parlare se non attraverso il linguaggio figurato ed allusivo dell'infezione, della contaminazione, dell'impurità (Muscatello, 1996a, Muscatello 1996b, Scudellari et Al, 1996).
Fin dall'origine dunque il linguaggio che parla del corpo è linguaggio simbolico. Occorrerà partire da questo, lasciarsene istruire, per giungere a sprigionarne tutti i reconditi indizi e rimandi comunicativi.
In conclusione mi sembra si possa inquadrare il problema della depersonalizzazione somatopsichica e delle sue evoluzioni deliranti nell'ambito di quelle stratificazioni del linguaggio attraverso le quali, da sempre, il corpo è pervenuto alle sue possibilità di rappresentarsi: un linguaggio figurato e duplice perché doppio è il suo registro semantico, sospeso fra mondo fisico e mondo della valorizzazione etica. Ogni menomazione ontologica subita dalla persona si declinerà secondo questo doppio registro in cui corruzione, deterioramento, impurità fisica corrispondono ad una corruzione invisibile, una corruzione di specie morale, appartenente alla serie della trasgressione, vergogna, indegnità, colpa, peccato. L'impurità, per la sua doppia connotazione semantica, tuttora viva nel linguaggio quotidiano, sembra rappresentare la metafora privilegiata capace di stabilire un ponte fra i due mondi.

Bibliografia

BLANKENBURG, W. (1971) Der Verlust der natürlichen Selbstverständlichkeit. Eine Beitrag zur Psychopathologie symptomarmer Schizophrenien. Enke, Stuttgart.
DUPRE', E. (1925) Pathologie de l'Imagination et de l'Émotivité. Payot, Paris.
KÜCHENHOFF, J. (1985) Das Hypochondrische Syndrom. Nervenarzt , 56, 5, 225.
MUSCATELLO, C. F. (1979) La sindrome schizofrenica. Esculapio, Bologna.
MUSCATELLO, C. F. (1996a) Ipocondria, una metafora del Male? In: Ballerini, A., Callieri, B. (a cura di) Breviario di Psicopatologia. Feltrinelli, Milano.
MUSCATELLO, C. F. (1996b) Verso il linguaggio perduto dell'ipocondria. Giornata di Studi Fenomenologici , Reggio Emilia, 17 febbr. 1996, Riv. Sper. Fren. Vol. CXX, Suppl. al N°5, 1031.
MUSCATELLO, C.F., VISTOLI, P., BASSO, L., RAVANI, C., SCUDELLARI, P., TENUZZO, C., VITTORANGELI, M. (1993) Ipocondria e paranoia. Aspetti personologici dell'ipocondria delirante. Riv. Sper. Fren.., Vol. CXVII, 626.RICOEUR, P. (1960) Finitudine e colpa. Tr. it.: Il Mulino, Bologna, 1970.SCHREBER, D. P. (1903) Memorie di un malato di nervi. Tr. it.: Adelphi, Milano, 1974.
SCUDELLARI, P., BOLOGNA, M., RAVANI, C., SCARDOVI, A., TENUZZO, C., BASSO, L., SIMONATO, P., RIGNANESE, D. et MUSCATELLO C. F. (1996) Alcune questioni fenomenologiche sulla corporeità: ipocondria e dintorni. Giornata di Studi Fenomenologici, Reggio Emilia, 17 febbr. 1996, Riv. Sper. Fren. Vol. CXX, Suppl. al N°5, 1067.

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