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Paolo Curci, Gian Maria Galeazzi, Cesare Secchi, La sindrome delle molestie assillanti (stalking), Bollati Boringhieri, Torino 2003, pp. 197.

Il tema delle molestie assillanti è oggi estremamente attuale e costituisce un nuovo campo d’interesse, dal punto di vista psichiatrico, forense e sociologico. Il testo, i cui autori sono professori e ricercatori dell’Università di Modena e Reggio Emilia, ha il merito di fare il punto sulla situazione in Italia in un momento in cui si rende urgente una corretta definizione nosografica per un insieme di condotte da sempre conosciute e messe in atto, ma solo ora studiate come espressione comportamentale di uno specifico disturbo psicopatologico.

Il tema è oggi diventato, in molti paesi, oggetto dell’attenzione dei media e della letteratura scientifica. In Italia, tuttavia, la giurisprudenza relativa a tali condotte stenta ancora a decollare. L’interesse clinico per l’argomento è cresciuto di pari passo con la campagna di prevenzione della violenza: da atti disdicevoli e inadeguati le condotte si trasformano spesso in reato. È proprio per questo motivo che diventa essenziale non solo conoscere l’argomento ma anche educare e sensibilizzare al fenomeno soprattutto coloro che lavorano nel campo della salute mentale.

L’opera offre un excursus multidisciplinare sull’argomento, iniziando, nella prima parte, con i contributi degli studi australiani di Paul E. Mullen, Michele Pathé, Rosemary Purcell e Rachel Mac Kenzie (Università di Melbourne). Viene inquadrato il fenomeno, chiarendo quelli che sono i requisiti necessari per poter parlare di sindrome delle molestie assillanti: la triade necessaria per poter parlare di stalking è costituita da un attore, il molestatore assillante, una serie ripetuta di gesti intrusivi di vario tipo e infine una vittima che risulta infastidita o allarmata. È proprio tramite la corretta definizione di queste tre entità che si giunge alla costituzione di una "nuova categoria di paura, di reato e di studio".

Viene sottolineato come questo avvenga attraverso la fusione di due aree di comportamenti distinti: una serie di attività socialmente disapprovate (atteggiamenti minacciosi, intrusioni e infrazioni che non di rado sfociano nella violenza) e una serie di comportamenti volti al mantenimento di un legame che, mentre in passato sarebbero stati approvati, ora diventano sempre più anacronistici a causa del cambiamento delle consuetudini sociali e del progressivo declino della nozione di indissolubilità delle relazioni.

Vengono esposte varie classificazioni (opera di diversi gruppi di lavoro) dei molestatori e delle tipologie di molestie. L’aspetto fondamentale che emerge è la necessità di giungere ad una conclusione unitaria ed efficace per poter delimitare e conoscere meglio questo fenomeno. La classificazione più uniforme e al contempo più efficace è quella che offre una descrizione dello stalker basata su tre assi: il primo definito dalle strategie messe in atto dal molestatore, il secondo dal legame preesistente con la vittima, il terzo dalla classificazione squisitamente psicopatologica adottata.

Poiché l’approccio psichiatrico nei confronti dei molestatori prevede la presa in carico di soggetti che, partendo da un’apparente normalità, passano attraverso una condotta psicopatologica sottosoglia e approdano infine, loro malgrado, ad una psicopatologia conclamata, viene suggerito come sia necessaria la capacità di entrare in empatia anche con soggetti che vengono percepiti come prevaricatori e autori di reato, ma che in realtà risultano essere inadeguati socialmente e psichicamente disturbati.

Risulta infatti evidente come la ripetitività e l’intrusività dei comportamenti rispondano all’esigenza del molestatore di negare l’abbandono e la solitudine, di gratificare il proprio narcisismo e di rispondere alla frustrazione con un’ideazione maniacale.

Trattando i comportamenti di molestie viene offerta una descrizione, varia ma sicuramente non esaustiva, delle condotte messe in atto e viene ampiamente discussa l’importanza della corretta contestualizzazione al fine di valutare correttamente l’impatto del fenomeno sulle vittime.

Dal punto di vista psichiatrico, il comportamento del molestatore è espressione diretta di una forte sofferenza soggettiva ed è il vissuto soggettivo della vittima che determina la compatibilità con l’inquadramento diagnostico dello stalker.

Va inoltre osservato che in studi più recenti è emersa la non correlazione fra la gravità dei sintomi lamentati e la richiesta d’aiuto.

Gli interventi psicologici che si rendono necessari nei confronti delle vittime sono di tipo supportivo e cognitivo. Lo stalking procura un senso di estrema vulnerabilità nella vittima, accompagnato al senso di attesa angosciosa della successiva mossa dello stalker. L’intervento di sostegno, mirato a far sì che la vittima possa riappropriarsi ragionevolmente della propria esistenza, non deve mai cadere però nell’errore di far abbassare la guardia nei confronti dei rischi reali per la sicurezza della vittima.

Risulta chiaro come lo psichiatra assuma quindi un ruolo cruciale, pur entrando troppo spesso in contatto solamente con le vittime e non con i molestatori, i quali vanno più spesso incontro a procedimenti legali per le loro azioni.

La funzione terapeutica è legata alla capacità di valutare i segnali d’allarme, tenendo conto dell’equilibrio psicofisico precedente; è importante mettere sempre a fuoco le caratteristiche qualitative di questa patologia: ciò sarà di sicuro giovamento per il paziente, anche se attualmente non esiste una categoria nosografica ben definita per inquadrare i comportamenti e gli assetti psichici del soggetto molestatore.

La prima parte del volume si conclude con un quadro epidemiologico del fenomeno, i cui risultati, relativi alla letteratura straniera, sono sovrapponibili a quelli di studi, anche italiani, più recenti.

La seconda parte del testo si apre con un quadro della situazione italiana, partendo dalle considerazioni di Orio Simonazzi in merito alla situazione legislativa. Il nostro Codice penale contempla solo una norma legislativa con la valenza di "prevenzione poliziesca" nei confronti di un fenomeno (genericamente inteso come molestie e disturbo arrecati in pubblico) che viene considerato dannoso non tanto perché lesivo della libertà individuale quanto perché inteso come pericoloso per l’ordine pubblico. L’autore sottolinea come il punto chiave per comprendere lo stalking e rendere quindi efficace un’azione preventiva sia lo spostamento della tutela verso il singolo individuo vittima di molestie assillanti e non solo verso lo Stato visto come garante della quiete pubblica. Risulta pertanto irrinunciabile la tipizzazione del fenomeno stalking, evitando assimilazioni improprie ad altri comportamenti.

Anche dal punto di vista giuridico, continua Simonazzi, il criterio di riferimento attuale è oggettivo, mentre è necessario che la valutazione dello stalking sia soggettiva, legata all’effetto diretto sulla vittima.

Si coglie quindi la continuità con quanto espresso nella parte precedente dai clinici. Il capitolo viene concluso con la nota metafora del porcospino, di Schopenhauer, per esprimere le difficoltà dell’interazione umana nel contesto attuale.

Lo studio multidisciplinare del fenomeno stalking continua, dopo aver analizzato aspetti criminologici, psichiatrico-forensi e medico-legali, con l’analisi che Giovanni Neri dedica al legame fra stalking e servizi di salute mentale.

Il suo intervento non deve essere inteso come una semplice critica alla sistematizzazione del complesso problema dello stalking fin qui messa in atto, ma come monito volto ad evitare che una radicale medicalizzazione dello stalking abbia come conseguenza la delega incondizionata alla psichiatria di problematiche sociali e antropologiche più vaste, non necessariamente ed esclusivamente inerenti all’area delle patologie mentali. Introdurre una nuova categoria diagnostica senza le dovute precauzioni, peccando di eccessivo pragmatismo, significa cadere nella consueta trappola di un approccio riduzionista — già bersaglio privilegiato dell’antipsichiatria — tradizionalmente inadatto ad affrontare la complessità e la multidimensionalità delle condotte umane.

 

Nella terza parte del volume gli autori si soffermano — sempre nell’ambito tematico delle molestie assillanti — sugli aspetti relativi alle relazioni terapeutiche in psichiatria.

Alcune categorie professionali, come affermano Mullen e Pathé (dato, questo, dimostrato più recentemente anche da studi italiani), sono maggiormente esposte al rischio di diventare vittime di stalking. Se un tempo le categorie più a rischio erano quelle appartenenti al mondo dello spettacolo, e questo ha favorito l’interesse mediatico verso il fenomeno, adesso l’interesse è rivolto al mondo sanitario, in particolare al mondo della salute mentale. Il setting specifico e la sua facile probabilità di diventare terreno del malinteso — ma anche la vulnerabilità e l’ambiguità che spesso caratterizzano questo tipo di relazione terapeutica — ne fanno un terreno fertile per lo sviluppo del fenomeno. È questo l’aspetto più importante da sottolineare: spesso è proprio il terapeuta, convinto che il proprio mestiere lo esponga a "situazioni difficili" con frequente violazione della privacy, che tollera, nega e minimizza l’esistenza di una condotta di molestia nei suoi confronti. La deformazione del setting terapeutico è dannosa sia per il paziente che per il terapeuta. Quest’ultimo, tuttavia, può sfruttare questo punto d’osservazione privilegiato per studiare gli elementi peculiari del fenomeno; lo psichiatra deve saper cogliere la richiesta celata dietro la molestia, interpretandone il significato: un significato che va oltre l’agito e che si colloca nell’ambito dell’estrema ricerca di comunicazione.

L’obbiettivo per il futuro dovrà quindi essere quello di tutelare gli operatori del campo della salute mentale, tramite l’educazione sullo stalking e la sensibilizzazione riguardo alle basilari misure di privacy; promuovendo d’altro canto un tempestivo riconoscimento del fenomeno e un intervento precoce. La collaborazione fra colleghi e la valutazione d’équipe si confermano di primaria importanza.

Gli autori riportano i risultati di numerosi studi stranieri che hanno per oggetto molestie ad operatori della salute mentale e viene infine dedicato ampio spazio allo studio italiano condotto dagli autori, i cui risultati sono concordi con quelli riportati dalla più recente letteratura internazionale sull’argomento.

Il volume si conclude con le considerazioni di Cesare Secchi sul fenomeno, relativamente alla propria esperienza di psicoanalista. Sebbene i comportamenti riferiti siano meno gravi (sia dal punto di vista psicopatologico che legale) di altri riportati nel libro, questo non significa che l’impatto sulla definizione della relazione terapeutica sia meno incisivo. L’autore ritiene che il comportamento del molestatore assillante nei confronti del terapeuta sia da intendersi come tentativo di scardinare la struttura comunicativa che sta alla base dell’interazione medico-paziente. Questo "sabotaggio organizzato" del setting, spesso continuo e sistematico nel tempo, si pone l’obbiettivo di sostituire e di rendere sempre più inefficace la seduta terapeutica.

Secchi ci fa capire come questa situazione sia di forte impatto per il curante, che vede vacillare la propria sicurezza di saper gestire situazioni che mettono a rischio la sua capacità terapeutica.

L’intenzione del molestatore può essere anche solo quella di suscitare una forte reazione emotiva nel terapeuta, e non necessariamente quella di riceverne una gratificazione narcisistica. Questa interpretazione si aggiunge, senza contrapporsi, a quella di Meloy, che identifica il passaggio scatenante all’azione, da parte del molestatore, proprio come tentativo di sanare una ferita narcisistica: un tentativo motivato dall’incapacità di superare un’esperienza di separazione e di perdita di un oggetto che la condotta molestatrice avrebbe la funzione di continuare a dominare e a controllare.

La comunicazione con il curante viene ad essere completamente sovvertita, ed è la forma stessa della comunicazione a prendere il sopravvento, nella mente del molestatore, sul contenuto; l’interazione, sottolinea Secchi, è assolutamente distruttiva, a differenza di altri tipi di sabotaggio del setting in cui prevale l’aspetto libidico.

D’altro canto, il curante stesso va incontro a coinvolgimenti controtransferali non secondari. Secchi fa riferimento a Racker quando parla di investimento diretto sulla persona del paziente e indiretto sulla situazione terapeutica. Così possono essere valutate le reazioni emotive del medico vittima di molestie assillanti, che si collocano entro uno spettro che va dall’inquietudine fino all’angoscia persecutoria, ma che comprendono anche sentimenti di vergogna e di colpa.

Il punto chiave, che mi preme ancora una volta sottolineare, è che queste reazioni emotive non devono mai limitare o ritardare lo scambio di opinioni con i colleghi e la valutazione d’équipe della condotta di stalking.

A tutt’oggi, la prognosi delle molestie assillanti non sembra positiva: è difficile interrompere la sequenza di queste condotte, capaci di procurare continue autogratificazioni.

Ma l’efficacia dell’azione terapeutica non è ancora irrimediabilmente compromessa. Rappresenta, se così si può dire, una sfida per il futuro. Una sfida che questo stimolante libro ci aiuta a raccogliere e ad affrontare.

Isabella D'Orta

isabella.dorta@gmail.com

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