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Una riflessione su "THE MOTHER", regia di R. Michell

Il cinema sembrava avere percorso tutto, ormai. Il sentimento amoroso umano, le sue sfaccettature e le sue possibilita' sembravano gia' tutte indagate, esplorate e messe in luce dalla macchina da presa. Ma un tabu' ha sempre resistito a tutto: il tabu' della sessualita' della madre, la nostra stessa madre.

Questo film, che muove da una sceneggiatura di Hanif Kureishi (scrittore pakistano trapiantato a Londra e gia' autore del fortunato Mezzanotte fino all'alba e Nell'intimita') riesce a rivisitare il tabu' di ogni tempo e di ogni uomo – la sessualita' de La Madre, cioe' la madre come archetipo – con delicatezza, intelligenza, pudore insieme a sfrontatezza, ed un tocco di speranza.

E' un film semplice e complesso.

Semplice, in quanto racconta un pezzo di vita di gente normale, ruota intorno a pochi personaggi e in pochissimi ambienti. Una coppia di anziani coniugi si reca a Londra, in visita ai figli; ma durante la prima notte, il padre muore di infarto. La madre, una donna ancora sommessamente vitale, non riesce a tornare nella casa solitaria, a passar le giornate di fronte alle pantofole del marito morto, e decide di tornare a Londra dal figlio, giovane businessman apparentemente ricco e appagato. Capisce presto che non e' cosi', e trascorre il suo tempo tra la casa del figlio e quella della figlia, una giovane donna ansiosa, nevrotica e bisognosa d'amore. Finisce col trascorrere buona parte del tempo con l'operaio che restaura la veranda nella casa del figlio, e che e' nel contempo l'amante della figlia, un amante incline ai maltrattamenti, distratto e preso nei suoi problemi. Ne nasce un amore, pomeriggi di sesso nascosto e passeggiate romantiche. Per lei, la scoperta-riscoperta di un corpo vivo, sessuato, desiderato e desiderante, una sorta di folgorazione; per lui, forse una donna in piu', forse un po' del calore di una madre che non c'e' stata, forse un passatempo pericoloso. Il tutto viene scoperto, e la madre deve ripartire. Ma non tornera' di fronte alle pantofole che la aspettano sullo zerbino; prendera' comunque il volo.

Un film complesso, in quanto noi possiamo leggere questa modesta trama di vita da piu' angolature, a piu' livelli, e forse riconoscerci in piu' d'uno.

Un primo spunto, se vogliamo essere "psichiatrici", e' l'elaborazione di un lutto.

Che cosa meglio di un nuovo investimento, consente di elaborare una perdita? E cosa meglio dell'innamoramento? La Madre sarebbe forse scivolata in una tetra depressione, in un susseguirsi mortifero di giorni tutti uguali, fino alla sua stessa morte, se non fosse intervenuto l'aggancio vitalizzante ad un nuovo oggetto d'amore, per di piu' giovane e bello e quel tanto di rozzo ed infame che sembra debba avere un uomo per scuotere una donna dal suo torpore. Quante madri, mogli, ci vengono in mente, risucchiate in lutti senza fine, rimaste sole a governare un'esistenza finalmente libera – da un lato – ma incapace di trovare uno sbocco che dia a questa liberta' un senso e una legittimita'?

All'impossibilita' di elaborare la perdita del marito attraverso i percorsi convenzionali (i figli sono troppo presi dai loro problemi per farne una nonna a tutto campo, e non sapendo come utilizzarla la lasciano sola di fronte a giornate vuote e nessuno da accudire), la Madre non imbocca la via del rimpianto, non si macera nelle nostalgie, ma posa il suo sguardo ancora inappagato su un oggetto nuovo: un giovane uomo che lavora, all'ombra di tutti gli altri.

Vero e' che la storia sara' tormentosa e non le risparmiera' sofferenze e umiliazioni, ma alla fine riuscira' a farsi una valigia e a varcare la soglia della casa che fu coniugale con in mano un biglietto aereo.

Il lutto e' stato quindi elaborato e risolto, e quella che ne viene fuori sembra una nuova persona.

Un altro lutto, o se vogliano un altro livello di lettura, e' il lutto della femminilita'.

La Madre e' una casalinga qualunque, non piu' giovane e non troppo vecchia, non ha il fascino rugoso di una Vanessa Redgrave e non e' passata attraverso i lifting delle dive americane, non si e' realizzata nella professione e persino la maternita' le ha sollevato quelle ambivalenze che oggi le segnano la coscienza (in un bellissimo passo, raccontera' di avere odiato i bambini quando erano piccoli e piangevano sempre, e quando li metteva finalmente a letto usciva poi per le strade a prendere aria, aria, e si domandera' sgomenta se capita a tutte).

Il lutto del suo essere donna – donna che desidera e non solo donna che accudisce – era gia' avvenuto con le maternita', con la routine di una vita tutta uguale, ma restava sepolto alla consapevolezza. E' attraverso il nuovo amore, tutto fisico e primariamente fisico, che il femminile improvvisamente recuperato si presenta alla coscienza come qualcosa che sara' irrimediabilmente perduto.

Perduto per sempre. In una battuta felice, quando l'amante la accarezza dira' che immaginava che l'unico a toccarla, ormai, a toccare il suo corpo, sarebbe stato il becchino.

Tutto il femminile si incontra in questo film. Accanto alla Madre c'e' la figlia; forse una figlia poco desiderata e amata, o forse una bambina a cui e' stato detto "brava" troppo raramente, con troppa esitazione, e oggi una donna insicura, tormentata, irrisolta. Mi viene in mente un altro film, tra i molti, che aveva mirabilmente indagato nel rapporto madre-figlia, ed era Sinfonia d'autunno di Bergman. La differenza e' che qui, in The mother, e' la potenza del quotidiano, dell'ordinario che ci salta agli occhi e ci impedisce di sfuggire nel letterario: siamo anche noi quelle li', a nostra volta madri poco valorizzanti e figlie poco valorizzate, siamo anche noi quelle di cui, se indaghiamo nei ricordi, non andava mai abbastanza bene, facevamo qualcosa di importante (per noi) e c'era sempre un dettaglio che mancava, e se inciampavamo per strada venivamo sgridate.

Se avevamo un fratello, era facile che la Madre fosse piu' accondiscendente con lui, piu' benevola; se avevamo delle amiche, era probabile che in qualcosa riuscissero meglio di noi, e certo le loro mamme ne erano piu' fiere e soddisfatte.

Siamo anche noi quelle li', che da adulte magari ci ritroviamo all'improvviso di fronte a queste madri che ci hanno guardate con cosi' poca indulgenza, ed ora sono vedove, sole e fragili, e richiedono la nostra assistenza; e siamo anche noi, come questa figlia, che abbiamo un sogno in tasca ma temiamo a realizzarlo, e ci aspettiamo che finalmente saremo amate da qualcuno, un uomo, che si liberera' per noi, e che riusciremo infine a redimere.

Mentre Sinfonia d'autunno ha l'impatto di un capolavoro letterario e ci identifichiamo quanto lo faremmo con Madame Bovary (cioe' in un modo intenso, ma pur sempre altro da noi), Kureishi ha a mio avviso il merito del narratore realista, minimalista quanto basta per calarci in un storia che e' tanto, tanto simile alle nostre storie, senza mettere in bocca ai personaggi niente di piu' o di diverso da quello che avremmo detto noi stessi.

Virtu' del cinema inglese, che e' riuscito a sottrarci il primato del neorealismo (ed esiste un realismo anche degli affetti….).

L'angolo di visuale piu' raffinato, ancora, e' ovviamente quello del groviglio edipico. In questo senso, e' un film scabroso.

Quando i figli vengono a sapere che la Madre va a letto con un uomo giovane (oltre che un po' rozzo e incolto), non hanno per lei nessuna tenerezza, nessuna pietas, nessuna curiosita', nessun perdono. Solo stupore, e poi condanna.

Non certo perche' quegli stessi figli siano benpensanti, ma perche' non si tratta di una donna, si tratta della Madre. La Madre non ha corpo, non ha desiderio, non ha piacere, non ha sessualita'. Se ha corpo, e' il corpo che ha dato la vita; se ha sessualita', e' quella da cui saremo perennemente esclusi, dalla scena primaria in poi, ed e' legata al padre, unicamente a lui. Questa Madre, invece, che di una mamma attempata e qualunque ha tutte le caratteristiche (un poco appesantita, un poco ingobbita) scopre e gode di un corpo che non e' procreativo, e di una sessualita' che non e' legata al padre, ma e' fine a se stessa. Vero e' che si avvicina inizialmente al ragazzo attraverso il codice del prendersi cura, portandogli la colazione e cucinandogli il pranzo, ma ben presto si svincola da quel codice (servito solo allo scopo di consentire un primo approccio convenzionale), ed e' lei stessa a cercare il contatto sessuale e a richiederlo espressamente. "Faresti l'amore con me?"

Una frase che e' persino abusata nei film, ma solo qui e' davvero peccaminosa.

Perche' ad essere tradito non e' un marito o un altro pari; la peccaminosita' sta nel tradire se stessa nel ruolo di madre, in quanto si propone come amante sia di un uomo molto piu' giovane (prima rivoluzione), sia dell'uomo della figlia (seconda rivoluzione).

Uno schema simile appariva anche ne Il danno, tratto da un romanzo della Hart e messo in scena da Louis Malle, dove il seducente Jeremy Irons vestiva i panni di un padre che cade in una tragica passione fatale per la donna del figlio. La storia procedeva poi secondo i canoni dell'amour fou e finiva in tragedia.

Tuttavia, benche' anche Il danno sembro' scandaloso, non possiamo definirlo cosi' scandaloso. E' doveroso chiedersi perche'.

Perche' non ci sorprendiamo poi tanto dello schema inverso, anche se magari non lo approviamo? Intanto, non sorprende per nulla che un uomo abbia il doppio di eta' della giovane conquista, e' anzi una situazione privilegio, spesso, di uomini di potere e quindi socialmente approvata e invidiata, ed anche nel caso invero piu' infrequente che si tratti della donna del figlio, siamo portati piu' a provare una riprovazione morale che un disgusto, come avviene invece in The Mother. Mentre il corpo materno congiunto all'uomo giovane dietro le spalle della figlia suscita un disgusto quasi impensabile, non e' lo stesso se ribaltiamo la stessa scena a favore di un padre. Perche'?

Non e' ovviamente compito nostro addentrarci in queste tematiche e non abbiamo lo spazio per ragionare sull'enigma, ma credo che il film susciti questi interrogativi che possono essere spunto di riflessione ed eventualmente di opinione in questa stessa rubrica.

Deriviamo infine da tutti questi punti di vista, un ulteriore punto di vista del film che e' quello piu' genuinamente femminista (in termini generici ed impropri, ovviamente). Questa Madre ci piace, teniamo per lei per tutta la durata del film, ci piace il suo coraggio (proporsi a un uomo, e poi partire!), ci piace il suo corpo stanco (finalmente, un corpo vero), ci piace che non sia asservita ai figli, ci piace che non le vada di stare a casa davanti alle pantofole, siamo inteneriti e contenti di come si diverta a fare l'amore nei pomeriggi solitari. Ci piace meno il figlio, arrogante e bugiardo, ci piace meno rispetto anche alla figlia, che e' pur sempre vittima di una vita difficile e si strugge cercando un posto nel mondo; ci piace meno il povero marito che vediamo subito scomparire, ma di cui immaginiamo un'antica durezza; ci piace meno il corteggiatore attempato che sembra avere nella sua stessa sensibilita' un che di sfuggevole e vischioso; e ci piace meno il giovane operaio, il quale e si' personaggio complesso non privo di lati interessanti, ma nella sostanza usa e si fa usare dalle donne per poi maltrattarle. Tra i personaggi maschili, e' tuttavia quello che porta in se' anche una ferita – il figlio piccolo che non puo' incontrare, gli studi interrotti – ed e' quella ferita che per prima, prima che diventi messaggio erotico, fa da richiamo alla Madre e alle sue attenzioni, quasi una ulteriore sfumatura edipica nel rapporto tra i due.

Quando un film ci fa simpatizzare cosi' tanto per i suoi personaggi femminili, o per un personaggio in particolare, io lo definisco semplicemente femminista, vale a dire: dalla parte delle donne.

Un film, quindi, ben scritto e ben interpretato, aderente alla realta' e intriso di quotidianita', che parla di una donna – in sostanza – mai stata donna fino a quando il destino non la mette di fronte all'essere vedova e sola, costretta ad un ruolo di vedova di cui non riesce ad appropriarsi, ed inizia da li' ad incontrare il mondo, fino ad allora protetto dal tran tran coniugale.

In questo mondo – una Londra caotica – incontra due figli diversi da come l'immaginario li aveva coltivati, problematici e sofferti, ed un giovanotto che per qualche motivo (noia, indifferenza, simpatia, bisogno di una mamma?) accetta di farsi protagonista di una vicenda piu'grande di lui, sedotto da una donna matura che gli porta il pranzo ogni giorno e lo sta, forse per prima, ad ascoltare.

Un film 'femminista', infine, perche' oltre a farci voler bene alla nostra Madre, non la rende eroina di un amour fou, non la fa scivolare nel feulliton. Pur desolata e umiliata (dalla storia amorosa che viene scoperta, dal mancato appoggio dell'amante di fronte alla richiesta concreta di una vita insieme), la Madre non e' piu' la donna che abbiamo incontrato all'inizio della vicenda, quando con l'anziano coniuge fa le valigie per andare a trovare i figli nella capitale….

Alla fine di tutto, e' comunque un'altra donna.

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