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CHI HA PAURA DI ORIANA FALLACI?

Un invito a rileggere Oriana Fallaci.

Mi ero ripromessa di non scrivere di Oriana Fallaci su questa rubrica.

Troppo chiaccherata, ha sollevato troppe polemiche, ha troppi nemici, e' recentemente scesa in campo con temi politici e lettere infuocate al "Corriere della Sera", eccetera eccetera…. In piu', come se non bastasse, a parlar bene di lei — cosa che ho fatto ingenuamente in altre sedi — c'e' da stare attenti poiche' ci si attira l'ira funesta di tutti quanti addosso: di quelli che la detestavano anche prima, ovviamente, ma anche di quelli che la pensavano cosi' cosi' e perfino di alcuni che la ammiravano come grande scrittrice e giornalista.

Sull'onda dei recenti articoli e dell'aver fatto nuovamente parlare di se', mi e' pero' tornata voglia di riprendere in mano alcuni dei suoi libri, quei libri appassionati e civili che tanta parte avevano avuto nella mia adolescenza, che mi avevano fatto scoprire un po' di mondo, un po' di grandi personaggi, un po' di coraggio giornalistico, attraverso lo sguardo impietoso di questa donna cosi' particolare, bella ma non femminile, colta e arrogante ad un tempo, una cittadina del mondo sempre in lotta contro i sistemi e le stupidita' del potere.

Come ha scritto Natalia Aspesi di recente "….mentre la maggior parte delle giornaliste italiane in quegli anni, '60 -'70, andavano per sfilate di moda e ai Cantagiro, Oriana era alla Guerra del Vietnam….". Mi e' parso allora doveroso e giusto riproporre ai lettori, magari ai giovani che non la conoscono, l'opera di Oriana Fallaci; sarebbe un peccato se un' adolescente di oggi la conoscesse solo per via del Social Forum di Firenze o per via de "La rabbia e l'orgoglio", testi che pur rappresentando, si', il suo pensiero di oggi sull'Occidente post 11 Settembre, tuttavia non sono nulla — a mio modo di vedere — rispetto alla richezza e alla complessita' dell'opera complessiva.

Che io ricordi, Oriana e' stata sempre criticata o oltremodo ammirata. Un personaggio di quelli che non consentono mezze misure: o li si ama, o li si odia.

Nelle rare e antiche apparizioni televisive, mi colpi' — ne ho un vago ricordo — la sua indifferenza rispetto al fatto di riuscire o meno simpatica, di riuscire o meno amabile. Se ne fregava! In una televisione che era si' bigotta, ma ancora decente, la Fallaci appariva gia' come un essere di un altro pianeta, altezzosamente attaccata alle sole proprie idee, e comunque al mondo delle idee, e non alla tortura dell'apparire. In quanto donna, questa sue ruvidezza colpiva ancora di piu', perche' erano anni, come giustamente rammenta la Aspesi, in cui le donne (tranne sparuti gruppi di femministe infuocate) erano allenate all'eterno sorriso.

Quando usci' "Lettera a un bambino mai nato" — un testo per l'epoca fuori dall'ordinario — riusci' a fare arrabbiare sia chi era pro che chi era contro l'aborto, si avverso' alcune femministe e ne attiro' altre, fu compreso e gradito da alcuni lettori maschi, e indigesto ad altri. Chi aveva ragione?

Solo tre, dei romanzi della Fallaci, hanno esplorato un campo che potremmo dire esplicitamente "al femminile". Si tratta dei suoi primi romanzi, quelli giovanili: "Penelope alla Guerra", "Il sesso inutile" e appunto "Lettera ad un bambino mai nato", romanzo cosi' fortunato da inaugurare, tra l'altro, la popolarita' mondiale dell'Autrice (che, bisogna ammettere, e' l'unica italiana che, insieme a Eco, troviamo in bella vista nelle librerie di tutto il mondo).

In una delle rare interviste che rilascio', ebbe a dire di essere nata " povera e donna" (poor and woman) e percio' di avere dovuto "capire di piu', studiare di piu', lottare di piu'. La sopravvivenza aiuta ad esprimersi" (ricordo che la Fallaci, che attualmente vive tra Firenze e New York, e' nata a Firenze nel '30. Del padre, un antifascista che si oppose al regime di Mussolini, dira' sempre essere stato per lei "la figura piu' importante di tutta la vita").

In seguito, sia come inviata speciale per "L'Europeo" sia nei suoi romanzi, si occupera' praticamente solo di Storia, di interviste a personaggi politici (Arafat, Kissinger, Gheddafi e altri in "Intervista con la storia"….), di testimoniare nei Paesi lacerati dalle guerre, come il Vietnam in "Niente e cosi' sia" , o oppressi dalle dittature, come in "Un uomo", sicuramente il piu' bello, sentito ed appassionato fra tutti I suoi romanzi.

Sembra che l'elaborazione e il processo di inviduazione del proprio essere femminile Oriana l'avesse concluso nei romanzi giovanili, che concludono il loro ciclo con "Lettera ad un bambino mai nato", per poi dedicarsi completamente al lavoro di asciutta e acuta testimonial dei grandi eventi del nostro tempo, con una particolare sensibilita' per I Paesi schiacciati da regimi autoritari, dove gli uomini e le donne sono oggetto di torture fisiche e morali, dove non hanno I diritti piu' elementarI e devono ubbidire ad un tiranno:

In "Un Uomo", il romanzo autobiografico uscito nel '79 tre anni dopo la morte del ribelle per l'indipendenza greca Alekos Panagulis, Fallaci da' il meglio di se', come scrittrice e forse come donna. E' stato a partire da li', riprendendo in mano la lettura di "Un Uomo" che residuava ormai sommerso nella mia memoria, che ho sentito il desiderio di parlare di lei, nella speranza che giovani lettori e lettrici non si accontentino del polverone che ha sollevato e non fermino il giudizio sulle critiche aspre che piu' o meno tutti le hanno rivolto, ma si concedino la curiosita' di andare a ritroso, dai primi libri fino a "Un Uomo" e poi ad "Inschiallah" dell'83, ultimo dei grandi romanzi a cui seguira' il lungo silenzio rotto, dopo l'11 Settembre, con il discusso "La rabbia e l'orgoglio".

Vorrei tralasciare, in questa sede, di entrare nel merito de "La rabbia e l'orgoglio" cosi' come degli articoli apparsi sul "Corriere della Sera". Siamo ancora troppo dentro queste vicende per poterle giudicare con gli occhi della Storia; possiamo riconoscere alla Fallaci il coraggio e la vis polemica di sempre, mentre possiamo dissentire riguardo ai punti di vista.

Vorrei invece quindi proporvi, o riproporvi, la lettura-rilettura di "Un Uomo".

Innanzi tutto perche' e' un romanzo d'amore. Una profonda e accorata dedica all'amore della sua vita, il rivoluzionario Alekos, che si nutriva di sogni, utopie, rabbie e speranze su una Grecia libera dal potere dei militari, e per la quale venne ucciso nel '76. Dopo la sua morte, Oriana si immerge in una solitudine durata tre anni, e compie quel lavoro a ritroso nella memoria — che e' insieme memoria personale e memoria narrativa — dalla quale nasce il libro; una "fiaba", come lei stessa lo definira' nell'unica intervista che ho trovato di lei, quella rilasciata appunto all'uscita del libro a Luciano Simonelli, nel luglio del '79.

Uscita dal ritiro che si era imposta, si confida al giornalista. Quella che traspare da queste righe e' una donna piena di contraddizioni: risoluta e dolce, dura e gentile…….

Insieme alla perdita di Panagulis, quella dell'amata madre. "Le due persone che amavo di piu' al mondo…..Se ne sono andate insieme". Il dolore di queste perdite e' una ferita, dice Oriana, di quelle che lasciano per sempre il segno. Ci sono ferite che lasciano per sempre il segno. Prima di quelle, ammette di non averne mai provate della stessa intensita'.

La rilettura di "Un Uomo", ai giorni nostri, devo dire che e' un'esperienza per me di commozione e di sollievo. Di commozione per l'esito tragico della vicenda in se', per il Paese tormentato, per gli uomini e le donne coinvolte in questa tortura, per la storia d'amore che muore con la morte del giovane eroe. Di sollievo perche', finalmente, ritroviamo un Uomo, con la U maiuscola. Io credo che la Fallaci intendesse parlare di Alekos, certo, ma come spunto per descrivere il genere d'uomo che dovrebbe esser degno di chiamarsi cosi': un individuo che non ha padroni, che non si piega, che non si vende, capace di veri sentimenti, di scrivere poesie durante la prigionia, di capire al volo qual'e' la donna per lui ( "Lui mi rubava l'anima……capiva tutto di me"). Un Uomo, appunto.

Non e' detto che un Uomo debba per forza essere felice, per sentirsi vivo.

"Io non voglio una donna con cui essere felice! — le dira' agli inizi della relazione - Il mondo e' pieno di donne con cui essere felice. Voglio una donna che sia il mio compagno……".

Ho sempre trovato bellissima questa definizione, al maschile: il mio compagno, riferita all'uomo e alla donna.

Poiche', per me, non vi e' nulla di piu' avvilente della coazione alla felicita' e alla facilita' con cui la vita dovrebbe scorrere, mi danno un certo conforto i racconti di vite difficili, eppure intense e significative, di amori spezzati, eppure eterni.

"Un Uomo" e' un libro infatti che, nonostante la sua tragicita', ci lascia nel cuore un senso di calda vitalita'; e' un libro tragico, non triste.

Lo stesso per "Lettera ad un bambino mai nato", oggi forse non piu' d'attualita', forse un po' superato nell'argomento. Ma nessuno come la Fallaci, che io ricordi tra le mie letture, ha saputo raccontare dall'interno dell'esperienza vissuta la perdita di una gravidanza giorno dopo giorno, le reazioni contrastanti e turbolente che s'affacciano in ogni donna che si trovi in quella circostanza, tutto l'amore e tutto l'odio, il desiderio e l'ostilita', la voglia di ricordare e la voglia di dimenticare che si dibattono nell'animo, e che nessun rotocalco o legislatore riesce a rendere quando s'impegna a discutere di questo tema.

Anch'esso un libro tragico, ma non triste.

La donna senza volto e senza nome che ci lasciamo alle spalle quando chiudiamo il libro, e' svuotata, ma non vinta; e' sola, ma non isolata; ha perso qualcosa di importante, ma lei e' ancora li'…………

Credo, ripensandoci oggi, che cio' che amavo tanto da adolescente in questo personaggio di donna — che Oriana proietta piu' o meno direttamente in tutti i suoi libri — era la sua forza.

In genere, le donne dotate di forza vengono connotate al negativo: come riproduzioni maschili mal riuscite, come virago, come ciniche donne in carriera pronte a tutto, come macchine senz'anima…

Personalmente, ritengo che su poche questioni ci siano tanti luoghi comuni come sull"'essere donna'.

La forza che emanava dalla Fallaci era, ai miei occhi - ed e' tutt'ora — una forza dolente e gravida di pensiero, di storia, di solitudine; una forza che nasconde il guscio tenero e molle di tutte le donne forti; una forza giocata sulla propria pelle, e non derivata dalla luce solare di un uomo potente o ricco; una forza bisognosa dei lettori, per trarre nutrimento e continuare a esprimersi ( e' noto che, riguardo ai critici, pensa da sempre peste e corna: "Non sono che scrittori falliti, e invidiano chi scrive per davvero. Gli unici critici sono i lettori").

Come darle torto?

In questo mio giudizio, o meglio in questa mia sensazione, l'intervista del '79 a cui ho fatto riferimento poc'anzi non sembra darmi torto, anzi; alla domanda di Simonelli che le chiede di parlare dei suoi errori, Oriana risponde:

"Ti diro' il piu' grave. Quello di non aver amato abbastanza me stessa. Cioe' di aver dimenticato che il grande comandamento ‘Ama il prossimo tuo come te stesso', parte dal presupposto di amare prima e innanzitutto se stessi. Non ho amato abbastanza me stessa perche' non sono mai stata contenta di me stessa, non mi sono mai molto piaciuta. Non ho capito insomma che non e' necessario piacersi per amarsi, che amarsi e' amare la vita. Ho amato la vita in astratto, e non sulla mia pelle. O meglio, l'ho amata amando gli altri o sforzandomi di amare gli altri. Ma e' tempo che io riconosca la piu' banale delle verita': tra gli altri ci sono anch'io. E' tempo che io sorrida, che rida"

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